[Ennio Bissolati è un bibliofilo. Per vibrisse recensisce libri introvabili, dei quali sostiene di essere l’unico lettore. gm]
A volte gli editori si lasciano tentare dalla scrittura: così Giulio Einaudi, così Valentino Bompiani, così altri; e più spesso gli scrittori si lasciano tentare dall’editoria, e qui la lista sarebbe lunghissima: da Elio Vittorini a Vittorio Sereni, da Cesare Pavese a Italo Calvino, da Lorenzo Montano a Fruttero & Lucentini, eccetera, fino al recentemente scomparso Umberto Eco (dal 1959 al 1975 dipendente di Bompiani, e dipoi fino alla morte consulente): per un’informazione completa non posso che rinviarvi a questa vertiginosa lista, peraltro non aggiornatissima. Che dire dunque di Calogero Garlisi, universalmente noto come Lillo, fulcro gestionale di una pluralità di marchi editoriali (dal tecnico-professionale Novecento al “politico” Melampo, dal letterario Laurana all’elettissimo Versus destinato a palati giuridici), consulente aziendale di prestigio? Egli è popolarissimo in Facebook per una sua pregnante peculiarità: anziché, come tutti, farsi gli autoscatti (quelli che oggidì, orrendamente, sono chiamati selfie), Garlisi viaggia col fotografo appresso.
Non c’è evento della vita di Lillo Garlisi che non venga testimoniato da una fotografia: scorrendo solo gli ultimi giorni del suo Diario troviamo: Lillo che legge un libro pubblicato da lui stesso; Lillo che indossa la maglietta ispirata alla copertina di un libro pubblicato da lui stesso; Lillo che gioca a nascondino coprendosi il volto con un libro pubblicato da lui stesso; Lillo che con la bavetta al collo cosparge di ‘nduja un piatto non identificato; una copertina (probabilmente fasulla) della rivista Società civile con il ritratto di un Lillo poco più che decenne; Lillo che crolla addormentato sotto (sì: sotto, non sopra) un libro di Antonio Tabucchi; Lillo che si sostituisce a Voltaire (o Voltaire a lui, non si capisce bene) in un’incisione d’epoca; Lillo in compagnia di un candidato (sconfitto) alle primarie del Pd milanese; Lillo che scruta pensoso il mare tra Scilla e Cariddi; Lillo che raccoglie i limoni di Sicilia in Sicilia; Lillo che si occupa di di questioni di allevamento di mucche, di pastorizia, di formaggi e di ricotta nell’entroterra siculo; Lillo che legge un altro libro pubblicato da lui stesso; Lillo all’aeroporto di Palermo in maglietta zainetto e cappellino da baseball; Lillo che osserva accigliato un altro libro pubblicato da lui stesso; eccetera. Nessuna di queste fotografie ha l’aria di essere un autoscatto; e tutte (per lo stile artatamente trasandato, per l’occasionalità esibita, per la centralità del soggetto, per la fertile e ostinata connessione editore-libro, per tacer d’altro) appaiono senz’altro concepite dal medesimo occhio (che guarda) e scattate dalla medesima mano (che scatta, appunto).
In Una vita in posa Garlisi, con solerte narcisismo (ma un pudore residuo lo ha indotto ad affidare la pubblicazione a una casa editrice non da lui diretta), ha raccolto il “meglio del meglio” (parole sue) di tanta attività fotografica; integrandolo con una scelta di commenti elogiativi – apparsi sempre in Facebook – di mano prevalentemente (ma non esclusivamente) femminile. Il nome del fotografo – o della fotografa: chissà? – è celato sotto il due volte psèudico pseudonimo di “Elfie S.”: fasullo infatti, assai palesemente, il nome; e falso ciò che il nome lascia intendere, essendo (come si diceva sopra) le fotografie certamente non realizzate con l’autoscatto.
Per carità: non si può escludere che Garlisi, uomo di eccezionale prestanza nella lettura, abbia con questa operazione inteso offrire un omaggio a Martin Heidegger, quel Martin Heidegger autore di Essere in tempo. Meta-fisica della puntualità così freneticamente celebrato da Thomas Bernhard in Antichi maestri:
Ho visto una serie di fotografie che una fotografa di eccezionale talento ha fatto a Heidegger con quella sua aria da pingue ufficiale di stato maggiore in pensione che ha sempre avuto […]; in quelle fotografie Heidegger scende dal letto, si rimette a letto, Heidegger dorme, si risveglia, indossa i mutandoni, infila i pedalini, beve un sorso di mosto, esce dalla casamatta e contempla l’orizzonte, intaglia il bastone, si mette il berretto, si toglie il berretto dalla testa, tiene il berretto in mano, divarica le gambe, alza la testa, china la testa, mette la mano destra nella sinistra di sua moglie, sua moglie mette la mano sinistra nella sua destra, cammina davanti a casa, cammina dietro la casa, si dirige verso casa, si allontana da casa, legge, mangia, prende qualche cucchiaiata di minestra, si taglia una fetta di pane (fatto in casa), apre un libro (scritto in casa), chiude un libro (scritto in casa), si china, si stiracchia, e così via.
Se così è, ben sia; e al vostro umile bibliofilo sfugge (egli confessa) l’esatta portata iconico-filosofica dell’operazione. Fattostà che il tomo, rilegato in materiale simile per peso e consistenza al cemento armato, e quindi destinato a permanere nei secoli, per il lettore comune non riveste altra utilità che quella di complemento d’arredo (più fermaporte, data la mole, che pareggiatore di gambe di tavolo).
Si ringrazia Gabriele Dadati per la segnalazione dell’opera.
Tag: Cesare Pavese, Elio Vittorini, Fruttero & Lucentini, Giulio Einaudi, Italo Calvino, Lillo Garlisi, Lorenzo Montano, Martin Heidegger, Thomas Bernhard, Umberto Eco, Valentino Bompiani, Vittorio Sereni, Voltaire
25 febbraio 2016 alle 21:29
Ok, sei impazzito! 🙂 ciao.
25 febbraio 2016 alle 22:39
Gentile signora Claudia, alberga in tutti noi un pizzico di follia: non le pare?
26 febbraio 2016 alle 13:55
Ah, sì. Dalle mie parti di sicuro.
Buon cose, signor Ennio.