[Ennio Bissolati è un bibliofilo. Per vibrisse recensisce libri introvabili, dei quali sostiene di essere l’unico lettore. gm]
Che la creativita nasca spesso dalle costrizioni, e luogo ormai comune. Cio che a molti sfugge e che ci sono costrizioni piu e costrizioni meno feconde. L’autore del romanzo Lomissione (il cui nomignolo – giacche non possiamo credere che “Giorgio Perecco” sia un nome autentico – rimanda evidentemente al nome – autentico, questo si – di Georges Perec, autore di quell’immortale capolavoro – e non solo della letteratura lipogrammatica – che e La disparition, La scomparsa nell’unica arditissima “traduzione” italiana esistente) sembra non essersene reso conto. Egli si limita infatti a omettere (fin dal titolo) la dove grammatica lo esige, l’apostrofo. Che razza di costrizione sia una costrizione che non e affatto una costrizione, ma una semplice omissione, ognuno puo immaginarlo. L’unico effetto e quello di un continuo intralcio all’occhio, come avviene nella lettura di certi autori semicolti che, per mancanza di carita, gli editori pubblicano senza nemmeno curarsi di evitar loro il ridicolo.
Ma la (goffa) imitazione perecchiana non si limita alla (fasulla, come abbiamo visto) costrizione. La storia narrata da Lomissione non e altro, infatti, che un rifacimento della celebre novella Bartleby lo scrivano di Herman Melville: e tutti sanno che sommando in una sorta di Kofferwort il nome di Bartleby (il personaggio melvilliano) a quello di Barnabooth (uno pseudonimo spesso adoperato da Valery Larbaud) Georges Perec produsse il nome di Bartlebooth, il milardario non proprio protagonista del suo capolavoro La vie mode d’emploi. Ne Lomissione (mai scriveremmo, e se ne capiranno le ragioni, “nell’Omissione“) agisce un giovane magazziniere d’un grande magazzino di prodotti di calzeria, perseverantemente impegnato a non fare nulla. Il suo lavoro consiste (meglio: consisterebbe) nel mettere al loro posto gli scatoloni di calze, calze a rete, collant, parigine, calzette a scomparsa, calzini, calzettoni, calze della Befana, eccetera che i corrieri quotidianamente consegnano al magazzino: ma il Nostro (privo di nome nel romanzo: si chiama “il magazziniere”, e ciccia) di fronte a ogni scatolone si domanda, tentennando la testa: “E questo dove lo metto? Dove lo metto? Beh, lometto”. E il lettore dovrebbe, immagino, nell’immaginazione dell’immaginario Giorgio Perecco, farsi una risata. In un delirio intertestuale tanto strampalato quanto inconsistente, il titolare del magazzino non e altri che Celesino Lometto, comprimario di Angelo Bazarovi (ancora un nome di ricalco, da quello del rivoluzionario russo Vladimir Alexandrovič Bazarov) nel romanzo (altro capolavoro vero: anch’esso, curiosamente, e una ragione ci sara nella mente di Perecco, con la parola “vita” nel titolo) di Aldo Busi Vita standard di un venditore provvisorio di collant. Dove poi Lometto finira col metterlo al nostro ometto, e cosa fin troppo facile da intuire; e ve la risparmio.
Suvvia. Se e vero che l’imitazione e una pratica fondamentale di qualunque artista di qualunque arte, e vero pure che raggiunta la maggiore eta bisogna distaccarsene, o almeno uscire dall’alveo della pedissequita per attingere il gran fiume dell’originalita. L’imitazione ha senso solo se e creativa: su questo concetto, nel mio umile ruolo di recensore di libri quasi inesistenti, e forse talora inesistiti, in qualche caso speranzosi di esistere, mai smettero di mettere l’accento.
Tag: Aldo Busi, Ennio Bissolati, Georges Perec, Giorgio Perecco, Herman Melville, Valéry Larbaud, Vladimir Alexandrovič Bazarov
20 gennaio 2016 alle 10:40
È fantastica! Daiii… dopo il terzo accento mancante, stavo per scrivere: “Occhio! È successo qualcosa al testo…” Per fortuna mi sono trattenuta. È geniale questa “recensione” e, cavoli, mi ha fatto ridere un sacco (ridere, non sorridere, cosa che di solito faccio poco). E per colpa di questo poi mi sono sentita una sfigata quando ho letto: “E il lettore dovrebbe, immagino, nell’immaginazione dell’immaginario Giorgio Perecco, farsi una risata.” Ma perdono tutto a chi sa fare tanto.
20 gennaio 2016 alle 10:52
Caro Bissolati, la mancanza di carita è certamente un’omissione argutissima e voluta dell’accento. Lei è un genio!
20 gennaio 2016 alle 10:56
Vi ringrazio, care signore: ma non esageriamo. Il genio è tutt’altra cosa.
20 gennaio 2016 alle 13:04
“ 29 giugno 1991 – Perec. Marie Josè. “ [*]
[*] Lsds / 675
20 gennaio 2016 alle 13:13
Il Bissolati secondo me in maniera imperdonabile omette il nome di Baricco e del Bartleboom di Oceano Mare. Ma un’omissione in un post che recensisce un volume che fa perno su un’omissione, e che omette a sua volta l’accento mi chiedo se possa chiamarsi ancora omissione, nel senso vieto in cui parliamo di omissione nella comunicazione ordinaria. Un capitale e un peso eccessivo di omissioni possono portare a infiniti e infinitamente interpretabili capolavori. Ho letto in una letteratura belga, che un grande del seicento fiammingo avrebbe scritto un’opera letteraria che ometteva tutto: a partire dal titolo, e dall’intero svolgimento. Impossibile capire, ad esempio, se fosse prosa o poesia. Indistinti i personaggi e la trama. Indistinti fino alla scompariscenza. Una copia dell’opera si trova (dicono i più informati) in un caveau di Bruxelles… pochi hanno potuto complsare il volume… forse a causa di qualche (ancor più sostanziale) omissione…
20 gennaio 2016 alle 13:51
Gentile Enrico: il fatto è che io, essendo un originale, diffido delle imitazioni. La saluto caramente.
20 gennaio 2016 alle 15:03
La stessa cosa che sostiene il mio amico Cesare Palladini da Bellaria.
20 gennaio 2016 alle 15:16
quel meraviglioso “caramente”…