“In su la cima”, di Eugenio Montile

by

di Ennio Bissolati

[Ennio Bissolati è un bibliofilo. Per vibrisse recensisce libri introvabili, dei quali sostiene di essere l’unico lettore. gm]

MontileAllora, facciamo un po’ di decifrazione. Eugenio Montile fu in vita un grande, grandissimo poeta: forse il poeta che più determinò il corso della poesia italiana tra il 2 novembre e il 31 dicembre 1975. Poi morì, come càpita a tutti. E lasciò delle carte, come capita a tutti gli imbrattacarte (capiterà anche a me, purtroppo). (Felice refuso: scrissi, e poi corressi, imbrattacarne: e si potrebbe commentare, con Poessoa: Il poeta è un tatuatore. Ma procediamo). Morì dunque il Montile, lasciò delle carte, alcune in casa alcune in mano agli amici, e come normalmente accade le carte furono via via pubblicate: in riviste, in collettanee d’omaggio allo scomparso, in un prezioso volumetto delle Edizioni del Rosso d’Uovo, e così via. Poi le carte finirono (con poche aggiunte) nel volumone delle Poesie complete, nella sezione Inedite – curiosamente ultima dopo le penultime Giovanili. A quel punto si poteva pensare che fosse finita. E invece no. E invece no, signore e signori. Perché pure i poeti, pure i sommi poeti, son venali. O quantomeno, devono campare.

Punto a capo. Il libro, l’idea di libro, racchiude un sogno di eternità. Soprattutto il libro di poesia. Ed è curioso che la più prestigiosa, la più potenzialmente eternizzante collezione di poesia mai pubblicata in Italia, I riflessi (quella che, accanto al Montile, pubblicò – per dire – Ungarelli, Totòmodo, Cane, Balestrucci, Pecoracci, Finestra, Zanzetta, e chi più ne ha più ne metta), sia pubblicata da un editore il cui motto è un richiamo alla caducità, all’imprevedibilità dei cicli umani e naturali. Dante, canto xiii del Paradiso, parla san Francesco:

   Non sien le genti, ancor, troppo sicure
a giudicar, sì come quei che stima
le biade in campo pria che sien mature;
   ch’i’ ho veduto tutto ’l verno prima
lo prun mostrarsi rigido e feroce,
poscia portar la rosa in su la cima;
   e legno vidi già dritto e veloce
correr lo mar per tutto suo cammino,
perire al fine a l’intrar de la foce.

Il Montile, dunque, per lunghi anni della vita dedicò ampia parte del proprio tempo a sollecitare dall’editore anticipi per libri da farsi (e mai fatti), compensi per consulenze talvolta effettive e più spesso fittizie, financo remunerazioni per lavori traduttivi che poi girava per l’esecuzione alla Musa o Musetta di turno (bell’uomo, bella voce tenorile, sguardo disincantato, gesto allusivo, postura nichilo-qoeletiana, il Nostro seduceva con naturalezza e quasi con nonchalance: anche in vecchiaia). E quando l’assegno arrivava, ringraziava da poeta: spedendo all’editore certe buste di riciclo (segno di tirchieria, più che di materiale povertà) piene di foglietti strappati, carte del formaggio, veline d’incerta provenienza, bustine di minerva, biglietti d’autobus eccetera, con su vergati di sua propria mano (e il tratto, d’anno in anno, si faceva più incerto, più tremolante) brevi componimenti, a volte (ma raramente) di ringraziamento e lode al benefattore, il più delle volte raccogliticci: fondi di cassetto, insomma, come quelle congerie di passamanerie, nastrini, rocchetti esausti, bottoni spaiati, ritagli inutili, spilli ottusi, e così via, che si trovavano un tempo (al tempo della mia gioventù; passata, ahimè!), nelle case piccoloborghesi, in certi anfratti di quei tremendi, orrendi mobilini a rotelle detti portacucito. Ogni busta accompagnata da un perentorio biglietto: da non pubblicare prima di tot anni dopo la mia morte.

E ora? Ora l’editore, essendo il Montile morto da mo’, con sommo autocompiacimento ha pubblicato come strenna natalizia del 2015 (in edizione tirata a mano e fuori commercio, su carta di pregio, in novantanove copie numerate da 1 a 99 più le classiche nove copie “di prova” numerate da A a I: il vostro bibliofilo ha ricevuta in omaggio, collezionisticamente gradita ma umanamente défaillante, la 47) la prima busta (non si sa a quanto ammonti la massa totale: ma la si teme abbondante, e ricicciabile per lungo migrare d’anni) di questi rimasugli: un’accozzaglia alla rinfusa di madrigalini di ringraziamento a denti stretti, appunti volanti, prove (fallite) per componimenti di maggiore impegno, stremate imitazioni di sé stesso. L’acme dell’orrore sta in certi sciagurati esperimenti autoparodici, dei quali non si saprebbe dire se siano beffe all’editore o veri mancamenti di senno. Un esempio:

   Saltando il pisolino
vagar per l’orticello,
sbirciare il serpentello
frusciare e scomparir;
   spiar sul muricciolo
rossicce le formiche
mai stanche i loro intrichi
sciogliere e annodar;
   guatar tra il tremolio
di ulivi e di cicale
come un gran pesce il mare
argenteo tremolar;
   e poi nell’orto chiuso
vagando, con stupore
sentire in me l’orrore:
volermi suicidar.

E il titolo? E il titolo, mancando indicazioni dell’autore, non è altro che il motto stesso dell’editore, che si considera vanesiamente dedicatario dell’intera faccenda. Ma se tutta questa rigatteria fosse davvero la “cima”, o la “vetta”, della produzione del Nostro – staremmo freschi. Molto freschi. E sai che danni per la poesia italiana, per tacer dell’export.

Nel frattempo, su questa roba qui s’organizzano convegni. C’è chi grida al falso patente; chi filologizza implacabile, e tanto gli basta; chi (bontà sua) la trova roba buona, magari un po’ tirata via ma buona; chi parla senza remore di demenza senile; chi sussurra la parola plagio. Ma intanto si fan pubblicazioni, utili alla carriera, e si fanno articoli nei giornali, oggidì pagati poco ma sempre utili a restare sulla cresta dell’onda – in su la cima, mi vien da dire. Quanto a me, bibliofilo ma non necrofilo, a questi miseri componimenti mi limiterei a rivolgere le celebri parole che Federico Ruysch profferì alle sue mummie: “Figliuoli, a che giuoco giochiamo? non vi ricordate di essere morti? che è cotesto baccano?”.

Una raccomandazione agli scrittori, e specialmente ai poeti: quando sarete morti, vedete di restare morti. Vi farà solo bene. E farà bene anche a noi, che leggiamo.

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26 Risposte to ““In su la cima”, di Eugenio Montile”

  1. RobySan Says:

    Bissolati, solo i morti normali restano morti. Altra sorte tocca al Poeta.

    P.S.: la postura nichilo-qoeletiana m’incuriosisce. Ci sono delle foto?

  2. Mery Carol Says:

    Quanti morti normali giacciono sotto montagne di versi ben più nobili di certi mancamenti di famosi senni!

  3. Giulio Mozzi Says:

    Però, Bissolati, questa volta non potrà sostenere di essere l’unico lettore dell’opera.

  4. acabarra59 Says:

    “ Mercoledì 12 ottobre 2011 – Letteratura è: trovare alla bancarellona una Bufera di Montale che forse era la prima edizione, ma poi preferire un Poemi in prosa di Arturo Rimbaud, Sonzogno, s. d. perché mi era più simpatico, e, per di più, costava di meno. (Che cos’è la letteratura, 49924) “ [*] [**]
    [*] Giulio, sappi che la tua verve mi stupisce.
    [**] Lsds / 695

  5. Ennio Bissolati Says:

    Gentile signore, lei che si firma acabarra59, la prego: non dia a Cesarina quel che è di Cesare.

  6. la matta del cortile Says:

    Mi sembra che l’evidente rabbia repressa sia rivolta principalmente all’editore che non al poeta, al quale forse l’ accomuna qualche caratteristica. Vogliamo costituire un comitato di recupero “poeti da salvare post mortem? “. Magari ci teniamo un Dante…

  7. liliana.defranchi Says:

    post. e chi mi dice che ennio bissolati e tu non siete la stessa persona, fusi in un’entità provocatoria ? sai, io sono la Matta…

  8. Ennio Bissolati Says:

    Gentile signora Liliana, le assicuro che il Mozzi e io siamo due soggetti ben diversi e distinti, per niente fusi e confusi. E poi, mi scusi: sulla scrittura del Mozzi tutti i critici, sia chi l’ama sia chi non la tollera, concordemente dicono che è scrittura elementare, dal lessico basico, a tratti quasi puerile. Tutt’altra cosa dallo scriver mio, di me che ho recensito quest’orrore solo perché avevo l’uzzolo di metter giù le parole passamaneria e portacucito

  9. RobySan Says:

    Il poeta è un tatuatore.
    Tatua così completamente
    che arriva a tatuarsi di dolore,
    del dolore che davvero sente.

    Solo per complemento della citazione di Fernando António Noneira Poessoa.

  10. acabarra59 Says:

    “ Lunedì 7 novembre 2011 – Poi sono sceso in cantina e ho scoperto che c’era stata l’alluvione. Nel senso che tutto era coperto di una disgustosa, puteolente melma nera, e in mezzo c’era anche una scatola, apparentemente chiusa ma troppo pesante per non essere piena d’acqua. Quando l’ho aperta ho visto che – orrore e raccapriccio – conteneva tutte le mie vecchie agendine, quelle, per l’esattezza, dall’inizio degli anni Settanta al 1984, quando ho cominciato ad usare quelle grandi. Tutta roba che, ovviamente, ho dovuto buttare – ho salvato solo un paio di piccoli timbri credo del bisnonno Egisto, qualche moneta, una scatolina di metallo per le sigarette. Insomma, ho perso quasi tutti i documenti del mio scrivere – diaristico – prima dell’avvento dell’elettronica – mi spiace soprattutto per quella del ‘74, con gli appunti del viaggio in Marocco, c’era anche un bel disegnino dell’Africa etc. Va anche detto che, a parte il dispiacere per la perdita, è stata un’occasione per constatare che, tutto sommato, le mie « antichità » sono poca cosa. Del resto, a pensarci bene, anche la mia vita è sempre stata poca cosa, quarant’anni fa come oggi – è esattamente per questo che una volta ho pensato che il mio diario, ovverosia la farraginosa congerie di materiali scritti che, da quarant’anni, vado accumulando e conservando – salvo riuscire a perderne anche un po’ -, potrebbe intitolarsi, invece che La visione del mondo, Ricordi di un impiegato. Che è uno che non può fare mai molto di più che fare, eventualmente, lo spiritoso etc. “ [*]
    [*] Lsds / 696

  11. dm Says:

    Ah, niente a che vedere con Ossi di feccia!

  12. GiuseppeC Says:

    Acabarra confessi, lei e’ famiglio di Bissolati, Dalcielo e Prestante!!

  13. L'esageratore Says:

    bellissimo.

  14. Cristian Says:

    no! è troppo!

  15. acabarra59 Says:

    “ 22 gennaio 1995 – « Sì, amiamo ogni confessione, ogni memoria, e non ci annoiano gli scrittori raccontandoci i loro amori e i loro odi, le loro gioie e i loro dolori. Ci sono molte ragioni per questo. Ne svelo due. La prima è che un diario, un memoriale, un libro di ricordi sfugge, alla fine, a tutte le mode, a tutte le convenzioni che si impongono alle opere dello spirito. Le memorie non sono opere d’arte. Un’autobiografia non concede nulla alla moda. Non vi si cerca che la verità umana. In secondo luogo occorre considerare che in ognuno di noi c’è un bisogno di verità che ci fa rifiutare, in certi momenti, le più belle fantasie. Questo istinto è profondo. Nasce con noi. Ecco le due ragioni principali per cui tanto amiamo le lettere e i “ petits cahiers “ dei grandi uomini, e perfino dei piccoli, quando hanno amato, creduto, sperato qualcosa, ed hanno lasciato un po’ della loro anima sulla punta della penna. » (Anatole France, La vie littéraire) “ [*]
    [*] Lsds / 697

  16. la matta del cortile Says:

    Gentile amico, al suo “uzzolino” regalo qualche chicca. Ho diverse scatole di cartone e di legno ed una tonda di latta sulla quale ho scritto LILLI CUCITO. Il contenuto , variopinto, vario e imprevedibile.Ho anche un vecchio uovo di legno per sistemare le calze. Il rammendo io lo considero una scommessa, una sfida, quasi. In questo tourbillon di usa e getta mi piace salvare il salvabile. E mi piace tanto stendere la biancheria tra un albero e l’altro,al sole. Trovo tanta serenità e verita nelle cose semplici dalle quali decollo,non so come ne’perchè verso spazi imprevisti. Mi creda, le auguro di provare questa gioia .
    E se penserà che sono matta, l’ho detto prima io.

  17. Cristian Says:

    dimenticavo: se posso fare una domanda privata: lei è quell’ Ennio Bissolati docente di italiano al Pujati di Sacile, anno scolastico 1997/98? E se è lei si ricorderà certamente di Flavio Zambon e tutte le vicende connesse! (il sottoscritto comunque è Cristian Miotto, “il piccolino”)

  18. gianlucatrotta Says:

    Ts ts, io ho letto un sacco di poesie di Montile, pure in classe. Ricordo che qualche anno fa, feci leggere una poesia del suddetto e una del suo quasi omonimo, senza rivelare chi fosse chi; e al gradimento vinse il Montile.
    Insomma, Bissolati: questa volta ci propina uno ormai canonizzato, direi.

  19. Ennio Bissolati Says:

    Gentile professor Trotta: la grandezza del Montile, finché fu in sé, non si discute. E se l’autore è canonizzato, ciò non toglie che il libro in questione sia di assai ardua reperibilità.

    Gentile Cristian: escludo, non essendo mai stato professore. Ma se anche fosse, spero di aver lasciato un buon ricordo.

    Cara signora Matta, io purtroppo devo accontentarmi dello stendino sul balcone. Ahimè! Ciò consegue dall’abitare nella metropoli.

  20. la matta del cortile Says:

    Ancora di più. Abito in una città ma per scelta di vita trasmigro e mi fermo il più possibile ( nei mesi meno ” turistici ” in una piccola isola che mi dà spazio e silenzio e tanto, tanto di più. Mi domando se lei riuscirebbe a viverci da solo sentendosi un privilegiato. Auguri per il suo bucato. la Matta

  21. ReginaPescatrice Says:

    Un bel pezzo di riflessione su pratiche che a volte possono essere inconsapevoli, come la lettura.
    Io Dostoevski lo ingollo a fiotti, Nabokov e Faulkner a felici sorsate, Proust a timidi centellini. Il dibattito “a io per io” sulle preferenze non l’ho mai intrapreso, per certi versi potrebbe sembrarmi grossolano, potrebbe perfino farmi vergognare. Ma sì, è il caso di pensarci su.

  22. la matta del cortile Says:

    Gentile Entità che vivi al di là della quinta di carta giapponese e ti muovi come nel gioco di ombre prodotte dalla lanterna magica, vorrei raccontarti un episodio strano .Stavo rileggendo l’articolo su Montile e le relative note a commento e mi sono trovata faccia a faccia con un’ipotesi pazzesca. E se – mi sono sussurrata- esistesse un essere che si chiama Giulio Mozzi e avesse tante, tantissime facce : Bissolati, Acabarra, dm., la matta,ecc.ecc. Se si fosse sciolto e ricomposto in un’unica nuova realtà? Una realtà nella quale ognuno di noi potrebbe aver aggiunto la propria la propria ? Quale sarebbe il risultato? Un ibrido insignificante o un’alchimia capace di mescolare le facce e formare un’opera musiva di singolare e significativa bellezza? Insomma, ti ho visto come uno strano bagatto
    che in quel momento era la somma di tutti noi , Giulio Mozzi compreso. Che strana favola…Mi consento di passartela perché ho la rassicurante patente di Matta . ( dalla mia Isola, è ovvio )

  23. Giulio Mozzi Says:

    Come si usa dire, cara Matta: io ci metto le facce.

  24. Matta del cortile Says:

    Come si usa dire, caro Bagatto : ma tu , sei arrivato al “dunque”? Hai individuato cioė il tarocco che ti rappresenta? ISono un percorso da Dedalo i meandri culturali e linguistici nei quali mi sembra vederti correrre e ancora non capisco se sei Tu o la persona che vuoi rappresentare o che ti piace usare come pedina dd gioco ( scarto la possibilità che “devi “usare , mi fa male, ti stimo molto ). Ti auguro di ritrovare tanta semplicità : nel grigio fossile di ogni giorno, nel bucato sullo stendino, in tutto ciø che senti volerti affossare. E che ci vuole, Giulio? Devi solo crederci e vedere “oltre”.
    Ma questa che vuole ? – penserai.
    Bene : forse sento che meriti ben altro . Di più, non dico. Ora puoi annoverare tra i tuoi says “anche”una matta con la minuscola.

  25. Giulio Mozzi Says:

    Quanto allo stendino, vedere qui.

  26. Matta del cortile Says:

    Ho visionato lo stendino. Non mi dire che a volte ti ci identifichi : non te lo permetto. Anche se fossi io l’ unica says in carne ed ossa in una partita a scacchi di pensieri. E la piů tonta, naturalmente. matta

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