In che senso un libro è “indispensabile”?

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Esempio di oggetto indispensabile: la tazzina da caffè per mancini, con il manico a sinistra

Esempio di oggetto indispensabile:
la tazzina da caffè per mancini, con il manico a sinistra

di giuliomozzi

Vedo che le liste di libri “indispensabili” proposte qui in vibrisse riscuotono un certo successo (ciascun articolo, nel giro di un paio di giorni, viene consultato da almeno un migliaio di persone). La cosa non mi stupisce: data l’enorme disponibilità di opere leggibili, la segnalazione di possibili percorsi fa sempre comodo; data la pressione promozionale dell’industria sulle novità, la segnalazione di opere pubblicate un po’ prima di oggi è facilmente cosa gradita e utile. In più, ogni lista di libri è una sorta autobiografia (non solo intellettuale): basta una frase terra-terra come “L’edizione che ho io è…”, e già il mero dato bibliografico si fa narrazione, ci introduce in una stanza dove ci sono pochi tanti libri, libri vecchi o libri nuovi, eccetera.

In queste liste, mi pare chiaro che l’aggettivo “indispensabile” è usato scherzosamente (se non altro: non potrebbero esistere, per esempio, due diverse liste di indispensabili romanzi dell’orrore, eccetera). Ma è uno scherzo non sciocco (spero), e qui vorrei ragionarci su un momento.

Nulla è indispensabile di per sé; qualcosa può essere utile, molto utile, e forse davvero indispensabile, rispetto a uno scopo. Io, personalmente, se non ho uno scopo, non leggo. Il piacere della lettura mi è totalmente estraneo. Sarà una deformazione professionale (ma non credo: le cose stavano non tanto diversamente da così anche trent’anni fa), ma io divido i libri in libri che mi servono e libri che non mi servono. Che mi servono o non mi servono, ovviamente, rispetto ai miei scopi. La lettura come divertimento, ovvero come sviamento, non mi interessa: ho troppe cose da fare (e tutt’altro che letterarie) per desiderare di divertirmi, ovvero di avere altre cose da fare (piacevoli, magari, ma che comunque si aggiungono). Il punto è che io so, o credo di sapere (il che, soggettivamente, è per lo più lo stesso) quali sono i miei scopi. Sono scopi personali (es.: voglio scrivere una certa cosa, e questo libro mi può aiutare) o sono scopi professionali (es.: devo insegnare una certa cosa, e questo libro mi può aiutare).

Alzarsi in piedi e dichiarare: “Dovete leggere questo e questo e questo, sennò non va bene”, è un inutile gesto moralistico ed elitaristico. Sedersi accanto a qualcuno, parlarci per capire quali sono i suoi bisogni (cioè i suoi scopi), e suggerire letture utili – è tutta un’altra cosa. Nel lavoro di insegnante di scrittura e narrazione, che è uno dei miei sette lavori, il consiglio azzeccato è una cosa di una certa importanza.

Qui in vibrisse ovviamente non si può riprodurre quella situazione. Per questo ha senso proporre delle liste di letture se e solo se a ciascuna lista si riesce a dare uno scopo. A me pare evidente, per esempio, che la lista di indispensabili libri horror proposta da Danilo Arona e quella proposta da Alberto Cristofori, benché in buona misura sovrapposte (Mary Shelley, Poe, Lovecraft, King) sono due liste assai diverse. Del Frankestein di Mary Shelley Arona dice: “raggiungerà l’immortalità grazie alla perfetta disposizione dei suoi elementi narrativi”; mentre Cristofori insiste di più (non che Arona non vi accenni) sul fatto che “fra i nipotini di Walpole” Mary Shelley “è la sola ad aver creato un vero e proprio mito moderno, cioè un personaggio che è entrato nell’immaginario collettivo e si è prestato a riscritture e riletture che non accennano a finire”: si può leggere o rileggere Frankestein, insomma, per apprendere qualcosa sulla “disposizione degli elementi narrativi”, oppure per rinfrescare o approfondire la conoscenza di uno specifico immaginario: due operazioni molto diverse, e questa diversità mi pare distingua le due liste.

Così mi pare evidente che la lista di dieci indispensabili romanzi vittoriani proposta da C. P. e quella di dieci indispensabili libri giapponesi proposta da Valentina Durante sono due tentativi di proporre un primo (ma non superficiale) approccio alla “cultura vittoriana” e alla “cultura giapponese”: ma sono anche, attraverso ciò che fanno intravvedere di un gusto personale, e nonostante la disposizione cronologica delle opere, due brevi autobiografie di lettura, ovvero due narrazioni, ovvero di due tentativi di far intuire come un serio approccio alla cultura vittoriana o a quella giapponese possa cambiare la vita. E così via.

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Quali letture siano davvero indispensabili, dunque, ciascuno di noi lo scopre solo dopo: quano si volta indietro e si accorge che certe letture hanno lasciato il segno, hanno spostato di un po’ la direzione dell’esistenza, si sono incistate nella memoria, hanno prodotto e alimentato immaginario; e certe altre no. E, va detto, la “qualità” delle opere conta fino a un certo punto. Per chi ha imparato a governare la propria mano ricopiando sul quaderno a quadretti i disegni elementari del libro Roselline, è chiaro che quel libro lì conserverà un fascino imperituro (magari un fascino negativo, se l’esercizio del disegno era obbligatorio e sgradito): e, con tutto l’affetto che si può portare a Roselline, mi par chiaro che Michelangelo è un’altra cosa.

A questo punto, tanto per fare un esempio, dovrei parlare di Leonardo Colombati, e dell’incontro che ebbi col suo romanzo, ancora dattiloscritto, Perceber; dovrei parlare di come Leonardo praticamente mi costrinse a leggere il Tom Jones di Henry Fielding; e di come da lì (dalla lettura del Tom Jones, ma anche dai discorsi che ci faceva intorno Leonardo) si sia spalancata per me (ormai quarantacinquenne o quasi: ma, come diceva quello, non è mai troppo tardi) tutta una nuova comprensione della letteratura: quella che trovate nella mia lista dei dieci romanzi indispensabili “se si vuole scrivere un romanzo”. E’ probabile che, senza questo episodio, avrei compilato una lista di dieci indispensabili non tanto differente: ma sarebbero state assai differenti, senz’altro, l’organizzazione della lista (nella quale, notate bene, il Tom Jones non c’è) e delle ragioni per leggere ciascuno dei dieci libri.

L’indispensabilità di un’opera, nella vita di ciascuno di noi, ha poco che fare dunque con la costituzione di canoni, occidentali o europei o italiani o mondiali o giapponesi o vittoriani che siano. Non invidio i compilatori di antologie scolastiche, per i quali la differenza tra il rendere conto e il dare senso dev’essere un vero problema: e lo scopo di produrre dei volumi che rendano conto in modo tale che poi il singolo insegnante in aula riesca a trovare e scegliere ciò che può dare senso in quella specifica classe lì, in quel momento storico lì di quella classe lì – mi pare uno scopo pressoché imprendibile. Auguri dunque ai compilatori, e in ogni caso grazie.

Per concludere: invito a prendere sul serio queste liste di libri scherzosamente ma non futilmente definiti indispensabili, e insieme a non prenderle troppo sul serio. Provate a leggerle come delle brevi narrazioni, come delle storie d’avventura e disavventura, come dei romanzi di formazione. Grazie.

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27 Risposte to “In che senso un libro è “indispensabile”?”

  1. Luan Says:

    “Il piacere della lettura mi è sconosciuto”. Giulio, inorridisco, anche se conosco il tuo algore. Al “Piacere della lettura” ho dedicato un lungo racconto inserito nella raccolta “Quel bruttocattivo di papà Cacciari”.

  2. Cristian Says:

    questo post è molto bello.

  3. acabarra59 Says:

    “ Mercoledì 9 gennaio 2008 – « Est-il indispensable que le journal intime marche sur un chemin jalonné de dates et de noms de lieux? Répondront oui ceux qui croient que le temps et l’espace sont des réalités concrètes et déterminées ; en ce qui me concerne, j’ai fini de le croire. Je ne crois plus qu’à mon cœur; et, quant à mon être physique, je ne veux me sentir guère different d’un chien ou d’un arbre; pouvant aussi devenir une boîte à musique, un vent léger frissonant entre les feuilles d’un olivier, la pluie qui tombe monotone sur la ville une après-midi de dimanche, les larmes d’un enfant au coin de la rue, ou alors son rire, le bruit du moteur de ma voiture lorsque je traverse à 130 à l’heure les jaunes aridités de l’État de Tlaxcala. Je suis aussi mémoire (surtout mémoire), et parfois oubli ; je peux être n’importe qui et n’importe quoi. Et n’importe quand, et n’importe comment. Tout est mélangé, rien n’est simple qui ne soit pas Dieu; et il n’y a pas de règles, pas de portes trop ouvertes ou trop fermées, pas de programmes, pas d’avenir (il n’y a que des espérances); et il n’y a même plus de problèmes et même plus de questions; il n’y a que les questions qui sont posées à une voix parlant dans l’extrême clameur ou dans l’extrême silence. » (Carlo Coccioli, Journal / … -1956, 1957) “ [*]
    [*] Lsds / 73…

  4. Gabriella De Fina Says:

    Grazie Giulio, mi sento sollevata; quelle liste mi attraggono e mi sgomentano.

  5. Monica Bauletti Says:

    Grazie. Davvero grazie e non per la lista, ma per avermi tolto un peso che ignoravo e che tuttavia un po’ mi schiacciava. Tante liste di libri indispensabili nelle quali riconoscevo solo una parte di quelli letti, mi caricavano di complessi di inferiorità, eppure di libri ne ho letti tanti, davvero tanti!, ma questo mi rimette in pace la coscienza: “Alzarsi in piedi e dichiarare: “Dovete leggere questo e questo e questo, sennò non va bene”, è un inutile gesto moralistico ed elitaristico”. Oh là! Finalmente me ne posso fregare delle liste! Grazie
    Mi segno comunque la lista dei Dieci romanzi indispensabili per chi voglia scrivere un romanzo (fino al Novecento) anche se “Nulla è indispensabile di per sé; qualcosa può essere utile, molto utile, e forse davvero indispensabile, rispetto a uno scopo.”

  6. maria Says:

    Ah,viene rievocato Carlo Coccioli. Ecco,dopo la lettura occasionale di un suo primo libro,l’autore è diventato per me indispensabile e quasi insostituibile.Il termine indispensabile in questo caso ha un accezione limitata,si collega con l’argomentazine solo nel seguente punto “Quali letture siano davvero indispensabili, dunque, ciascuno di noi lo scopre solo dopo: quano si volta indietro e si accorge che certe letture hanno lasciato il segno, hanno spostato di un po’ la direzione dell’esistenza…”

  7. acabarra59 Says:

    “ 4 febbraio 1986 – Il piacere di un diario sta nel poterlo sfogliare a ritroso ripercorrendo i giorni. In questo modo si riesce a simulare un qualche scorrere del tempo. Il piacere di un diario è che è un modo di riempire il tempo. (Da quando mi è divenuto indispensabile tenere un diario?) (La scomparsa del tempo) “ [*]
    [*] Lsds / 73…

  8. gian marco griffi Says:

    Per la mia misera scrittura sono stati indispensabili La madonna dei filosofi (Gadda), Nuovo commento (Manganelli), Super-Eliogabalo (Arbasino), Mentre morivo (Faulkner), La terra desolata (Eliot), Sixty Stories (Barthelme), L’opera galleggiante (Barth), Pausa caffè (Falco), Dove eravamo già stati (De Angelis), Prigionieri del paradiso (Gass). Più tutti quelli che sono stati indispensabili a loro per scrivere come hanno scritto.

  9. dm Says:

    A me è capitato, per dire, che l’incontro con testi indispensabili abbia reso dispensabili alcuni dei testi che mi erano stati assolutamente indispensabili fino a quel momento. Cioè mi piace vedere questa indispensabilità come una forza d’attrazione che porti a giudicare superfluo ciò che prima era indispensabile, in un certo senso un modo per godere di miraggi. Per questo modo d’essere costantemente in movimento non sarei proprio in grado di stilare una lista di libri indispensabili nel senso in cui dice Giulio. Ma è un caso personale (e abbastanza disperato).

  10. enrico ernst Says:

    … per estensione, ogni incontro è indispensabile perché è avvenuto (Leibniz? poi Hegel? il reale è razionale ecc.?)… così mi chiedo… che non sia indispensabile, per me, quel romanzo rosa che ho cercato di leggere per imparare come funziona un romanzo rosa? Ricordo benissimo, lui veniva a prenderla ed era un marines e quando lui toc toc batteva alla sua porta lei aveva appena fatto la doccia, e gli apriva con un accappatoio – ma di quale colore? poi? Per me “deve” essere stato indispensabile, quel libro, quella lettura… per il mio “inconscio” vorremo dire?
    La selezione, quella, è tutta un’altra storia… di quel romanzo rosa non trattengo l’autore, o autrice, il titolo… la selezione risponde a criteri “diurni”… ma la vera indispensabilità è forse proprio un carattere di ciò che abbiamo visto e odorato o toccato, senza, quasi, ricordarlo, rammentarlo? ch’è diventato “carne e sangue” da qualche parte, e quasi senza che “noi” lo sappiamo?
    Selezionare, identificare qualcosa come “migliore”, “più importante”, “rimarchevole”, “storico” “imperdibile” è forse un altro paio di maniche? Ha un aspetto pubblico… risonante…

  11. enrico ernst Says:

    … alla storia d’Italia attuale è dunque indispensabile che ci sia un uomo di quaranta cinque anni residente a Cinisello Balsamo che va scrivendo un commento su “Vibrisse” ecc.? Ho paura di sì, e che – dicendolo – qualcosa come “la storia d’Italia” esploda come un vecchio termometro al mercurio, caduto dalla mensola…

  12. smettere di essere indispensabili | ATBV Says:

    […] di una lettura) ho apprezzato molto i brevi appunti che Giulio Mozzi ha scritto oggi sulle liste di libri indispensabili che da qualche tempo va pubblicando sul suo blog. Dell’indispensabilità egli, tra il […]

  13. la Matta Says:

    Grazie Acabarra per aver riportato lo splendido articolo di Coccioli.Voglio andare a cercarlo e leggere qualcosa di suo. A PROPOSITO di boîtes à musique conosci il pezzo per polifonia,a cappella? È una vera chicca ,quasi una dama incipriata con il neo finto. Se non l’hai mai ascoltato, cercalo. Matta

  14. Ego Says:

    ” Il punto è che io so, o credo di sapere (il che, soggettivamente, è per lo più lo stesso) quali sono i miei scopi. Sono scopi personali (es.: voglio scrivere una certa cosa, e questo libro mi può aiutare) o sono scopi professionali (es.: devo insegnare una certa cosa, e questo libro mi può aiutare).”

    Sarà, ma a me sembra che lo scopo finale di questi scopi (scrivere, insegnare…) rimane proprio quello di “avere qualcosa di piacevole da fare”, il che significa all’incirca: divertirsi.
    Ergo, anche tu leggi per divertirti. Non vedo differenza tra chi legge per emozionarsi, insegnare in aula, scrivere romanzi, fare politica, etc. Lo scopo finale è sempre il piacere di fare quello che ci piace. Se poi parliamo di divertimento da luna park, allora quel divertimento si può ottenere solo al luna park, o in discoteca, o al bar…nessuno, ma proprio nessuno, potrebbe mai “divertirsi” in questo modo leggendo un libro, è ovvio.

  15. Giulio Mozzi Says:

    Ego, sei libero di pensare che “A” significhi “non-A”. Non pretendere però di trovarmi d’accordo.

  16. Giulio Mozzi Says:

    Matta: http://www.carlococcioli.com

  17. Ego Says:

    Trovo inutile sottolineare che io non debba pretendere alcunché da te, e il fatto che tu lo abbia pensato (visto che l’hai scritto) mi suggerisce anche altre considerazioni (altrettanto inutili, pertanto non le scriverò).

    L’utilizzo superficiale della parola “divertimento”, nel tuo articolo, rischia di confondere persone, come me, perfettamente in grado di distinguere la destra dalla sinistra, al punto da darti l’impressione che invece non ne siano in grado. Impressione ovviamente erronea, dal momento che le considerazioni presenti nell’articolo sono ben lontane (com’è ovvio) dalla nitidezza di un sillogismo categorico (visto che hai citato l’esempio di “A” e “non-A”).

  18. Giulio Mozzi Says:

    Allora diciamo così, Ego: io ho proposto una distinzione, tu la rifiuti. Io ho spiegato perché faccio la distinzione, tu ti limiti a dire che la rifiuti. Quindi non c’è molto di cui parlare.

  19. Ego Says:

    Perdonami se insisto (questo è il mio ultimo commento in merito, giuro), ma non credo che farti notare come tu abbia utilizzato un termine in maniera “grossolana” (secondo il mio punto di vista) significhi semplicemente che io “rifiuto” una distinzione da te proposta. Le parole hanno un significato, mentre bianco e nero (o destra e sinistra, “A” e “non-A”, etc.) non possono essere altro che bianco e nero, c’è poco da discutere.
    In genere apprezzo molto il fatto che tu pesi accuratamente ogni parola e concetto, per quanto possibile, ma a volte è capitato che ciò non accadesse (secondo me, eh) e te l’ho fatto notare, come in questo caso.
    Mi piacerebbe seguire i tuoi corsi. Spero che prima o poi organizzerai degli incontri a Roma. Buona giornata.

  20. dm Says:

    (Scusa, Ego. A me non piace mica correre. Lo faccio per tenermi tonico. Solo. Be’, conosco persone che corrono invece per piacere. Partecipano a gare e maratone. Perché la corsa in sé è una scarica di endorfine, o che ne so. È evidente che io e loro corriamo per motivi diversi. Se io mi comperassi, che so, una cyclette, e sperimentassi un giovamento analogo, sicuramente smetterei di correre. Loro non ci pensano neanche.
    Che poi l’essere in forma mi dia soddisfazione, è un’altra cosa. Come chi fa un lavoro odioso ma apprezzabile per il vantaggio di poter mangiare (che, si sa, dà piacere soprattutto con la fame). Mica lavora per piacere, no?).

  21. Ego Says:

    Il fatto, Dm, è che alcune attività non permettono di scindere un certo piacere del risultato dal piacere nello svolgimento, a mio parere. L’esempio della corsa non calza molto: leggere romanzi per poter poi scrivere romanzi e/o insegnare ad altri come scrivere romanzi (sperando che queste ultime attività, effettivamente, procurino piacere a Mozzi, ma qui bisognerebbe capire cosa intende Mozzi per “piacere” o per “divertimento”, da cui il mio appunto) sono attività strettamente correlate, trovo molto azzardato paragonarle a un tizio che corre svogliatamente perché vuole dimagrire e che smetterebbe di correre se Dio gli regalasse un’istantanea magrezza.

  22. la Matta Says:

    Dopo l’impalpapile levità del pezzo di Coccioli il ping pong tra te, Giulio, dm ,EGO e altri mi appare veramente singolare.Quasi venisse da altre frequenze. Sento che tu appartieni ad un mondo che non è questo,pare costruito in laboratorio.Pardon,al computer. Forsre sta qua il tuo spostarti da una maschera all’altra per non soccombere. Poco fa cercavo Amapola che mi piace tanto e mi è saltata fuori una coppia quasi da “sonatori ‘e cuncertino”con chitarra e fisarmonica .Sgangherati, pieni di svarioni,approssimativi e tuttavia completi.di leggìo e occhiali.Quanta umanità,Giulio.Mi ha rapita più di un Improvviso o di un Adagietto(Mahler,lo adoro ). Ma questa che vuole?- penserai.Beh,senza averne alcun titolo, ti chiedo di trovarti una bella Isola, se già non ce l’hai.Niente altro.Grazie per l’indicazione su Coccioli. Matta : sempre.

  23. dm Says:

    Rifa.

    Ego, tu dici che:

    alcune attività non permettono di scindere un certo piacere del risultato dal piacere nello svolgimento

    Ma qui c’è appunto qualcuno che ha detto di non provare questo “piacere nello svolgimento”.
    Per questo ho portato l’esempio di una attività che può non dare questo “piacere nello svolgimento”.
    Siamo d’accordo che è possibile distinguere tra cose che ti danno piacere mentre le fai e cose che fai per il risultato? Altrimenti, qualunque azione compiuta di propria volontà, nella vita, sarebbe piacevole.

    (Scusami per l’intromissione. Ma anch’io ho un rapporto con la lettura non molto diverso. Ecco.
    A proposito del “godimento dell’arte”, avevo riportato altrove questa citazione di Adorno da “Teoria estetica”. Che riciclo qui.

    “Diventato irriconoscibile, il godimento si traveste nel disinteresse kantiano. Ciò che la coscienza generale e un’estetica condiscendente si immaginano come godimento artistico secondo il modello del godere reale, probabilmente non esiste affatto. All’esperienza artistica tel quel il soggetto empirico prende parte solo in misura limitata e modificata; tale parte potrebbe diminuire quanto più alta è la qualità della creazione. Chi gode delle opere d’arte in modo fattualmente concreto è un filisteo; espressioni come ‘delizia per gli orecchi’ ne provano la colpevolezza. Ma se l’ultima traccia di godimento fosse estirpata, la domanda su perché ci sono in generale le opere d’arte creerebbe imbarazzo. (…) Se si chiede a un musicista se la musica gli procura gioia, egli dirà piuttosto, come nell’aneddoto americano del violoncellista che faceva smorfie mentre Toscanini lo dirigeva: I just hate music. Per chi ha con l’arte quella relazione genuina in cui egli estingue se stesso, l’arte non è oggetto; gli sarebbe insopportabile la sottrazione dell’arte benché le sue singole espressioni non siano per lui fonte di piacere.” (da Teoria estetica, di Theodor W. Adorno)

    ).

  24. Giulio Mozzi Says:

    Ego, a un certo punto dici:

    …ma qui bisognerebbe capire cosa intende Mozzi per “piacere” o per “divertimento”…

    Appunto. Per esempio, quando ho scritto:

    …La lettura come divertimento, ovvero come sviamento, non mi interessa:…

    cercavo di far intendere cosa io intenda per “divertimento”. Quanto al “piacere” è poche righe sopra esplicitamente opposto all’ “utile”.

    Pertanto ciò che secondo te “bisognerebbe capire” è scritto appunto nel mio articoletto.

  25. Ego Says:

    Purtroppo, continuo a non capire come tu possa scindere l’utile dal piacevole, specie quando si parla di scrittura e/o insegnamento. Ed essendo tali attività legate, anzi, “sovrapposte” alla lettura, non capisco come tu possa sentirti “totalmente estraneo al piacere della lettura”.
    Credo inoltre di non aver afferrato appieno il tuo concetto di divertimento-sviamento, ma è meglio chiudere qui. Sono soddisfatto di questo piccolo confronto: mi ha portato a riflettere su alcune questioni, e in fondo è questa la cosa che più conta, non chi “ha ragione”.

  26. Giulio Mozzi Says:

    …continuo a non capire come tu possa scindere l’utile dal piacevole, specie quando si parla di scrittura e/o insegnamento…

    Hai presente le montagne di compiti da correggere?

  27. Ego Says:

    In effetti sarebbe un discorso da fare a quattr’occhi (ma anche più di quattro), da passarci una bella serata, di quelle che piacciono a me..ogni tanto eh.

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