
Jacopo Chimenti, 1551-1640. Interno di dispensa con cibarie
di giuliomozzi
Ovviamente: se qui si consiglia di leggere dieci opere, ciò non significa che non se ne potrebbero altrettanto utilmente consigliare altre dieci.
1. Erich Auerbach, Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, Einaudi. Semplicemente il più bel libro che sia mai stato scritto sulla letteratura occidentale – e quindi, essendo il concetto di “letteratura” sommamente occidentale, il più bel libro in assoluto che sia mai stato scritto sulla letteratura. Non è neanche tanto difficile: procede per brevi citazioni da opere letterarie e cordialissimi commenti. Insegna a leggere, e scusate se è poco. Leggermente noioso nelle parti medievali (ma perché quasi tutta la letteratura medievale è ormai, per noi, irrimediabilmente noiosa).
2. Margaret Doody, La vera storia del romanzo, Sellerio. Tra questo e il precedente c’è un abisso, beninteso. Ma tutto il libro (veramente grosso: 780 pagine in formato grande) porta i segni dell’esperienza in aula di Doody – che dev’essere un’insegnante davvero formidabile. Sembra quasi, leggendo, di vederla gesticolare. E poi è un libro che non dà niente per scontato, che di tutte le opere delle quali parla fornisce il riassunto (adorabile!), che spiega e rispiega e ancora spiega. In realtà è una specie di “controstoria” del romanzo (notiamo che il titolo rimanda a Luciano, Una storia vera: per il quale vedi qui, punto 1 (ricordiamo solo che si tratta di una storia piena di fandonie e fanfaluche): Doody se la prende con chi sostiene che il romanzo “comincia” con Robinson Crusoe (ovvero con chi identifica il “romanzo” con il “realismo”, o meglio con l’ “effetto di realtà”) e rintraccia le radici di questo genere letterario fin nell’antichità. Davvero un bel corso.
3. Gérard Genette, Soglie, Einaudi. Non è il saggio più importante di Genette: il più importante è “Tempo e racconto”, incluso nel volume Figure III (Einaudi): un’analisi magnifica del funzionamento del tempo nella Ricerca del tempo perduto (in particolare nel primo volume, Dalla parte di Swann) di Marcel Proust (analisi magnifica, e quasi inaccessibile a chi non sappia Proust, o almeno il primo volume, più o meno a memoria). Ma io ho sempre trovato che Soglie (tra l’altro pubblicato originalmente, in Francia, dall’editore Seuil, ossia: “Soglia”) sia particolarmente affascinante. E’ un libro che parla delle “soglie” del testo: titoli, prefazioni, quarte di copertina, fascette, interviste all’autore, e chi più e ha più ne metta: e quindi indaga la produzione di un’immagine della forma dell’opera che l’autore o l’editore, o entrambi in accordo, allestiscono per guidare e orientare il lettore. Alla fin fine, è un saggio su come le “opere” diventino “libri”. Lettura non facilissima, ma tutt’altro che impervia. Tra l’altro, Genette è un saggista finemente spiritoso: il che non guasta.
4. Umberto Eco, Opera aperta, Bompiani (prossimamente, forse, La Nave di Teseo). E’ una raccolta di saggi ormai piuttosto invecchiata, certo. Ma introduce meglio di qualunque altro libro (almeno, per quei pochi che ho letti) a un’idea di opera (non solo letteraria) come “cosa da fare”. Sullo sfondo (sempre presso Bompiani, e pubblicato nei tascabili grazie – suppongo – alle pressioni di Eco) quell’Estetica. Teoria della formatività di Luigi Pareyson che mi risulta essere l’unico libro di estetica dotato di una qualche (e, nello specifico, di non poca) utilità per chi intenda produrre opere d’arte (se vi turba l’idea di leggere un intero libro di filosofia, potete ripiegare su La Teoria della formatività di Luigi Pareyson, tesi di laurea (che a me è sembrata ben fatta) di Sergio Genovesi (che non conosco, ma Academia.edu mi dice che si sta dottorando a Bonn).
5. Antonio Porta, Nel fare poesia, Sansoni. Un poeta racconta come ha scritto le sue poesie, e perché sono fatte in quel certo modo. Si cita sempre il saggio Il principio poetico di Poe, ma il libro di Porta a me è sembrato molto più umile e utile, e forse più utile perché più umile. Di grande interesse storico-critico, ma secondo me non poi così utile per la scrittura, il Romanzo d’un romanzo (Mondadori; al momento non disponibile; facilissimo da trovare usato) nel quale Thomas Mann racconta la genesi del suo Doctor Faustus. Si parva licet componere magnis, anche le raccolte di racconti autocommentati di Isaac Asimov presentano un qualche interesse (io ho un paio di vecchi Urania, credo che corrispondano più o meno al volume Il meglio di Asimov, Oscar Mondadori).
6. Joseph Warren Beach, Tecnica del romanzo novecentesco, Bompiani. Uscì in Italia nel 1948 e credo non sia più stato ristampato. Nelle biblioteche si trova; da acquistare usato un po’ meno. E’ un libro pieno di spirito pratico. Rimando alla recensione di Benedetto Croce, prevedibilmente negativa ma assai attenta.
7. Benedetto Croce (appunto): Storia dell’età barocca in Italia. L’edizione attuale, presso Adelphi, è cara rabbiosa; mentre le edizioni originali presso Laterza si trovano facilmente – anche sulle bancarelle – a un prezzo che è al massimo la metà, e anche meno se non si pretende una copia perfetta: il che dà un’idea di quanto sia stato diffuso e influente il Croce ai suoi bei dì, e di quanto successivamente sia stato dismesso; visto che i suoi libri – anche quelli meno cordiali: ma la Storia dell’età barocca in Italia è piuttosto cordiale – rigurgitano come ex bestseller da tutte le biblioteche e da tutte le cantine della Nazione. Al di là di ogni sua sistemazione filosofica circa il bello, l’intuizione, il concetto, e tutte quelle robe lì, nel momento in cui si volge a considerare i testi il Croce ha una virtù meravigliosa: riesce a dire esattamente ciò che ne pensa. E questa esattezza è invidiabile e ammirevole. Si unisca un gusto finissimo; si aggiunga la capacità di considerare contemporaneamente la bellezza dei testi e (ad onta della stessa teoria estetica del Croce) la loro significatività storica: e abbiamo un lettore praticamente perfetto. Pure bello, ma dichiaratamente sparso e non organico (e, c’è da dire, meno interessanti anche le opere alle quali si volge; e meno innovativo nella prospettiva), il volume su La letteratura italiana del Settecento (sempre, come sempre, Laterza).
8. Pier Vincenzo Mengaldo: La tradizione del Novecento. Sono quattro volumi usciti per editori varii (Sansoni, Bollati Boringhieri, finalmente Einaudi), e raccolgono articoli, conferenze, prolusioni, interventi a convegni, saggi. Di tutti, almeno la conferenza sulla “grande lirica” va letta e meditata; nonché l’articolo sulla metrica novecentesca (dove si sostiene che per descriverla bisogna partire non dal verso, come fanno pressoché tutti, ma dall’unità-strofe). Non chiedetemi in quale dei quattro volumi stanno questi pezzi: sono tutti fuori in prestito (perché io, si sappia, sono uno che presta i libri).
9. Ugo Foscolo, Storia della letteratura italiana per saggi, Einaudi. In realtà si tratta di un libro “inventato dal curatore” (Mario Alighiero Manacorda): Foscolo non scrisse mai una storia della letteratura italiana. Il libro è composto unendo saggi e articoli scritti in italiano, saggi (spesso prefazioni) scritti in inglese (qui tradotti o, ove possibile, proposti nel testo originale), lezioni, conferenze, e così via. L’insieme è squilibratissimo. Quello che ne vien fuori è una rappresentazione quasi romanzesca della storia della nostra letteratura. Se la Storia del De Sanctis è in sostanza un monumento della letteratura risorgimentale, un tentativo di fondare romanticamente l’identità italiana nella letteratura, un grande esperimento di laicità, eccetera; la Storia del Foscolo è (a giudizio mio, parzialissimo) molto più intimamente letteraria, molto più artisticamente formativa. Da comprarsi usato, visto che sciaguratamente Einaudi non lo ristampa da un pezzo.
10. Ezra Pound, ABC del leggere (Garzanti). Prendete uno che sa fare il guru ma non sa fare l’insegnante, e mettetelo a insegnare: e otterrete qualcosa di simile a questo libretto. Nel quale si danno solo consigli giusti. Strampalati quanto volete, ma giusti. Pound sosteneva che un poeta, un narratore, ec., non devono leggere libri belli bensì libri importanti; e che sono importanti quei libri che introducono novità tecniche nel fare letterario.
Sono a dieci, e mi fermo. Sarà palese a tutti che questa decina è idiosincratica quanto mai. Ma ciascuno nella vita fa gli incontri che fa, e io sono fedele agli incontri.
[Mi si fa notare – vedi il secondo e il terzo commento – che ho usato assai impropriamente l’aggettivo “idiosincratico”. Intendevo dire: una lista dettata da simpatie e avversità fortemente personali].
5 Maggio 2016 alle 14:54
“ 18 ottobre 1987 – Refusi: in Genette (Figure III, Einaudi, 1973) « introibo » è diventato « introito ». “ [*]
[*] Lsds / 73…
5 Maggio 2016 alle 15:32
Cosa vuol dire “idiosincratica” della penultima riga? In che accezione hai usato questo aggettivo?
5 Maggio 2016 alle 15:53
E’ vero, Maria Luisa, mi è scappata una forte improprietà. Intendevo dire: una lista che viene da simpatie e avversioni molto personali.
5 Maggio 2016 alle 16:12
Ci sono libri di critica più avvincenti di un romanzo, altri che hanno cambiato per sempre il modo di leggere creando categorie mentali nuove, altri che illuminano in un attimo quella cosa che avevi proprio lì sotto il naso ma ti era sfuggita… e altri noiosissimi, ovviamente. Tra quelli da leggere, oltre a quelli citati, mi vengono in mente Morfologia della Fiaba di Propp, Aspetti del romanzo di E.M. Forster, Le lezioni americane di Italo Calvino, I ferri del mestiere di Fruttero & Lucentini, Angelus Novus di Walter Benjamin, Descrizioni di descrizioni di Pasolini e Pubblici discorsi di Paolo Nori, ma ce ne sono tanti altri.
5 Maggio 2016 alle 16:17
Grazie sig.Mozzi. Conserverò questo post preziosamente. É molto bello anche “Shakespeare nostro contemporaneo”di Kott e “Lector in fabula” del professore Eco. Inoltre Marsilio pubblicava gli scritti di Eisenstein, e credo che la tecnica del montaggio da lui spiegata sia molto utile per imparare a gestire lo sviluppo narrativo. Buona giornata e ancora grazie.
5 Maggio 2016 alle 16:24
Mmh, C.P.: sulle Lezioni americane, ahimè, la penso come Claudio Giunta. E Aspetti del romanzo, lo ricordo bene (e non ne ricordo altro) mi fece dormire. Ciascuno ci ha le sue attrazioni e le sue repulsioni.
5 Maggio 2016 alle 16:26
Giusto, Maria. Inserisco Eisenstein nella lista (in corso di preparazione) che s’intitola più o meno “Dieci libri che non parlano di letteratura e peraltro sono indispensabili a chi voglia fare letteratura”.
5 Maggio 2016 alle 16:44
Recentissimo e con uno sguardo molto contemporaneo, “La letteratura europea” di Piero Boitani e Massimo Fusillo, con l’importante saggio di apertura di Fusillo messo online da Le Parole e Le Cose quasi un anno fa qui: http://www.leparoleelecose.it/?p=19458
5 Maggio 2016 alle 20:01
sono felicissimo di vedere al primo posto Auerbach: sì, il più bel libro sulla letteratura che abbia mai letto (per quanto a dire il vero ne abbia letti pochi) ( anzi questa cosa su Mimesis l’avevo già scritta qualche anno fa, mi viene in mente qui su Vibrisse). Adesso vado a prenderlo.
5 Maggio 2016 alle 20:03
mi viene in mente, (virgola!)
5 Maggio 2016 alle 20:07
e un libro che mi ha molto colpito e che deve essere stato uno spartiacque a suo tempo ( ma qui è solo letteratura italiana contemporanea) è Scrittori e popolo di Asor Rosa.
5 Maggio 2016 alle 21:04
“ Martedì 22 marzo 2005 – Oggi parlavo con quel mio collega di cui spesso parlo, ingiustamente, male. Si parlava di Brancati, poi siamo passati a parlare di Cajumi. Io ne ho dette parecchie, come mi succede quando, come ormai raramente accade, parlo. Questa volta però me le voglio segnare. Ho detto che la letteratura italiana è finita quando è arrivato Asor Rosa. Ho detto anche che si potrebbe scrivere un libro sulla storia – finita – della letteratura italiana: Dai Promessi sposi a Scrittori e popolo. Quando parlo io le sparo grosse. Ho anche detto una cosa di quelle che dicono quelli che parlano in modo da fare sapere che sanno molte cose, ho detto che Croce diceva di Cajumi: « Chille nun è nu fesso », e credo di avere fatto così la mia porca figura, anche se, va detto, mi sono sentito un poco fesso. Sono cose che succedono a chi, come me, non parla mai. “ [*]
[*] Lsds / 73…
6 Maggio 2016 alle 12:28
… ho letto il saggio di Giunta su Le lezioni di Calvino… wow! grazie Giulio… incredibilmente… “preciso”… (kitsch questo commento anche solo per le virgolette)…
6 Maggio 2016 alle 23:03
Questo in Italia non si legge tanto, che io sappia, ma lo consiglio vivamente a chi ha interessi di teoria e filosofia della letteratura: https://books.google.com/books?id=UFxUAAAACAAJ&dq=philosophy+of+literature+lamarque&hl=en&sa=X&ved=0ahUKEwjCyIbnq8bMAhWCkx4KHWMSC_wQ6AEIIjAB
7 Maggio 2016 alle 16:38
Ogni lista è discutibile – per esempio io non potrei escludere Starobinski -, ma Auerbach è fuori discussione, la grandezza di Mimesis oserei dire che è oggettiva quanto il teorema di Pitagora.
7 Maggio 2016 alle 23:09
Un anglicismo, forse? In inglese idiosincratico viene adoperato con il senso che gli attribuisci tu, e come anglicismo si ritrova in certi linguaggi settoriali (come ad esempio quando si parla di rischio idiosincratico in economia).
Questo uso si ritrova però anche in alcuni testi di critica letteraria.
Roberto Birindelli in “Individuo e società in Herzo di Saul Bellow” scrive:
«[…] non tanto un quadro oggettivo e a tutto tondo del proprio essere e della sua realtà fenomenica, quanto una visione (necessariamente parziale e idiosincratica) di quel che il mondo è per lui […]»
Ma soprattuto nella Tradizione del Novecento di Pier Vincenzo Mengaldo da te citata:
«Si noti subito il tratto idiosincratico tozziano del punto e virgola in luogo di virgola»
Ed ancora:
«È impossibile mostrare, se non con un paio di esempi, come asimmetrie e sprezzature siano consustanziali a un uso molto libero e a volte idiosincratico della punteggiatura»
8 Maggio 2016 alle 10:20
In questi ultimi tre anni ho letto una quarantina di opere di questo tenore, e noto con sorpresa che solo Auerbach rientra fra queste (vabbè, Calvino ed Eco erano letture già fatte da ragazzo). Posso permettermi di aggiungere “Trame” di Brooks e, come minimo, anche “il romanzo di formazione” di Moretti (ma anche “eroi e figuranti” di Enrico Testa, brevissimo, è fulminante).
13 Maggio 2016 alle 13:58
all’affermazione: “il concetto di letteratura è sommamente occidentale” Panini, Patanjali, Bharata e tutti gli indiani che hanno cominciato a produrre testi di grammatica, linguistica, teoria della letteratura, scienza della drammaturgia ecc. in India a partire dal III sec. a.C. si sono rivoltati nella tomba =))))
18 Maggio 2016 alle 15:57
Ho realizzato che l’accezione che tu attribuisci ad idiosincratico si ritrova non soltanto nell’inglese idiosyncratic, ma anche in tedesco:
«Wenn sie hingegen Wertstandards so eigenwillig verwenden , daß sie auf ein kulturell eingespieltes Verständnis nicht mehr rechnen können , verhalten sie sich idiosynkratisch»
(Jürgen Habermas, Theorie des kommunikativen Handelns)
18 Maggio 2016 alle 16:23
Paola: in Europa il concetto di “letteratura” comincia a circolare nel Settecento. Aristotele, per dire, non ce l’aveva: cosa che non gli ha impedito di scrivere (e in maniera assai decisiva, come noto) su retorica e poetica.
P.O.: sarei dunque stato influenzato dalla lingua delle traduzioni? Devo controllare l’uso di questa parola nei libri che ho letti negli ultimi dodici anni. Ci proverò.
18 Maggio 2016 alle 19:05
Be’ come ho scritto sopra, il da te citato Mengaldo adopera idiosincratico con lo stesso senso che gli hai dato tu.
D’altro canto nella presentazione di Cella che ho ascoltato di recente, tu hai adoperato triviale nel senso di banale, che è l’accezione dominante in inglese e tedesco, ma è secondaria in italiano, e comunque dovuta all’influsso straniero.
19 Maggio 2016 alle 06:15
Giusto.
3 novembre 2016 alle 12:03
Ho 79 anni e sette mesi e da quando ho imparato a leggere non ho mai smesso, ogni straccio carta stampata era mio. Oggi ho le cinque stanze della mia casa zeppe di libri – a occhio, circa un 25.000 testi e forse di più – e solo in questi giorni mi sono deciso a redigerne un inventario, che penso mi occuperà per molti giorni, ammesso che tralasci ogni altra cosa e mi dedichi solo ad esso. a lui. Ti dico tutto ciò non per elencare eventuali miei meriti culturali – fra l’altro leggo e scrivo in francese – ma solo per manifestarti la mia ferma convinzione che la grande letteratura sia ormai finita. E’ morta di sfinimento. Oggi va un solo un genere, il poliziesco, cucinato e condito con tutte le salse immaginabili e possibili. Lo stesso vezzo segue il cinema, cosa che mi ha costretto già da alcuni anni a disertare le sale cinematografiche. Comunque, uno dei problemi odierni della letteratura (?) è quel linguistico. Un noto scrittore, apparso in un insulso programma televisivo, a un certo punto, si rivolge a un altro ospite e gli dice: “Ma sì… Non ti ricordi? Eravamo io e TE!” Ora se un tale errore di analisi grammaticale lo avesse un bambino delle elementari, la cosa non mi avrebbe toccato, ma uno che dice di se stesso essere uno scrittore! Scrivere è anche un bello e ben scrivere, qualunque sia lo stile che si adotti. Per non parlare della lingua dei giornalisti, dei veri guastatori in quel campo. Ormai la lingua che gli scrittori – o sedicenti scrittori – usano è una koiné composta in massima parte da vocaboli assorbiti dal dialetto romanesco, con qualche punta di veneto o di siciliano, imitandone, forse inconsciamente, il fraseggio e usufruendo di uno lessico molto striminzito, che costringe ad inventare un vocabolo quale POSIZIONARE, che non esiste in italiano (consulta il dizionario etimologico Zanichelli). In definitiva, i dialetti sono scomparsi, nonostante la illusorie pretese dei leghisti di vivificarlo, operazione alquanto idiota e senza senso. I cambiamenti delle lingue sono accettabili, solo se avvengono naturalmente, e non che siano frutto di deprecabili operazioni linguistiche giornalistiche o di sedicenti scrittori di gialli. Basta pensare al nome Ludwig che dalla Germania passò in Francia diventando Louis e da qui in Italia, diventando Luigi. A sua volta Ludwig scende in Italia e diventa Ludovico e poi Lodovico, per la incapacità italica di pronunciare due consonanti dissimili e concomitati (tennico per tecnico…). Non credo che leggerò più in vita mia, libri come p.e. I Buddenbrook di Thomas Mann. Ormai sono vecchio e credo che non ne avrei più il tempo né l’occasione.
Ti saluto!
3 novembre 2016 alle 14:53
Ma: a proposito di io e te l’Accademia della Crusca mi sembra possibilista. Vedi qui.
A Luigi e Ludovico aggiungerei Alvise: che è sì molto veneziano (metà degli Alvise italiani stanno in Venezia e dintorni), ma parecchio illustre (numerosi Dogi di Venezia hanno portato il nome Alvise).
Quanto alla sostanza del tuo discorso, Harald: effettivamente, se uno butta l’occhio in libreria può avere la sensazione che si pubblichino solo romanzi gialli e romanzi rosa. Ma se invece di limitarsi a buttar l’occhio si fa un minimo di ricerca, si scopre che si pubblica una quantità di altre cose.
Quanto al fatto che non si scrivano più libri come I Buddenbrook, ricordo che Moby-Dick fu ignorato dal pubblico e dalla critica per cinquant’anni – prima di essere universalmente riconosciuto come un capolavoro. Io tra cinquant’anni non ci sarò più, e tu nemmeno: evitiamo di denigrare il nostro tempo, ed auguriamo ai nostri discendenti di trovarci qualcosa di buono.
4 novembre 2016 alle 23:15
“Io tra cinquant’anni non ci sarò più, e tu nemmeno: evitiamo di denigrare il nostro tempo, ed auguriamo ai nostri discendenti di trovarci qualcosa di buono.”
certe volte ti abbraccerei