[Ennio Bissolati è un bibliofilo. Per vibrisse scrive di libri dei quali sostiene di essere pressoché l’unico lettore. In certi casi, come questo, non stentiamo a credergli. gm]
A volte gli allievi superano i maestri: non è il caso di Telemaco Sampugnari, che nella prefazione a Il folle volo (Obituaria print, pp. 246: ma si tratta sostanzialmente di un’autoedizione) si dichiara allievo e financo in gioventù amico del celebre Anacleto Bendazzi, sacerdote dedito più alle bizzarrie letterarie che alle sacre orazioni – ma veramente non è degno nemmeno di legargli i lacci dei sandali. La nobile arte del centone è stata praticata lungamente nei secoli: si cominciò centonizzando Omero, ossia componendo nuovi poemi tutti fatti di versi suoi (ma suoi di chi, poi? Visto che Omero…); per tutta l’età di mezzo furoreggiò Virgilio, che in qualità di preteso quasi-profeta dell’avvento del Cristo fu saccheggiato a più riprese per rifare con versi suoi ora la Bibbia, ora certe vite di Santi, ora il Catechismo.
In tempi più recenti, si può citare almeno Fame di realtà di David Shields, pubblicato cinque o sei anni fa: un manifesto politico-letterario in 618 paragrafi quasi tutti “rubati” ad altri testi – a testi dei più disparati generi. Ma tutta questa genealogia illustre poco giova: perché il romanzo di Sampugnari – giacché di romanzo si tratta – è veramente orribile. Vi si narra nientemeno che il “folle volo” di Ulisse, l’estremo viaggio dell’eroe raccontato per sommi capi dall’Alighieri nel ventiseiesimo dell’Inferno: e il testo è composto unicamente (dice il Sampugnari, e non abbiamo ragioni di dubitarne) di frasi estrapolate dalle opere dello scrittore contemporaneo Fabio Volo.
Qualcuno dirà: “Eh, ma se il materiale di partenza è quello…”. No, no. Fabio Volo, ne convengo, più che uno scrittore, è un simpatico giovanotto che si è risolto in modo assai brillante il problema della pensione; ma, confesso, non riesco a pensare che il Sampugnari sarebbe stato in grado i costruire un’opera migliore se avesse deciso di saccheggiare le opere dei nostri maggiori scrittori contemporanei (che so: Michele Mari o Aldo Busi; Melania Mazzucco o Antonella Anedda; e così via). L’unica cosa buona, l’unica trouvaille degna di nota di questo libro, è il titolo. E letto quello, parola di bibliofilo, potete smettere di leggere. E passare ad altro.
Io, che ormai ho una certa età e comincio ad avere certi problemini, sono passato all’Ars honeste petandi in societate di Ortuinus Gratius. Un bel sollievo, non c’è che dire.
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8 gennaio 2016 alle 15:00
Scusa Ennio. Fidandomi ciecamente della tua buona vista (ah ah ho capito dopo che ho fatto una battuta, perché si sa Omero era… ammesso che Omero…). Anche un “Telemaco” che scrive di Odisseo/Ulisse, beh, mica fa schifo no? è forte…
8 gennaio 2016 alle 15:03
… per non parlare di “obituaria print”, una chicca… e qui un interesse personale: il Sampugnari ha pagato per farsi pubblicare? o si tratta di self? lo sai, Ennio?
8 gennaio 2016 alle 15:23
Lessi tempo fa del Sampugnari “Le donne, i cavallier, ecc.ecc.”, edito sempre da Obituaria print, testo che certamente il Bissolati conosce, e lo trovai abbastanza divertente. Il libro, che trattava delle vicende dell’Orlando Furioso, era composto da frasi estrapolate dai libri di Liala. Un’operazione azzardata, ma gradevole. Ringrazio comunque il Bissolati, per queste chicche letterarie che ci propone.
Il canto di Ulisse è il XXVI, ma probabilmente Bissolati l’ha…anagrammato.
8 gennaio 2016 alle 16:01
“ 1 ottobre 1991 – « Vincenzo Cardone era un frate domenicano del ‘500 che acquisì grande fama come predicatore e poeta. Poiché un difetto di dizione gli impediva di pronunciare correttamente la lettera “ r “, egli la eliminò dalle sue prediche così come dalle parole che compongono il suo poema La R sbandita. » (Dalla «Settimana enigmistica») “ [*][**]
[*] Stranezza per stranezza…
[**] Lsds / 656
8 gennaio 2016 alle 16:31
Canto XXVI, sì. Sorprende questo strabismo di Bissolati.
Le suggerisco comunque, Bissolati, a ulteriore declinazione del suo sollievo, la lettura di questo interessante trattatello:
L’arte di petare ovvero: Il manuale del subdolo artigliere – ES – Ars amandi – 6
È singolare che questo indispensabile manualetto – tanto utile per affinare l’arte liberatoria del peto (o loffa, che dir si voglia) – sia catalogato nella serie Ars Amandi da quei giocherelloni della ES. Davvero, sarò limitato a crederlo, ma nella flatulenza non vi è ombra di valenza erotica. Il manuale è più che altro classificativo e nomenclatorio (o classificatorio e nomenclativo, boh) ed è utile, più che altro, come Manuale di Armonia. L’idea di base è che, essendo
l’attività in oggetto del tutto connaturata nell’essere umano, non si debbano insegnare tecniche nel dettaglio, ma elencare e descrivere modi e illustrare l’opportunità di usare l’uno o l’altro a seconda delle occasioni. L’esperienza e il talento, ammaestrati nella capacità di riconoscere gli elementi della forma, faranno il resto. Niente nsegnamenti dottrinari, dunque, ma una piana e ben esposta fenomenologia.
8 gennaio 2016 alle 17:05
“ 18 novembre 1994 – « 29 luglio 1952 – A proposito d’un peto molto lungo, veramente lunghissimo e, diciamo la verità, melodioso, che lascio andare al risveglio, mi sono ricordato di Michel de Montaigne. Questo autore riporta che Sant’Agostino fu un famoso petomane che riusciva a suonare intere partiture. » (Salvador Dalì, Diario di un genio) “ [*]
[*] Lsds / 657
8 gennaio 2016 alle 17:53
: “ 20 ottobre 1994 – « Un certo pittore faceva il ritratto a una gran dama – gli cade il pennello – si sbassa a riprenderlo – ma nella fretta e nello sforzo gli sfugge un peto. E resta colla testa abbassata, e l’ha ancor da levare. » (Carlo Dossi, Note azzurre) “ [*]
[*] Lsds / 658
8 gennaio 2016 alle 17:59
“ Sabato 27 marzo 2010, Siena – Poi accendo Canale 3 Toscana e c’è un tedesco-di-Germania che presenta la mostra « Le arti a Siena nel Primo Rinascimento ». Dice che Jacopo della Quercia, « all’inizio del secolo », fece una svolta radicale. Anche la voce di ragazza fuori campo ribadisce il concetto: « Il carattere cangiante dell’arte senese ». Comunque quello che si capisce è che c’è aria di cambiamento. Infatti poi, quando andiamo al « Complesso Museale Santa Maria della Scala », cioè al vecchio Ospedale, nonché al prospiciente Duomo, scopr(iam)o che i cambiamenti ci sono e non sono nemmeno pochi. Per dire del più clamoroso: se volessi entrare in Duomo dovrei pagare – 12 euro, per l’esattezza. A stupita domanda, l’addetto mi risponde che, per chi eventualmente voglia pregare, c’è una « corsia preferenziale ». Ma questo, francamente, non è il caso mio. Per farla breve, siamo andati da un’altra parte. Siamo andati dove sono già stato tante volte, alla vecchia Pinacoteca, statale, pre-rinascimentale. Dove, come è sempre successo, non ho pagato niente, un po’ perché sono un dipendente del Ministero dei Beni Culturali e un po’ perché sono vecchio. Così ci siamo trovati in mezzo a tutti quei divertenti senesi d’antan, a quei graziosi fumetti ante litteram. Non c’era, proprio come ai vecchi tempi, nessuno, a parte un numero esagerato di custodi, tutte donne, va detto. C’era solo una coppia di francesi – « Jean-Pierre, viens voir! » -, a un certo punto Jean-Pierre ha mollato un peto, nel silenzio si è sentito benissimo, ma il peggio è che puzzava. Io ho fatto tante belle fotografie, di quelle che piacciono a me, dei dettagli, dei particolari. Per esempio delle storie del Beato Agostino Novello, dove si vede, che so, un bambino che cade da una finestra, ma dall’alto arriva il Beato – « Lo vedi, è incendiato », ha detto lei indicando la nuvoletta che gli usciva da dietro, « Ma no – le ho spiegato -, è una specie di Beato a reazione »- e poi, nella scenetta successiva, si vede che il bimbo sta benissimo. Anche Jean-Pierre ha tentato di fare qualche foto ma l’ha beccato una custode, lui non sapeva che qui da noi tutto sta a non farsi beccare. Alla fine, comunque, ero triste. Tornando a casa, ho notato che, se non ho visto male, gli annunzi mortuari li fanno sempre più grandi, segno che temono che altrimenti non li legga nessuno. Ho anche trovato il mio vecchio amico d’infanzia A., che, lui, non è cambiato per niente. Infatti mi ha detto subito: « Io spero che moia ». Parlava di Berlusconi, naturalmente. Mah. Boh. A parte che non mi sembra bello… Poi siamo rientrati in casa, che è sempre una bella casa, ma, anche se la teniamo pulita, e cerchiamo, ogni tanto, di « viverla », a me, ormai, sembra soprattutto vuota, abbandonata, quasi lugubre. “ [*]
[*] Lsds / 659
8 gennaio 2016 alle 19:26
Se l’era gasolio, s’arrivava a Copenaghen! [disse il Perozzi]
9 gennaio 2016 alle 05:29
Cara signora Donatella, grazie per la correzione. Ho provveduto a correggere. Spero che avremo occasione d’incontrarci, prima o poi.
Mi turba un poco la piega petente presa dalla discussione. Capisco, però, che questa è la stagione del catagnaccio…
9 gennaio 2016 alle 10:27
…e della farinata di ceci…
E mi permetto di riportare alcune citazioni, indiscutibilmente dotte, sull’argomento.
“Per l’argine sinistro volta dienno;
ma prima avea ciascun la lingua stretta
coi denti, verso lor duca, per cenno;
ed elli avea del cul fatto trombetta.”
Dante Inf. XXI, 136 -139
“Che volete, il gas mi esce dal culo in qualsiasi circostanza, sono quindi proprio obbligato ad alludervi ogni tanto, malgrado la ripugnanza che mi ispira. Una volta li contai. Trecentoquindici peti in diciannove ore, cioè una media di sedici peti all’ora. Non è un’enormità, dopo tutto. Quattro peti ogni quarto d’ora. E’ una cosa da nulla. Neanche un peto ogni quattro minuti. E’ davvero incredibile. Via, via, non sono che un mediocre scoreggiatore“
Samuel Beckett, Molloy
“Dovevamo mangiare. E mangiare e rimangiare. Eravamo tutti disgustosi, condannati ai nostri compitini sporchi. Mangiare, scoreggiare, grattarci, sorridere e santificare le feste.”
Charles Bukowski, Pulp
“Forse è per via dello zolfo contenuto e soffiato via dagli intestini, che si è pensato allo zolfo come emanazione del Diavolo e odore caratteristico dell’Inferno.”
Guido Ceronetti, Il silenzio del corpo
“Trattenere a forza i gas nell’intestino produce quattro inconvenienti: spasmi, idropisie, coliche e capogiri.”
Regole della Scuola di Salerno, IX-X sec.
Ma ciò che chiude il discorso è:
“Non ho mai sentito dire che le flatulenze determinino situazioni filosofiche.”
Friedrich Nietzsche, Lettere, 1850-1889
[si può poi andare alla cerca d’alcune vignette di Jean Marc Reiser e d’un due-tre di canzoni di Paolo Conte, ma non si vuole esagerare]
P.S.: tutti i testi citati sono verosimilmente superiori a quello del Sampugnari. Insomma, li si può leggere; ecco.
9 gennaio 2016 alle 10:38
Gentile Bissolati, le sue recensioni ci permettono di conoscere una letteratura inconsueta, non sempre riuscita, ma con squarci di originalità e sperimentazione degni di nota e ringrazio Giulio per averla ospitata su Vibrisse. Peccato che i libri recensiti siano davvero molto difficili da reperire, quello di Hang Wing Too lo possiede solo la biblioteca dell’università di Mashkloboto.
9 gennaio 2016 alle 11:06
“ 20 ottobre 1994 – « Un certo pittore faceva il ritratto a una gran dama – gli cade il pennello – si sbassa a riprenderlo – ma nella fretta e nello sforzo gli sfugge un peto. E resta colla testa abbassata, e l’ha ancor da levare. » (Carlo Dossi, Note azzurre) “ [*]
[*] Lsds / 660
10 gennaio 2016 alle 00:31
Bella carrellata “petologica”. Saranno state le premesse a creare quel folle peto, ops… scusate, quel folle “Volo” autorale che strappa il cuore alle ragazzine, e qui fo la rima da un antico musicante ispirato, perché di tutto si è parlato, tranne che del peto il fine. “Nel frattempo mi stia bene, ah mi arde il culo come fuoco. Che vorrà mai dire? Che la merda vuole uscire? Sì, sì, merda, io ti conosco, io ti vedo, io ti gusto. C’è odor di bruciaticcio, puzza ovunque mi sposti. Se guardo fuori dalla finestra l’odore scompare, come guardo dentro rieccolo… Finalmente la mamma mi dice: scommettiamo che ne hai mollato uno? Non credo mamma. Sì, sì, è proprio così. Faccio la prova, mi infilo il primo dito nel culo, poi annuso e… ecce provatum est: la mamma aveva ragione”. Da “Lettere alla cugina” di Mozart. P.s. Piccolo suggerimento cinematografico per chi non è ancora soddisfatto, nonché legato all’archetipo del peto: “Il petomane” di Pasquale Festa Campanile col mitico Tognazzi.
22 Maggio 2016 alle 13:26
Meno male che questo attacco di petomanìa diciamo letteraria e letterale lo avete tenuto strettamente in famiglia. Giusto. I panni sporchi, anche se culturali ecc. E chi dice che la Matta non sia anche lei un eteronimo del Mozzi, eh, Alexander? Può darsi che non lo dica nemmeno a se stesso… scusa, Giulio, ma noi in famiglia usiamo non accentare il se seguito da stesso. Così, per tradizione. Matta