Famiglia

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di Marco Candida

[In questi giorni si è parlato di “unioni civili” e “famiglia”]

Una premessa dell’ispettore Balti

Essendo un ispettore di Polizia ci si aspetterebbe forse che sia pieno di nemici. In quattordici anni, da quando ho i due pentagoni dorati appuntati sulle controspalline della divisa, ho operato qualcosa come settantasei arresti. Ho messo dentro Carlo Tontelliano che ha ammazzato sei persone e si può quasi considerare un serial killer, anche se erano tutte persone che lo avevano rovinato. E devo confessare che è stato dopo il successo di quell’operazione che ho cominciato seriamente a occuparmi del tuo caso e ad assumerlo direttamente quando l’ispettore Rettondi ha fatto la fine che ha fatto. Pace all’anima sua. Ho fatto incarcerare parecchi criminali e alcuni di loro oggi sono liberi, non stanno più in carcere. Molti conducono una vita non dico onesta ma normale. Altri invece probabilmente sono impelagati negli stessi giri di sempre – cosa di cui sono piuttosto certo almeno per quel che riguarda Arturo Colaffini o Girolamo Venicchianni o Ettore Bollemponci. Magari, se sei stata attenta alla cronaca degli ultimi anni nel pavese, i nomi che ho appena fatto possono risuonarti nelle orecchie in qualche modo. Sì, per la miseria. Ho fatto incarcerare settantasei criminali. Tuttavia, se mi stai chiedendo chi è il mio nemico più grande, allora non ho dubbi su chi potrebbe essere. Lasciamelo dire chiaro: il mio nemico più grande non è uno degli ex-carcerati che ho fatto arrestare. Invece è una donna. Come te. Si chiama Elma Comolli. E il motivo per cui dovrebbe avercela tanto con me al punto da desiderare di vedermi morto è che temo di averle rovinato la vita. Perciò se ti aspetti che mi metta a raccontare di questo o quel criminale che ho arrestato e fatto incarcerare e del quale temo la vendetta, allora ho paura di doverti deludere in partenza. Non ti parlerò di storie di arresti e criminali. Ti racconterò, invece, la storia del mio matrimonio. Un matrimonio decisamente fallito. E ti parlerò della mia famiglia.

[…]

Terzo nemico: la sorella

Paolina Balti è mia sorella. Ha trentanove anni. Qualche anno meno di me. E’ single. Una spinster, come diceva un suo amichetto americano tanti anni fa. Paolina ha un diploma al Liceo Classico – con 42/60. Ha trovato lavoro in una libreria a diciannove anni e ci è rimasta fino a oggi. A te posso confessare che Paolina non è mai stata particolarmente intelligente e nemmeno una persona dotata di ambizioni speciali. Del resto, senza intelligenza l’ambizione cosa diventa se non presunzione? Be’, quantomeno, mia sorella non è una persona presuntuosa. Invece ha un temperamento mite. Le ho sempre voluto bene. E’ alta quasi quanto me e in qualche modo mi assomiglia. Tiene i capelli corti, alla maschietta. Ha i capelli neri. Gli occhiali con lenti spesse. Un topo da biblioteca. Le piace leggere. Legge sempre. La sera preferisce un libro a una serata in compagnia. Paolina non ha nemmeno troppi amici. Tuttavia non è una persona strana. Anche se legge molto, non è eccessivamente ricercata. Come quelle persone che leggono. Invece, è alla buona. Ha sempre avuto una vita regolare. Vacanze al mare in Liguria. A Messa la domenica. Un corso di fitness. Qualche fiera letteraria qua e là. Sempre così. Anche se è una spinster, ha avuto storie e infatuazioni. Non è mai riuscita a trovare la persona adatta. Ha trentanove anni, però. Forse è ancora in tempo.

Intorno ai trent’anni si era messa in testa di adottare un bambino. Si è rivolta a me. In qualità di uomo dentro alle cose di legge potevo saperne qualcosa. E’ venuta da me un pomeriggio. Era un sabato. Non mi ha nemmeno avvertito della visita. Paolina è così. Piomba in casa quando meno te l’aspetti. Se non ti trova, lascia un biglietto sotto la porta. Anche oggi lo fa. Potrebbe usare le e-mail. Ma ha mantenuto questo vezzo. Quel pomeriggio mi ha trovato per caso. Siamo stati seduti in questa sala. Era molto seria. Tirata in viso. I capelli corti avevano appena una piega. Indossava una giacchetta nera e una camicetta bianca e un cravattino. Mandava un profumo forte. Se n’era messo un bel po’. Di solito non lo faceva. In contraddizione con questo particolare appena un cenno di trucco sul viso. Fuori pioveva e pioveva. Le avevo fatto una tazza di the. Sorseggiavamo il the, quando mi ha detto del bambino e dell’adozione. Paolina sa molto di libri e letteratura. Ti può raccontare delle opere di Melville e Tolstoj. Di Proust e di Pirandello. Di Kafka e di Turgenev.  Come si dice, però, da queste parti, è sempre vissuta un po’ sulle nuvole – accanto al suo Socrate e al suo Euripide e a Shakespeare. Ha sempre avuto l’orticaria per carte e burocrazia. Così non sapeva nulla di adozioni. Quando le ho detto che, in qualità di donna non coniugata, non avrebbe potuto adottare un bambino, ma farsi solo dare l’affidamento, gli occhi le si sono velati di lacrime.

“Affidamento? Che cos’è di preciso?” mi ha chiesto, ansiosamente.

“L’affidamento – le ho spiegato – ha un obiettivo diverso dall’adozione. Serve a rendere possibile il rientro in famiglia nelle situazioni recuperabili. Il problema è che l’affidamento si protrae più del necessario. I bambini vivono situazioni di sofferenza e disagio. Ci sono i genitori affidatari. Gli assistenti sociali. Il giudice minorile. Troppi punti di riferimento. Il bambino brancola. Questi soggetti possono decidere per lui anche fosse solo una gita scolastica fuori città”

Mentre le snocciolo queste nozioni in materia, mi ritorna in mente l’affidamento di Selene a Elma del ’96. Erano passati suppergiù quattordici anni. Tuttavia bastava quella parola per scatenare in me ricordi e ricordi. Come quello del litigio con Elma dove la minacciavo di toglierle l’affidamento di Selene se non l’avesse piantata con le sue follie.

“Questo non lo vorrei mai – mi ha risposto Paola – Non vorrei dargli disagi. Né vorrei dovergli dire addio per restituirlo ai genitori”

Ricordo una lacrima scendere da un occhio di Paolina. Ha bevuto il the nascondendosi il viso con la tazzina. L’ha tenuta sospesa davanti al volto in quel modo un po’ goffo qualche secondo più del normale. Il silenzio si era fatto tangibile. Come questa oscurità che abbiamo intorno. Ascoltando mia sorella, in qualità di ispettore mi venivano da fare alcune supposizioni. Ho evitato di farle domande, però. Non volevo mettermi a indagare. Se Paolina era arrivata a tanto, forse c’era qualcosa d’implicito. Forse le storie con gli altri uomini non finivano solo per incompatibilità di caratteri o incomprensioni o situazioni economiche troppo insicure – Paolina sembrava essere abbonata a uomini che faticavano a trovarsi un lavoro. Tra le altre ipotesi mia sorella poteva non essere in grado di avere figli.

Dopo questa conversazione Paola non mi ha più parlato della questione. E’ stato il solo momento di cedimento e di sbandamento che ricordi in mia sorella in tutti questi anni. Per il resto una vita ordinaria. Otto ore di lavoro. Casa. Messa. Vacanze. Libri. Tv. Cinema. Concerti. Nemmeno un viaggio da qualche parte. Nemmeno una pillola antidepressiva o ansiolitica. Nessun episodio di dipendenza da farmaci o da alcol o droghe. Nulla. A parte le diottrie che ogni anno diminuivano un po’ di più. Forse erano i mondi di finzione a darle un equilibrio.

Fino a quando a trentacinque anni nella vita di mia sorella è entrato uno scrittore.

Yuri Zormani.

E’ successo quattro anni fa.

Nel 2010.

La storia tra loro è andata avanti due anni.

Anche se, sono sicuro, mia sorella ancora oggi pensa a lui.

Si sono conosciuti come usa adesso. Internet. Social Network. Chat. Videochiamate. Sms. Questa roba. Yuri Zormani abita a Milano. Vedo che annuisci, quindi immagino anche tu ne abbia sentito parlare. Non è un grande scrittore. Non è nemmeno uno scrittore di fama. Tuttavia ha pubblicato qualche libro e per case editrici vere. Fandango. Baldini Castoldi. Feltrinelli. In tutto ha pubblicato quindici libri – tra romanzi e raccolte di racconti. Nel 2010 Zormani aveva pubblicato una decina di romanzi – era appena uscito con Feltrinelli. Aveva quarantadue anni. Anche lui single incallito – o un bachelor, visto che ho usato spinster per Paolina. Non un brutto uomo. Alto sul metro e ottanta. Capelli ancora folti. Un tipo bruno. Magro. Abbastanza in forma. Non un gran fisico, ma ben tenuto. Gli occhi azzurri. Con una luce guizzante. Da persona tra l’intelligente e il furbetto. Il nasetto all’insù. Le guance sempre puntinate di barba non nascondevano una certa aria adolescenziale. Non ho grosse cognizioni biometriche o antropometriche, non ho simpatie per lustiani e caratterologi, né sono un frenologo filo-lombrosiano o credo eccessivamente nella fisionomica e nella morfogenetica, ma osservando la fotografia di Zormani mi veniva il sospetto fosse una persona viscida, falsa, doppiogiochista. Trattandosi di uno scrittore, però, sospendevo il giudizio. Gli artisti hanno teste assai particolari.

Non appena ho saputo dell’interessamento di Zormani per Paolina, ho acquistato qualche romanzo. L’ho fatto perché mi creava una serie di emozioni il fatto che un intellettuale si vedesse con mia sorella. Non saprei dare un nome preciso a queste emozioni. Li chiamerei sentimenti contrastanti. Sono romanzi particolari. Lo stile non è dozzinale. Si capisce dall’uso della punteggiatura. Dalla sintassi diversa. Dall’uso di un ampio vocabolario. Anche i riconoscimenti che i suoi libri si sono guadagnati provengono da circuiti d’elite. Sulle bandelle delle edizioni che ho acquistato campeggia spesso la parola inglese autofiction oppure in spagnolo autoficcion. Ho fatto una ricerca e ho scoperto che l’autofiction è una corrente letteraria dell’ultimo trentennio. Sono storie intrecciate al lirismo, all’intimismo e all’autobiografismo. Nella decina di opere che tengo in casa, il narratore parla in prima persona almeno in sei di esse. Nelle altre c’è la terza persona. Anche in questo caso, però, le storie si ambientano nella città dell’autore e ci vuole poco per sospettare che i fatti e i personaggi descritti provengano da qualche esperienza diretta di Zormani stesso. Mi sono interessato alla questione e ho parlato a un esperto: un professore universitario di Pavia. Mi ha spiegato che l’autofiction è una pratica ambigua dove l’autore mescola dati reali, biografici, persino anagrafici a elementi di finzione. I fatti sono minimalisti. Molto vicini a quello che potrebbe accadere realmente all’autore. Perciò è difficile stabile se ciò che l’autore racconta è solamente verosimile o è vero tout-court. Ho fatto ricerche negli archivi di Internet. Recensioni. Interviste. Saggi dell’autore stesso. E’ saltato fuori che per sua stessa ammissione l’autore si sia ispirato a fatti e personaggi realmente esistenti. Amici. Parenti. I romanzi di Zormani hanno, quasi sempre, toni da commedia leggera. Parlano di persone matte. Strambe. Con mestieri spesso stravaganti. Mi chiedevo se frequentare una persona così avrebbe fatto bene a mia sorella o meno.

Come ispettore m’interesso sempre delle persone che vengono a contatto con i miei familiari. Lo faccio per una sorta di deformazione professionale. Lo faccio anche per paranoia, ammetto. A volte penso che qualcuno possa avvicinarsi a mia figlia o mia sorella, i miei genitori persino, la mia ex-moglie, per poter arrivare a me. Chiedere favori. Giustiziarmi in un vicolo. Poco fa hai detto che ti sembra incredibile un uomo come me indichi quali peggiori nemici i parenti più stretti; ma non sono uno stupido, in qualche angolo del mio inconscio c’è una parte del mio io gettato in una camera e tremante, e ha paura di tutto quel che ha fatto fino a oggi. Cerco di non lasciare che le paure stipate nell’inconscio bussino troppo forte. L’esperienza dell’analisi da anni mi aiuta. Anche questa esperienza qui con te mi aiuta. A pensarci non esiste psichiatra migliore di chi ti punta una pistola sulla faccia e ti dice vuota il sacco. Durante le sessioni di analisi non ho mai parlato in questi termini dei miei familiari. Anche perché nessuno mi ha mai rivolto una domanda così precisa, e se vogliamo assurda, come la tua. Chi potrebbe volere il tuo male al punto da farti fuori? Sono cose che si sanno orientativamente. In pochi ci si mette a ragionarci. Se lo facessimo, saremmo noi, i matti. M’interesso alle persone che vengono a contatto con i miei familiari, a te posso dirlo, anche perché sono un ficcanaso. C’è un pizzico di cattiveria. Voglio sapere per il gusto di sapere. Capire per il gusto di capire. Tenere sotto controllo per il gusto di tenere in scacco.

Zormani poteva rappresentare una minaccia per Paolina?

Il fiuto mi diceva di sì. I campanelli d’allarme dentro di me trillavano e trillavano. Qualcosa non tornava nell’interessamento di Zormani a mia sorella. Come mai un uomo così affermato e intellettuale s’invaghiva proprio di mia sorella? Fino a quel momento Paola si era portata a casa solo disoccupati e sfaccendati, mai persone vicine alla cultura. Cercava qualcosa di diverso dal suo lavoro. Non condivideva le sue passioni con gli altri. Le teneva per se stessa. Poche volte abbiamo parlato di letteratura – Checov piuttosto che Schiller. I campanelli trillavano e trillavano. Miracoli dei social network, pensavo. Due menti distanti tra loro e a diversi gradini della scala socio-economica venivano in contatto, si riconoscevano e… s’innamoravano. Paolina era felice. Ma i campanelli trillavano.

Mia sorella ha cominciato a cambiare. Prima il look. Inizialmente pensavo fosse un segnale positivo. Basta con il look maschietto, il trucco appena accennato, le cravattine, le giacchette, i pantaloni e non la gonna. Paola si è fatta crescere i capelli oltre le spalle. Si metteva minigonne. Vestiti con scollature. Mostrava il seno. L’ha sempre avuto, il seno. Una terza. Usava push-up. Un po’ assurdo che ti faccia queste descrizioni. Basterebbe accendere la luce e potrei mostrarti le fotografie della mia ex-moglie, di mia figlia e mia sorella. Sebbene l’abbia indicata come la numero due della lista dei miei peggiori nemici, tengo fotografie di mia figlia un po’ ovunque in casa. Anzi, una è appesa anche al muro dietro al televisore. Non puoi vederla a causa della luce troppo bassa. Quanto alla mia ex-moglie, no, di lei non tengo più foto da nessuna parte qui in casa. Ma ho gli albi fotografici nel terzo cassetto del mobile alle tue spalle. Li tengo con altre cianfrusaglie. Di Paolina ho una foto assieme a me e Selene sul tavolino della camera da letto. Quella dove sta Consuelo imbavagliata. Col televisore sintonizzato su un canale dei cartoni animati mentre tu e io siamo qui a parlare. Spero non le abbia fatto del male o qualche sconcezza. Non te lo perdonerei. Farei in modo di fartela pagare anche dall’oltretomba, Donna Nera.

Paolina, comunque, è sbocciata. Come un fiore. Dopo i primi tre mesi, però, ho preso a pensare fosse un fiore del male. Ha cominciato con strane tinture di capelli. Rosa. Verde. Blu. Poi si è fatta tatuaggi. Anche qui, all’inizio solo tatuaggi ad acqua; ma poi è passata a farfalle, roselline, draghetti. Tatuaggi veri. Non era da Paolina. La Paolina di prima non lo avrebbe fatto. Inoltre ho fatto qualche domanda al Don della parrocchia dove mia sorella era solita recarsi a Messa la domenica. Il Don mi ha detto di non vederla più con la frequenza di prima. Perciò Paolina stava cambiando. La fede era una delle sue abitudini incrollabili. Stava diventando un’altra. Era chiaro che non stesse solo cercando di rendersi più sexy per il suo fidanzato. Anche il modo di parlare. Pronunciava le “e” più larghe. Ed era più sboccata. In un certo senso, ora che si era messa con un uomo molto più simile a lei degli uomini precedenti, era lei che stava diventando più simile ai suoi uomini precedenti. Messa così, una metamorfosi abbastanza interessante. Del resto, ha un suo senso. Un intellettuale è spesso intrigato dall’estraneo. Lavorando in una libreria Paolina era sempre stata l’intellettuale rispetto agli uomini che frequentava. Perciò sapeva bene cosa interessasse al suo simile: di certo non qualcuno dove rispecchiarsi; ed ecco il motivo del suo processo di alienazione.

Questa teoria, però, per quanto dotata di un suo fascino, era lontana dalla verità. Altri erano i motivi alla base del mutamento di Paola. Così come è successo per mia figlia e mia moglie, sono arrivato a cogliere il senso della rivoluzione operata da mia sorella poco per volta. E’ dovuto trascorrere un annetto prima che riuscissi a farlo. Tra il 2010 e il 2012 ero impegnato a dare la caccia a Emilio Barapinetti e a Michele Rotano. Sono finito diverse volte sui giornali nazionali e sui Tg. A volte cercavo di indurre Paola, nelle nostre conversazioni, a farle dire se Yuri Zormani volesse sapere di me. Paola rispondeva con accenni vaghi. No. Non parlavano di me. Mi domandavo se mia sorella mi dicesse la verità o se fosse brava a non cascare nei miei trabocchetti da investigatore. Zormani voleva arrivare a me? Era sincero? Ad ogni modo i casi di Barapinetti e Rotano, nonché la questione di Selene, mi tenevano occupato. Non riuscivo a interessarmi più che tanto alle vicende di mia sorella, benché ogni volta che mi avvicinavo a lei e le parlavo un po’, nella mia testa fosse tutto uno scampanellio.

Tra il 2010 e il 2011 oltre al look Paola ha cominciato anche a mutare abitudini di vita. Era diventata vegana. Quando m’invitava a casa sua, mi metteva sul piatto la suola vecchia e bucherellata di una scarpa e mi diceva mangia. La suola vecchia, Paolina la chiamava seitan. Una volta mi ha presentato un piatto di alga kombu da condirsi con salsa shoyu e tamari. L’insalata di avocado e pomodori piaceva anche a me, anche se Paola ci spremeva sopra troppo limone. Andavo matto, invece, per le polpette di ceci. Pasta al pesto sempre gradita. Anche lei, come Elma, si è iscritta a Bungee Jumping. Anche lei si era messa a fare Down Hill. Ora che ci penso mi viene in mente, per la prima volta, un collegamento con Elma. E’ incredibile non l’abbia fatto prima. Magari devo averlo fatto, considerandola solo una coincidenza; successivamente devo averla rimossa. Del resto, Paolina e Elma si detestano. Un fatto di pelle – alquanto inesplicabile. Ora che la considero meglio, però, mi chiedo se per caso Paolina non avesse preso a modello Elma allo scopo di sedurre Zormani. Forse c’entra qualcosa con un Edipo irrisolto nei confronti del fratello maggiore. Paola si stava trasformando in un personaggio simile alla mia ex-moglie al fine inconscio di compiacermi. Il che mi porta a chiedermi se per caso tra me e Zormani non ci fossero più affinità che differenze. Del resto anch’io qui in casa ho romanzi di Maigret e Key Scarpetta. Sono anche un amante di Sciascia. Non sono un intellettuale, ma non disprezzo la letteratura – specialmente quella gialla e noir. Anzi, ritengo che la letteratura migliore di questi anni sia proprio quella riconducibile a questi generi e che quella praticata da Zormani sia una letteratura spesse volte falsa, pretenziosa. Anche se forse questo, alle orecchie di uno specialista, potrà sembrare il giudizio raffazzonato di uno zoticone. Zormani e io eravamo molto più simili di quel che volevo ammettere. Dopotutto, come facevo confronti con me stesso allorché venivo a conoscenza di un nuovo fidanzato di mia sorella, Paola potrebbe aver fatto ugualmente con Elma. Com’era possibile che avessi scelto di sposare una donna tanto esuberante a fronte di una sorella così ordinaria – e più simile, per certi tratti, a Selene? E gli sfaccendati che Paolina si tirava in casa? Forse mi assomigliavano? Non si collocavano, invece, su linee discordanti rispetto alla mia figura di uomo di legge? Forse, sbocciando, Paolina aveva mostrato ciò che era stata da sempre: una persona assai simile a Elma, la donna che ho amato al punto di portarla all’altare, sia pure complice la nascita di Selene. Paola simboleggia Selene e Elma. C’è un po’ di entrambe in lei; e la presenza di Zormani l’aveva portata sul versante di Elma. Del resto, anche Selene, come ho raccontato, si è mostrata capace degli estremismi della madre. Questo mi porta a chiedermi se non sia stata la mia presenza a determinare questo sommovimento tellurico nelle vite delle mie tre donne. Zormani è un terremoto nella vita delle persone. Così lo sono io, con i miei spettri, e gli angeli neri. Il mio fiuto. Lo scampanellio. Tontelliano e Bellomponci. Vernicchiani. Barapinetti. Rotano. E tra gli altri angeli neri, quello più tenebroso: tu, Donna Nera. Un uomo pieno di demoni è un demone. Ho fatto molto male, alle mie donne. Per questo ce l’hanno con me.

[…]

Terzo nemico: la sorella (II)

Mia sorella si è iscritta a equitazione. Tuttavia cavalcare palomini deve esserle sembrato troppo banale per finire in uno dei romanzi di Yuri Zormani. Così si è iscritta a softair. E’ un’attività ludico-sportiva basata su tattiche militari. Sono sempre stato scettico sul softair. Ho sempre fatto a Paola battute sarcastiche. L’idea che si facesse finta di fare la guerra e questo potesse essere un diversivo (diversivo da cosa, dato che la quotidianità è fatta di scontri e conflitti?) solleticava il mio sense of humor. Perché non inventarsi uno sport dove si simulano rapine? O scippi? Perché non giocare al grande gioco degli inseguimenti senza quartiere? Simulazioni. Potrebbero persino tornare utili. Per trovare il dominio delle passioni. Nella mia carriera ho conosciuto molte persone dotate di grande cultura e d’intelletti vasti. Persone dotate di etica. Ma messe difronte alla realtà, ho visto queste stesse persone capitolare. Come se si scordassero di colpo Voltaire e Locke. Persone che, debitamente provocate dagli eventi, diventano irose e intolleranti, opportuniste e vanagloriose. Tutte le loro letture, difronte allo scatenarsi delle passioni, finiscono in fumo. Leggere non serve a niente. Le speculazioni astratte non servono. Bisogna viverle, le situazioni. Solo così si può imparare il dominio delle passioni. Hai citato Cartesio. Be’, Kant distingueva tra sensi e intelletto. Sono due cose diverse. Soltanto avendo fatto la stessa esperienza sia con i sensi che con l’intelletto, la ragione è in grado di conoscere. Le simulazioni possono aiutare il dominio delle passioni. Chiamiamole esercitazioni pratiche. Studi i principi contenuti nella Lettera sulla tolleranza di Locke e poi ti metti alla prova stando con estranei. Studi i principi contenuti nell’Emilio di Rousseau e poi ti metti alla prova. Mia sorella rideva. Diceva che più avanzavo con l’età e più stavo specializzandomi in sermoni.

Paola è entrata a far parte di un team qui di Broni. Si chiama Cuori di Tenebra. Sul sito c’è una slide che mostra fotografie piuttosto allarmanti. Nulla che rinviino a un’idea di gioco e divertimento. Soldati in primo piano con mitragliette e fucili mitragliatori. Altri con equipaggiamenti degni dei marines. E una strana scritta ad accompagnare le immagini. In latino. L’ho memorizzata. Lorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipiscing elit. Mauris ac vehicula sapien. Phasellus bibendum iaculis orci et vehicula. Morbi in mattis elit. Non saprei dire da dove provenga. Né se sia latino maccheronico. Comunque lo trovo un particolare che rivela ancora meglio il fanatismo di questi cosiddetti Club. Ecco mia sorella partire per qualche campionato urban denominato “Kill’em all”. Vedendosela con team provenienti da tutta Italia. Bull dog. Freedom Fighters. Volpi nel deserto B. Bounty Hunters. Jena Corps. Branco Selvaggio. Tactical Squad. Nomi tosti. Molto seri. Niente di ricollegabile a toni scherzosi o giocosi. Aveva acquistato anche l’adeguata attrezzatura. Tra gli oggetti che mi hanno colpito di più ricordo una torcia con gelatina rossa e verde per segnalazioni. Una borraccia a vescica. Questo camelback aveva una capacità di tre litri e mia sorella se lo posizionava sulla schiena utilizzando una cannuccia per abbeverarsi. Un visore notturno. Un paio di anfibi. Un GPS e una bussola. E poi le armi. Molto realistiche. Mia sorella mi ha parlato anche di carri armati e di un elicottero. Ovviamente questi scontri avvengono in modo pacifico e sotto gli occhi delle autorità competenti. Ma, lo stesso, non hanno nulla di rassicurante. Sono stato a un passo dall’aprire un fascicolo sui casi softair non dichiarati. Cosa accade se questi si riuniscono senza dirlo alle autorità? Non è detto che vengano scoperti. Non subito, almeno. Mia sorella aveva un M15A4. Qualsiasi Air Soft Gun spara pallini ad aria compressa di 6 millimetri di diametro. Il materiale dei pallini è plastica o ceramica. A volte, mi ha spiegato, ci sono pallini d’acciaio e piombo, ma sono severamente vietati in contesti di gioco. Con questo sport Paola è andata avanti due anni circa. Sei mesi di equitazione trascinandosi dietro Zormani e poi softair, sempre con Zormani al seguito nella parte di “curioso”. Non sono mai andato di persona. Ho un nome, dopotutto. Non posso rischiare di sporcarmelo così.

Non ancora soddisfatta Paola ha anche fatto di più. Lavorava in libreria a tempo pieno. Ma dal 2011 ha cominciato con un part-time. Aveva messo da parte denaro a sufficienza. Inoltre proviene da una famiglia agiata. Ha sempre lavorato più che altro per senso del dovere e passione. Ora, però, poteva permettersi, stando a quanto diceva, di rallentare. Pensavo volesse un part-time per avere più tempo con Zormani. Forse voleva andare a convivere con lui oppure stavano pensando di avere un bambino. Mi sbagliavo. Dopo un paio di mesi Paola ha fatto due cose. Ha trovato lavoro part-time in una gioielleria (cosa che le ha consentito di avere due lavori, tra l’altro in un periodo di crisi: cosa che la allontana parecchio dall’assomigliare a Selene) e si è iscritta a un poligono di tiro. Lo scampanellio nella mia testa ha cominciato a diventare quasi insopportabile. Questi due eventi non potevano non essere collegati. Paola ha trovato lavoro come commessa in una gioielleria così da avere un motivo per valido per fare richiesta di un porto d’armi e acquistare una pistola vera. La gioielleria dove lavorava, infatti, ne teneva una in un cassetto in caso di rapina. Inoltre lavorare come commessa in una gioielleria aveva fornito a Paola il pretesto per qualche pensiero paranoico. Che cosa sarebbe accaduto se qualcuno l’avesse seguita e costretta a farsi aprire il negozio chiuso? O altre assurdità della serie. Fatto sta che mi ritrovo con una sorella di trentacinque, trentasei anni che quasi dall’oggi al domani si fa ora qualche week-end di Down Hill, ora qualche giornata praticando Bugee Jumping e ora softair in un team di semi-nazisti; e non contenta va al poligono di tiro e gira con una bomboletta di spray al pepe nella borsa e ha in casa e in negozio una pistola. Ha acquistato una calibro 22. Me l’ha anche fatta vedere. E tutto questo per cosa? Non lo so. Forse perché stava sbarellando di brutto e basta. Più verosimilmente a causa dell’ingresso nella sua vita di Yuri Zormani.

Facendo qualche controllo su di lui sono emersi particolari non allettanti. Una storia strana. Zormani è figlio di genitori ebrei. Il padre di Zormani è morto quando suo figlio aveva quattordici anni. Ha lasciato un’azienda di cancelleria. L’azienda è rimasta in attività per una decina d’anni. La tirava avanti la moglie del padre di Zormani. Ma evidentemente con scarse capacità. L’azienda ha dovuto dichiarare fallimento e chiudere. Per la famiglia Zormani composta da Yuri e sua madre Giuditta è cominciato un periodo nerissimo. Giuditta aveva accumulato debiti su debiti. I creditori mandavano lettere e la cercavano senza tregua. Non era da ebrei questo genere di situazione, ma tant’è. Per anni Giuditta è riuscita a non pagare nemmeno una lira, poi trasformatesi in euro. Nessuno sa con certezza cosa sia accaduto. Forse Giuditta era finita nelle mani degli strozzini. Forse la donna si rifiutava semplicemente di pagare e anche dopo tanto tempo nessuno l’aveva trascinata in un tribunale. Una faccenda quasi ai limiti dell’inverosimile. Tuttavia esistono testimoni. C’era chi parlava di un ammontare di debiti pari a trecentomila euro. Zormani e sua madre, anche negli anni più bui, hanno condotto una vita agiata. Zormani ha studiato all’Università Cattolica di Milano. La retta di quell’università è una stangata anche per le famiglie facoltose. Ebbene, Zormani se l’è fatta in quattro anni, prendendosi una laurea in Lettere Moderne. Nel periodo universitario ha vissuto a Milano. Bruciava venticinquemila euro l’anno, secondo quanto mi raccontava a volte Paolina, ridacchiando un po’. Quando Giuditta Zormani (il cui nome da nubile era Arrise) è passata a miglior vita a causa di un carcinoma, Yuri Zormani non ha accettato l’eredità. L’asse ereditario era sforacchiato di debiti.

Sull’eredità di Giuditta Zormani circola anche una storiellina. Giuditta avrebbe fatto testamento in favore di un cugino tedesco. Ovviamente si trattava di una presa in giro. Giuditta e suo marito, nonché Yuri, non avevano mai gradito che questo cugino si integrasse nella società tedesca, dopo gli anni della shoa. Forse il testamento non era nemmeno valido. In ogni caso questo cugino l’ha rifiutato, e lo stesso ha fatto Yuri Zormani. E così si sono premurati cugini e parenti nei vari gradi coinvolti in questa pestilenza d’eredità. La storia in sé, per quanto spiacevole, rientrerebbe nella normale amministrazione. Ma c’è un problema. A venticinque anni Yuri Zormani si mette con una donna molto più grande di lui (dieci anni) e, a quanto pare, la prosciuga. La donna si chiama Zorina Borgani. Nata e vissuta a Milano. Non una donna particolarmente abbiente, ma dotata di un patrimonio piuttosto consistente e soprattutto in preda a un innamoramento folle per Zormani. Tanto per dire, ogni volta che facevano un viaggio (India, Nepal, Katmandù, Bali) pagava la donna. Era una giornalista di uno dei maggiori quotidiani nazionali. Si dice che sia stato anche grazie a questo sodalizio che Zormani sia riuscito a sfondare come autore. Ad ogni modo questa storia durata circa due anni getta una luce diversa e più inquietante su Zormani. Non solo un individuo opportunista (gli artisti spesso possono avere profili psicologici come questo), ma anche parassitario. Facendo qualche domanda a Paolina ho scoperto che spesso era lei a pagare per questo o quello. Cose di poco conto, in realtà. Un cinema. Un teatro. Un viaggio in treno. Poteva anche darsi, tuttavia, che Paolina mi tenesse nascosti altri particolari.

Nel frattempo tengo anche d’occhio le pubblicazioni di Zormani. Yuri Zormani scriveva per quotidiani locali. Commenti su fatti di una certa rilevanza. Qualche volta su quotidiani nazionali, anche grazie alla conoscenza di Zorina Borcani. E qui e là pubblicava racconti. Era un po’ difficile rintracciare le sue pubblicazioni, perché non teneva un blog, e sui social network non parlava di nulla che lo riguardasse professionalmente. Spesso, anzi, li lasciava inattivi. Così ho dovuto abbandonarmi alle riviste letterarie. Qualche volta le ho portate anche in ufficio. Qualche collega mi ha motteggiato. Zormani non sembrava aver ancora menzionato mia sorella in nessuno dei suoi scritti. C’è solo un vago riferimento al Down Hill. Chissà che la strategia di Paolina fosse troppo scoperta e Zormani non abboccasse. Di sicuro la boccalona era Paolina. Lei credeva ciecamente in lui e vedeva in lui la possibilità di un riscatto da una vita mediocre, e poi proprio attraverso ciò che amava di più: i libri, la narrativa, la letteratura. Mi veniva sempre più il dubbio che Zormani si stesse prendendo gioco della mia povera sorellina.

Un giorno – nel 2012 – mia sorella finisce all’ospedale. Spalla destra rotta. Un paio di costole spezzate. Un altro paio incrinate. Successo a causa del Down Hill. Sono furibondo. Vado a trovare Paola. Ricordo che in quell’occasione ho anche trovato Elma. Avrei tanto voluto darle la colpa, ma l’ho trovata in uno stato di tale contrizione che ho lasciato perdere. Elma pensava già che la colpa fosse sua. Riteneva di essere stata un cattivo esempio per Paola. Le parlo. Sto un po’ con lei. E dopo un po’ mi ritrovo persino ad accusarla.

“Lo fai apposta a rovinarti così” le dico.

“Co…”

“Dai, Paolina. Lo sappiamo tutti e due. Lo fai per Zormani. Yuri” le dico.

“I…”

“Lo fai per impressionarlo. Vuoi che ti dedichi un romanzo o che ti faccia diventare una delle sue Muse”

“No… No. Non è così”

“Sì, invece. Sei cambiata. Totalmente. Pratichi attività strane. Fai cose che non facevi. E la musica?”

“Che musica?”

“La musica che ascolti. Dove sono finiti Bach, Chopin, Mozart, Vivaldi, Segovia, Morricone?”

“Ci sono ancora”

“Non è vero. In automobile adesso ascolti musica d’altro genere. Death metal, si chiama. Epic metal. Roba tosta. Con batterie, chitarre elettriche. Sono più vecchio di te, ma non sono un nonno. Non abito su un altro pianeta”

“Non capisco di cosa parli”

“Zormani. E’ lui. Ti sta cambiando. Capisco che gli vuoi bene. Che siete innamorati. Ma è negativo per la tua esistenza”

Sono a un passo dal ricordarle le dicerie che circolano su di lui e sua madre e su Zorina Borgati e sui soldi che qua e là si fa prestare – tra l’altro Zormani è un semidisoccupato, in questo allineandosi in pieno agli altri fidanzati di mia sorella. Anzi, sto per dirglielo chiaro e tondo: Zormani aveva manovrato sua madre facendole contrarre debiti che tanto si sarebbero estinti alla morte. C’è un’evidenza schiacciante. Alla donna un primo carcinoma era stato diagnosticato prima che gli affari in azienda andassero male. Non lo faccio, però. Non voglio ferirla. Sta parecchio male. Faccio qualcos’altro.

Mi presento a casa di Yuri Zormani. Lo faccio qualche giorno dopo che sono andato a trovare mia sorella in ospedale. Zormani abita in una via di Milano, in zona Brera, non molto distante dalla Biblioteca Nazionale e dalla Pinacoteca. Una giornata senza nuvole. Quando suono al citofono del suo bugigattolo, sono sicuro di trovarlo a casa. Affronto Zormani per la prima volta. Zormani ha lo sguardo colpevole. Preoccupato. Sa perché sono venuto in casa da lui.

“Vorrei parlarle di mia sorella” esordisco dandogli del “lei”.

Dopodiché ricordo di essere stato attirato da un volume di Anna Karenina di Tolstoj. Abbiamo parlato di letteratura per tutto il tempo. Sono andato via da quell’appartamento cencioso senza aver fatto una sola altra volta il nome di mia sorella. Oltre che di Tolstoj abbiamo parlato di Holderlin e di Artuad. Di Beckett. Di Yehoshua e di Grossman. Di Giorgio Bassani e di Vassilis Vassilikos. Più che altro ho ascoltato. Poi sono tornato qui a Pavia.

Da quel giorno la storia tra mia sorella e quell’uomo si è conclusa. Nei giorni di degenza in ospedale lui non è più andata a trovarla. Non si è fatto vivo telefonando. Si è dimenticato di lei. Mia sorella era in preda alla disperazione. Non ho fatto nulla, però, per rimetterla in contatto con Zormani. Per quanto doloroso il dente andava estirpato. Quando è uscita dall’ospedale, Paolina è andata alla ricerca di Yuri Zormani. Lui però è stato abile a non farsi trovare. Poi è partito per un viaggio in un altro continente. Anche i social network a nulla sono valsi per rintracciarlo. Ovviamente Paolina si è rivolta a me. Voleva che lo cercassi e che lo trovassi. Era persino disposta a pagarmi per il disturbo. Mi sono barricato dietro mille impegni, casi, criminali da incastrare.

“Lo so che sei contento che tra me e Yuri sia finita!” mi sono sentito accusare.

Non ho detto nulla.

Poi una notte ho ricevuto un sms. L’ho ancora. Di Paola. Mi diceva di aver ricevuto un e-mail da parte di Yuri. Le ha fatto riferimento al nostro incontro. Non so in quali termini; e, dopotutto, quali termini avrebbe mai potuto utilizzare? Abbiamo parlato del Dottor Zivago e del poema dei Nibelunghi, e niente di più. Nel messaggio di mia sorella, tuttavia, c’era scritto:

Sei stato tu. Tua è la colpa per aver cancellato l’amore della mia vita. Ti odio. E te la farò pagare.

(Tratto dal romanzo La notte della Donna Nera. Dimmi chi sono i tuoi nemici Il foglio letterario, 2016)

[Altri estratti, qui (il prologo), qui, qui. Il tema è il medesimo]

19 Risposte to “Famiglia”

  1. Luigi Zonta Says:

    Non ci sono commenti perché il post ha un titolo e un sottotitolo deterrenti: fanno pensare a un pretesto narrativo per un intervento su una stra-dibattuta, anche qui sopra, questione ‘del giorno’, anziché a quello che è, cioè un sostanzioso estratto di romanzo.

    Per cui uno comincia a leggere aspettando che si arrivi “al punto” (cioè all’opinione o alla polemica dell’A. sulle unioni civili, adozioni, etc etc etc), ma il punto non arriva e uno pianta lì.

  2. Marco Candida Says:

    Il post si intitola “Famiglia”. Se il post si intitolasse “Famiglia e unioni civili” allora Luigi Zonta avrebbe ragione. Ma il post si intitola “Famiglia”. Il sottotitolo serve solo a rammentare che in questi giorni si è parlato di “famiglia” per differenza e opposizione rispetto a “unioni civili”. Pertanto il post tocca un argomento di cui si è comunque sentito parlare in questi giorni.

    Adesso scommetto un milione di vecchi marchi che Luigi Zonta scriverà un commento dicendo che ho ragione io. ;-D

  3. Luigi Zonta Says:

    E che cos’altro potrei scrivere, dal momento che non hai detto altro da quello che già avevo detto io? 🙂

    Cercavo di spiegare perché il post non avesse commenti, quindi probabilmente pochissimi lettori. A me sembra un peccato, ma contento tu…

  4. marcocandida Says:

    Ecco, appunto, ho perso un milione di vecchi marchi.
    L’estratto del romanzo, Luigi Zonta, serve a segnalare l’esistenza di un libro. Questo libro è sulla famiglia. E’ un libro assai cupo. Non tanto perché abbia personalmente esperienze familiari cupe. Ma perché vedo e so. Le coppie scoppiano in continuazione. Si bisticcia. Gli amori si tramutano in odio. L’altro giorno sentivo per radio un importante presentatore televisivo condannare il femminicidio. Costui si è sposato quattro volte. Quando uno si sposa quattro volte, ha almeno bisticciato e rotto qualche piatto per quattro volte. Sì, non è arrivato al femminicidio. Questo è vero.

    La famiglia non esiste come concetto astratto. Esistono solo casi isolati. Questo è tanto vero se si tiene presente la celeberrima frase con cui Tolstoj apre Anna Karenina “Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice lo è a modo suo” quanto, è vero, tenendo anche presente un romanzo come Lessico familiare della Ginzburg. Parafrando Tolstoj si potrebbe dire: “Ogni famiglia è famiglia a modo suo”.

    Si vuole regolare un fenomeno difronte al quale non sono possibili operazioni di astrazione.

  5. Luigi Zonta Says:

    L’estratto del romanzo, Luigi Zonta, serve a segnalare l’esistenza di un libro.

    Guarda che l’ho capito benissimo. Ho detto che, secondo me, così com’è presentato qui sopra, non sta adempiendo alla sua funzione, segnalare l’esistenza del libro.

  6. RobySan Says:

    (Non so perché, ma mi scappa da ridere).

  7. marcocandida Says:

    Luigi Zonta, sembra che per lei “segnalare l’esistenza di un libro” e “parlare di un argomento di attualità” si escludano a vicenda. E’ così?

  8. Luigi Zonta Says:

    No, non è così.

    Sto dicendo che questo post ha tutta e solo l’aria di parlare di un argomento di attualità e non di segnalare l’esistenza di un romanzo, per via del titolo e del sottotitolo scelti.

    E siccome di quell’importante argomento di attualità si è parlato da ultimo fin quasi alla nausea, anche in questa sede, io penso che quella presentazione, in cui tutta l’enfasi è messa sull’argomento d’attualità, abbia distolto molti lettori del blog, di solito così pronti a commentare, dal leggere il post – cioè la presentazione del romanzo: tant’è che a commentare il post siamo qui solo tu, che ne sei l’autore, e io, che sono un ossessivo-compulsivo.

    Mi sono spiegato? A questo punto sono quasi certo di no. E sì che, pur non essendo romanziere, presumo di esprimermi abbastanza chiaramente.

  9. Marco Candida Says:

    Ma il post, Luigi Zonta, parla di un argomento di attualità! Parla di famiglia. Come glielo devo ripetere? Il dibattito sulle “unioni civili” che cosa diavolo è stato se non un implicito spottone alla vita familiare? Sposiamoci. Adottiamo figli. Viviamo insieme. E’ così bello… E’ ciò che desideriamo. Dopodiché quello che abbiamo sono coppie che scoppiano in continuazione. Tiritere dagli avvocati. Amori che si tramutano in indifferenza quando non odio. Di qua abbiamo persone desiderose di vivere insieme e di là persone che se ne fuggono una dall’altra. Ma entrambe queste tipologie di persone sono accomunate dalla stessa cosa: queste opposte tipologie di persone desiderano. Desiderano un figlio. Desiderano lasciarsi. Desiderano stare insieme. Desiderano non stare più assieme. Desiderano impegnarsi. Desiderano fuggire senza pensare più a resposabilità.

    Per me non c’è alcun problema riguardo le “unioni civili” e le questioni connesse. Ma dobbiamo stabilire che cosa è “famiglia”. Giulio Mozzi mette “c.d.” Tolstoj ci dice che tutte le famiglie sono organismi a se stanti. Natalia Ginzburg ci dice che ogni famiglia ha un suo lessico – e lessico significa regole, significa etica. Quindi, qualcuno sa dire che cosa sia una famiglia? La risposta per adesso è “c.d.”.

    E poiché è “c.d.” vale tutto. La famiglia può essere tutto. Una donna alleva da sola tre figli. Non ha più il marito. Allora, che male c’è se un single addotta un bambino? Non è quasi lo stesso? Che male c’è se due uomini o due donne si occupano di un bambino? Di male nulla. Specialmente se a questi bambini (poi giovani e poi adulti; e un bambino fa presto a crescere, non dimentichiamolo) si garantisce una vita migliore di quella che hanno. E gli altri bambini? Quelli che non vengono adottati? Cosa ne facciamo? C’è sempre un fondo molto brutto in questi discorsi. Molto, molto brutto. Però, non lo vogliamo eliminare, quel fondo brutto. Quel fondo brutto lo diamo per scontato. Ma non sarebbe meglio che non esistesse alcun mondo migliore? Non sarebbe meglio lavorare in quella direzione smettendola di “desiderare”?

  10. gian marco griffi Says:

    Io fosse per me vi faccio adottare tutti da tutti, sposare tutti con tutti, basta che per pietà la si smetta di sfracellare le palle ovunque.
    (Sia detto senza niente togliere al romanzo di Marco Candida). Scusate lo sfogo.

  11. Luigi Zonta Says:

    Marco Candida, mi dispiace che tu mi dia del “lei”, che sull’internet è un modo per mostrare distanza, quindi un certo disprezzo.

    Per il resto, rinuncio davvero a spiegarmi: non intendevo minimamente discutere le tue idee o le mie a proposito di famiglia e matrimonio ma solo la presentazione, secondo me un po’ penalizzante, che il tuo pezzo ha ricevuto qui sopra; e ho insistito proprio perché Giulio Mozzi è sempre molto attento, e con molta sottigliezza, alle questioni retoriche delle strutture d’appello al lettore.

  12. marcocandida Says:

    Luigi, non c’è scritto da nessuna parte che “dare del lei sull’internet è un modo per mostrare distanza, quindi un certo disprezzo”. A parte che la “distanza” manifestata dal “lei” non è per forza “disprezzo”. Quel “quindi” non è giustificato. Ma poi non c’è alcuna regola di netiquette che imponga l’uso del “tu” sulla rete. Se vuoi che ti dia del “tu”, te lo do volentieri.

    La discussione che stiamo avendo qui c’entra eccome con il concetto di “famiglia” e “unioni civili”, anche se riguarda apparentemente tutt’altro.

    Tu hai affermato una cosa. Io ne ho affermata un’altra. Non ne veniamo a capo. A questo punto, interviene lo Stato, il quale legifera. E cosa fa lo Stato? Lo Stato dice che è vero che il titolo e il sottitolo che ho scelto per il post sono chiari. Ma è pur vero che c’è chi quel titolo e quel sottotitolo non li ritiene chiari e quel qualcuno va comunque tutelato. Va ascoltato.

    Non è diverso da quello che accade oggi in tema di “famiglia”. Perché è una questione di abito mentale, di cultura. Un abito mentale fatto di aleatorietà del concetto di verità, di relativizzazione, di soggettivismo. Un abito mentale che replichiamo in continuazione per le questioni grandi così come per le inezie. In tutto questo non c’è nulla di male fin tanto che non devo ottenere consenso. Ma se devo ottenere consenso, allora comincerò a riconoscere a ciascuno il suo pezzetto di verità. Qual è il rischio? Il rischio che si corre è quello di non essere in grado calcolare le conseguenze. Se riconosco diritti a soggetti che non si sono mai visti riconoscere diritti, quali sono le conseguenze delle situazioni che si andranno a creare? Sono in grado di prevederle? E poi, qual è, esattamente, il diritto che intendo riconoscere? Il diritto a essere un genitore? O il diritto ad avere un genitore?

    Sono agomenti molto delicati e in fondo ha ragione Gian Marco Griffi.

  13. Giulio Mozzi Says:

    Luigi, scrivi:

    …e ho insistito proprio perché Giulio Mozzi è sempre molto attento, e con molta sottigliezza, alle questioni retoriche delle strutture d’appello al lettore.

    Ma il pezzo è stato pubblicato da Marco, che ha le chiavi d’accesso a “vibrisse”. Tant’è che io me ne sono accorto dieci ore dopo. In Facebook (tieni conto che almeno l’80% delle visite a “vibrisse” ormai arrivano da Facebook) l’ho segnalato così:

    Clicca per ingrandire un po'

    Clicca per ingrandire un po’

  14. Luigi Zonta Says:

    Ecco, volevo dire che secondo me andava presentato come hai fatto tu su Facebook, dicendo subito cos’era, perché tu m’insegni 🙂 che l’orizzonte d’attesa non sarà tutto, ma è molto, anche per i post di un blog: di un blog, poi, composito e non di rado spiazzante com’è questo, non solo nei temi, ma nelle forme e nei modi di allocuzione.

    Il pezzo di Marco Candida, a me pare, avrebbe avuto da guadagnarci, anche se lui non la pensa così.

    Grazie a tutti e e due per l’attenzione.

  15. Marco Candida Says:

    Ma, Luigi, non ho postato questo estratto per “guadagnarci”. Volevo solo discutere ancora un po’ di “famiglia” e “unioni civili”.

  16. Giulio Mozzi Says:

    Eh:

    …un blog, poi, composito e non di rado spiazzante com’è questo, non solo nei temi, ma nelle forme e nei modi di allocuzione.

    Poi trovi una roba che ti spiazza, e protesti.

  17. Luigi Zonta Says:

    Se trovassi una cosa spiazzante e non mi spiazzassi, rendendolo noto allo spiazzatore, sarei uno sciocco o un lettore stolido, e io non sono né una cosa né l’altra.

    Osservo comunque che l’A. “voleva discutere (…) di famiglia” etc, invece si è finito a discutere d’altro, e solo fra lui e me; questo mi conferma in quanto sostenevoo fin dall’inizio, la scarsa funzionalità comunicativa dell’intero apparato 😉

  18. marcocandida Says:

    Il 18 aprile alle 14.00 parlo del romanzo su Radio Onda d’Urto – il romanzo, lo ripeto, è prevalentemente sulla “famiglia”. Sono in parola con una persona per presentare il romanzo a Carrara. Abbiamo già fissato la data: il 4 giugno. Questo in seguito alla pubblicazione del post intitolato “Famiglia” su Vibrisse. Detto questo, a difesa di Vibrisse, non certo della mia capacità di attivare apparati dotati di funzionalità comunicativa, per riprendere, Luigi, le tue parole, ti ringrazio per avermi dato la possibilità di esprimere qualche opinione su un argomento che mi sta a cuore tra un commento off-topic e l’altro. In effetti, se cominciassimo adesso il dibattito vero e proprio, io avrei già sparate tutte le mie cartucce. 😉

  19. Luigi Zonta Says:

    Ci hai “guadagnato”, contro la tua volontà, ma quindi avevi ragione tu. Ritiro tutto.

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