“Un quarto d’ora di anonimato”, di Has Fidanken

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di Ennio Bissolati

[Ennio Bissolati è un bibliofilo. Per vibrisse recensisce libri introvabili, dei quali sostiene di essere l’unico lettore. gm]

hasNon si può dire che il tema sia nuovo: tutti abbiamo letto, da ragazzini, in versioni più o meno sgraziatamente adattate o ridotte, almeno Il principe e il povero di Mark Twain, storia di un principe fanciullo che vuole per un giorno giocare a fare il povero e di un fanciullo povero che vuole per un giorno giocare a fare il principe (ovviamente il gioco avrà, ben oltre l’immaginazione dei due fanciulli, sviluppi tragico-patetici e finale consolatorio), o almeno l’autoparodia di questa stessa avventura inserita dallo stesso Twain all’interno di Un americano alla corte di re Artù (il protagonista Hank Morgan, intraprendente americano – del Connecticut, perfino – del tutto casualmente finito nei luoghi e nei tempi arturiani, convince il re a travestirsi da comune borghese per conoscere da vicino il proprio regno; seguiranno sviluppi tragico-patetici e finale consolatorio, c.s.); per tacere del film a episodi Il tifoso, l’arbitro e il calciatore, e in particolare l’episodio Il tifoso, protagonista un Pippo Franco figlio di padre romanistissimo nonché innamorato (Pippo, non il padre) della figlia di un padre lazialissimo, e pertanto costretto (letteralmente) a continui cambi di casacca che lo conducono (inevitabilmente) all’errore e all’equivoco e ad avventure tragicomico-patetiche destinate (lo immaginavate?) a un finale consolatorio. Il tema non è nuovo, dunque. Ma, per quello che il vostro bibliofilo ne sa, è la prima volta che càpita a un cane.

La trama: Merloh Costo, un cocker spaniel fulvo di tre anni, è protagonista (con l’idiota nome di Bobi) di un telefilm giallo prodotto negli Usa. Teoricamente, il protagonista sarebbe un arcigno commissario di polizia, vedovo di moglie suicida, un figlio quarantenne incapace di vivere e stremato dall’alcolismo, i genitori ormai esageratamente anziani e a carico (padre in Alzheimer, madre maniaca religiosa). Bobi (Merloh) è l’unico affetto sicuro rimasto al commissario; e, in più (e: com’è ovvio), è un genio della criminologia. I casi li risolve lui, per dirla tutta, lasciando talvolta (ma proprio talvolta) al commissario il contentino di una prova da trovare o di un grappolo d’indizi da far quagliare. Lo straordinario successo del telefilm (che ha sbancato negli Stati Uniti e sta – nel romanzo s’intende – per essere distribuito anche in Europa) rende la vita di Merloh un inferno. Non può uscire di casa, neanche per le rituali pisciatine, senza essere immediatamente cirdondato e assediato dai fan in cerca di un’impronta di zampa, di un selfie con le orecchie tese e la lingua fuori, o anche solo di uno scambio d’abbaiate (eh già: perché, tra i fan di Merloh, ci sono pure gli altri cocker). Una tragedia. E’ così che Merloh decide di fare ciò che ormai avrete ben capito che farà: tinta al pelo, occhiali neri, e si butta nel mondo. Per avere, come dice il titolo, il suo quarto d’ora di anonimato. Ciò che accadrà è quanto di più prevedibile: Merloh (che, al di fuori dei telefilm, è quanto di meno simile possa esistere a un investigatore) si troverà a dover risolvere un complicato caso sottopostogli da un bizzarro alano che, nonostante tintura e occhiali, lo scambia insistentemente per Bobi. Attraversando e riattraversando una New York innevata come solo New York sa essere innevata, il nostro Merloh inseguirà una verità investigativa ma anche (ehm: veltronianamente) una verità su sé stesso. E troverà entrambe.

Scoprirà, per esempio, che la vita del cane di strada non è tutta rose e crocchette come quella dell’attore del cinema. Scoprirà che esistono il freddo, la fame, la violenza, l’ingiustizia, la paura e il mistero. Scoprirà che le vie del bene e le vie del male sono infinite, e non riducibili ai tragitti casa-studios o casa-Central Park. Scoprirà lo sporco, la lotta, la fuga, il sangue, i denti. E quando tornerà a casa (per scoprire, lo dico en passant, di essere stato dichiarato ufficialmente morto: e infatti una veglia funebre è in corso nel salotto di casa attorno a una bara vuota) sarà un altro cane.

Che dire? L’autore, Has Fidanken, pare sia un giovane talento sfornato dalla più prestigiosa writing farm di Ostenda; la copia-pilota in mio possesso è stata stampata, avverte l’editore italiano, prima della revisione della traduzione. Possiamo dunque sperare che H. F. (e: si tratta di uno pseudonimo, avverte sempre l’editore) non scriva così male come ci è sembrato. Tuttavia la vicenda è sciapa, il montaggio sciapissimo, e l’espediente di affidare la narrazione proprio alla voce canina di Merloh Costo ci sembra, se ci è lecito usare un eufemismo un po’ enfatico, sciaguratamente sciagurata. Se di questo vanno in cerca gli italici editori che lamentano l’inettitudine italiana al romanzo, stiamo freschi.

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Una Risposta to ““Un quarto d’ora di anonimato”, di Has Fidanken”

  1. Ma.Ma. Says:

    Ahahaha! Non c’è verso, chi ha fatto questa pensata vive per forza in un suo mondo tutto fuori dagli sche(r)mi. E lei signor Bissolati non dovrebbe essere così severo…

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