[Le Regole del gioco].
Al signore don Rodrigo.
La mi perdoni se nella mia ignoranza non so quale titolo di preciso applicarle, se di eccellenza o di eminenza o altro. La chiamerò dunque signore, poiché lei è signore di queste terre.
Le scrivo per dirle che lei ha fatto una gran cavolata, se mi è permesso dirlo, ma ormai l’ho detto, a spaventare tanto quella merdina del nostro curato don Abbondio, che è come un vaso rotto che spande acqua e che cosa sia successo ormai lo sanno tutti, anzi tutti sanno il doppio o il triplo, perché la sua governante è come un mulino a vento e ci ha ben messo del suo, mica poco.
Signore don Rodrigo, lei a me mi doveva parlare o far parlare. Che come vede, sono pure buona a scrivere. Se ci saranno degli errori, lei se ne infischierà: perché lei bada al sodo, come è giusto.
Il sodo, signore don Rodrigo, è che lei ha messo gli occhi addosso alla figliola mia, la Lucia. Che cosa ci trovi lei nella Lucia, che a me mi pare una figliola come tante, tranne che è la mia figliola, io non lo so; né lo voglio sapere.
Io sono una donna che ha vissuto, signore don Rodrigo, che ha campato dopo aver perso il marito, che ha tirato su questa figliola che a lei tanto le garba, che ha conservato la casa e l’orto e tutti i giorni ha lavorato sodo; come lei bada al sodo (come è giusto).
Allora signore don Rodrigo io le dico, che non si fa un matrimonio senza denari, e noi per benedizion di Dio ce ne abbiamo un pochi, ma so che ad averne un po’ più di pochi non si sta peggio, semmai meglio: e sto per questo a scriverle.
Che, signore don Rodrigo, lei ha messo tutti in agitazione, quando se ne poteva fare a meno. Che le dirò, che io capisco come vanno le cose del mondo, che il mondo è fatto per stare al mondo, e non si sta al mondo bene se non si capisce come vanno le cose del mondo.
Questo giovanotto, questo Renzo, che si sposerà la mia Lucia, è un brav’uomo come ce ne sono tanti, che i brav’uomini per benedizion di Dio a questo mondo abbondano, checché se ne dica. Cosa vuole che le dica: è un ragazzo, è un ragazzone, che alla mia Lucia le ha cominciato a discorrere un po’ di mesi fa, e che a me non mi dispiace, ma so che cos’è e quel che l’è, non è un signore e non è un Adone. (Che il romanzo dell’Adone io non l’ho mica letto, ma se ne raccontano, e se ne raccontano, che ne parla ormai tutto il mondo e anche tra noi poveretti c’è chi lo sa leggere e ce lo racconta).
Allora, signore don Rodrigo, quello che io le volevo dirle, è che come tutte le cose qui ci si può mettere d’accordo, se lei la pianta di fare tutti questi bordelli che ormai ne parla tutto il paese, e non le dico che cose se ne dicono. Che di lei dicono, ma glielo dico, che lei è un maiale, e io apertamente glielo dico che lo dicono, che tanto so che ambasciator non porta pena e che a lei da signore che è di che cosa dicono i poveretti gliene importa niente, solo le fa piacere saperlo.
Ma io le dico anche, che del maiale non si butta via niente, e io non sono così infilzata come la Madonnina che è mia figlia, che sennò mia figlia non l’avrei mica tirata su e non le avrei dato tutti i giorni da mangiare, dopo che è morto il mio marito povero che fu. E così io le dico, signore don Rodrigo, che si tolga la mano di tra le gambe dove ce l’ha sempre stando a sentire quello che si dice, e se la metta sul cuore, e nella giubba, e mi capisca.
Io la mia Lucia giela convinco. Quel suo compare signore infratato che si è infratato dopo avere ammazzato uno, e così l’ha scampata dalla giustizia, e che se ne va in giro con la pancia piena tutto spirituale a far diventare tutti spirituali con quattro belle parole, quello lì le dico che me l’ha lavorata bene, e dico proprio bene, e quasi quasi me la fa diventare monaca dopo tutta la fatica a far su la dote che ho durata per anni e anni e anni. Che per fortuna c’era questo Renzo, che non è mica male in fondo, e ha una gran voglia di adoperarla, e la mia Lucia ce la darei volentieri, anzi ce la do.
Ma lei si è messo in mezzo, signore don Rodrigo, col diritto di chi pretende l’obbedienza perché se la può pretendere con la sua forza. Allora io la mia Lucia gliela convinco, perché l’ho tirata su di buoni principj e il primo principio è l’obbedienza e l’obbedienza a chi ha il potere di pretenderla gliela va data, com’è giusto, senza fare tanti discorsi, che i bravi e gli schioppi sono argomenti, che chi ci si oppone è da scemi e da rischiar la vita.
Allora, signore don Rodrigo, io le ho scritto questa, e poi veda lei, perché io so che una dote è una dote è una dote, e so che lei a chi non gli nega le soddisfazioni che le sono dovute gli sa essere pure generoso, e si fa così da quando mondo è mondo, e poi non le nego che per me sapere che la mia Lucia, non solo in un meccanico par suo, dico par suo di lei, ma in un signore aver destato interesse se ne dovrebbe ringalluzzire, anzi che stare a piangere nell’orto come fa ora, che lo fa da stamattina.
Ma io la so consolare, signore don Rodrigo, non per niente ne sono madre, e le spiegherò la convenienza, e che deve comportarsi come si conviene, e mi dica dunque a me, lei che è così d’ingegno, e conosce le maniere, quale aiuto le vorrà dare, a lei, e magari un pochino a me che mi ci sono intromessa, se lei si degnerà di compiacerla secondo la regola della dovuta obbedienza. E io vedrà, che mi lavorerò anche il Renzo, che fa tanto il galletto ma come tutti i poveretti difronte a lei si farà cappone, se lei avrà voglia di fargli sentire il suo chicchirichì, o magari il tintinnio di qualche soldo in una borsa.
Che a me mi pare di essermi spiegata come si deve, e come è dovuto a un par suo, signore don Rodrigo, che non ha il dovere di spiegarsi a noi che siamo poveretti ma noi dobbiamo spiegarlesi a lei, e io credo d’essere stata spiegata.
Attendo riscontro, cordialità ecc.
Quell’Agnese che lei sa
27 agosto 2016 alle 07:27
Galletto, cappone e chicchirichì? Ahahah, ebbrava Mariella.
27 agosto 2016 alle 07:32
“ 16 luglio 1992 – Per non parlare della Nonna. Quella vecchia impossibile. Vedova militante. Specializzata in lupi. Un’atmosfera sordida in quella casa. Fra mille gentilezze. Signor Lupo qui, Signor Lupo là. False cortesi. A ripensarci il Lupo ha i brividi. “ [*]
[*] Lsds / 73…
27 agosto 2016 alle 15:23
O Agnese: a me mi pare che ti sei spiegata proprio bene.
Mi è sembrato di sentirtele dire di fronte a me queste parole e questa lettera la mi garba proprio.
(Il merdina per me è un po’ troppo azzardato, è una parola che immagino moderna, insieme al merdaccia di Fantozzi ma magari mi sbaglio e l’ha introdotta Manzoni. Comunque è l’unico neo che ho riscontrato in un perfetto risciacquìo di panni in Arno.
Avvertenza: essendo io una principiante, il mio umile contributo può essere da incompetente e in quanto tale è da assumere con giudizio).
27 agosto 2016 alle 15:33
Però, hai capito l’Agnese. Contadina e capa fina. Mi piace quest’eroina che stravolge il corso degli eventi.
27 agosto 2016 alle 19:16
Può ben darsi che il “merdina”, azzardo deliberato, sia troppo azzardato. Come può darsi che sia troppo azzardato quel “una dote è una dote è una dote” (è dubbio che Agnese, nel 1628, avesse letto Gertrude Stein). Non ho idea se la popolarità dell’Adone di Marino, pubblicato nel 1623 (l’azione dei Promessi sposi si svolge nel 1628, cinque anni dopo), fosse tale da permetterne ad Agnese una sia pur riportata conoscenza: ma ne dubito (magari la Gerusalemme, quella sì). Non so quale fosse nel 1628 il significato preciso di “giubba”. “Sono stata spiegata” viene direttamente dal programma televisivo “Zelig”: era un tormentone della Sconsolata, personaggio di Anna Maria Barbera (ma non so se la Barbera utilizzava un modo di dire effettivamente esistente). Eccetera.
Grazie per l’attenzione.
27 agosto 2016 alle 19:58
“ Venerdì 26 marzo 2010 – È francamente impressionante sentire quella povera vecchia della professoressa Hack dire, nel suo toscano spudorato e spassoso, soprattutto spassoso, qualcosa – che Copernico era un teorico, mi pare – nello spot di non so quale pubblicità etc. Ho pensato che il Grande Fratello esiste davvero, non so se sia grande, non so se sia un fratello, per quanto ne so può essere una sorella, oppure nemmeno, in ogni caso è qualcosa di piccolo, piccolissimo, praticamente invisibile. Quello che so di sicuro è chi parla è perduto. Soprattutto se è toscano, soprattutto se non vuole fare ridere, cioè se non è Benigni etc. “ [*]
[*] Lsds / 73…
28 agosto 2016 alle 08:54
Gertrud Stein non l’ho letta nemmeno io: pensavo che quella frase fosse un errore di taglia e incolla.
28 agosto 2016 alle 11:17
Gertrude Stein, cara Maria Cristina, l’hanno letta pochissimi – e si sono anche rotti i gabasisi. Quello che hanno letto tutti è: ” Una rosa è una rosa è una rosa… “, e ora, tuttescamente, lo ripetono. Non si preoccupi, e, soprattutto, non risponda: gertrudescamente, sventuratamente…
28 agosto 2016 alle 14:39
Ma no, Acabarra, la Stein è divertentissima! E lo affermo avendo letto, nell’ordine (tutte edizioni italiane, non mi sono avventurato nell’originale): “Tre vite”, “L’autobiografia di Alice B. Toklas”, “Geografia e drammi”, “C’era una volta gli americani”, “Autobiografia di tutti”, e finalmente anche “La Sacra Emilia e altre poesie”.
28 agosto 2016 alle 17:54
“ Venerdì 14 maggio 1999 – « Una rosa è una rosa è una rosa », disse – all’improvviso, a Michele Santoro, a Moby Dick – l’on. Fabio Mussi. « Bandiera rosa la trionferà? » Ha già trionfato « Ha già tronfiato? » Trionfato… ho detto trionfato… “ [*]
[*] Lsds / 73…
30 agosto 2016 alle 16:33
grandeee 😀
30 agosto 2016 alle 19:55
Cabasisi, Acabarra. Dominazione angioina.Da “cabas”borsa o borsetta perr la spesa.Ovvio…Che sopravviveremo : anche senza la C. ! Un abbraccio. matta
31 agosto 2016 alle 08:34
Secondo altri: dall’arabo ḥabb “bacca” e azïz “rinomata”. La “h” di ḥabb suona, ai nostri orecchi, come una gutturale.
5 settembre 2016 alle 00:11
Ops! Mi correggo: sopravvivremo. Matta