[Ennio Bissolati è un bibliofilo. Per vibrisse recensisce libri introvabili, dei quali sostiene di essere l’unico lettore. gm]
Una volta tanto, signore e signori, il vostro bibliofilo verrà meno all’impegno preso a suo tempo di recensire unicamente pubblicazioni di reperibilità difficile, ardua, o perlomeno impossibile: e vi parlerà invece d’un libro messo al mondo da un grande editore (grande dimensionalmente; ex “grande editore”, secondo alcuni – e il caso in questione testimonierebbe -; ma questa è un’altra faccenda): Einaudi, nientepopodimeno; in una collana di grande prestigio, la “bianca” di poesia (la collana nella quale si pubblicano, per stare agli italiani viventi, le opere di Valerio Magrelli, Patrizia Cavalli, Cesare Viviani, Mariangela Gualtieri, Gianni D’Elia, Patrizia Valduga, Aldo Nove e altri). Il libro in questione è: Poesie erotiche e appassionate – di? Non è difficile indovinare, per chi frequenti regolarmente questo ai suoi bei dì autorevole bollettino vibrisse. Ebbene sì: di Mariella Prestante. Da pochi giorni in libreria.
Chi segua da qualche tempo (anche distrattamente, vista l’insistenza) le molteplici (e un po’ confuse e frenetiche, va detto) attività del curatore di vibrisse sa benissimo chi sia costei: è l’autrice, pretesamente femminista e antimaschilista (ma in realtà pervicacemente tanto antifemminile quanto antimaschile), di certi sonettuzzi scolastici, di certe canzoncine pretenziosucce, di certe cabalette seriosamente oscene, che da qualche tempo va pubblicando in Facebook; il tutto scritto in una lingua infarcita di riboboli e solecismi, irresponsabilmente mischiata d’aulico e di corporale, appoggiata su un citazionismo miserando e imparaticcio; con rivendicazioni però (e questo è il colmo) virtuosistiche: da cui i sonetti monorimi, le rime difficili se non assurde (un esempio per tutte: “puzzi: Tootsie”), la risuscitazione di forme che non hanno più alcuna ragion d’essere né storica né stilistica né poetica né meno archeologica come lo strambotto o la ballata o la sestina. Il Mozzi (che qui ci ospita; e gli dovremmo forse qualche non metrico rispetto; ma il vostro Bissolati, lo si sappia, da sempre fa suo il motto amicus Julius, magis amica veritas: e se questo articolo dovesse costargli il posto, e il diritto di quivi pubblicare, non se ne adonterà; se ne farà, semmai, motivo d’orgoglio) da tempo segue, o insegue, talvolta precede, spesso accompagna, tutto sommato trasporta e trasborda questa inane versificatrice nel suo pecorso, diciamo così (ma facciamo uno sforzo a dir così), poetico.
Volete un campione? Ecco il campione, fresco fresco di social network:
Su prendimi, rivoltami, strapazzami,
e fatti strapazzar, rivoltar, prendere;
io sto al tuo gioco, il gioco sia a buon rendere:
spiegazzami, spupazzami, strombazzami!
E succhiami, cincischiami, slinguazzami,
tutti i miei angoli ti lascio apprendere:
più non mi voglio, non mi so difendere,
sollazzami, trastullami, sbevazzami!
Eh sì, la vita ci ha ogni tanto i giorni
che dopo tante pene e tanti scorni
il corpo gode, gode fino a esplodere:
e sembrano quei giorni quasi eterni;
ma ahimè lo so, la vita è a giorni alterni,
e il tempo questa gioia può corrodere.
Questo era del modo, si fa per dire, comico-gaudente. Ma la nostra signora s’azzarda anche nel modo, sempre si fa per dire, tragico. Ecco l’esempio:
Amai un tempo, e sì: molto di gusto;
poi dell’amare presemi il disgusto;
sarà che non rinvenni l’uomo giusto;
sarà che ahimè l’amore è un gran trambusto.
Raro a trovarsi è l’uomo che venusto
sia dentro e fuori, come un balausto:
senza cervello è sempre l’uomo fusto,
e chi ha cervello ha il corpo troppo frusto.
Così il mio cuore un tempo fu combusto
(e fu mio errore) da un tal bellimbusto:
che secco me lo rese, e arido e adusto.
E nulla batte più dentro al mio busto:
silenzio e gelo è dentro quell’angusto
cavo: e, dolente, morte mia pregusto.
(Il balausto – tipica parola da rimario Hoepli – è, per chi non lo sapesse, il melograno).
Sarebbe da citare, per tirarglielo in faccia al Mozzi che tanto manzonismo ad ogni piè sospinto professa, il commento di Alessandro Manzoni alla lingua del suo Anonimo (personaggio questo, perlomeno, d’invenzione: e quindi meno invadente):
Sì; ma com’è dozzinale! com’è sguaiato! com’è scorretto! Idiotismi lombardi a iosa, frasi della lingua adoperate a sproposito, grammatica arbitraria, periodi sgangherati. E poi, qualche eleganza spagnola seminata qua e là; e poi, ch’è peggio, ne’ luoghi più terribili o più pietosi della storia, a ogni occasione d’eccitar maraviglia, o di far pensare, a tutti que’ passi insomma che richiedono bensì un po’ di rettorica, ma rettorica discreta, fine, di buon gusto, costui non manca mai di metterci di quella sua così fatta del proemio. E allora, accozzando, con un’abilità mirabile, le qualità più opposte, trova la maniera di riuscir rozzo insieme e affettato, nella stessa pagina, nello stesso periodo, nello stesso vocabolo.
Quale sia la ragione di tanto appassionamento del Mozzi (che pure, ribadiamo, il vaccino manzoniano deve averlo assunto da piccolo) all’opera nulla della Prestante, ciascuno è libero di immaginarlo. Il mondo va come va, e il mondo editoriale non è un altro mondo: la Prestante nacque femmina, benché bisbetica e lagnosa, e come tale (come femmina, dico) si esibisce alquanto (anche come bisbetica e lagnosa, dirò per completezza); e il Mozzi sarà tutto d’un pezzo, sarà un sant’uomo e un onest’uomo, sarà un brav’uomo e un pover’uomo: ma ligneo non è, come tutti. Ma sulla soglia dell’immaginare ci fermiamo, trattenendo la lingua: poiché dei tribunali civili abbiamo una qualche considerazione.
Fattostà che la Prestante, mentre stormi e orde di valorosi poeti e valorosissime poete sono costretti e costrette a pellegrinare sotto le stelle e sotto la neve, sotto la pioggia e sotto il sole, e a vivere all’aperto e a dormire all’addiaccio, o con ripari di fortuna in certe rivistine-capannucce, in certe microedizioni-baracche, in certi siti-tettoie, al di fuori delle apollinee mura della Cittdella Delle Lettere, lei, di punto in bianco, anzi, di punto in bianca, senza alcun curriculum alle spalle (se non, per l’appunto, la prosperosa simpatia del Mozzi), si ritrova pubblicata in una delle maggiori collane di poesia italiane; anzi, dopo l’esaurimento per spossatezza della collana detta “oliva” (per le copertine di vomitevole color oliva) di Garzanti, dopo l’abiura alla poesia di Guanda (e il vecchio Guandalini si rivolterà nella tomba) e Marsilio e Feltrinelli e altri, dopo la spensierata abolizione dello Specchio mondadoriano operata senza colpo ferire dai revisori dei conti di Segrate – nell’unica vera e propria collana di poesia a tutt’oggi sopravvissuta in Italia presso un grande editore. A che cosa si dovrà, si domanderanno i miei ventiquattro lettori, tale eletta sorte? Eh? A cosa si dovrà?
Ma pazienza. A tutti può capitare un invaghimento senile; e il Mozzi peraltro, smessi da qualche anno i panni del giovine scrittore (che non fu mai in realtà, avendo esordito nell’età di Cristo e con undici anni di contributi alle spalle), punta manifestamente al conseguimento della pensione (con annessa Carta d’argento per gli sconti sui trasporti urbani). Comunque la società letteraria funziona così: per cooptazione; non c’è scampo.
Tuttavia, ciò che ci pare di non poter tollerare è la prefazione.
La prefazione, nei libri di poesia, è il luogo e il gesto specifico con cui si attribuisce valore a un’opera, ed è quindi il gesto e il luogo nel quale il prefatore fa valere, sulle bilance del mercato letterario, il proprio peso specifico. Certamente non mancano i prefatori universali, generalmente accademici emeriti e un po’ in disuso (nonché iperprotetti da ogni male grazie all’augusta pensione), che in cambio di un cartone di buon rosso (magari piemontese) canterebbero le lodi di chiunque; ma per lo più si fa molta attenzione, perché una prefazione errata, ossia concessa a qualche giovane virgulto che poi non realizzi le auspicate speranze, o tonfi presso la critica come corpo morto tonfa, resta come una macchia sull’immagine del prefatore (e l’immagine è tutto, al giorno d’oggi, si sa).
Il Mozzi, in particolare, ci risulta sia sempre stato molto e dimolto attento nel concedersi. Non in questo caso. Non solo per il gesto in sé, quanto soprattutto per il modo. Riproduco qui, pari pari, per la delizia dei vostri intelletti, l’infame prefazione che il libricino prestantemente einaudiano riporta, a firma del Nostro. Dove vi prego, care lettrici, cari lettori, di misurare ambiguità e contraddizioni, reticenze e sfrontatezze, allusioni e circonlocuzioni (oltre a qualche palese menzogna, mascherata da ammissione di colpa):
Se Mariella Prestante esiste, è solo colpa mia. Lei non era nulla, proprio nulla; e io le diedi una qualche gloriola accogliendo alcuni suoi componimenti in una pubblicazione collettiva intitolata Lodi del corpo maschile. Già allora in lei la somma scomposta di rozzezza e pretenziosità, gusto per l’osceno e femminismo d’accatto, era evidente. Ma io, lo confesso e me ne vergogno, provavo tuttavia nel leggerla un certo divertimento. La sua ostinazione nel rubar versi non solo ai classici, ma anche a certi minori o trascurabili – reperiti certo in antologie, non credo proprio studiati e conosciuti – mi pareva avere un che di goliardico e sbarazzino; il carattere – questo va detto – non le mancava, ed era per di più un caratterino; il suo modo di mettere a posto i maschi che prevedibilmente si affacciavano ai suoi profili nelle reti sociali mi sembrava non mancare di vera arguzia e di salutare violenza.
Il guaio è che, terminata l’avventura delle Lodi, Mariella non si fermò. Volle darsi veramente alla poesia, e non alla poesia per gioco. Non che si spacciasse, per carità: ma anche il solo insistere, il farsi viva, l’affiancarsi a me – mai di persona, rigorosamente in rete: io, Mariella Prestante, non l’ho mai incontrata né sentita al telefono – come avrebbe potuto fare un’allieva prediletta o particolarmente stimata: sarebbe bastato questo a farmi capire che qualcosa non andava, che un pericolo si andava creando.
E infatti. Una mattina, assai prima dell’alba – poiché condividiamo, Mariella e io, l’abitudine al risveglio antelucano –, approfittando di un mio momento di disattenzione o di bonomia, o di entrambe le cose, Mariella mi strappò la promessa di una prefazione, se mai avesse messo al mondo un libro. Forse pensavo di levarmela di torno. Non immaginavo che il libro sarebbe poi arrivato davvero, e che la prefazione avrei dovuto scriverla – perché una promessa è una promessa.
Ciò detto, la mia vendetta è questa. State leggendo, lettrici e lettori, la prefazione a un’operucola pseudopoetica, a una raccolta di esercizi di scuola, al museo dell’inettitudine totale alla poesia. Se vi strapperà qualche sorriso, magari di compatimento, sarà tutto. Non aspettatevi niente di più, e soprattutto: niente di meglio.
Ecco, dunque. Alla Prestante, per conquistarsi un posto di primo piano nell’empireo poetico italiota, non è servito nemmeno raccogliere la stima del suo mentore: le è bastato assillarlo. Ed è facile immaginare che l’assillamento (condito magari da una qualche promessa scontabile a pubblicazione effettuata) sia stato tale, da indurre il Mozzi per disassillarsi ad assillare qualcun altro. Quanto agli ambienti einaudiani, si sa che gli son familiari. E il cerchio è chiuso.
Che dire? Lasciate ogni speranza, voi che sperate di entrare. Nella Repubblica delle lettere italiana s’entra in questo modo. Non in un altro. Mettétevela via.
Tag: Aldo Nove, Alessandro Manzoni, Cesare Viviani, Ennio Bissolati, Gianni D'Elia, Mariangela Gualtieri, Mariella Prestante, Patrizia Cavalli, Patrizia Valduga, Valerio Magrelli
1 aprile 2016 alle 06:26
No, no, no, cari miei maschi, tutto questo non può passare sotto silenzio! Premesso che io, da pari a pari, discussi con Mariella ben prima del Bissolati e anche più veementemente del Mozzi (c’è una verità nella sua acida prefazione: che il Mozzi avesse un occhio di riguardo per Mariella era cosa nota tra “le lodanti” alle quali mi pregio di appartenere), premesso pure che spesso ho temuto per l’amica poetessa una deriva nostalgico-godereccia a dir poco pericolosa, premesso anche il rischio di cadere in una semplice difesa vetero-femminista troppo facilmente attaccabile, premesso tutto ciò meglio che passi all’argomentazione di questa mia, ché di premesso si può morir di noia. Veniamo al dunque, dunque: si mozzino gli artigli del Mozzi e non si chieda il bis al Bissolati, la loro è tutta frustrazione bella e buona! Voglio che il mondo sappia che Mariella sfugge loro come Beep-beep da Wile Coyote, Jerry da Tom e via di questo passo, finanche Lucia da Don Rodrigo.
Mi duole dirlo, ma lo faccio per onor di verità: Mariella a Mozzi mai si concesse, e a Bissolati neppure si promise.
Detto questo, non vorei essere nei panni dei due: sono certa che Mariella si farà presto sentire…
1 aprile 2016 alle 06:28
Ho già cercato in rete, ma il libro non c’è! Signor Bissolati, se è uno scherzo è di cattivo gusto! Non può illudere così i fan della signorina Prestante. Se invece è tutto vero *O* mi dica trove trovarlo già oggi per favore che me lo vado a comperare subito! Mi sa che solo il padrone di casa può risolvere la questione…
1 aprile 2016 alle 06:47
Non mi permetterei mai di scherzare, cara signora Ma.Ma.
1 aprile 2016 alle 07:05
qui sta la chiave ragazzi, proprio di tutto, meditate: nella frase qui sopra di GM: ” non mi permetterei mai di scherzare”.
1 aprile 2016 alle 07:13
Dia a Ennio quel che è di Ennio, signor Cristian, la prego. E lasci al Mozzi quel che è del Mozzi.
1 aprile 2016 alle 07:27
Ha ragionissima signor Bissolati! Il mio è imperdonabile scivolone, è macroscopico errore e contraddizione: presuppone che lei abbia inteso scherzare!
1 aprile 2016 alle 08:02
“Il curioso caso di Giulio Mozzi”
1 aprile 2016 alle 08:04
Be’, Bissolati, che c’è di strano? Raboni spinse la Valduga e, mutatis mutandis (ma non poi così tanto), Mozzi spinge la Prestante (che non è peggio della Valduga[*]).
[*]: se vuol farsi venire un varicocele psicosomatico, ne legga i sonetti a tema para-erotico.
1 aprile 2016 alle 08:26
(Mah, RobySan! A me la Valduga non piace – non so dire il perché, e mi scuso con chi l’apprezza, ma quando l’ascoltai per un’oretta durante una sua presentazione, il suo tragico recitare mi fece quasi scoppiare dal ridere, tanto da dover abbandonare la sala gremita da spettatori molto attenti e presi, a dimostrazione del fatto che l’ “assurda comicità” che ci vidi io non era per niente voluta -, la Prestante, invece,… mi piace assai.)
1 aprile 2016 alle 08:30
Sei bravissimo, Giulio.
1 aprile 2016 alle 08:32
“ Lunedì 20 aprile 1998 – Dice che la poetessa Patrizia Valduga in un’intervista a Panorama ha dichiarato che Leopardi è un « poeta per adolescenti segaioli ». Segue foto. (Così gli adolescenti, invece di leggere Leopardi, possono vedere Patrizia Valduga. E giù seghe) “ [*]
[*] Lsd / 7…
1 aprile 2016 alle 08:38
Bentornato, acabarra. Di tutto cuore.
1 aprile 2016 alle 09:06
Magnifico! Il modo migliore per festeggiare il 1 aprile. Grazie alla prestante Mariella e al mitico Bissolati, per non tacer di Giulio!
1 aprile 2016 alle 11:29
Complimenti a tutto il trio, sperando non sia necessario presto uno specialista in personalità multiple. Sul libro: non è una novità che pubblichi più un ecc ecc, però anche quel pelo deve essere (de)scritto bene. Ps: a scuola dimostrai in un tema che Leopardi era morto di seghe, e lo sostengo tuttora.
1 aprile 2016 alle 22:10
Che meraviglia tutto ciò, e molto molto inquietante sullo stato dell’arte (e anche dell’Arte)
2 aprile 2016 alle 07:46
Ma anche lei, signora Maria Luisa, la prego: dia al Mozzi quel che è del Mozzi – ma lasci al povero Ennio quel che è dell’Ennio.
5 aprile 2016 alle 19:13
Acabarra, bentornato alla nostra lettura. Vorrei chiederti un favore. Almeno per ora comunica con un altro nickname. Grazie. Sai, oltre che matta sono un po’ magatta ( fusione di Matto e Bagatto, versione femminile, per speciale concessione : le donne non entrano in società particolari ). Dicevo, sostituisci il tuo nickname con uno nuovo. LUMEN, magari. Auguri. aff.ma Matta
5 aprile 2016 alle 21:20
“ Giovedì 28 gennaio 2010 – Io sto fuori porta. C’è chi sta nel centro-storico, c’è chi sta in periferia, anche oltre il Raccordo, c’è chi sta in campagna, anche se la campagna non c’è più. Io sto fuori porta, subito fuori porta, e, ora che ci penso, ci sono sempre stato. Ci sono nato, dopo la guerra, dopo che i nonni avevano smesso di stare nel centro storico e insieme a loro la mia, allora giovane, mamma. Naturalmente parlo di un altro centro storico, parlo di un’altra città. Però, tutto somm]ato, è lo stesso. Quando si sta fuori porta, dico. Del resto non sono il solo. L’ho visto anche stamani, quando sono passato da Porta Pia. Ho visto Lui, quel tizio nero nero, in cima al trespolo, con una tromba in una mano, con un fucile nell’altra, con quella testa piena di piume, come un uccello – come un ucello -, come un selvaggio – come un servaggio -, con quell’aria di correre, di slanciarsi, di buttarsi: in avanti. Ma quando si butta, ma quanno? Stasera mi butto… stasera mi butto… Sì, stasera… Nun fa lo stupido… che è meglio, che è mejo me sento… « La patria ai bersaglieri »: come dire « la terra ai contadini »: ma quanno? Dimmi quando tu entrerai… dimmi quanno quanno quanno… Lassù in cima fa freddo, si gela. Il corridore gelato, bloccato nello slancio, fermato, immortalato, paparazzato. Ma dove vai… se la banana nun ce l’hai… Con quel fucile: scarico. Con quella tromba: sfiatata. Trombone, trombetta… questo nome non mi è nuovo. E davanti c’è Lei, sempre Lei: la Madonna: infilzata. Ma quanno? Ma de che? La pulzella dipinta, colorata, truccata. La pulzella/ il militare. Col trallalallero. Col trallalallà. C’avevo il barbiere, tanti anni fa, dalle parti di Porta Pia. Che poi erano tre. Ma questa è un’altra storia etc. “ [*] [**]
[*] Lsds / 73…
[**] Non ho capito questa storia del nickname, dolcissima Matta. “ Acabarra “: come nome non è il massimo, ma ormai… Come direbbe il vecchio Forrest, mi sento “ un po’ stanchino “.
7 aprile 2016 alle 16:17
Equazione del 07 Aprile: che il poeta è un gran mentitore : finge sia dolore il dolore che davvero sente = Ennio Bissolati : Giulio Mozzi che abbia prefato un libro di poesie gaudiose e tragicherotiche di Mariella Prestante?
7 aprile 2016 alle 17:43
Io, invece, credo di aver capito la tua risposta, anche se sono ” un po’ stanchina”, secondo la mia cabala. Hai un ottimo codice, Amico. E fai bene. Ciao. Matta
25 giugno 2016 alle 08:12
[…] troppo triviale. Potrà piacere forse, tanto per star tra gli amici, allo Gnirro; dubito assai alla Prestante (la cui sessualità, per quanto esibita, – dico quella letteraria -, appare stolidamente […]
14 settembre 2016 alle 08:00
[…] lodata, in un untuoso capitolo che ha la misura quasi del saggio autonomo, la da lui già fustigata Mariella Prestante: be’, direi che chi avesse del sottoscritto – anzi, per la […]
16 gennaio 2018 alle 16:24
[…] EB: Il mio pensiero su di lei – non me ne abbia a male il caro Mozzi – è consegnato in questo articolo: https://vibrisse.wordpress.com/2016/04/01/come-funziona-davvero-la-societa-letteraria-italiana/ […]