di Enrico Ernst
Quale ordine? Quali ragionamenti ho articolato per comporre questo decalogo?
In generale: ho considerato i libri sulla scrittura creativa che ho concretamente usato in classe, in dodici anni di insegnamento. Quindi, volumi utili. A volte anche belli. Ma non necessariamente.
In secondo luogo, ho preso in considerazione delle opere che hanno “formato” il mio modo di essere insegnante di scrittura creativa. Mi hanno interrogato sul mio lavoro e impegno. Apro e chiudo il decalogo con due testi per cui ho un vera e propria venerazione.
Vediamo!
1. Natalie Goldberg, Scrivere zen, Astrolabio Ubaldini. Creazione e poi revisione. Le sei regole di una scrittura «automatica», o liberatoria (cercatele nel capitolo I primi pensieri). L’importanza dell’allenamento alla scrittura. Il libro della Goldberg – che, si badi bene, risulta intitolato dalla sua autrice Writing Down the Bones, cioè, suppergiù, Scrivere fino alle ossa – con pragmatismo e semplicità esemplare offre insegnamenti che si abbeverano alle avanguardie storiche (surrealismo), all’esperienza beat, alla pratica della meditazione zen… Nell’ottica di un insegnamento della scrittura creativa che ponga l’accento su: liberazione e superamento del censore interno; allenamento; meditazione; ricerca delle proprie parole più “accese”, deragliamento. La Goldberg, si badi bene, è una poetessa. Ma i suoi consigli vanno bene, mi pare, anche per i narratori. Un libro che “trasforma” chi legge. E ora scrivete tutto quello che vi passa per la testa: non correggete, non rileggete, tenete la mano in movimento, puntate alla giugulare. Per quindici minuti. Se ne riparla poi.
2. Gabriel García Márquez, Come si scrive un racconto, Giunti. Che bello, veder sbobinati gli incontri di «laboratorio» che l’autore di Cent’anni di solitudine – e del Generale nel suo labirinto – tiene con studenti della Scuola internazionale di Cinema e televisione di San Antonio de Los Banos (Cuba), in vista della creazione di tredici cortometraggi. I giovani che colloquiano con García Márquez partono da suggestioni di immagini, o trame-soggetti. Noi lettori siamo lì, partecipiamo alle possibili e arbitrarie svolte che prendono le loro storie, attraverso un socratico dialogo. La tensione delle svolte, le scelte «immedicabili» nel farsi di una narrazione… Ho utilizzato questo libro per mostrare concretamente ai miei allievi come da una suggestione d’immagine (un quadro, una fotografia) possa partire un’avventura narrativa. (PS: deve esserci in giro qualche altra sbobinatura di incontri simili: l’ho intravista, ma non l’ho «afferrata»… se qualcuno ne sa qualcosa batta un colpo).
3. Stefano Brugnolo e Giulio Mozzi, Ricettario di scrittura creativa, Zanichelli. Per me questo è l’ur-manuale di scrittura creativa. Adesso che ci penso – se sono qui a vibrisse, lo devo a questo volume nero, oltre che a Fantasmi e fughe… Devo al Ricettario e ai suoi estensori il primo sentimento forte che, sì, si possa insegnare a scrivere letteratura, attraverso tutta una serie di stimolanti e spesso geniali “inviti alla scrittura”. Questo libro è una sorta di grande “bottega artigiana” (non solo di narrazione; anche di scrittura poetica, di scrittura saggistica, di scrittura teatrale). Qui si va a bottega da Carver, Borges, Chandra Candiani, Perec, Pinter, Rostand, Kafka, Wilde, i surrealisti e chi più ne ha più ne metta. Un libro di illuminanti citazioni; la storia della letteratura come uno sterminato territorio di invenzione (di gioia) retorica. Un capolavoro! Da usare con profitto.
4. Stephen King, On Writing. Autobiografia di un mestiere, Sperling & Kupfer. C’è un capitolo incuneato in questa «autobiografia» sui generis che inizia così: «Telepatia, naturalmente». E al secondo capoverso: «Il mio nome è Stephen King. Sto scrivendo la prima stesura di questo capitolo dalla mia scrivania (quella sotto lo spiovente) in una nevosa mattina del dicembre 1997. Ho delle cose in mente. Alcune sono preoccupazioni… altre sono cose belle… ma al momento tutto questo è di sopra. Io sono in un altro posto, una cantina dove ci sono un gran numero di luci brillanti e immagini nitide…» Se c’è una via alla letteratura come dimensione della visionarietà e della (per l’appunto) telepatia – con il più grande rispetto non solo dell’emittente ma anche (e forse soprattutto) del ricevente (del lettore) – questo volume ne chiarifica e ne canta i contorni e i valori. Qualche bel consiglio pratico a livello della “cassetta degli attrezzi”. Più di una volta, ho fatto scrivere ai miei allievi il loro “ricordo più antico”, utilizzando un passaggio del primo paragrafo del primo capitolo.
5. Antonia S. Byatt, Ritratti in letteratura, Archinto. Devo dire che è un’ingiustizia! Cito nel decalogo questo volumetto dell’autrice inglese, solamente perché ho utilizzato poco più della prima pagina di testo, in classe, recentemente. «Quando mi trovo a parlare di scrittura amo dire: “Immaginate una donna seduta su una sedia…”» E non ricordo un libro ben più sostanzioso e importante per i nostri fini. Il meraviglioso Nel territorio del diavolo di Flannery O’Connor («La narrativa opera tramite i sensi…»). E tuttavia… quest’anno, il rapporto tra immagine e scrittura mi si è imposto con urgenza, e il volume composto dalla Byatt (a cui assocerei anche il bel Romanzieri ingenui e sentimentali di Orhan Pamuk) mi sembra importante e denso, proprio per il suo incipit che istituisce un parallelo tra il dipingere e lo scrivere, nel segno del disvelare, dell’orientare la percezione. (La Byatt mi pare anche la sorellina di Angela Carter: in classe, a volte – se devo lavorare sulla fiaba – leggo qualcosa dal suo La camera di sangue… Se volete un altro approccio al tema scrittura/immagine, in questo caso fotografica, assaggiate e usate: Annamaria Testa, Minuti scritti, 12 esercizi di pensiero e di scrittura).
6. Alessandro Perissinotto, Gli attrezzi del narratore. Modi per costruire storie da Joyce a Dylan Dog, Bur. Da non-giallista (in realtà, ora che ci penso, ho scritto un “giallo” per ragazzi) ho apprezzato enormemente la proposta e la metodologia creativa proposta dal volume di Perissinotto, stampato dalla Bur ma appaltato alla Scuola Holden. Se si vuole introdurre in classe il tema della scaletta, questo libro è fantastico, di ammirevole concretezza. Ma non è finita qui. Perissinotto vi mette alla pari su alcune riflessioni importanti di natura semiologica e narratologica… E tuttavia, a mio avviso, scusate l’insistenza, è soprattutto il concetto di «doppia scaletta» a essere di straordinaria utilità ed efficacia. Tanto più che l’autore vi fa leggere, qui, un suo racconto di detection mostrandovi come lo ha costruito, passo dopo passo. Generoso.
7. Nicola Gardini, Com’è fatta una poesia? Introduzione alla scrittura in versi, Sironi Editore. Già. La poesia. Stavo per parlarvi di Donatella Bisutti, La poesia salva la vita, per il suo entusiasmo e la presentazione convincente del fonosimbolismo; e mi viene in mente anche il Manuale del poeta, di Mario Santagostini, per il tono affabile e comunicativo con il quale ci introduce alla dimensione della metrica. Ma no, introduco qui Nicola Gardini e la sua Introduzione alla scrittura in versi (sottotitolo). Breve storia dell’io; togliere; trasformare; il ritmo e molto altro (pagine molto belle su Petrarca). Un esempio dell’originalità della proposta di Gardini è la sua idea di tre tipi di metaforicità: ermetica, realista, frammentaria. Questa partizione ha ispirato qualche interessante e produttivo esercizio di scrittura… Sul lato battagliero del libro (una certa idea della buona poesia, e della “cattiva”) si veda la citazione da Lo smalto sul nulla, di Gottfried Benn (pagina 63), che si schiera contro il «poeticizzare», il «come» (la similitudine), i «colori» e il «tono serafico». Gardini ha il dono della citazione adeguata e illuminante!
8. Vincenzo Cerami, Consigli a un giovane scrittore. Narrativa, cinema, teatro, radio, Einaudi [in origine: ora Garzanti, gm]. Un libro al crocevia tra scrittura narrativa, cinematografica, drammaturgica. Quando Vincenzo Cerami vi legge un brano da Katherine Mansfield dividendolo in inquadrature, capite in un lampo come forme diverse d’arte possano vicendevolmente illuminarsi. E come scrivere possa essere «filmare». Anche il modo che avete avuto di leggere narrativa ha un piccolo grande cambiamento e smottamento. Questo è un libro non solo di un uomo che ha riflettuto sulle dinamiche narrative, sui personaggi, su trama e fabula ecc. ma è il lavoro, comunicativo e “dolce” e generoso, di un grande «mestierante». Devo a Cerami un’esposizione ricca e convincente del concetto di pseudo-soggettiva o di discorso indiretto libero (per cui rimanderei però anche a un bel libro di Hermann Grosser, Narrativa, Principato).
9. Livio Sossi, Scrivere per i ragazzi. Seminari di scrittura creativa, Campanotto. So che alcune proposte che ho trovato in Sossi, si trovano (magari esposte con diversa resa stilistica) in Gianni Rodari (Grammatica della fantasia), in Roberto Piumini ed Ersilia Zamponi (Draghi logopei, Calicanto)… ma tant’è. Io, se devo far scrivere un limerick o delle filastrocche o dei tautogrammi, mi affido alla mano conviviale e concreta di Livio Sossi. Se anche nel libro si può trovare qualcosa sulla fiaba, qui il focus è sulla scrittura poetica: ho trovato classi completamente entusiaste di percorsi giocosi sulla poesia, che si nutrivano delle proposte di Scrivere per i ragazzi. Tra l’altro questo libro non si rivolge necessariamente a chi vuole “scrivere per i ragazzi” (dunque: che titolo?).
10. Gianni Rodari, La grammatica della fantasia, Einaudi. La gratitudine che provo nei confronti di Gianni Rodari è incalcolabile. Soprattutto per il suo indicare come «necessario» il metodo del caso, dell’«inconscio» e il concetto (sia benedetto) del binomio fantastico («la parola singola “agisce”… solo quando ne incontra una seconda che la provoca, la costringe a uscire dai canali dell’abitudine, a scoprirsi nuove capacità di significare»). Non si dimentichi l’uso produttivo dei lapsus, gli inviti alla rielaborazione delle fiabe «classiche» ecc. Al crocevia di idee marxiane hegeliane («Non c’è vita, dove non c’è lotta») e surrealiste, Gianni Rodari sembra conoscere la creatività infantile come… un bambino. E da quella fonte estrae perle continue, in stato di grazia. Ecco io ho usato una parte infima di questo capolavoro di Rodari, ma mi riprometto di rileggerlo, e di farmi nuovamente ispirare, per altre avventure “didattiche”…
Gentile lettore, forse (e dico forse) fuori dalla porta degli «indispensabili» è restato solo un libro, che nel decalogo proprio non ci sta. L’ho usato con una certa qual utilità, ma “con intelligenza selettiva” e con qualche tensione: è Il viaggio dell’eroe di Chris Vogler. Che esista una struttura “perfetta” per un qualsiasi racconto d’avventura, è dubbio, no?
9 Maggio 2016 alle 18:13
Chi è l ‘ autore dell’opera nell’ immagine?
9 Maggio 2016 alle 19:25
non è esattamente un manuale, ma NEGOZIANDO CON LE OMBRE – Margaret Atwood, Ponte Alle Grazie 2002 – Euro 13,50 è un libro che mi sentirei di consigliare
9 Maggio 2016 alle 19:37
Grazie per aver citato la Goldberg. Un libro che trasforma, concordo pienamente. Anche per non aspiranti scrittori.
9 Maggio 2016 alle 20:05
Una richiesta per una gentile risposta. Potrebbe indicarmi il titolo di almeno due libri di Jodorowsky ? Non tanto per sapere dove andare, quanto per capire in quali mari ho navigato. Le sono grata.Matta
9 Maggio 2016 alle 21:40
Marina, basta cliccare sull’immagine: si tratta di
Ekaterina Panikanova, un’artista russa attiva anche in Italia.
9 Maggio 2016 alle 22:22
Ciao Matta. Non so se c’incastri qualcosa qui. Ma adoro lo Jodo di “Psicomagia” e di “Quando Teresa si arrabbiò con Dio”. Soprattutto la lettura di “Psicomagia” mi ha ricongiunto alla freschezza e inventiva delle avanguardie surrealiste e situazioniste, cui mi sento – diciamo così – incline… non è forse un caso che, in questo decalogo, i surrealisti vengano ricordati come “maestri” quando si parla delle opere, per me determinanti, di Goldberg e Rodari (nella prima, direi, “sottotraccia”, nella “Grammatica” invece i surrealisti – Max Ernst per esempio – sono ricordati esplicitamente).
9 Maggio 2016 alle 22:27
Matta, ciao. Per Jodo, ti consiglio “Psicomagia” e “Quando Teresa si arrabbiò con Dio”. Certo “Psicomagia” è stato un libro per me importante, e si inserisce in quella corrente vitale di avanguardia, che annovera surrealisti e situazionisti. Mi sono reso conto, stilato il decalogo, che cito i surrealisti abbastanza spesso: quando parlo della Goldberg, ad esempio, di Rodari (che nella “Grammatica” li cita esplicitamente) e del Ricettario di Mozzi e Brugnolo.
9 Maggio 2016 alle 22:29
… il doppio commento di contenuto simile… surreale!…
10 Maggio 2016 alle 08:05
E questo articolo va stampato per controllare nel famoso scaffale scrittura creativa quanti sono i libri letti e studiati, quali sfiorati e basta, quali mai sentiti e comprati, quali amati e consumati, quali prestati e mai riavuti, quali regalati e poi rimpiianti. Rodari per esempio e la Goldberg. Ineliminabili. E ne aggiungerei un altro alla lista, l’ultimo che ho letto: James Wood, Come funzionano i romanzi, comprato nel 2010. Letto dopo sei anni. Decanter!
Grazie! Prenderò subito e subito lo leggere l’ultimo dell’Anna Maria Testa.
10 Maggio 2016 alle 08:34
ciao Giulio, stranamente ci ritroviamo e stranamente tu citi il mio professore per antonomasia Alessandro Perisinotto grande scrittore e grande insegnante.
grazie per la scelta dei libri citati ma come mai non è inserita la superba Virginia W.?
10 Maggio 2016 alle 08:41
Illuminante. Invitante:a scrivere,subito, lasciando da parte ogni altra cosa. Grazie a Enrico Ernst
10 Maggio 2016 alle 08:49
Sì, Elianda. Wood: non molto pratico, per così dire, ma molto bello! notevole! grazie! (ahi, lo presi in biblioteca, e non lo tengo tra le mani…). Grazie a Vincenzo… (ah Elianda, chissà se ti piace l’impianto “adrenalinico”, super pratico e legato alla fotografia della Testa, sappimi dire…)
10 Maggio 2016 alle 10:58
Bella la lista. Si può aggiungere “I ferri del mestiere” di Fruttero e Lucentini ? Sempre attuale. E include uno studio sui fumetti. E inoltre è divertente. Si può volere di più ?
10 Maggio 2016 alle 11:19
Di Fruttero e Lucentini, ricordo solo una parte illuminante sulla traduzione (dall’inglese)… mi chiedevo Gabriella cosa invece sia restato a te di quel testo? quali i più importanti insegnamenti che hai tratto da “I ferri del mestiere”?… Per me funziona così: leggo un volume sulla scrittura creativa, e dico: oh questa posso usarla! oppure: interessante (o anche: fantastico), qualche concetto da segnare, ok, però lo userò in classe? Difficile… Oppure ancora: mmm no, non cresce nessun fiore, qui, per me…
10 Maggio 2016 alle 11:35
Graziella Rocchi: l’articolo è di Enrico Ernst, non mio. Giro la domanda a lui.
10 Maggio 2016 alle 11:40
Il Cerami è diventato il mio manuale di istruzioni, la Goldberg quella che mi tira fuori dall’impasse, King mi ha dato il senso della continuità d’impegno e della tecnica applicata.
10 Maggio 2016 alle 11:45
Graziella, eccomi. Su Perissinotto… il suo libro appunto è bello e utile. L’ho usato durante un seminario sul giallo. Ho proprio un debito con il tuo “maestro”. Su Virginia Woolf… perché non c’è chiedi… e non saprei proprio rispondere… se conosco poco poco (devo ammetterlo) della sua opera letteraria, la conosco nulla come saggista… ma se tu Graziella mi dici che può essere di giovamento per un insegnante di scrittura creativa, e mi convinci… be’ la prossima mia lettura è già scelta…
10 Maggio 2016 alle 11:53
Ancora, Graziella. Forse una carenza, che riguarda l’area anglosassone, è quella degli scritti di Forster sul romanzo… citati molto spesso, per esempio sul tema del personaggio e delle sue dimensioni, non ne ho ancora intrapresa la lettura; anche qui: mi riservo di farlo…
10 Maggio 2016 alle 12:12
Niente è “surreale” se ci vivi. Il consenso inconscio che mi hai mandato è per me un grosso messaggio non verbale. Posso osare un consiglio? non aver paura di credere in ciò che può apparire follia. Matta del cortile ( che ha uno scorcio d’incredibile cielo)
10 Maggio 2016 alle 13:20
Ancora, Enrico. Ho cercato nel mio scaffale uno dei primi libri della A.M Testa. Tentativo fallito. E poi t’arrabbi perché e lì che doveva stare e non ci sta, per un intervento più preciso. Ma no. Non posso farlo! Allora é lontana nel tempo la lettura de ” La parola immaginata” ma mi sono rimasti i semi di quella lettura, la potenza della metafora e il capovolgimento dei luoghi comuni. Quel qualcosa che poi usi in classe e sai che darà frutti. come affermi tu. E’ qui una interpretazione: http://annamariatesta.it/wp-content/uploads/2013/01/Parola_immaginata_Carlini.pdf
Mi interessa esplorare la fotografia nelle indicazioni della Testa. (Surreale gioco di parole). E’ il mio campo d’indagine. A proposito a Milano una mostra interessante di foto e parole di Teju Cole
http://www.formafoto.it/2016/04/punto-dombra-teju-cole/. Da non perdere.
10 Maggio 2016 alle 15:09
grazie Matta, e devo dire che per me surrealtà non è il contrario della, o altra cosa dalla, realtà, piuttosto un ampliamento delle sue (della c.d. realtà) potenzialità (oltre che delle “nostre” potenzialità). Il tuo consiglio, Matta, è quindi oro… grazie!
Una cosa Elianda, così, sulla “perdita” dei libri: facciamo “decidere” alla memoria che cosa è restato di quella lettura, di quel libro, magari scriviamo anche… emergeranno gli aspetti… indispensabili?… a volte ricordiamo un oscuro dettaglio, di numerose pagine, e contorte trame, e cori interi di personaggi… ecco, ci diciamo, come la nostra mente “si nutre”… e comunque grazie per le indicazioni…
Per finire, Renato, il tuo “pragmatico” approccio ai libri citati mi piace molto… davvero dunque sono libri che si può definire utili…
10 Maggio 2016 alle 15:53
Perdonate il mio intervento, ma fondamentale almeno rispetto a 3 o 4 titoli, forse anche 5 di questo elenco mi sembra maggiormente “il mestiere di scrivere” (o in caso estremo “niente trucchi da quattro soldi”) di Carver
10 Maggio 2016 alle 18:17
Ciao Giulio,
li ho letti tutti tranne gli ultimi due, concordo con la tua lista.
Aggiungerei “Elementi di stile nella scrittura” (da cui S. King ha attinto a piene mani nel suo “On writing”) e “Come NON scrivere un romanzo” (H. Mittelmark – S. Newman, editore Corbaccio) che è anche divertentissimo.
10 Maggio 2016 alle 19:46
perché quando si insegna la “scrittura creativa” si omette il rapporto di dipendenza con droghe o alcool di molti scrittori? esiste un rapporto tra la creazione artistica e le droghe?
11 Maggio 2016 alle 06:25
Viola: non è vero che “quando si insegna la ‘scrittura creativa’ si omette il rapporto di dipendenza con droghe o alcool di molti scrittori”. Io, per esempio, raccomando sempre una vita sana e tranquilla, con molta aria aperta e alimentazione bilanciata. Di persone geniali che si sono rincoglionite a forza di sostanze ne ho viste troppe.
Alessandro C.: parla con Enrico. Io questa lista l’ho chiesta (a Enrico) e pubblicata; ma non l’ho scritta.
Recensione apparsa nel quotidiano Il Messaggero di Roma, ottobre 1999 (ricordare che anche i riferimenti bibliografici sono di diciassette anni fa):
Il mestiere di scrivere di Raymond Carver (Einaudi Stile Libero, pp. 172, L. 13.000; titolo non troppo originale con sottotitolo Esercizi, lezioni, saggi di scrittura creativa, a cura di W. L. Stull e R. Duranti) è un libro imperdibile. E’ una raccolta di saggi sullo scrivere molto belli e interessanti, e in più contiene la sbobinatura di un’autentica lezione di scrittura tenuta nel 1983 da Carver all’università dello Iowa (pp. 99-130). Carver è probabilmente lo scrittore americano che ha più (direttamente, indirettamente) influenzato i nuovi narratori italiani (senza contare gli sceneggiatori); per molti di essi è, per così dire, «difficile non dirsi carveriani». La pubblicazione o ripubblicazione di testi nei quali Carver racconta (senza mai «teorizzare») il suo modo di fare, le catene di avvenimenti o pensieri che lo hanno condotto a fare la tale o la talaltra scelta, il modo in cui la vita d’ogni giorno si è incastrata con l’ambizione di dedicarsi totalmente alla scrittura — è quindi cosa buona e opportuna.
Tuttavia: i primi tre saggi (pp. 5-41) stavano già in Voi non sapete che cos’è l’amore, un libro misto di saggi, racconti e poesie (curato da Carver stesso, non una scelta altrui) pubblicato in Italia da Tullio Pironti e da tempo esaurito: così temiamo che ora nessuno penserà più a ristamparlo integralmente (il terzo di questi tre saggi si legge anche come introduzione al Mestiere di scrittore di John Gardner, ed. Marietti). In più, due dei saggi «nuovi» (per il pubblico italiano) inclusi nel libretto Einaudi raccontano l’occasione e la genesi di alcune poesie pubblicate appunto nell’introvabile Voi non sapete, e che quindi il lettore comune non potrà raggiungere (questi, ovviamente, non sono problemi per i carveriani di lungo corso: ma il libro esce pur sempre in una collana economica e divulgativa).
La lezione del 1983 è proprio bella. Chiunque abbia tenuti o frequentati corsi di «scrittura creativa» (ma non sarebbe l’ora chiamarli, italianamente, «corsi di retorica»?) sa quant’è importante la lettura-commento, riga per riga, dei testi scritti dagli allievi. E’ il vero momento didattico, nonché il momento in cui docente e allievi si trovano, diciamo così, ad armi pari. E qui troviamo un Carver che legge i racconti dei suoi ragazzi guidando l’attenzione verso le minime scansioni temporali, l’esatto muoversi dei personaggi nello spazio, la credibilità (relativamente a situazione e personaggio) di ogni singolo gesto e di ogni singola battuta di dialogo. Il tutto fatto con modi semplicissimi e non autoritari («non mi piace», «secondo me», «sto cercando di orientarmi», «va bene», «non so se va bene»…) e con grande disponibilità all’ascolto: «Se non vi piace il modo in cui l’ho commentato, per piacere ditemelo», p. 102; «Insomma, ragazzi, vi è piaciuto o no questo racconto?», p. 103; «…se metà della gente [degli allievi, divisi nell’interpretazione di un finale] pensa una cosa e l’altra metà ne pensa un’altra, vuol dire che c’è qualcosa che non funziona», p. 123, e così via: «Non insisteva mai, raramente asseriva con forza, non sembrava tagliato per fare l’insegnante», testimonia l’ex allievo Jay McInerney a p. 133.
E’ singolare poi come Carver faccia ad ogni piè sospinto, «per orientarsi», dei brevi riassunti del troncone di racconto già letto: trasformandolo così, per noi che (ovviamente) non conosciamo il testo commentato se non attraverso le sue citazioni, i suoi commenti e per l’appunto i riassunti, in una specie di pièce teatrale fatta di scene molto statiche e terribilmente drammatiche, nelle quali i personaggi sono sempre sul punto di… sul punto di.
Il giovane o meno giovane lettore italiano (che magari conosca già un po’ Carver) imparerà meditando questo libretto a «capire meglio» i racconti di Carver stesso (e in generale tanta scrittura americana, da Morley Callaghan a Hemingway ai cosiddetti «minimalisti» come McInerney o Leavitt). Imparerà a leggere analiticamente, a sostare dopo ogni frase per chiudere gli occhi e immaginare (come a teatro o al cinema) la scena che è stata raccontata: appunto, a «vedere» ciò che è scritto come una sequenza di scene drammatiche.
Credo che non passi molta differenza tra l’imparare a leggere e l’imparare a scrivere. La scrittura è per lo più riscrittura: è luogo comune (ma vero) della retorica che la naturalezza della frase sia il più complicato e il più artificioso degli effetti. Precisamente quando impara a leggere i propri scritti nella maniera analitica (della quale Carver dà ottimo esempio) la persona comincia a rendersi conto di ciò che ha veramente fatto scrivendo: e quindi comincia a spostare l’attività di scrivere dalla zona dell’inconsapevole a quella del consapevole. E’ tutto qui: una volta che stiamo nel consapevole, possiamo consapevolmente apprendere (con l’aiuto o no di altri, questo è secondario: in ogni caso apprendiamo essenzialmente da noi stessi).
Infine: alle pp. 131-143 c’è una «testimonianza» di Jay McInerney, l’autore di Le mille luci di New York, Si spengono le luci e L’ultimo dei Savage. La testimonianza è trattenutamente commossa e molto commovente. «Di sicuro Carver», dice McInerney, «ha cambiato la mia vita in modo definitivo». E, alludendo alla sua voce timida e bassissima, conclude: «Ancora oggi mi chino in avanti con la testa girata da una parte per cercare di sentire la sua voce» (p. 143). Così noi oggi ci chineremo sulle pagine di Carver, per cercare di sentire la sua voce. Abbastanza banalizzanti, invece, gli «esercizi» a cura di Stull, proposti in appendice al libretto.
11 Maggio 2016 alle 06:57
“ Venerdì 30 novembre 2012 – Sono andato in libreria dove ho accertato alcune cose: 1 il Diario d’inverno di Paul Auster non è un diario 2 ne Il senso di una fine di Julian Barnes si parla di un diario 3 il Journal d’un corps di Pennac è un diario, ma è stato tradotto come Storia di un corpo 4 gli Appunti di Katherine Mansfield pubblicati non ricordo da chi è anche un po’ un diario. Sono stato cinque minuti e poi sono uscito perché, come mi succede sempre quando vado in libreria, stavo per sentirmi male. (Comunque mi sono ricordato: quello che mi piaceva non era Auster, era Carver – ma forse mi sbaglio)) “ [*]
[*] Lsds / 73…
11 Maggio 2016 alle 10:05
gentile viola, devo dire che la penso come Giulio, sulle droghe, l’alcol, e le (cosiddette) addiction… poco pochissimo utili… in molti casi, in molte biografie, mi pare, la scrittura, l’arte, l’espressività tiravano da una parte (la ricerca di sé, la libertà espressiva, la voce, persino la “verità”, la gioia) e l’alcol e/o la droga dalla parte opposta (l’oblio, lo stordimento, il mutismo disperato). Si può forse vedere un conflitto tra queste due dimensioni, anche drammatico in artisti e scrittori, e in classe capita di parlarne. (Consiglio di lettura: Van Straten, Storie di libri perduti, e in particolar modo il capitolo su Malcolm Lowry).
Altro aspetto, legato per esempio alla proposta di “scrivere zen”. Il “non pensare” o il “perdere il controllo” consigliati dalla Goldberg nel momento della creazione (ma non per esempio nella fase della revisione – in cui è auspicata massima sobrietà e lucidità) non vanno intesi come “smarrimento” – non certo smarrimento alcolico o tossico… bensì come meditazione e liberazione della propria parte più profondamente consapevole, delle (non “dalle”) proprie paure, limiti, tensioni, insomma come un momento di “accoglimento” della proprie parti, anche dure, dissociate, dolorose, ma attraverso l’attenzione, il cammino attento e consapevole… credo che questa proposta sia interessante, e sia interessante che arrivi da un’artista “vicina” al mondo beat (la Golderg chiama il suo ristorante “Il pasto nudo” se non sbaglio in onore a Burroughs)…
A paolo. Devo dire, su “il mestiere di scrivere” di Carver, che letto e talora riletto, non ho trovato grandi stimoli per il mio lavoro… se non generici (la lettura analitica, la disamina dei gesti dei personaggi, ma per l’appunto su testi che non posso leggere, il discorso intorno all’utilizzo della propria biografia, la metafora della “palla di neve” che diventa valanga, grazie all’immaginazione)… mentre l’ho trovato un bel libro per “conoscere” Carver (bellissimo il racconto autobiografico dell’incontro con Gardner, oppure le difficoltà di trovare “una stanza tutta per sé”, i racconti scritti tra una macchinata e l’altra in una lavanderia a gettoni). Gli esercizi “redazionali” in fondo al volume mi sono parsi semplicemente brutti, inutilizzabili (ma qui entra anche il discorso soggettivo, vedo che nell’articolo postato da Giulio, la mia impressione è condivisa da altri). E tuttavia “uso” i racconti di Carver in aula come stimoli di scrittura e come “modelli”: gli incredibili incipit, le strutture discorsive, la logica della voce, delle scene, le svolte emotive. La lettura di “Grasso” per esempio, associato alla analisi del racconto, e a un esercizio di scrittura ad hoc, ha sortito effetti notevoli…
Ringrazio Alessandro C perché non conosco i libri da lui citati…
14 marzo 2019 alle 13:54
Ci provo anche se si tratta di un vecchio articolo. Qualcuno si trova “Scrivere per i ragazzi. Seminari di scrittura creativa”? Lo sto cercando ovunque ma è terminato. Mi basterebbe anche una versione pdf o una copia di seconda mano