[Ennio Bissolati è un bibliofilo. Per vibrisse recensisce libri introvabili, dei quali sostiene di essere l’unico lettore. gm]
Essendo perenne la tentazione – e in filologia soprattutto – di confondere la causa con l’effetto, non starò qui a discutere se l’autore del romanzo La livellatrice (metto le mani avanti: trascurabilissimo romanzo; rilevante quasi solo come campione d’un genere) abbia trascelto uno pseudonimo su suggestione del titolo prescelto, o se dall’illustrità di un nome magari per meri motivi ereditari portato (o per patriottismo antenatale) sia sgorgata l’intuizione del titolo: come che sia, il titolo è quello e il nome (faccio eco: nomina nuda tenemus) è quello. Analogamente: che il nome della casa editrice – editrice di questo unico libro, stanti le mie ricerche – faccia riferimento alla dea dell’amore anticamente greca o, stante la grafia, (e il contenuto dell’opera, di cui poi diremo), a un’attricetta del porno particolarmente talentuosa nello squirting (e sia consentito al vostro bibliofilo di non mettere il link a Wikipedia, per stavolta: se proprio v’interessa, e non avete già pratica, fatevi le ricerche da voi) – è cosa d’imporanza minima. Again, faccio eco: il testo è là; e parla da solo; o borbotta, bofonchia, grugnisce almeno.
Che le scrivanie di chi lavora nell’editoria (o di chi, come il vostro, di libri sia pur misteriosamente èditi si diletta di scrivere) siano state invase ultimamente (dall’universale, cinquantesco e sfumatissimo sucesso in qua) da un’ondata, uno smottamento, quasi una slavina di pornazzume (hard, soft, bizarre, gonzo, transgender, quel che sia; frequentemente trilògico, sempre per imitazione): è cosa che chiunque può immaginare e intuire. L’interesse di tutta questa materia, come sempre si può intuire e immaginare, è letterariamente nullo, editorialmente marginale (non si dà, non si può dare il caso di imitazioni che superino, commercialmente parlando, gli originali), sociologicamente notevole. Notevole è, per esempio, come il sesso sembri diventare degno di narrazione (per queste autrici e questi autori) solo nel caso in cui si dia come – uso una parola d’altri tempi – trasgressivo; e notevole è, nel contempo, l’abbassamento della soglia della trasgressione. Oggi come oggi, insomma, mettere le corna al marito o alla moglie è già cosa spacciata per trasgressiva; quando, ai miei bei tempi, e si sopporti per un istante l’autobiografismo, passava per pratica corrente e socialmente accettata (purché si conservasse qualche minima apparenza) e magari sotto certi aspetti salutare. Peraltro si può osservare, in quest’ammucchiata d’opere, l’esistenza consolidata di un preciso repertorio della trasgressione: che, se non è un ossimoro questo, non so se ve ne siano al mondo. Ormai, se non si trasgredisce, non si è nessuno: il conformismo s’è comodamente accomodato.
Da questo punto di vista, il Mercantini qualcosa di diverso fa. La sua “livellatrice” non è, come il lettore arguto potrebbe aver presunto o supposto, la cara, vecchia, vecchissima amica Morte (“Nos ubi decidimus / quo pius Aeneas, quo Tullus dives et Ancus, / pulvis et umbra sumus”: già Orazio, tanto per fare un esempio celebre, nella settima del quarto libro di Odi, Diffugere nives; dove si vede che l’et in pulverem reverteris non inventa nulla). La sua “livellatrice”, o “pareggiatrice” come talvolta (ma forse per svista d’autore) si autodefinisce, è un’autentica procustiana del membro maschile: quelli troppo corti li allunga, quelli troppo lunghi li scorcia, quelli troppo grossi li affina, quelli troppo esili li rimpolpa. Usando una varietà di tecniche, che qui non sto a riferirvi, caratterizzate per così dire da uno strampalato bricolage chirurgico, ovvero dall’impiego per l’obiettivo dimensionale di volta in volta stabilito di attrezzature palesemente (e talvolta, va concesso all’autore, fantasiosamente) improprie e inopportune. Non vi sto a dire cosa si possa fare con un cavatappi, con uno sturalavandini, con un aspirapolvere; o con una zeppola, con uno Zippo, con una zappa, con uno zoccolo, con una zimarra: i curiosi, beati loro, potranno soddisfarsi leggendo direttamente l’opera.
Che dire? La commistione tra il porno e il pulp (passando per il macabro) è d’antica data (specie nel fumetto, se la mia memoria di giovanili sfruculiamenti di giornaletti non m’inganna); letterariamente la sdoganò, e in via definitiva, ma insieme (a parere dell’umile vostro) definitivamente affossandola, il fin troppo celebre American Psycho (e siamo nel 1991: storia antica, modaiolamente parlando); fattostà che il romanzo del Mercantini dimostra, a tratti, una sua grandguignolesca grazia, una sua sensuale sanguinarietà, un suo languore da macello; e non si può dire, a parte un certo abuso degli avverbi – spesso curiosamente formati – e delle incidentali – peraltro spesso incisive – , che sia scritto proprio male. Temiamo però, che al gusto dell’amator del genere l’opera risulti troppo letteraria, e al gusto del letterato troppo triviale. Potrà piacere forse, tanto per star tra gli amici, allo Gnirro; dubito assai alla Prestante (la cui sessualità, per quanto esibita, – dico quella letteraria -, appare stolidamente standard).
Quanto alla motosega e alla fanciullina orientale, quella è tutta farina dell’editore (che, così a occhio, e a giudicar dal risvolto che dannunziescamente parla di “emozioni inimitabili” e “sessualità immaginifica”, non deve aver letto il libro): di motoseghe nel testo non c’è traccia, e l’ambientazione è garfagnanese.
Tag: Ennio Bissolati, Eusebio Gnirro, Luigi Mercantini, Mariella Prestante, Quinto Orazio Flacco, Umberto Eco
25 giugno 2016 alle 15:33
Caro Bissolati, adesso però, dopo questa eclettica e caleidoscopica recensione del volume del Mercantini, attendiamo con avidità la recensione di qualche chicca dell’Officina Totore ( penso all’evocativo Mademoiselle dell’enigmatico Monsieur, o alle opere intense di Femmenella Insogno, di Caternuzza Vitale da Mezzedepaco, del Licopodio e altri grandi cui la Storia renderà la giusta fama)
25 giugno 2016 alle 21:40
È già successo una volta, per l’esattezza il 13 gennaio 2016, in occasione della recensione di “Come scrivere un romanzo che nessuno leggerà” dei fratelli Hans e Fritz Katzenjammer, due agenti letterari svizzero-tedeschi specializzati in ghostwriting. È successo che nella mia caccia di nuovi talenti misconosciuti la recensione del Bissolati avesse fatto scattare in me qualcosa. Mi sono immediatamente messo sulle tracce del testo recensito, recandomi, personalmente, al Libraccio di piazza Fontana, poi alla Mondadori di piazza Duomo, infine alla Feltrinelli di Corso Vittorio Emanuele. Le prime due sortite si sono rivelate fallimentari: nessuno dei commessi, sebbene incalzati dal sottoscritto grazie al patronimico degli autori, al titolo del libro, al nome dell’editore, alla foto della copertina, si è dimostrato in grado di procurare il libro. Oramai, a dispetto di cosa sostengono i professionisti delle analisi socio-ecomonicbe, viviamo nell’era dell’approssimazione anziché in quella della specializzazione: tutti s’improvvisano qualcosa e le uniche qualifiche che hanno mantenuto un livello di affidabilità sono quelle calcistiche. Soltanto il tenutario della Feltrinelli ha dato prova di conoscere non solo il titolo sulle cui piste cercavo di appostarmi ma anche il recensore, a cui si è affidato per potermi denigrare al cospetto del registratore di cassa dicendo: “Egregio signore, come pretende di trovare il testo recensito da un recensore che notoriamente, e per sua stessa ammissione, recensisce testi introvabili?”
Adesso mi trovo in ambasce perché vorrei compulsare “La livellatrice” ma temo di imbattermi nel medesimo feltrinelliano e nella medesima umiliazione.
26 giugno 2016 alle 11:39
Signor Turi, non si abbatta: il Tempo è galantuomo e la Storia e la Letteratura son ben lungi da siffatti tenutari.
14 settembre 2016 alle 08:00
[…] (ma per ritrarsene, a recensione compiuta, inorridito), troviamo portati alle stelle La livellatrice di Luigi Mercantini, Gli angoli più segreti sono i più sudici di Giammanco Pessògno, Lo spettro […]