[Nella discussione seguita a questo mio articolo qui, Gilda Policastro a un certo punto ha scritto quanto segue. Che mi sembra detto come va detto. gm]
Qua il problema è solo uno: tu puoi scegliere, beato te, tra Proust e Fabio Volo. Peccato che la maggioranza si trovi in una condizione diversa e io vorrei che si sapesse quanto godibile può essere Proust proprio sui temi vieti e abusati che tutti pensano appannaggio della letteratura di consumo, l’amore, la gelosia, la malinconia, il tempo che passa e cambia i volti e le persone… cioè esistono dei temi universali, quelli sì, in cui tutti possono riconoscersi, ma non è giusto che ai pochi sia concessa la delizia di farsi un Proust e ai bestioni vichiani ammanniamo Volo, che poveretti.
22 dicembre 2015 alle 07:08
“ Domenica 26 maggio 1996 – L’uguaglianza piace a tutti. Il difficile viene quando si tratta di decidere se io devo essere uguale a te o tu devi essere uguale a me. Bisognerebbe essere uguali in partenza, ecco il problema. “ [*]
[*] Lsds / 616
22 dicembre 2015 alle 08:44
Io continuo a leggere sentenze e conclusioni, ma qualcuno sa dirmi perchè?, perchè solo a pochi è “concessa la delizia di farsi un Proust”?
22 dicembre 2015 alle 08:47
In realtà io penso che la maggior parte delle persone non possieda gli strumenti culturali che le permettano di godere Proust, mentre Fabio Volo è indubbiamente adatto a una fruizione molto light. Un ragazzo che veniva a lezione da me, anni fa, mi diceva “Mi piace Fabio Volo perché è scorrevole”. Naturalmente lo stesso non si può dire di Proust.
Moltissime persone (lo so perché bazzico blog di scrittura e lettura) dai libri si aspettano “che li facciano sognare”, “svago”, “distrazione”. Ci sono libri e libri, e la maggior parte dei lettori preferisce i libri molto leggeri, che non si fa fatica a leggere.
Non dico questo con spocchia: è un fatto, e non tutti i cibi sono per tutti i palati. La scuola, questa eterna colpevole, dovrebbe proporre agli studenti opere di spessore, e lo fa, poveretta, o cerca di farlo, ma vuoi per l’età molto giovane dei ragazzi che fanno le superiori, vuoi per la grande varietà di passatempi meno impegnativi che i ragazzi hanno a disposizione, vuoi per il discredito generale di cui godono le discipline umanistiche, difficilmente riesce a trasformare i giovani virgulti in appassionati di Proust.
In alcuni casi mi illudo che “il semino” che ho gettato dentro di loro possa germogliare a distanza di tempo… e in alcuni casi accade.
22 dicembre 2015 alle 09:11
Sono convinta che “il semino” serva e germogli a distanze variabili da soggetto a soggetto, ma quel “alcuni casi” mi rattrista. Qual è l’evento che risveglia il seme, e che cosa viene meno nella vita di chi non germoglia il ramo che inaridisce? Io credo che ci sia una mancanza di informazione. Può essere che chi non legge Proust sia solo perché non sa chi è? Va benissimo il Volo che fa sognare e svaga le menti, lo stress che subiamo è notevole ne so qualcosa. Chi lavora tutte le ore di veglia tra ufficio, figli e casa sente la necessità di rilassare il cervello per non rischiare di mandare in cortocircuito le sinapsi, ma è un bisogno temporaneo, quindi che cosa manca dopo? Dopo che i circuiti circuito cerebrali si sono raffreddati che cosa non arriva a stimolare l’interesse per le belle letture?
22 dicembre 2015 alle 09:22
Monica: se non sai nemmeno che Proust esiste, non puoi “fartelo”. Se stai in un ambiente nel quale si parla di Proust come della cosa più noiosa del mondo, difficilmente ti verrà voglia di darci un’occhiata. Se sei un non-lettore, può darsi che ti càpiti in mano un Volo – ma un Proust no. Eccetera. Tutto qui.
22 dicembre 2015 alle 09:28
Quidi è tutta una questione di fortunate o sfortunate coincidenze. Allora se la poesia non è così diffusa e il Volo sì è solo perchè il Volo va in TV e Proust no? Perchè il Fabio è spiritoso e il Proust è noioso?
22 dicembre 2015 alle 09:32
Proust non va in TV perché è morto da tempo… a parte gli scherzi, il paragone è davvero improponibile: Proust è un autore impegnativo, richiede tempo, pazienza, non è adatto per una lettura di svago. In compenso dà molto di più di quanto dà Volo… ma bisogna essere disposti a durare una certa fatica. E’ così, e basta. Ci saranno sempre tanti che leggono volentieri un testo breve, piacevole, scorrevole come acqua anche se magari un po’ vuoto, e altri, certo in numero inferiore, che ameranno Proust. Non è una tragedia. E’ così.
22 dicembre 2015 alle 09:51
Concordo!
22 dicembre 2015 alle 10:09
Scusatemi se tendo a sintetizzare e a tirare le somme (deformazione professionale sono ragioniera), ma allora i “tanti” resteranno sempre tanti e chi ama la poesia è destinato a rimanere per sempre “in numero inferiore”? Spero di non risultare noiosa e petulante, ma l’”educazione”, sulla quale mi riprendeva Il sig. Mozzi nel post precedente, serve o non serve? Io credo serva a coinvolgere le masse, ma al contempo sono convinta che la sensibilità sia una componente determinate a formare chi educa. Il problema è che chi dovrebbe educare perché è dotato di sensibilità a causa di questa stessa sensibilità non si propone a educare e si lascia scoraggiare abbandonando il campo all’ignoranza, non è un’accusa che sto muovendo, non mi vogliate fraintendere, è una rassegnata costatazione. Viviamo in un mondo arrogante dove chi capisce capisce anche che è difficile e a volte impossibile abbattere la barriera di chi non sa ed è convito di sapere tutto. Quindi marisasalabelle credo lei abbia ragione “Non è una tragedia. E’ così”
22 dicembre 2015 alle 10:11
Riassumendo quello che ho detto di là in una frase: partendo dal mio assioma secondo cui la bellezza è una percezione fisica (e se non lo è, non so che farci, la mia comprensione passa attraverso il mio corpo), poiché questa percezione è determinata da un accordo tra le caratteristiche statiche dell’opera e le mie caratteristiche variabili, non credo che Proust e Volo abbiano diversi gradi di bellezza se fruiti dal modello di mente (di lettura) che richiede la loro opera, cioè il modello che ricava un “piacere estetico” dalle loro opere. Lo spessore filosofico è ovviamente diverso: ma questo sarebbe trattare i loro testi come trattati filosofici, non come opere che puntano a un risultato estetico. Questo per dire che non esiste solo la “delizia di farsi un Proust”, per altri esiste una “delizia di farsi un Volo” che è simile (delizia che per esempio mi è preclusa).
@Monica Bauletti: al di là di quanto detto dal Mozzi, io direi, sempre rifacendomi al mio particolare modo di intendere la fruizione, che è più raro trovare persone dotate delle “caratteristiche” (la conoscenza, il tipo di lettura – su quali caratteristiche del testo si concentra l’attenzione -, le aspettative, il vissuto, fino ad arrivare alle variabili biologiche) necessarie a ricavare piacere dall’opera di Proust (ma non credo sia tanto raro; solo più raro di Volo, un po’).
Se io apro IBS e cerco l’ultimo libro di Volo, tra le recensioni leggo:
“Il libro più bello che abbia mai letto negli ultimi tempi. Sarà perche sono una mamma anch’io da due anni e certe cose un po’ le ho vissute. Sembra di sentire parlare il migliore amico di sempre che ti conosce cosi bene da descrivere quello che si prova in queste situazioni.”
Mi pare significativo. Significativo di cosa, vedi tu, ma significativo.
Chiediamoci: se questa persona leggesse Proust, troverebbe “il migliore amico di sempre che ti conosce così bene da descrivere quello che si prova in queste situazioni”?
Poi, mi piace questa domanda:
“Qual è l’evento che risveglia il seme, e che cosa viene meno nella vita di chi non germoglia il ramo che inaridisce?”
Più in generale, mi chiederei: perché attorno a me vedo schiere e schiere di perone che non hanno alcun interesse nell’acculturarsi e nel tentare di capire il mondo? E di contro: perché io ne ho?
…forse io ho questo interesse perché mi è stato presentato un ambiente in cui “chi sa” è superiore a chi “non sa”, e quindi lo faccio sostanzialmente e inconsciamente per essere meglio degli altri. Può essere, no? Magari è che non sono autorealizzato: gli altri lo sono perché c’hanno la ragazza figa e un lavoro redditizio e non sentono il bisogno di sembrare intelligenti. Può essere anche questo? Chi sa.
In generale, comunque, credo sia principalmente una questione di curiosità. Poi, attorno, ci sono tante altre variabili, come quelle che ho detto.
@marisasalabelle (bel nome…): io non credo che sia colpa dell’età: non credo che un ragazzo delle superiori non abbia le carte per leggere un Joyce o un Proust, e se non le ha davvero gliele si può dare – secondo me – in tempi brevi. Molto spesso è il modello di insegnamento delle opere che è percepito come noioso: si legge, si arizogogola, e alla fine non si capisce dove puntare gli occhi, non si capisce con che atteggiamento leggere l’opera. Di Dante tra i banchi di scuola non ho capito una parola: per amarlo ho dovuto leggerlo da me un paio di canti ogni sera. Il problema forse è anche questo: che su una classe di 25 persone, ognuna legge a modo suo, ed è difficile portarli tutti a capire una precisa lettura di una precisa opera le cui caratteristiche magari sono pure stravaganti rispetto a ciò che sono abituati a fruire (ma anche fossero più possibili letture, cambierebbe poco: è che l’insegnante legge a modo suo, l’alluno x nel suo, l’y nell’altro suo ancora, e non si può fare un lavoro preciso sul singolo).
22 dicembre 2015 alle 10:19
(…aggiungo)
@Monica (anche io ho fatto ragioneria: mi ha rovinato): le cose possono cambiare, ma ci vogliono tempi molto lunghi. Può essere benissimo comunque che in futuro molti tornino ad interessarsi alla poesia. Eppure: c’è un mare di gente che cita i testi delle canzoni. Sono forme di poesia?
22 dicembre 2015 alle 10:19
Poi ci sono quelli come che non leggono Proust, non leggono Volo, non vogliono capire il mondo. Magari leggono una via di mezzo tra i due 🙂
22 dicembre 2015 alle 10:21
Copio qui quello che avevo scritto di là:
@Alessio Montagner:
Copio qui l’intervento di una psicologa sulla percezione della bellezza: “Vi è però anche una bellezza oggettiva, spesso largamente condivisa, che si basa su un concetto di armonia, il quale ripropone alcuni aspetti particolari della natura, secondo relazioni ancora non del tutto spiegate dal punto di vista scientifico. Sin dall’antichità sono state cercate queste proporzioni, dette anche ‘phi’ o ‘divina proporzione’, per applicarle nelle opere d’arte, ma senza successo. Recentemente a definire il concetto oggettivo di bellezza umana ci hanno provato, per quanto riguarda il viso, alcuni ricercatori della Università di Toronto e della Università californiana di San Diego, giungendo alla conclusione che è il rapporto tra gli occhi, la bocca e il bordo della faccia ciò che determina la bellezza umana. In quattro esperimenti separati, i ricercatori hanno chiesto a degli studenti universitari di effettuare dei confronti, per valutare l’effetto di volti femminili con identiche caratteristiche del viso, ma con gli occhi “ritoccati” e posti a diverse distanze, fra loro e dalla bocca.”
Fuor di metafora, in un’opera letteraria, esistono delle proporzioni, delle tecniche, uno studio e una ricerca costante del linguaggio che non si possono ignorare.
Aforisma di Fabio Volo: “Spesso nella vita e nel lavoro essere gentili ed educati viene scambiato per una debolezza”.
La domanda che ti faccio Alessio è se davvero Volo con un piccolo sforzo non avrebbe potuto o voluto rendere questo concetto di saggezza popolare (quindi nemmeno originale da un punto di vista contenutistico), più “bello” e universale, esteticamente più fruibile, ubbidendo a quelle poche nozioni grammaticali che oramai sono alla portata di tutti gli scolarizzati. Se Volo avesse detto per esempio utilizzando le sue stesse parole ma rispettando la concordanza tra soggetto e verbo e quant’altro: “Nella vita e nel lavoro, l’educazione e la gentilezza sono spesso scambiati per debolezza di spirito”, mi avrebbe strappato un assenso. Ma scritto in quel modo, questa “verita” mi suscita ribrezzo e non mi arriva. E un po’ come truccare la Gioconda a Carnevale. Non mi piacerebbe più, ne risulterebbe un imbroglio di colori. Qui ci sono imbrogli di parole.
E credimi non è una questione di rispetto. E ora domando a tutti quelli che pensano che leggere Volo sia scorrevole, per carità non me ne voglia, ma non vedete come gli occhi si inceppano. Solo soltanto io che non riesco a finire una frase perché perdo il filo del discorso? Non è davvero una questione di contenuti light. Se vuoi leggere un libro spassoso, puoi farlo, senza per questo reputarlo scritto alla bell’è meglio.
22 dicembre 2015 alle 10:29
“ Martedì 19 marzo 2002 – « Proustratevi », dice Repubblica – che oggi vende La strada di Swann. « Proustronzi », dico io, che a offendere Repubblica un po’ mi diverto sempre. “ [*]
[*] Lsds / 617
22 dicembre 2015 alle 10:30
Forse non mi sono spiegata bene, alessio: non intendevo parlare di età, anche se probabilmente un autore come Proust richiede una certa maturità che il sedicenne non ha ancora. Dicevo solo che della mancata affezione alla lettura si dà solitamente colpa alla scuola, ma le cose in realtà non sono così semplici. La scuola (e ricordiamoci che la scuola non è solo italiano, e che italiano non sempre è al centro dell’interesse degli studenti) propone certe letture. Certo, non le letture adatte a tutti, non nei tempi ottimali per tutti, ma su questo mi pare che ci sia poco da dire. Non credo di poter dire ai miei alunni: guardate, se Dante non vi piace, non leggetelo, vi interrogherò su 50 sfumature… Anche se a molti non garba sentirlo dire, la scuola si basa sull’obbligo: devi studiare certe cose, devi fare certi esercizi, devi sottoporti alla verifica.
Detto ciò, forse certi insegnanti fanno morire dalla noia, certi insegnanti esigono troppo… ma non credo che se la gente non legge sia colpa solo ed esclusivamente degli insegnanti e della scuola. Pensiamola così: senza la scuola, e senza quel rompiscatole dell’insegnante, moltissimi ignorerebbero non solo chi sia Proust, ma anche chi siano Petrarca e Manzoni.
22 dicembre 2015 alle 10:30
Occorre una “Fenomenologia di Fabio Volo”.
22 dicembre 2015 alle 10:32
@danieladelcore: in sintesi, in due frasi:
1- la psicologa non sa di cosa parla, perché le sue teorie sono sfatate scientificamente da anni;
2- la tecnica non ha valore di per sé, esiste solo in relazione all’effetto. E se l’effetto è buono per un fruitore, la tecnica è buona per quel fruitore.
…però per favore continuiamo di là, che non posso seguire due discorsi uguali da due parti.
22 dicembre 2015 alle 10:37
@mariasalabelle: ma quindi, ti chiedo: perché chi non legge, non legge? E perché anche se gli fai studiare Manzoni, a molti non piace Manzoni?
Non intendevo comunque dire, come diversi modelli di lettura, di far leggere le 50 sfumature e non Dante. Intendevo dire che esistono diversi modi di leggere Dante. La lettura a voce alta dell’alunno cui segue parafrasi dell’insegnante (come facevamo noi), per esempio, mi pare un pessimo metodo; ti distrai subito, e passi il tempo a giocare. Un modello che cerchi di farti capire dove sta la bellezza di ciò che stai leggendo dovrebbe essere strutturato in modo diverso, tenendo anche un poco conto delle caratteristiche di lettura individuali (per quanto possibile).
22 dicembre 2015 alle 10:46
Alessio: e chi lo sa! Perché, per esempio, a me non piace il calcio? Ognuno nel corso della vita sviluppa gusti e attitudini diverse.
Io, nelle mie classi, leggo i testi a voce alta. Penso che i ragazzi possano apprezzare il ritmo, la prosa, la musicalità o l’asprezza… non sono Benigni, ma so leggere. Poi, la spiegazione del testo è inevitabile, a meno che non si voglia fare una lettura tutta emozionale… ricordiamoci però che per molti, moltissimi ragazzi la scintilla non scocca. E’ un fatto, e non ce ne possiamo fare una croce.
22 dicembre 2015 alle 10:59
“E un po’ come truccare la Gioconda a Carnevale.”
La Gioconda quale, quella che ha caldo… là sotto?
22 dicembre 2015 alle 11:11
Ovviamente, secondo le opportunità che si presentano, la condizione sociale, i soldi che ci sono in casa, il “capitale culturale” di famiglia, ec.
22 dicembre 2015 alle 11:20
“ Martedì 4 gennaio 2000 – Ho pensato che mi piaceva scrivere, mi piaceva leggere, amavo la letteratura, insomma, ma soprattutto mi piaceva sapere che sapevo difendermene. Per questo quando, a trent’anni, mi decisi a leggere Proust – non avevo mai voluto leggerlo prima -, pensai che stavo rischiando parecchio. Lo temevo, ma soprattutto temevo quel modo di leggere che assomiglia troppo a uno scrivere, perché io temevo lo scrivere, quello che assomiglia troppo a se stessi, che parla di sé, che assomiglia a una lettera, a una conversazione, a una confessione. Quello che nasce troppo da dentro, da quell’intimo dove risiedono le emozioni e i mali di pancia. Temevo quello scrivere che deve sfidare la sincerità, che è una sfida mortale, dopo la quale, chiunque prevalga, né la scrittura né la sincerità saranno più le stesse. Temevo di prenderci gusto – troppo gusto -, temevo di ricordarmi che c’era stato un tempo in cui niente di più mi importava che leggere e scrivere. Temevo di dimenticarmi tutto il resto. Di diventare indifferente a tutto, di capire che forse lo ero sempre stato. Di restare per sempre su quel letto della mia camera di adolescente dove già ero stato disteso per ore con un libro in mano, perdendo la cognizione del tempo, affondando nella vertiginosa dimenticanza. Temevo che mi piacesse troppo. Come una specie di andarsene senza ritorno, per una strada del tutto solitaria, la mia strada, che tante volte avevo abbandonato, pur di non percorrerla fino in fondo. Temevo l’irreparabile, il vero irreparabile. Perché è vero. Temevo di essere sincero, di arrendermi a me stesso, di dirmi, alla fine, la verità. (Ho fatto il giornalista anche per non pensarci – ho anche fatto bene a farlo -, ma era un modo troppo imbecille di chiudere gli occhi. Cioè, per dirla in due parole, di scrivere. La letteratura è una cosa seria. Perché non è una cosa seria. Come tutto il resto, del resto) “ [*]
[*] Lsds / 618
22 dicembre 2015 alle 11:36
«Va bene, ho capito: dovrò leggermi Proust». Questo il pensiero di qualche minuto fa. Ma come faccio? Cioè. Sono una persona pratica e alla fine va bene tutto, ma mi chiedo: se una persona come me, che per vari motivi – come dice Giulio – non è cresciuta in un ambiente a pane e libri, come faccio a capire da dove partire? Poniamo il caso che io vada in libreria e – dopo aver scartato di lato il povero Volo, al quale per gentilezza strizzo l’occhio – mi fiondassi sulla ricerca del tempo perduto, riuscirò a capirci qualcosa? Oppure potrei rischiare di abbandonarlo perché mi ritroverei senza un “maestro“ che mi indichi la strada della comprensione? Perché altrimenti, se dopo tante parole la conclusione è che se non sai, non potrai mai sapere a meno che non ti ritrovi di nuovo ai banchi di scuola, beh, mi sa che alla fine per fortuna ci sono i Volo di turno che almeno ai “bestioni vichiani“ (NB: c’ho messo un’ora a capire di che cosa si trattavano! Con le virgolette ci sarei arrivata prima) permettono di leggere qualcosuccia, quello che riusciamo, insomma. (NB2: non ho mai letto Volo, ma mi sa che dopo Proust devo leggermene uno anche di quest’ultimo).
Ho avuto la stessa paura quando decisi di leggere I promessi sposi. Temevo tanto il doverlo affrontare da sola, senza nessun tipo di aiuto. Ma alla fine mi è piaciuto un sacco. Forse non c’ho capito niente, ma mi è piaciuto. Ecco l’altra domanda. E se leggessi Proust senza una guida e quindi senza “la conoscenza“ e poi mi piacesse? Da bestiona rischierei di diminuire la sua importanza? Oppure?
22 dicembre 2015 alle 11:54
Ma.Ma., una volta la porta di ingresso a Proust, come a tanti altri classici, erano i Tascabili Newton. Prezzo popolarissimo, edizioni di infima qualità, ma quando avevo vent’anni era a quelli che si rivolgeva chi come me voleva formarsi un’idea su certe opere di cui aveva sentito parlare al liceo. I Tascabili Newton mi pare ci siano ancora, in giro. Forse la parte che manca è quella in cui i ragazzi sentono parlare di queste cose, al liceo o altrove…
22 dicembre 2015 alle 11:56
Io l’ho letto, il Proust, a quarant’anni suonati (dopo un tentativo da ragazzino, andato male). L’ho trovato affascinante, e mi sono pure divertito un sacco. Non mi pare che servano particolari guide per una prima lettura.
22 dicembre 2015 alle 12:02
Rincuorante! Dopo tanti scambi temevo fosse irraggiungibile… (va bene quindi quel titolo o mi consigli(ate) qualcosa di diverso?)
22 dicembre 2015 alle 12:10
“ Martedì 22 dicembre 2015 – Per leggere bene Proust bisogna essere malati. Come si è malati da bambini, con il febbrone, con le coperte tirate fino agli occhi, con la luce sui vetri, con i suoni che arrivano dalle altre stanze. Bisogna dormire, e poi svegliarsi, e poi addormentarsi di nuovo. Bisogna fare i sogni strani che la febbre fa fare. Bisogna non sapere che ora è, che giorno è. Bisogna stare al caldo, bisogna sudare, bisogna essere deboli. Bisogna perdere i sensi. Bisogna ritrovarli, piano piano. Bisogna alzarsi, vacillando un po’, scoprendo che si è cresciuti un po’. Bisogna guarire, alla fine. Bisogna sapere che, intanto, gli altri… Bisogna tornare a scuola, dove ci sono tutti. “ [*]
[*] Lsds / 619
22 dicembre 2015 alle 12:13
…al punto che uno comincia a credere che la madeleine sia una medicina.
22 dicembre 2015 alle 12:30
“ Giovedì 7 maggio 2009 – Fra le molte cose strane, antieconomiche, dissennate che ho fatto c’è stata anche l’avere letto, ormai più di trenta anni fa, la Ricerca di Marcel Proust, e per di più per intero, o quasi. Trentacinque anni fa io avevo trent’anni, e, poiché di cose strane, antieconomiche, dissennate, io, a quella tenera età, ne avevo già fatte parecchie, stendersi su un letto a leggere quel famoso, ponderoso, misterioso romanzo era la cosa più strana, antieconomica, dissennata che potessi fare. Il fatto è che ero molto stanco. Stanco di quel genere di stanchezza che ci deriva dal fare cose che non comprendiamo, di cui non conosciamo l’utilità, lo scopo, il senso, una stanchezza infinitamente più grande di ogni altra possibile, la stanchezza del girare a vuoto, dell’agire insensatamente, se non addirittura nel senso contrario a quello che ci sarebbe proprio. Leggere, invece, per me non era mai stato una fatica. Dico leggere letteratura, e più letteratura di quella… E poi non l’avevo mai letta. Avevo sempre rimandato quella scadenza, sapevo che quel libro c’era, che mi aspettava, sapevo di volerlo leggere, ma, va detto, avevo un po’ paura di farlo. Così lo lessi, disteso sul letto, lungo molti giorni, e mi sembrò bellissimo. Mi convinsi anche di volerlo leggere ancora, di volerlo leggere, per così dire, per sempre. Mi sembrava di non avere mai voluto fare altro che quello, di avere perso un’infinità di tempo, tutto quello durante il quale io non l’avevo letto. Se non l’avevo letto, tuttavia, non era solo per mia colpa, ma perché, per così dire, non ne avevo avuto il tempo. Perché – fu proprio allora che lo capii – per leggere serve tempo, ne serve parecchio, o forse no, serve il tempo e basta. Il tempo non ce l’avevo avuto, come ho detto, ma non ho detto perché. Quello che credo di avere capito allora è che il tempo che mi era mancato non era quello che, lungo una decina d’anni, avevo impiegato, per non dire sprecato, nel fare tante cose che leggere non erano – non starò ora a dire quali, perché dopotutto non è importante -, non lo erano nemmeno quando sembrava che lo fossero, dato che si trattava di libri, del fatto che, più o meno, li avevo letti – se dico che non erano un vero leggere è perché, per me – l’ho capito proprio allora -, leggere è solo leggere letteratura. Già, la letteratura. Ecco, se lungo dieci anni io non avevo letto (letteratura), è perché mi sembrava che la letteratura non ci fosse più. Che fosse sparita. Abolita. Occultata. Abrogata. Perché io ero sicuro che prima ci fosse. E poi, da un giorno all’altro, non più. Come quando muore qualcuno, e anche di più se muore all’improvviso. C’è anche da dire che io lì per lì non me n’ero accorto. Perché ero distratto. Perché ero giovane. Perché ero via. Ecco, pensai, io avevo una specie di colpa di questa scomparsa. Perché l’avevo dimenticata. E leggere – leggere la Ricerca -, ora, era ricordarsene. E ora che me n’ero ricordato, sapevo che non avrei potuto dimenticarla più. Questo cambiava tutto, tutta la mia vita a venire – allora era ancora parecchia… “ [*]
[*] Lsds / 620
22 dicembre 2015 alle 12:41
Va beh dopo questa discussione mi sto leggendo il tempo ritrovato, e mi piace molto. La cosa mi inquieta perché ho evitato attentamente si leggere tutti i classici letti dagli altri per principio. Adesso mi tocca vacillare.
22 dicembre 2015 alle 12:42
@Ma.Ma.: neanche io sono cresciuto in un ambiente pane e libri (mia mamma è casalinga, papà vende mobili, nessuno dei due ha letto più di 4-5 libri in vita, né hanno una visione del mondo particolarmente profonda), e io stesso credo di avere una cultura non più di media, se non sotto la media: in vita mia non credo di aver letto più di 150 libri. Certo sono per lo più libri considerati importanti. Però, ecco, non credo serva una cultura spropositata per leggere piacevolmente Proust, Joyce, e altri autori presentati come “difficili”. Capirli, dare una propria interpretazione profonda, è ovviamente una cosa più complessa della lettura superficiale; però stiamo sempre parlando, secondo me, di due modelli di lettura ugualmente legittimi della stessa opera. Walter Benjamin dice che l’architettura va fruita con percezione distratta, mentre se fruisci distrattamente un romanzo ne perdi un pezzo; in realtà però io non vedrò mai tutti i pezzi del romanzo: scegliere una lettura attenta o una lettura distratta porta a diversi effetti, che variano da opera a opera (come avevo detto nell’altra discussione: Volo va letto distrattamente, così può diventare piacevole; Proust, effettivamente, no, diventa noioso). Se poi si vuole arrivare a fare una lettura approfondita, anche se non si parte con un certo “livello culturale”, comunque con neanche troppo sforzo ci si può armare degli strumenti necessari: si compra qualche libro critico, magari qualcosa di teoria letteraria generale che non fa mai male… è vero che, nel periodo dell’istruzione, quando si è particolarmente giovani e pigri, la situazione familiare può essere come un destino; poi però con metodo si può recuperare. Per esempio: se vuoi leggere Proust, dare prima una letta alle Figure di Genette direi che può sicuramente aiutare a individuare il percorso che porta a ricavarne piacere, a capire come orientarsi.
(quale titolo? Prova a leggere, anche se non riesci a ricavarci piacere perché ti pare di non sapere abbastanza – chissà poi se è così -, puoi ritentare in seguito.)
22 dicembre 2015 alle 13:16
*acabarra59: grazie sia del consiglio di “influenzarmi” (che mi sembra un buon consiglio, almeno da ammalata un po’ di tempo lo guadagno), sia per la condivisione della tua esperienza di lettura. Vedremo che cosa accadrà a me…
*alessiomontagner: grazie anche a te 😀
Quindi prima meglio le Figure di Genette (cioè credo si tratti di questo: http://www.einaudi.it/libri/libro/g-rard-genette/figure-iii/978880618257) e poi… mi dici di provare a leggere… senza dirmi cosa. Forse Il tempo perduto?
22 dicembre 2015 alle 13:17
Trovo Proust insopportabile e Joyce entusiasmante.
Però Proust e Volo non giocano nello stesso campionato. Anzi, fanno due sport diversi. Proust gioca a calcio in Champions League: Iddio sa quanto io ami il calcio, eppure Proust no.
Volo gioca a calcio balilla la domenica al bar e dopo 5 minuti che l’ho visto giocare sono stufo marcio.
22 dicembre 2015 alle 13:32
@Ma.Ma:
Quello il terzo volume delle Figure. In tutto dovrebbero essere cinque, ma il grosso lo trovi nei volumi I, II e III. Non è un saggio dedicato totalmente a Proust, però ne parla molto, analizza le sue frasi, e se non l’hai mai letto (Genette), ti offre un bel po’ di strumenti che poi puoi applicare alla lettura di qualsiasi altro libro. (Ovviamente esiste un mare di saggi dedicati specificamente alla Recherche, ma secondo me con Genette, se non hai molte informazioni sulla teoria letteraria, prendi due piccioni con una fava).
Ah: le figure dovresti riuscire a trovarle gratuitamente online (anche se credo solo in modi “ai confini della legalità”). Poi credo che un saggio impegnativo sia meglio averlo tra le mani, però, vedi tu.
@gian marco griffi:
Mi piace il paragone sportivo. Io direi però che Volo fa calcio (non so che serie), Proust fa curling.
(a me comunque piacciono tanto sia Proust sia Joyce. Joyce forse è il mio scrittore preferito, gli ho anche fatto un ritratto.)
22 dicembre 2015 alle 13:34
No, Ma.Ma.: il “Discorso del racconto” contenuto in “Figure III” di Genette presuppone la lettura almeno di “Dalla parte di Swann”: visto che lo smonta e lo rimonta. Non è un saggio introduttivo: è un saggio analitico (bellissimo, assai istruttivo e divertente).
22 dicembre 2015 alle 13:44
Orca! Ok, ho capito (non volermene Alessio) prima leggo la ricerca di ‘sto tempo perduto, che pare richiedere già un bel po’ di tempo (no, prima i libri della bottega, con cui sono già a buon punto! Ma promettono di aumentare…) poi semmai mi faccio amica di ‘sto Swann, quindi mi leggo i tre tomi di Genette e poi ricomincio dall’inizio. Forse. Ho iniziato già a sudare. Mi vi sono riconoscente.
22 dicembre 2015 alle 13:47
No, Ma.Ma.: leggi il primo volume della “Ricerca”; se ti incuriosisce capire meglio come funziona quel tipo di narrazione (i cui andirivieni nel tempo sono assai particolari) ti leggi il solo saggio “Discorso del racconto” contenuto nel terzo volume della serie “Figure” di Genette.
E non farti troppo amica di ‘sto Swann, che alla fin fine l’è un tipaccio.
22 dicembre 2015 alle 13:57
“ Giovedì 9 luglio 1998 – « Amicus Swann, magis amica veritas » (Marcel Proust, Lettera, in Correspondance genérale, in Gianfranco Contini, Introduzione alle « paperoles », in «Letteratura», a. 9, n. 36, 1947) “. [*]
[*] Lsds / 621
22 dicembre 2015 alle 13:58
Ops, (faccina con le gote rosse). Adesso ho capito davvero. Mi è venuto il sospetto notando quel “primo volume”. Sono 7! Ecco che cosa significa essere ignoranti. E il primo si intitola Dalla parte di Swann che, già solo perché me lo dici tu, non mi sta poi mica tanto simpatico. Grazie mille.
22 dicembre 2015 alle 14:01
E sono 7 solo perché a un certo punto Proust è morto. Altrimenti minacciavano di aumentare…
22 dicembre 2015 alle 14:13
Bontà sua che il Signore se l’è preso: altro che tempo perduto, con tutto quel suo scrivere 😉 (Grazie ancora!)
22 dicembre 2015 alle 14:21
@ Ma.Ma.
Infatti avevo dimenticato di rispondere alla domanda, cioè da dove iniziare…
(però sai che secondo me dare una letta a Genette, anche la parte del Discorso, prima di leggere Proust, ha senso? Perché così hai un solco di lettura già tracciato, e poi ti ritrovi, anche se al momento la lettura del saggio può essere straniante – ma lo rileggi dopo. Oltre che con la Recherche, è una cosa che poco fa ho voluto rifare anche con l’Orlando Furioso, leggendo prima le analisi del testo, per capire subito dove guardare: e infatti mi sono trovato abbastanza bene. Però vedi tu come ti pare più saggio, e considera che il Mozzi sicuramente sa leggere meglio di me.)
(e comunque Genette leggilo anche se non vuoi leggere Proust o altri testi “eminenti”, perché è troppo figo.)
22 dicembre 2015 alle 14:57
La scelta stilistica di Volo sta a alla letteratura come la scelta di Vasco alla musica. I suoi testi sono tutti eh, ma, perchë, boh, e intanto è un’icona della generazione precedente. Potete menarvela quanto volete per i milioni guadagnati da Volo, seguito dalla plebe, ma si scrive soprattutto per essere pubblicati. E qualcuno prima o poi mi saprà spiegare che cazzo hanno tutti contro Volo (che non leggo, ma nessuno mi ha puntato alla tempia una pistola per farlo). Un tempo i giullari trastullavano in mezzo agli sbadigli cervelli bisognosi di stimoli, ma nessuno ci perdeva così tanto tempo dietro. Alcuni di voi fanno commenti così lunghi e complessi che a seguire un mese del blog probabilmente avrebbero potuto essere al posto di Volo…
22 dicembre 2015 alle 15:12
Ma.Ma, in tutta sincerità (e, giuro, senza il minimo intento polemico) la prima lettura che ti consiglio è la pagina di Wikipedia su Marcel Proust. DI wikipedia non ci si può fidare più che tanto: ma almeno le prime informazioni di base (tipo: quali e quanti libri ha scritto) ce le trovi… 🙂
22 dicembre 2015 alle 15:16
Montagner: no, Joyce e Proust per me giocano a calcio, non a curling. Hanno la stessa diffusione del calcio, chiunque potrebbe mettersi lì e goderseli.
Ma per godere del calcio come dico io bisogna saper cogliere i movimenti della difesa per mettere in fuorigioco l’attaccante avversario, la scelta di un centrocampista, il movimento senza palla di un attaccante e tante altre cose. Stesso dicasi per Joyce e Proust.
22 dicembre 2015 alle 15:22
“ 15 novembre 1994 – Solo verso i trent’anni capii il gioco del calcio. Inutili e risibili le sgroppate lungo le fasce i cross generosi e qualche volta anche molto precisi i rientri appassionati in difesa alla caccia di un uomo rimasto solo. Era tutto un problema di finte esitazioni gioco di squadra. Si trattava di vederlo il gioco. Quindi serviva la posizione e un’andatura magari lenta. Il baricentro all’indietro il corpo quasi schiacciato sul terreno. E poi innanzitutto: lucidità. Mi sembrava un gioco da vecchi. Ramino scopone e tressette. Finii per chiedere di stare in porta. “ [*]
[*] Lsds / 622
22 dicembre 2015 alle 15:38
“Un tempo i giullari trastullavano in mezzo agli sbadigli cervelli bisognosi di stimoli, ma nessuno ci perdeva così tanto tempo dietro.”
Con la differenza che i giullari hanno prodotto tonnellate di pregevolissima letteratura che è anche e soprattutto testimonianza (unica) di un’età e del suo modo di vedere il mondo, entrambi aspetti che senza di loro sarebbero andati altrimenti perduti.
La questione Volo è più o meno questa: qui entrerebbe in gioco anche il discorso di contestualizzazione, per rispondere a chi si chiede come mai oggi Manzoni non piaccia nonostante si faccia studiare. Banalmente: perché ha 150 anni sul groppone. Alcuni autori reggono meglio al peso dei secoli (e non venite a dirmi che Dante è perfettamente moderno), altri nascono e muoiono unicamente nella contingenza dell’attimo storico e sociale (Volo): chi, tra 200 anni, si ricorderà ancora di Volo e delle sue dinamiche quotidiane, popolari e pseudo-disimpegnate? E’ impossibile da affermare con certezza, ma io scommetto: nessuno, o comunque molto pochi.
Per i “post lunghi e complessi” (aka “sbatti”): c’è sempre la facoltà di non leggere.
“Ma per godere del calcio come dico io bisogna saper cogliere i movimenti della difesa per mettere in fuorigioco l’attaccante avversario, la scelta di un centrocampista, il movimento senza palla di un attaccante e tante altre cose. Stesso dicasi per Joyce e Proust.”
No, per goderne bisogna avere la predisposizione psicologica a che tali input di informazioni in entrata siano recepibili e rielaborabili dal cervello in modo che li senta come “piacevoli”. Fuori di psicologia: bisogna che piaccia. La tecnica aiuta la comprensione,e come dice il buon Alessio è solo funzionale all’effetto, e ad esso precedente. Io ad esempio conosco bene il funzionamento del gioco del calcio, ma non mi piace.
22 dicembre 2015 alle 15:59
Alessio: grazie. Seguirò il consiglio di Giulio, per cominciare. Poi vediamo. Di fatto anche lui ha trovato divertenti queste figure.
Fabio: sì, infatti è proprio lì che ho scoperto che sono 7 😉
22 dicembre 2015 alle 16:10
“ 18 ottobre 1987 – Refusi: in Genette (Figure III, Einaudi, 1973) « introibo » è diventato « introito ». “ [*]
[*] Lsds / 623
22 dicembre 2015 alle 16:10
Ah ma state rigirando la frittata, ieri si parlava di cosa vendere e oggi di cosa leggere. Qui siamo d’accordo, comunque: leggere buona letteratura aumenta la propria esperienza del mondo e quindi fa quasi sempre bene; quasi perche’ a volte i cambiamenti interni indotti dalla buona letteratura non migliorano la qualita’ della vita quotidiana ma la peggiorano decisamente, agendo come un veleno su pensieri e azioni (ops, qui sono literary italoide pure io eheheh).
22 dicembre 2015 alle 16:34
Amanda Melling, scrivi:
Questo non corrisponde né alla mia esperienza come autore né alla mia esperienza come lavoratore dell’editoria.
E: in realtà, nessuno ha niente contro Volo. Come ha detto e ribattuto in queste discussioni Gilda Policastro, il problema non è che Volo esista e pubblichi e venda uno sfracello (buon per lui); il problema è che chi lavora nei mezzi di comunicazione di massa propone le opere di Volo come grandi opere d’arte, e liquida Proust come roba noiosa o addirittura lo ignora (qui, sia chiaro, Volo e Proust sono semplici emblemi).
Così si cancella, o comunque si comprime molto, la possibilità di scegliere della quale parla Gilda nel frammento che qui ho ripreso.
22 dicembre 2015 alle 17:38
“ Martedì 3 maggio 2005 – Ho cominciato a (pre)occuparmi della letteratura quando era già finita. Mi sono girato indietro pensando: dio mio, cos’è successo! Nel frattempo gli altri se n’erano fatta una ragione, avevano elaborato il lutto – gli anni Sessanta, Settanta, la critica, la « scienza della letteratura » come terapia, come tecniche del distacco. In mezzo ai « camici bianchi », c’erano poi tanti che della malattia, della morte della letteratura in realtà se ne fregavano altamente – cioè bassamente. Tanto per fare un esempio: quel gran paratesto del professor Genette. “ [*] [**]
[*] Lsds / 624
[**] Avvertenza per il lettore: non sempre condivido quello che penso. Però lo scrivo lo stesso. Per “ registrarlo “, diciamo così. D’altronde, se un diario non è un “ barometro dell’anima “ – Pierre Pachet, Les Baromètres de l’âme. Naissance du journal intime, 1990 – che diario è?
22 dicembre 2015 alle 18:18
Io non ci capisco più niente, ricopio qua e chiudo:
@AlessioMontagner:
evidentemente la psicologa non sbaglia e conosce il suo mestiere, ma volendo andare sul neurologico, io non ho le giuste competenze e non so tu, ma copio qui il link di un articolo, in cui il neurologo Stefano Cappa parla di attivazione delle aree frontali del cervello dove hanno sede i neuroni specchio, alla vista di una statua classica. Si afferma inoltre che se la statua è ben proporzionata, l’”insula”, parte della corteccia cerebrale più nascosta, si attiva maggiormente. L’effetto è stato definito di canonicità.
L’articolo poi mi ha fatto anche sorridere, perché sostiene che se l’immagine è bella si attiva maggiormente l’amigdala, se è brutta si attiva di più la corteccia motoria. Come a voler scappare dal brutto, osservo ironicamente io. Ma non più di tanto, penso faccia parte dell’istinto di sopravvivenza, se ci soffermiamo su una pagina di Proust, o se rifuggiamo e lanciamo il libro dalla finestra, leggendo una pagina di un cattivo scrittore. E qui chiudo, tra il serio e il faceto.
http://www.ilsussidiario.net/News/Scienze/2011/5/30/NEUROSCIENZE-L-arte-del-cervello-che-riconosce-la-bellezza/181504/
22 dicembre 2015 alle 18:41
Andrea Peverelli: no, per godere del calcio (della letteratura) come dico io bisogna coglierne il funzionamento.
Certo, l’ovvia base di partenza per godere di qualcosa a qualunque livello è che la cosa in oggetto piaccia, infatti non ho scritto che il calcio (la letteratura) mi piace, ma che lo amo.
Poi, se cogli tutti i meccanismi dell’accoppiamento tra uomo e donna ma non ti piace trombare, lo so anch’io che non godi manco un po’.
22 dicembre 2015 alle 19:20
Giulio è soggettivo. Io se avessi la certezza di non essere pubblicata smetterei di scrivere. Non mi interessa rileggermi, mi interessa avere un ruolo nel mondo, come un idraulico, un macellaio. Quello che scrivo deve essere utlie a qualcuno. Questa la mia esperienza. Sul resto sono pienamente d’accordo. Ho letto alcune pagine del suo ultimo romanzo, è fatto con poca cura, e visti i soldi che fa, si potrebbe pagare qualcuno a mettere a posto quello che scrive prima di pubblicarlo.
22 dicembre 2015 alle 19:24
@danieladelcore: non c’è nulla da capire, ti ho detto di continuare di là.
22 dicembre 2015 alle 20:26
@Griffi:
Anche nel calcio, ci vedo due tipi di godimento separati. C’è anche da dire che il calcio può comunicare a più livelli (con percezione distratta, o cercandone il funzionamento), mentre non tutte le opere sono in grado di funzionare con metodi di fruizione così distanti (questo non vuol dire che il calcio sia un’opera d’arte. Anche se potrebbe esserlo. Anche l’11 settembre potrebbe esserlo, secondo Stockhausen). Non so se Proust e Volo siano paragonabili a due squadre di calcio (a prescindere dal fatto che stiamo facendo combattere le action figures degli autori): sfruttano tutti e due un mezzo (le parole), ma lo fanno in modo così diverso, rivolgendosi a persone così diverse, che non credo possano essere paragonati a due manifestazioni dello stesso sport; ma neanche sport derivati come calcio e calciobalilla.
Allora facciamo il gioco nuovo: facciamo una lista di grandi personalità e troviamo l’equivalente sportivo. O viceversa. Chi è il chessboxing? Nietzsche?
(…sto scherzando eh. Non facciamolo il gioco. Non qui.)
(sto pensando a qualcosa sulla copertura mediatica di ceri autori. Ma non so bene cosa. Quindi ci penso ancora un po’… intanto, mi è tornato in mente questo articolo di un autore mio amico che credo si colleghi in qualche modo:
http://grandeavvilente.blogspot.it/2015/12/unimpossibile-nostalgia.html )
23 dicembre 2015 alle 05:31
Amanda, tu prima scrivi:
La formula impersonale (“si scrive…”) è di quelle che annunciano una generalizzazione forte (tipo: “Si fa così”, e non si ammettono discussioni); e il “potete menarvela” (che ha il senso di un “bando alle chiacchiere”) è una classica introduzione all’affermazione di una verità.
Io ti rispondo:
Che non è una generalizzazione.
Tu ribatti:
Cioè prima smentisci completamente la tua prima generalizzazione (“è soggettivo”) e poi adotti in toto (“Questa è la mia esperienza”) il mio approccio. (La tua esperienza è diversa, e questo è un altro paio di maniche).
Ciò detto: il paragone con l’idraulico e il macellaio mi sembra un po’ sfasato, anche perché idraulico e macellaio fanno due mestieri molto diversi.
Il macellaio commercia beni di consumo. Se nessuno compera la sua merce, la tiene un po’ la e poi la butta via. Non resta nessun valore.
L’idraulico può costruire, o anche solo progettare, un impianto meraviglioso (per le sue soluzioni funzionali, o tecnologiche ec.; tralascio il fatto che, come tutte le opere inerenti l’architettura, potrebbe essere bello). La meravigliosità dell’impianto costruito o solo progettato permane nel tempo; il puro e semplice progetto può suscitare meraviglia per secoli. Si può dire che il valore resta, ed è addirittura indipendente (almeno in parte) dall’esecuzione.
(Lo so, tu pensavi all’idraulico che viene ad aggiustarti qualcosa in casa).
23 dicembre 2015 alle 09:20
“La meravigliosità dell’impianto costruito o solo progettato permane nel tempo; il puro e semplice progetto può suscitare meraviglia per secoli”
E si dà pure il caso che il puro e semplice progetto, all’epoca messo in un cassetto perché ritenuto, dall’autore stesso e dai suoi contemporanei, privo di alcun pregio sia funzionale che estetico, venga rinvenuto secoli dopo dagli archeologi, susciti unanime meraviglia e venga dichiarato, coram populo, “bello”; e che nessuno , né tra gli archeologi né tra il pubblico di Superquark che ha prontamente dedicato una puntata speciale al singolare ritrovamento, si renda conto che il progettista è lo stesso di alcuni impianti idraulici, all’epoca unanimemente giudicati mirabili, ritrovati in altri scavi e recepiti come ordinarie opere di ingegneria, meramente utilitarie, prive di qualunque dignità estetica.
23 dicembre 2015 alle 10:41
Io generalizzo sempre, lo trovo più corretto, poi se qualcuno inizia ad entrare sul personale, in quel caso lo seguo. Spesso quello che penso in generale non corrisponde neppure a quello che penso in senso intimistico. In questo caso penso che generalmente si faccia così, poi però se mi fai il giochino del “non corrisponde a me” che sei anche una voce autorevole, ti rispondo scendendo in campo anch’io che invece a me corrisponde. Ma la verità è che onestamente ha senso logico per chiunque, scrivere con l’ambizione di essere pubblicati. Quindi per educazione ho approfondito la mia esperienza, ma il pensiero generale rimane. Per idraulico ti chiarisco bene cosa intendo: per giustificare l’attività dello scrivere (e qui non ho scritto che in generale gli scrittori debbano sentirsi idraulici, lì ero veramente sul personale) io devo guadagnare qualcosa, non mi interessa della bellezza dell’opera, che tanto quello che scrivo mi fa schifo, voglio che la mia famiglia consideri il mio lavoro deprecabile almeno senza dover dire che sto consumando l’elettricità per niente, o il tempo che potrei usare a lavare meglio i pavimenti, o sbloccare i gabinetti della gente. Essere pubblicati dovrebbe pareggiare i conti con il fatto che rimango una merda perché ho scelto di fare lo scrittore, mentre generalizzando ci sono mille altri motivi per considerare la pubblicazione un traguardo sensato.
23 dicembre 2015 alle 13:03
@amandamelling:
non che mi interessi difendere qualcuno, però Mozzi aveva detto che non corrispondeva né alla sua esperienza come autore, né alla esperienza fatta lavorando in editoria. Che non è esattamente una cosa personale, di casi ne ha visti un numero consistente. Io credo sia sbagliato credere che GENERALMENTE si scriva per pubblicare e se non si può pubblicare non si scrive: anzitutto si scrive perché piace l’atto di scrivere. Il fatto che poi si cerchi anche di pubblicare è un’altra cosa, una possibilità che si tenta perché c’è e anche per un certo valore simbolico, ma senza farne una condizione d’esistenza della scrittura.
Personalmente (dove ognuno può dire le cose sue) io non ho mai cercato di essere pubblicato, né per il momento ho particolare interesse a farlo in futuro. Ma io non credo neppure che l’arte sia comunicazione, quindi sono discutibile.
“io devo guadagnare qualcosa, non mi interessa della bellezza dell’opera, che tanto quello che scrivo mi fa schifo, voglio che la mia famiglia consideri il mio lavoro deprecabile almeno senza dover dire che sto consumando l’elettricità per niente, o il tempo che potrei usare a lavare meglio i pavimenti, o sbloccare i gabinetti della gente.”
Ma se non hai interesse per la bellezza (quella che tu consideri bellezza) dubito che potrai mai scrivere qualcosa che sia bello (che tu possa considerare bello a prescindere dal coinvolgimento). Mah, è un tipo di atteggiamento che non mi piace (anche questo è personale).
23 dicembre 2015 alle 13:20
Credo che l’ipotesi per cui il godimento dell’opera di Proust sia vincolato a condizioni socio-economiche, “capitale culturale” in famiglia e così via, sia tutta da dimostrare. Dato che qui non si sta discutendo della lettura in genere, ma della fruizione di opere letterarie “di qualità”, e che quindi non ha senso riferirsi ai dati sulla lettura in genere, mi sembra appunto azzardato farne una questione di uguaglianza.
Dico questo non per giocare al bastian contrario, ma perché, ad esempio, nella mia esperienza, cioè quanto alle persone che ho conosciuto nella mia vita, la questione dell’uguaglianza per queste faccende non la riscontro per nulla. Conosco persone dal “capitale culturale” di famiglia pressoché nullo, che hanno scoperto la lettura a scuola (alla scuola dell’obbligo) e hanno così scoperto la letteratura, le opere letterarie “di qualità”, e hanno imparato da sé un certo modo di fruizione. Queste persone non hanno particolari talenti, mi pare. Mi sembrano soltanto “portate” per la lettura, cioè hanno un’immaginazione collegata al linguaggio che funziona in un certo modo. (Magari c’entra la loro storia famigliare e l’educazione in un senso estraneo alla familiarizzazione con la lettura, perché come ho detto non hanno genitori colti. C’entra che hanno sviluppato una certa armonia tra sfera cognitiva e affettiva, o che ne so io). Ma la maggior parte delle persone che conosco hanno nessuna familiarità con la lettura (quanto alla letteratura, hanno letto poco più di quel ch’è servito per ottenere riconoscimenti e certificazioni didattici e culturali) e le case dei genitori son piene di libercoli e volumi, i genitori laureati e via dicendo. Leggono, al più, per distrarsi. Spesso durante le vacanze o i giorni liberi. Potrebbero essere destinatari delle opere di Fabio Volo e non certo di quelle di Proust.
Ovviamente la mia esperienza non conta nulla. E accetterei di abitare un mondo altro da quello che appare in controluce degli argomenti di questo post, se però la tesi di fondo venisse dimostrata o mostrata quanto meno in una luce di probabilità.
(Con riferimento alle condizioni materiali dei giorni nostri, con il tasso di scolarizzazione e l’accesso alle informazioni dei giorni nostri etc).
23 dicembre 2015 alle 14:07
dm:
dal canto mio infatti ti dico che io ho iniziato a leggere a 18 anni. A scuola mi sono anche guardato bene dal leggere i Promessi Sposi (la verifica a suo tempo la feci “a occhio”).
Il leggere “per distrarsi” però mi è sempre suonato strano. La mia impressione è che c’entri, in qualche modo, il significato stesso che si da allo “svago” e al “distrarsi”, magari anche al “non pensare ai problemi”. Oggi “non pensare ai problemi” vuol dire proprio non pensare a niente, magari aiutandosi con l’alcol; ma “non pensare ai problemi” potrebbe benissimo voler dire “lavorare” (c’è qualcosa di meglio, per non pensare ai problemi? Se qualcosa ti tormenta, mettiti a fare i conti). Per me per esempio, che non mi sono mai sentito così stanco da non voler pensare, la parola “svago” indica un cambio di attività, non il passare a una attività leggera: per sentirmi “ricaricato” mentalmente mi serve un cambio di attività, a prescindere dal livello di impegno necessario per l’attività nuova.
Ora, a proposito del “distrarsi”, ammettiamo che io scelga di ascoltare della musica. Da una parte il CD di Vasco, dall’altro quello di Beethoven: può essere, visto che sono entrambi conosciuti e ascoltati da tutti a prescindere dalla cultura. Entrambi possono essere ascoltati con percezione distratta (cioè il modello normalmente usato per “distrarsi”). Beethoven però può essere fruito – con cambiamento d’effetto – anche con un modello più attento, un modello che cerca di capire le logiche dei suoi pezzi e di analizzarli strutturalmente, notando la tecnica, le variazioni, la costruzione dei temi, le stravaganze, magari tenendo anche sotto occhio lo spartito. Ora mi chiedo: un tipo di fruizione di questo tipo è meno “distraente”? Ipotizziamo pure che io sia di ritorno da una stancante giornata di lavoro: visto che questo tipo di ascolto richiede sicuramente un livello di concentrazione più alto di quello distratto, non ce la farò a starci dietro, o il piacere che mi dà sarà sufficiente a non farmi percepire questa attività come una fatica?
23 dicembre 2015 alle 14:26
Alessio, anch’io ho cominciato a leggere piuttosto tardi. (E avevo una casa piena di libri, una madre che me ne regalava in continuazione; poi arrivò “Lo straniero” e qualcosa cambiò). Ma sicuramente – e lo dico anche per rispecchiare un discorso fatto altrove, mi pare – se avessi avuto di meglio da fare avrei fatto di meglio, altro che leggere leggere senza che questo m’aiutasse a attrarre una qualche succosa pulzella. Tra l’altro non ho mai provato un vero piacere della lettura che non fosse il piacere di imparare qualcosa, ma forse sono fatto male. (Credo comunque che mia madre rivendichi la somministrazione fastidiosa di libri fatta prima che incontrassi “Lo straniero” come una causa del che son poi divenuto un Lettore Forte. Ma l’aver avuto troppi libri sotto al mento mi è stato solo d’impaccio fino a un certo punto). Questo per il piacere della parentesi.
Quanto alla distrazione. Non so bene. Riporto quel che mi viene riferito. Ci sono persone in grado di distrarsi (nel senso etimologico di separarsi o allontanarsi da – ma da che cosa?) attivando un’immaginazione visiva sull’impulso di un certo linguaggio, e credo che la lettura prettamente visiva sia – usando i tuoi termini – un modo della “percezione distratta” che però risulta profonda, poco faticosa e totalizzante. Ma non so bene. Son sempre percezioni di percezioni : – )
23 dicembre 2015 alle 14:43
Caro Alessio Montagner, a me interessa la bellezza dell’opera degli altri, visto che sono direttore editoriale e tra l’altro non leggo Volo, l’ho difeso perché reputo il successo un buon motivo per considerare un musicista, uno scrittore o un calciatore meritevole di ammirazione, a prescindere dalla qualità del suo operato. Invece non mi interessa molto la bellezza di ciò che scrivo io, non amo scrivere più di mille altre attività che potrei fare: dipingere, fare decoupage, cucinare, giocare con i miei figli, coltivare rose, tagliarmi le unghie. Scrivo perché altri mi dicono che è giusto che io lo faccia perché sono brava, e questo è quanto. Il motivo per cui io confesso vorrei essere Volo è proprio l’atteggiamento che tu hai avuto nella tua risposta. Se non vuoi pubblicare, ora o in futuro, è irrilevante. Tanto non basta volerlo per ottenere una pubblicazione 🙂
23 dicembre 2015 alle 14:55
Amanda Melling cura per Antonio Tombolini editore la collana Amaranta. Nessun libro risulta ancora pubblicato in questa collana.
Con l’espressione “direttore editoriale” s’intende una persona che sta gerarchicamente sopra il “curatore di collana”.
Poi, per carità, uno può anche spacciarsi per ciò che non è. Ma ai tempi dell’internet è un po’ difficilino.
23 dicembre 2015 alle 15:09
In questo caso non è così, le collane sono curate da una persona che si assume tutte le responsabilità della scelta di pubblicazione fino all’editing. La casa editrice ha dichiarato serenamente di dare la piena autonomia e fiducia ai direttori di collana, che si occupano di più cose. Una sfida più difficile per me. I primi titoli usciranno a febbraio, inaugurerò io la collana, per essere precisi, e seguiranno gli altri. Ma non serve mica il curriculum per scrivere qui no? Il motivo per cui bazzico spesso nei blog ultimamente è perché mi sono cancellata da facebook e cerco discussioni più vicine ai miei interessi. Ma credo di non essere portara neanche per la chiacchiera via blog. Non serve lo spionaggio per sapere cosa faccio, se hai supposto che io abbia cercato di spacciarmi per quello che non sono levo le tende sicuramente.
23 dicembre 2015 alle 15:53
Comunque Giulio, tanto per rimarcare la buona fede che per me è ovvia (sarebbe altrimenti squallido immaginarne l’assenza) proprio sul link stesso del tuo commento, alla voce Amaranta, se ci clicchi sopra e entri nella pagina, che forse hai visto distrattamente, c’è proprio scritto direttore editoriale eh, non me lo sono inventato il termine. Che per me mi si può chiamare un po’ come si vuole, che tanto non cambia nulla.
23 dicembre 2015 alle 21:59
Volo è simpatico. Si comprano i suoi libri per quello. E’ lì che deve essere di esempio. Non mette in soggezione. 🙂 (Un po’ per la serie: così parlò zapparusta… ma vabbè)
24 dicembre 2015 alle 06:52
Amanda, hai mai letto I ragazzi della via Pál di Ferenc Molnár?
(E: da quando in qua mettere il nome di una persona in un motore di ricerca è “spionaggio”? Non ho mica violato qualche intimità).
24 dicembre 2015 alle 09:02
Daniele (dm), quando scrivi:
stai appunto tessendo le lodi dell’uguaglianza: che è sempre uguaglianza di opportunità offerte e di condizioni per coglierle.
24 dicembre 2015 alle 10:34
No intendevo che non servono particolari manovre di spionaggio perché sono facilmente reperibile, metto pure le foto di casa mia sul mio sito 🙂 non l’ho mai letto, come mai ti è venuto in mente in questa occasione? Me lo consigli?
24 dicembre 2015 alle 13:45
Nei Ragazzi della via Pál di Ferenc Molnár c’è una banda di ragazzi che si sono organizzati gerarchicamente. Sono tutti ufficiali, e uno solo è soldato semplice.
24 dicembre 2015 alle 13:53
Sì, Giulio, d’accordo. Ma il titolo “Come sempre, è una questione di uguaglianza (negata)” sotto al testo di Policastro che dice della possibilità negata di fruire delle belle lettere (Proust, nel nostro caso) ai… “poveretti”, stabilisce una relazione precisa tra le due cose. E se certo questa relazione esiste quando parliamo della lettura in genere, a me non pare vero in rapporto al gusto (o, se preferisci, alla possibilità di scegliere tra letteratura “di qualità” e letteratura di consumo). Ancora più precisamente. Mi pare che la volontà di leggere letteratura “di qualità” discenda da un’attitudine o da un temperamento o – per esteso – da un’armonia fra il linguaggio e l’immaginazione che poco c’entra con: i soldi, il “capitale culturale” di famiglia e dintorni. Mi pare. E: oggi. Con il tasso di scolarizzazione, l’accesso alle informazioni e tutto quel che c’è oggi.
Magari mi sbaglio, voglio dire; non prendo la mia esperienza come la misura del mondo. Però, dato che hai formulato quel titolo e quindi questa tesi, hai l’onere della prova.
…Mi viene in mente G., il portiere del condominio in cui abitavo, affascinato dal cinema e dal cinema di Pasolini soprattutto, di cinquant’anni e con la formazione scolastica della terza media. Oppure l’ex idraulico di montagna, sempre terza media e poi nient’altro, che legge Dostoevskij e Joyce, che in un raccontino che hai letto anche tu ho rinominato Livio.
24 dicembre 2015 alle 14:08
“ Giovedì 18 settembre 2008 – La cosa che da bambino desideravo di più era avere fratelli. Ma, per quanti sforzi abbia fatto, non sono riuscito ad averli. Ho tentato di tutto, ma ogni volta ho fallito. Ero, e sono restato, un « figlio unico », cioè a dire una persona sostanzialmente sola, pericolosamente sola. Oppure le cose stanno diversamente. Forse la verità è che in me c’è qual-cosa che mi impedisce, oscuramente, radicalmente, di essere uguale agli altri. Perché dopotutto si trattava – si tratta – di questo, dell’uguaglianza. Che cosa c’è di così bello nell’uguaglianza che fa sì che la si possa desiderare più di ogni altra cosa? Come era possibile che, allora, io desiderassi essere come loro, io che godevo i vantaggi dell’unicità, loro che soffrivano i disagi delle famiglie troppo numerose? Io, che avevo la mamma professoressa, loro che dovevano accontentarsi di casalinghe seminalfabete. Io, che avevo il padre buonissimo, loro che dovevano fuggire le cinghiate. Io, che vivevo in una casa dove i libri non mancavano, loro che non leggevano mai. Ho più di un dubbio che le cose stiano veramente così. Credo che ciò che mi faceva desiderare di essere uguale, era la percezione che gli altri fossero comunque la maggioranza, la convinzione che la maggioranza ha sempre ragione, che essere diversi, essere pochi, non è mai conveniente, e comunque è maledettamente scomodo. (« I glutei degli italiani… una grande ossessione », dice quella della mattina presto. Ma non dice che c’è chi è ossessionato dai propri – saranno abbastan-za rotondi? abbastanza duri? abbastanza vispi? – e chi lo è da quelli degli altri – mai visti tanti culi, ovunque il guardo io giri… E questa non è una differenza da poco) “ [*] [**]
[*] Lsds / 628
[**] Comunque, come dice GiuseppeC, considerato che è Natale, è il momento di concedersi una pausa. Ne approfitto, per riposarmi, per fare gli auguri a tutti, ma proprio tutti. Buon Natale.
24 dicembre 2015 alle 17:14
@dm:
Non credo che si intenda la “situazione culturale” della famiglia, e l’istruzione in generale, come una “condicio sine qua non” per fruire Proust: in fondo è chiaro che se proprio uno vuole una cultura può farsela anche da solo. Però forse esistono situazioni che, anche a prescindere dalla predisposizione individuale, danno quell'”input”, quello slancio iniziale, che può dare inizio al tutto.
Non sono sicuro, piuttosto, di quel che dice Giulio quando scrive questo:
“se non sai nemmeno che Proust esiste, non puoi “fartelo”. Se stai in un ambiente nel quale si parla di Proust come della cosa più noiosa del mondo, difficilmente ti verrà voglia di darci un’occhiata. Se sei un non-lettore, può darsi che ti càpiti in mano un Volo – ma un Proust no.”
Non sono sicuro, anzitutto, che sia un fatto di popolarità. Shakespeare probabilmente è più famoso di Volo, e non mi pare che i media o gli insegnanti o altri lo presentino come “la cosa più noiosa del mondo”, anzi, io personalmente conosco solo persone che ne parlano bene. Eppure non è che lo si legga così per svago.
L’ambiente delle librerie può ovviamente influenzare: i classici spesso se ne stanno da una parte, i libri “nuovi” sono sparsi un po’ ovunque, l’ultimo di Volo te lo mettono sul bancone… è pure ovvio che i media tendano a pubblicizzare i libri appena usciti e che magari già vendono piuttosto che una nuova traduzione di Shakespeare. D’altro canto programmi televisivi “di cultura” non mi pare che siano disprezzati: PasspARTout per dire aveva avuto un buon riscontro (e lo trasmettono ancora), e Piero Angela è diventato un meme non solo per ironia ma anche per una sincera ammirazione. Così su due piedi, però, non credo che facendo tanta pubblicità alla nuova traduzione di Shakespeare quanta se ne fa a Volo, e dividendo in modo uguale lo spazio dei classici e dei nuovi, porti anche a una maggior diffusione della cultura “alta”.
Non sono però sicuro neppure di questa cosa che ho detto. Per dire, nelle arti visive generalmente funziona nel modo contrario: Michelangelo lo fruiscono tutti, e quasi nessuno conosce pittori contemporanei. Nella musica cosiddetta “colta” pure la situazione è simile. E infatti facendo zapping tra i canali è più facile trovare un programma dedicato al Rinascimento o a Beethoven che a Gerhard Richter o a Stockhausen. è pur vero però che la “accessibilità” di queste arti funziona in modo opposto a quelle della letteratura: le opere letterarie dei secoli passati, fosse anche solo per motivi linguistici, sono di fruizione più complessa di quelle contemporanee; al contrario, Leonardo da Vinci o Mozart, almeno a un livello superficiale, possono fruirli con piacere tutti, mentre riuscire a entrare nella pittura di Cy Twombly o nella musica più complessa di John Cage richiede effettivamente un certo sforzo.
Allora potrei pormi delle domande: è l’accessibilità di un’opera d’arte a renderla poco popolare? O è la scarsa informazione fatta su un certo tipo di opera che, rende difficile la sua fruizione?
Certamente, DM, anche io penso che in principio debba esserci una “attitudine”: come si era detto prima, per dire, non tutti sono attratti dal calcio neanche se lo capiscono. E in questo certo un poco influenza anche il clima (io sono interista perché mio papà lo è; e lui lo è perché lo era mio nonno; e mio nonno lo era perché ha iniziato a seguire il calcio in un periodo in cui l’inter era particolarmente vincente). Gli è che è molto difficile capire cosa esattamente ci ha reso ciò che siamo. Per dirti: il fatto che io abbia iniziato ad amare la letteratura con tutta probabilità è derivato inizialmente da una necessità di saperne più degli altri; necessità che è derivata dallo stato del mio corpo; stato del mio corpo che è derivato da una iperprotettività di mia madre; iperprotettività di mia madre che è derivata da certi eventi scioccanti vissuti da piccola; eventi scioccanti derivati dalle frustrazioni di un uomo che non so chi sia… e via così all’infinito probabilmente. Molto spesso però non ce ne rendiamo conto perché sono cose molto complesse da analizzare, ci sono molti dati che bisogna conoscere per arrivare a tracciare un disegno.
24 dicembre 2015 alle 17:50
@dm: …mah, se posso dire la mia, non credo sia proprio come dici tu. Mi spiego: perché l’idraulico di montagna si è deciso a leggere Dostoevskij? Come ha saputo della sua esistenza? Gliene ha parlato – che ne so, la fidanzata? O glielo avevano già fatto scoprire “alla scuola dell’obbligo“ (come dici nel precedente post)? In questo caso mi sembrerebbe già una grande opportunità. Oppure un giorno si è svegliato e si è detto: “Valà, quasi quasi mi faccio un po’ di letteratura: che ci vuole? Non ho mai letto niente, ma non sarà mica così difficile“ o “ho voglia di parlare di qualcosa di diverso con i colleghi giù al bar per far loro uno scherzo dato che tanto non capiranno niente di quello che dirò“. Quindi si è piazzato davanti al computer, ha smanettato un po’ e si è ritrovato con un titolo a caso; o meglio ha speso giornate di lavoro intere per vagliare un bel po’ di critica letteraria e poi sceglie? No, secondo me per fare una scelta del genere anzitutto dev’essere già stato un appassionato lettore da giovane. Ma ciò significa che qualche libro in casa doveva esserci stato, a parte l’enciclopedia degli animali. Oppure un’amica che ha preso una strada diversa e lui potrebbe aver cercato di impressionarla o un amico da imitare. Non lo so, ma un’occasione dev’essergli stata data. Altrimenti un po’ talentuoso forse lo è. Oppure è una rara eccezione (ma li conosci tutti tu?).
Le persone che conosco io si dividono proprio in due gruppi: famiglie modeste (o giù di lì) dove il “livello“ resta modesto (salvo eccezioni) e famiglie benestanti (o poco più su) dove il livello di istruzione e passione per i libri sono alti (salvo eccezioni). E per fare un discorso generico, non possiamo prendere noi come esempio o solo qualche eccezione.
Inoltre resta la “quantità della qualità“ ad essere penalizzante. Per uno che ha minor opportunità e che alla fine deve fare tutto da solo costa davvero molta fatica (tanta sprecata a vuoto) e tempo (investito in parte alla ricerca di cose sbagliate), per riuscire forse a leggersi un paio di classici o appassionarsi a un autore. Sarà difficile che possa avere una visione d’insieme pari a quella che possono vantare altri più privilegiati (magari a 60 o 70 anni ne avrà un’idea di massima; se sarà stato abbastanza disoccupato o ammalato per investire tante energie).
@alessiomontagner: Shakespeare non si legge per svago – concordo – ma, forse, non perché non sia noto come autore, bensì perché tutti ne parlano come qualcosa di “difficile”, di intellettuale… che in “certi ambienti“ non elitari è come dire se non “noioso“ di certo impossibile da leggere, qualcosa non alla portata di tutti e quindi…
24 dicembre 2015 alle 20:04
Ma.ma, no. Nel caso del mio idraulico di montagna, si tratta di una persona che non ha avuto altra istruzione scolastica, né alcun “capitale culturale” né in famiglia né in paese né altrove. Non saprei quanto al portinaio G. Ma questi sono come è naturale casi miei.
Ti ricordo che non è in discussione la possibilità della lettura: è evidente che il semianalfabeta non ha la possibilità di leggere Proust (e, direi, neppure il Fabio Volo). Si discute della possibilità per un certo lettore di scegliere tra Fabio Volo e Marcel Proust (o chi per essi). E a me, l’identikit presupposto da quel “poveretti” del testo di Policastro riportato da Giulio, e il presupposto alla base del titolo mi sembrano semplicemente dei falsi presupposti. O forse dovrei dire dei pregiudizi (che producono azioni buone, di sicuro, e pure riflessioni interessanti). Ma stanno, mi pare, fuori dal mondo. Sicuramente dal mio. E vorrei che mi si mostrasse dove sbaglio, se sbaglio – o che si portasse un qualche dato verificabile a sostegno.
24 dicembre 2015 alle 20:16
@Ma.Ma.:
per la parte per dm: non credo sia possibile capire cosa ci porti, ad un certo punto, a prendere una strada di vita invece di un’altra. Sicura che esistano eccezioni, e che non sia tutta una eccezione?
Per la parte per me: io non ho mai sentito parlare di Shakespeare come “difficile”. Può essere percepito come difficile: questo conta di più. Ma davvero è percepito così? E se lo è: quale meccanismo porta a percepirlo così?
24 dicembre 2015 alle 20:48
Alessio, letto ora il tuo commento delle 17:14, chissà perché. Sì, trovo tutto quel che dici (non solo qui) molto ragionevole.
Quanto alla “popolarità” o, diciamo, alla reputazione di Proust e all’incidenza di queste nelle scelte di lettura, mi pare che non stiamo considerando che, prima ancora che uno selezioni le proprie letture, seleziona le persone con le quali ritiene vantaggioso entrare in relazione. Chi sceglie di stare con chi ritiene Proust un campione della noia, sceglie in base a tanto altro (a me pare che le persone si scelgano innanzitutto per come parlano, o per meglio dire sulla base dello stile di pensiero che si affaccia dal linguaggio, poi per i contenuti – culturali in senso largo – e solo dopo “a pelle”). È possibile, ad esempio, che un lettore si avvicini a Fabio Volo dopo aver incominciato ad ascoltare la tal radio, che gli è stata indicata dal tal amico con cui – evidentemente – hanno già in comune i gusti (orrendi) in fatto di musica compatibili con la radio. Che questi due ipotetici fruitori in combutta siano in realtà due tipi meno uguali degli altri, a me non quadra. Sarà perché di lettori di Fabio Volo ne conosco tanti, e tutti o quasi laureati e con master accumulati alle spalle ben coperte dal potere economico dei genitori. Sarà perché stanno alla superficie in ogni caso e in ogni aspetto della vita, loro. Sarà perché mi stanno sul cazzo, diciamo, per dir meglio. Ma proprio non mi rassegno a che il “lettore tipo” di quel genere di libri sia meno uguale di altri, di me per esempio.
25 dicembre 2015 alle 07:51
Daniele, scrivi:
Un’ampia letteratura sociologica sui consumi culturali, da Bourdieu (La distinzione, il Mulino) in qua, sostiene il contrario con una quantità di argomenti che a me sembrano buoni.
Un errore accecante, secondo me, è quello di introdurre nei ragionamenti descrittivi criteri come quello della “qualità”. Nota a es. che Gilda Policastro, all’inizio della breve citazione che ho riportata e che ha dato l’avvio alla discussione, non distingue tra chi legge Volo e chi legge Proust: ma tra chi ha la possibilità (materiale) di scegliere e chi non ce l’ha. Solo dopo, e distintintamente, introduce un giudizio: secondo lei è meglio accostarsi alla riflessione sui “temi universali” (che si ritrovano tanto in Volo tanto in Proust) attraverso Proust piuttosto che attraverso Volo.
25 dicembre 2015 alle 10:53
Trasferiamo il concetto all’arte: è meglio riflettere sui temi universali osservando una tela dove si scorge ogni singolo dettaglio di una scena di vita umana oppure fissando un taglio in mezzo al bianco o uno sputo di colore? È importante solo riflettere, sui temi universali, il come è secondario. Le parole o le immagini, per me, sono solo traghetti.
25 dicembre 2015 alle 11:39
@amandamelling:
insinui forse che Fontana vale meno di Giovanni Raffaele Badaracco solo perché in Badaracco si distinguono le figure?
Il mezzo non è un affare ininfluente o anche solo secondario, direi che è il punto da cui partire anzi.
25 dicembre 2015 alle 13:45
Giulio, “La distinction. Critique sociale du Jugement”, è un’opera del 1979 – vedo. E non ho dubbi che Pierre Bourdieu, trentasei anni fa, avesse buoni argomenti per sostenere il contrario. Mi pare che in trentasei anni – ma direi innanzitutto: in venti – molte cose siano cambiate. Trentasei anni fa, ad esempio, non avremmo potuto avere questa discussione. Oggi chiunque (o quasi chiunque: sufficiente uno smartphone) può commentare qui in basso e domandarti: “Chi è ‘sto Proust?”. O accede a Wikipedia o domandare al personale della biblioteca rionale vicino casa (o andarsi a cercare una biblioteca altrove).
Ho come l’impressione che quando si ragiona di queste cose si abbia in mente la società italiana degli anni ’70, il tempo in cui è stato scritto il libro che mi hai suggerito (che non ho letto; che mi annoto, comunque).
C’è un passaggio che non ho capito, poi.
Dire della possibilità di scelta tra un’opera di Fabio Volo e un’opera di Marcel Proust, implica l’adozione di un criterio. Dato che non stiamo parlando precisamente di Volo e di Proust (anche tu, in un commento scrivi: “sono semplici emblemi”) è necessario che dietro a questi sia stato adombrato un qualche criterio, o non sapremmo di cosa si sta parlando. Non esplicitarlo è un modo prudente per mettere i piedi in una discussione come questa. (E ammonire chi esplicita l’implicito è una giravolta retorica che impressiona, ma, di fatto, di questo stiamo parlando).
25 dicembre 2015 alle 13:54
(Aggiunta: il più dell’oggi non c’entra tanto con la rete, ma con l’intelligenza connettiva che viene dal suo utilizzo. E sì, non tutti hanno accesso alla rete. Ma hanno accesso alla rete più dell’85% dei nostri concittadini. E – come sopra – non si sta parlando di chi non legge affatto, ma di chi legge quello piuttosto che questo. Chiusa parentesi).
25 dicembre 2015 alle 14:54
“ Senza data – Il punto è che, direi, Fabio Volo potrebbe stare dentro Marcel Proust – essere un personaggio della Recherche, essere al centro di qualche indimenticabile interminabile pagina sui « nomi d’arte », per esempio -, mentre riesce difficile pensare che Marcel Proust possa stare dentro Fabio Volo – in qualcuno dei suoi libri, uno di quelli che non ho letto. Anche se, in generale, non è mai veramente detta l’ultima parola. Estote parati. “ [*]
[*] Lsds / 629
25 dicembre 2015 alle 15:30
dm: (non credo di convincerti, ma non ho dubbi sulla questione per esperienza diretta del mondo che gira attorno a me, come ho già scritto nel precedente post) chi non ha un certo tipo di “base” pur non essendo analfabeta, difficilmente diventa un lettore. Tu dicevi di aver iniziato tardi a leggere (se non ricordo male) ma hai pure specificato che casa tua era piena di libri e che tua madre te ne regalava: i contesti che conosco io sono ben diversi dai tuoi. Se impari a leggere per la scuola ma passi anni a non essere un lettore, non è così facile come credi. Quando mai ti può saltare in mente di buttarti nei classici se non hai mai letto nemmeno un topolino per 25 anni? Poi a un tratto vuoi provarci… davvero credi che invece di prendere in mano un libro qualunque possibilmente consigliato da qualcuno che legge poco (ma che a te sembra già tantissimo) e che ti assicura che è facile facile, ci si possa buttare su Proust? No. Credimi. Ci vogliono almeno una decina di anni per recuperare e diventare un lettore e forse mai si riuscirà a diventare un forte lettore: poi forse si potrà iniziare a curiosare e a osare un po’ di più. Viviamo davvero in due mondi diversi. E non parlo di teoria, di saggi, ma di realtà.
Alessio: sì, Shakespeare così come tutti quei bei nomi altisonanti collegati al mondo degli intellettuali, degli accademici, di chi sceglie o riesce a imboccare un percorso di studi viene percepito difficile. È vero forse non lo dice nessuno… o forse ce lo si dice tra “bestioni” pur non sapendo di che cosa si parla. Diciamo che dal “basso” c’è una grande riverenza verso “l’alto” e pure un po’ di timore. È così.
Non c’è molto né da discutere né da contestare.
Ma, mi ripeterò, sono certa di non aver portato abbastanza teoria a conferma della mia esposizione pratica. Scusate.
Buon Natale!
25 dicembre 2015 alle 16:30
Ma.Ma, aspetta. Quando dici
io non posso proprio contraddirti. Ma – come ho cercato più volte di precisare nei miei due commenti – non è di questo che si discute.
Al centro della discussione (di questa ramificazione per lo meno) c’è un lettore. Quindi una persona in grado di stabilire un certo rapporto fra immaginazione e parole. Un lettore legge e, al di là delle letture, si forma e cresce, acquisisce competenze cioè, al proprio ritmo e secondo la propria capacità di percezione della bellezza (al di là della comprensione; la bellezza non richiede necessariamente comprensione per essere scorta. Quando a scuola, non ricordo più quando, ho intravisto il Pascoli non ci ho capito nulla. Se non le banalità (col senno di poi) che si dicevano a riguardo. E, nonostante l’incomprensione e le banalità, ho sentito che c’era del bello. E ho cominciato a leggerlo. …La mia amica V., più precoce di me, lesse tutta (o quasi tutta, non so bene; devo chiederle) la Recherche in terza media, non capendoci nulla (temo) ma leggendo e leggendo. Famiglia di periferia, genitori non colti, amici zero (se ricostruisco bene – al tempo non ci conoscevamo). E. Perfetti adolescenti, con il mio amico G. ascoltammo per sbaglio Verdi alla radio e cominciammo a interessarci dell’opera lirica e da lì ad altro (senza contare che l’opera lirica in genere è roba per il popolino, anche se oggi pare cosa elitaria). G. si è poi iscritto a un professionale. Etc. Ecco, secondo me prima di tutto viene l’attrazione naturale verso il bello (sono antico? Sono antico). Poi tutto il resto).
…Che i negati al bello, i misomusi siano là fuori, e che i lettori fra loro si nutrano di brutti libri… non è questione di uguaglianza, forse semplicemente è una bella sfortuna.
Commento rapsodico, mi scuso.
25 dicembre 2015 alle 16:42
E dimenticavo: grazie per gli auguri. Li rielaboro come gli auguri d’una buona giornata dai comuni riflessi spirituali. Io il Natale non lo festeggio. Chiedo perdono a chi mi ha subìto nella mia preponderante antipatia, ma sono giorni difficili.
25 dicembre 2015 alle 17:11
@dm
Forse è meglio che alla mia frase aggiunga l’implicito: non si diventa lettori facilmente, e quando poi lo si diventa – se lo si diventa – a quel punto si compera libri “lontani” dalla letteratura. Come dire che uno non diventa “subito” lettore per mancanza di terreno fertile, ma poi può diventarlo. E quando sarà a quel punto un lettore a tutti gli effetti, non necessariamente avrà il coraggio di avvicinarsi ai grandi nomi, alle grandi opere. Per me il “terreno fertile” è l’opportunità (o una serie di opportunità) che NON È UGUALE per tutti. O meglio, il problema sta a monte. Se poi vogliamo parlare di persone che pur avendo avuto pari opportunità, non hanno scelto di approfittarne per fatti loro e non per “condizioni esterne che glielo hanno impedito”. Beh, allora siamo d’accordo. Ma io avevo intuito altro nei post precedenti (e mi riferisco proprio al discorso sulle “opportunità che si presentano, la condizione sociale, i soldi che ci sono in casa, il “capitale culturale” di famiglia, ec.” di cui parla anche Giulio e aggiungo le occasioni che si presentano. Ma forse ho capito male.
(Scusami l’indelicatezza degli auguri di Buon Natale in questo momento di cordoglio. Volevano essere più generici. Le mie condoglianze.)
25 dicembre 2015 alle 17:29
PS: in merito alla tua amica V. Intanto da noi – in Svizzera – te lo dimentichi che qualcuno a quell’età venga a conoscenza di quest’opera in terza media, e nemmeno prima e neppure dopo se non vai almeno al Liceo (lì immagino di sì). Ma forse in Italia è diverso: a questo punto si torna di nuovo sulle opportunità iniziali. Poi aggiungo che la maggior parte (ho una nipote alle medie) non capisce nemmeno nulla degli estratti dell’Eneide che oggigiorno gli propinano, se non che è complicato leggere un classico di quel genere. Ora se V si lesse tutta (o quasi tutta) la Recherche in terza media, mi piacerebbe capire come ha fatto a metterci le mani sopra. A parte questo. Il fatto che una famiglia sia di periferia non significa necessariamente che siano ignoranti. E poi ancora, da quale punto di vista dici che i genitori non erano colti? Per chi non lo erano? Per un laureato in filosofia con dottorato in lettere? Oppure non erano colti a detta di un muratore? Che in terza media V. avesse amici o meno non mi sembra rilevante, dal momento che sarebbero stati probabilmente suoi coetanei, e quindi non avrebbe cambiato nulla. Ma magari aveva una passione per la lettura (e quindi libri in casa dovevano essercene) e magari una maestra lungimirante le ha parlato di questo o quello, o la bibliotecaria con la quale si fermava tutti i giorni a parlare le ha dato in mano questi 7 volumi (di cui ho scoperto l’esistenza solo in questi giorni, all’età di 44 anni!). Troppe variabili per i miei gusti.
Ad ogni modo, a questo punto, mi sembra però di girare in tondo. E siccome abbiamo già intasato per bene questo spazio (le mie scuse a Giulio), direi che abbandono la discussione perché non credo che arriveremo mai a stabilire nulla con certezza e ognuno di noi resterà con la propria opinione. 😉
Alla prossima!
😀
25 dicembre 2015 alle 17:41
@Ma.Ma.:
Ma come faccio a sapere che davvero lo percepiscono così, se nessuno lo dice? In fondo Shakespeare rimane l’autore più venduto di sempre, e Romeo e Giulietta è ormai pop.
Mi chiedo: al di là dell’effettiva lettura, andando in una casa a caso ho più probabilità di trovare il Don Chisciotte o Il Giorno in Più?
@dm:
La mia famiglia non ha mai letto niente, né in casa ho mai avuto libri esclusa la Bibbia e l’Enciclopedia Grolier; pure io amici zero, sia allora che ora. Ho preso a leggere dopo aver letto Il Conte di Montecristo, a 18 anni appunto, ispirato da una domanda fatta al Milionario.
Però: già prima avevo provato a leggere, e non ero mai riuscito a finire un libro.
La mia naturale attrazione per il bello è cambiata? E se la ho sempre avuta: perché proprio allora, e perché proprio con quel libro?
(ricordiamo comunque che non basta leggere, serve anche trovare il proprio modello.)
25 dicembre 2015 alle 17:59
@Alessio:
Se è questo ciò che serve 😀 ti accontento
Io percepisco Shakespeare come letteratura difficile e così anche centinaia di miei conoscenti. Mi spaventa a morte. Anche se non più di quanto non lo facciano altri libri come ad esempio la Divina commedia, Decameron, Guerra e pace, l’Odissea e gli altri due volumi, tutte le poesie (tranne quella di Quasimodo “Ed è subito sera”); e lo stesso valeva per “I promessi sposi” (felice di aver superato il terrore, mi sentii molto sfacciata quando lo affrontai, lo ammetto; e posso anche dire che quando pronunciavo il titolo del libro che stavo leggendo la maggior parte delle persone che conosco mostrarono reazioni contrastanti, chi non ci credeva, chi mi prendeva in giro e la maggior parte che mi rimproverava di “tirarmela”) e pure per il Don Chisciotte di cui ho letto il primo libro (adorabile!).
Per rispondere alla seconda domanda, nel mio caso di certo si trova il Don Chisciotte, mentre ho dovuto cercare su internet che cosa fosse Il giorno in più. Nelle altre case non lo so. In molte di quelle che conosco non si trova né il primo né il secondo titolo. Ma non capisco che cosa miri a dimostrare.
25 dicembre 2015 alle 18:12
No, insinuo che ci sono opere che per essere completate ne necessitano di tempo e fatica, mentre altre sono di facile realizzazione, ma sono di due mondi diversi, appartengono a correnti diverse. Quindi nel mondo possono coesistere tranquillamente entrambi senza sgomitare. Non so, perché parlare di Proust e Volo nello stesso discorso? Sono come il sale e lo zucchero. La riflessione iniziale è sul fatto che ci si può appeocciare ai temi della vita attraverso una visione letteraria raffinata, ma non vedo perché non si possa anche farlo leggendo i fumetti, perché no?
25 dicembre 2015 alle 18:13
Ma.Ma., dici
Ecco, serve il coraggio. Ma il coraggio serve anche a chi nella propria casa ha visto da subito quegli arnesi di carta così lugubri e pesanti. È necessario del coraggio per affrontare un’opera che ha il potere di spostarti un po’ da quella poltrona. (Lo si chiami coraggio, o richiamo alla bellezza o quel che si desidera).
(Intendevo solo dire, prima, che non lo festeggio, il Natale, perché non sono cristiano, ma grazie.)
.
Alessio, sì: il rispecchiamento (i modi dell’immaginazione, la fertilità di certe tematiche, lo “stile cognitivo”, l’organizzazione del pensiero che si riflette sul linguaggio, l’esperienza corporea impressa nelle pieghe del testo, la forma della narrazione e chissà cos’altro) dev’essere decisivo nell’imprinting (e mi riferisco all’amore per la letteratura in senso stretto e non certo all’amore, o al piacere della lettura).
Penso – ed un’idea magari balzana ad altri occhi ma di cui mi sono fidato nel tempo – che ci sia, in fondo all’esperienza della “lettura profonda” una qualche profonda e anche piccola e assediata sofferenza, una pillola piccola di un dolore che non si sa da dove è venuto ma che sta, e ci parla, finché non ci accorgiamo che quella voce è la sua, ecco. Ma forse sono molto o troppo fantasioso. Forse.
25 dicembre 2015 alle 18:45
Daniele (dm), scrivi:
Certo. Ma non necessariamente un criterio qualitativo. A es.: si può scegliere tra un’opera difficile, assai stimata dalla comunità accademica, assurta a una dimensione mitica, e un’opera facile, ignorata se non deprecata dalla comunità accademica, popolarissima.
25 dicembre 2015 alle 18:53
@Ma.Ma.
Più che mirare a dimostrare, raccolgo dati. Perché se come penso in una libreria casalinga è molto più facile trovare il Don Chisciotte che Il Giorno in Più, allora in realtà non è proprio vero che è più facile che ti cada tra le mani una lettura “facile” rispetto a una “colta”. Bisogna vedere poi quante possibilità ci sono che una persona si metta a frugare nella libreria casalinga e decida di leggersi il tal libro.
@dm
è una idea che ho già sentito da altre persone. Inoltre, come avevo detto sopra, anche nella mia esperienza è stato così.
25 dicembre 2015 alle 20:15
@amandamelling:
leggo solo ora il tuo commento.
Parlo dell’importanza del mezzo perché arti visive e arti letterarie sono molto diverse. Nell’arte visiva il “saper fare” (possiamo dire: artigianato) ormai conta ben poco, mentre nell’arte letteraria è finanche difficile individuare una parte “manuale”, puramente “pratica”.
Sono d’accordo sul senso del discorso, comunque.
25 dicembre 2015 alle 20:40
Amanda Melling, scrivi:
Come se non esistessero fumetti raffinati. Anche molto raffinati.
25 dicembre 2015 alle 21:18
[Upss].
Il criterio qualitativo, Giulio, a me pare ben delineato sullo sfondo di questo intervento. Oltretutto, subito dopo il brano che hai ritagliato, cioè nello stesso commento, Gilda Policastro ha scritto:
Se il bisogno di “‘bellezza’?” può risultare avvilito dalla lettura di Volo mentre questo non succede col Proust, necessariamente si intende che Volo fa libri brutti e Proust ha fatto libri belli, ovvero si è scelto di adottare un criterio qualitativo. (Aderisco solo al gioco retorico cui tu mi solleciti, e domando scusa per l’ovvio).
25 dicembre 2015 alle 22:07
Mio fratello poco piu’ che trentenne, sveglio, lavoratore, affabile, formazione universitaria tecnico-commerciale, esposto ma mai interessato al letterario, ha voluto che gli regalassi un libro. Ho la biblioteca piena ma ne voleva uno nuovo. Non hanno funzionato, in passato, Lodoli, Benni, La lucina di Moresco, Storia poliziesca di Kertesz, Le avventure di Sindbad il marinaio, tutti abbandonati dopo poche pagine. Gli e’ piaciucchiato Siddharta di Hesse e poi Coelho, ma giusto qualcosa, passatogli da amiche. Gli ho chiesto se avesse un nome. Lui ha precisato qualcosa di simpatico, da leggere a letto quando e’ stanco morto, e di cui possa parlare con gli amici. Ho speso 19 euro e mi pare di averlo fatto contento.
26 dicembre 2015 alle 06:51
Daniele: io ho usato un pezzo dell’intervento di Gilda perché quel pezzo mi andava bene. Perché poi, appunto, anche Gilda mescola descrizione e giudizio: e allora non m’interessa più.
La questione che ho inteso sollevare è una questione di uguaglianza.
Gli argomenti del tipo: “Ma io conosco uno che non ha studiato eppure si è letto Proust” evidentemente non valgono nulla.
Ragionare sul “valore” di Proust o di Volo non serve a nulla: perché l’uguaglianza è la possibilità di accedere, non la possibilità di accedere a ciò che è (secondo l’autorità o secondo X) di valore.
Che l’uguaglianza sia determinata da questioni assai materiali (reddito, scolarizzazione, localizzazione ecc.) è un’ovvietà suffragata da migliaia di studi.
Che i mezzi di comunicazione di massa (non solo loro) compiano oggi, nell’informare e nel valorizzare, scelte radicalmente differenti da quelle di solo dieci anni fa, è un’altra evidenza: non ci sono ancora migliaia di studi, ma credo che sia sufficiente seguire i programmi televisivi o sfogliare i giornali o tener d’occhio la home page di Facebook.
Siamo ai paradossi: la cosiddetta generazione dei “nativi digitali” è la generazione di quelli che (diversamente dagli attuali cinquanta/sessantenni) non hanno la minima idea di che cosa siano gli strumenti che adoperano (faccio un esempio: due settimane fa ho beccato un’intera classe di liceo scientifico che non aveva il concetto di “navigare in rete”).
Quando più sopra dici, Daniele, che “non è di questo che si discute”, io salto sulla sedia. A me interessa discutere di questo (mi interessa agire su questo).
Le altre “ramificazioni” della discussione che ho lette qui mi sembrano prive di utilità.
26 dicembre 2015 alle 13:20
@Giuseppe C
Quindi cosa gli hai regalato?
Altra cosa: se una persona ha provato a leggere, e ha ottenuto poco piacere, perché vuole leggere? E perché proprio romanzi? Magari si può provare anche con poesie e racconti. Soprattutto, esistono saggi, divulgativi e non, che, oltre a insegnare qualcosa, sono pure molto divertenti.
@Giulio Mozzi
Personalmente ho una lettura diversa della citazione.
Però, quindi, se non è una questione di qualità, posso sostituire a Volo e Proust, rispettivamente, Shakespeare e George Gascoigne?
26 dicembre 2015 alle 14:07
Gli ho regalato Volo eheh. Ha cominciato a leggerlo e dice che e’ acqua, vorrebbe qualcosa di ambientazione storica ma non pesante. Ha un buono-regalo da 15 euro da Ubik e si fara’ consigliare dai librai suoi coetanei, che stanno li apposta. Mi spiace molto fare questo tipo di discorsi anche a Natale ma il dibattito sulla letteratura nel web italiano procedeva benino ad inizio anni 2000 fra Clarence, Carmilla, la prima Nazione Indiana, il primo Vibrisse, le riviste tipo Fernandel, Maltese Narrazioni, Bina, addirittura la Scuola Holden. Poi sono calati i minions accademici precari, senza stipendio e senza pensione, formati sull’Italietta anni sessanta-settanta, e tutto e’ andato in vacca: il dialogo col mercato, con le altre culture, col mainstream e con i soldi. Dieci anni di babysitting ed assistenza sociale gratuita non sono bastati, siamo ancora al Volo contro Proust mentre fuori confine il literary cambia ogni cinque anni e si parla ormai di narrativa mondializzata da scrivere in global english.
26 dicembre 2015 alle 14:35
Alessio: poiché si tratta di stemmi, usa lo stemma che preferisci.
GiuseppeC: uno stemma vale l’altro.
26 dicembre 2015 alle 14:47
Giulio, quel che non mi convince:
Lo hai tagliato fuori, ma, evidentemente, il giudizio di valore aleggia nel testo che tu hai riportato (perché l’intervento è stato scritto proprio avendo in mente quel criterio lì). Nel testo che hai riportato: “ma non è giusto che ai pochi sia concessa la delizia di farsi un Proust e ai bestioni vichiani ammanniamo Volo”, È evidente che la delizia che ispira Proust ai suoi lettori – che non sono “bestioni vichiani”, ma uomini evoluti – non può che essere il marchio di un giudizio di valore. Non capisco perché ti ostini a negare quella che a me pare una limpida evidenza (e non solo a me, a quanto pare).
E questo l’ho detto già più volte, nei miei interventi. Lo dici per dare più forza retorica al discorso tuo, che secondo me non tiene.
Non capisco ora cosa c’entrino i “nativi digitali”. Qui, a questa discussione, hanno partecipato dei “nativi digitali”? Eppure ci sono persone che hanno messo in lista libri da leggere perché se ne è parlato (io, Ma.Ma, chissà quanti altri). Quella dei “nativi digitali” è una specie di leggenda e sono d’accordo con te nello specifico, ma appunto mi pare c’entri nulla.
Ho scritto – e mi pare sia chiaro – che non si va discutendo di chi non legge affatto, ma di chi legge Volo (o chi per lui) anziché Proust (o chi per lui). O, potremmo dire, di chi legge Carofiglio (o chi per lui) anziché Dostoevskij (o chi per lui). (L’accostamento Volo-Carofiglio non è mio). Insomma: tu dici che è primariamente una questione di uguaglianza – che quei lettori non hanno i soldi di questi, non hanno la famiglia colta alle spalle di questi, non hanno studiato come questi, e così via – ma a me sembra completamente falso e (per l’esperienza che ho, che non conta nulla ma:) non trovo nulla che sia convincente o verificabile nei tuoi argomenti. Sarà che non ho letto i “migliaia di studi” di cui parli. Allora è una questione di uguaglianza. Non capisco perché ignoro.
26 dicembre 2015 alle 14:58
Infatti, io trovo logico il tuo discorso.
26 dicembre 2015 alle 14:58
Cioè non è chiaro che quando Gilda parla di “bestioni vichiani” sta usando ironicamente un giudizio che appartiene ad altri e non a lei? (Ovvero a coloro che “ammanniscono”).
(L’esempio dei “nativi digitali” è un esempio di disuguaglianza: tra chi può godersi la delizia di navigare in rete e i bestioni digitali nutriti di app).
26 dicembre 2015 alle 15:15
È irrilevante. E non c’entra, mi pare. O non si capirebbe i “deliziati” da che cosa perdindirindina siano deliziati, se non fosse implicito il criterio che tu stesso rifiuti.
Dal dizionario Sabatini Coletti:
delizia[de-lì-zia] s.f.
1 Intenso e delicato piacere estetico o fisico.
26 dicembre 2015 alle 15:52
“ 30 luglio 1994 – « 28 dicembre 1840 – È una gran seccatura tenere un diario, ma anche una gran delizia averlo tenuto. » (John Ruskin, Diario italiano) “ [*]
[*] Lsds / 630
26 dicembre 2015 alle 18:16
Santi numi, Daniele. E’ una soggettiva. Come si fa a spiegare l’evidente? Se io (io, non un altro) ti dico che Salvini ha in mente solo di sbattere fuori tutti quegli sporchi negri, sei in grado di capire che “sporchi negri” appartiene a Salvini e non a me?
Se l’esempio non funziona, rinuncio.
26 dicembre 2015 alle 18:31
(Letta così, non mi pare che “bestioni vichiani” sia ironia. Ma mi pare anche irrilevante ora, quindi vabbe’.)
Cambiare gli emblemi in Shakespeare (ex-Volo) e Gascoigne (George, ex-Proust) mi aiuta perché mi fa uscire da certi stereotipi (Gascoigne non è esattamente un genio – ma non è neppure considerato un idiota).
Allora mi permetto di modificare il messaggio citato così:
A: “Qua il problema è solo uno: tu puoi scegliere, beato te, tra Shakespeare e Gascoigne. Peccato che la maggioranza si trovi in una condizione diversa e io vorrei che si sapesse quanto godibile può essere Gascoigne […] esistono dei temi universali, quelli sì, in cui tutti possono riconoscersi, ma non è giusto che ai pochi sia concessa la delizia di farsi un Gascoigne e ai bestioni vichiani ammanniamo Shakespeare, che poveretti.”
Al che risponderei semplicemente che non si può ricordare tutti: in certi ambienti si ricordano taluni, in altri talaltri. è vero che in certi altri ambienti si ricorda sia Gascoinge sia Shakespeare. A questo però non credo ci sia soluzione: è anche una scelta di campo, di come occupare il tempo nella vita.
26 dicembre 2015 alle 21:43
Stai arrampicandoti sugli specchi, sì.
Ricopio qui come prosegue il testo di Policastro (che tu hai tagliato):
“NO. Vale sempre l’apologo del mendicante: non gliela fare l’elemosina, che lo danneggi. Lo puoi salvare facendogli sentire la sua abiezione. Togliamoglielo di mano, sto Fabio Volo facile e inoffensivo, e vediamo se il bisogno di lettura e di storie (di “bellezza”?) può essere appagato in modo meno avvilente.”
Fabio Volo è facile, inoffensivo e appaga il bisogno di bellezza in modo avvilente. (Ma non Proust).
E ora rileggiamo la frase riportata nel tuo post.
“non è giusto che ai pochi sia concessa la delizia di farsi un Proust e ai bestioni vichiani ammanniamo Volo, che poveretti.
Se Fabio Volo è facile, inoffensivo e appaga il bisogno di bellezza in modo avvilente, e Proust sta dall’altra parte nel discorso, la “delizia di farsi un Proust” è irrimediabilmente l’espressione di un giudizio estetico. Soggettiva? Okay. Ironia? Okay. Ma coincide con l’idea dell’autrice del testo tagliato.
Se affermi il contrario, due possibilità:
a) vuoi consapevolmente far dire a Gilda Policastro quel che Gilda Policastro non ha inteso dire (appunto, per utilizzare il tuo ultimo strano esempio, come se io ritagliassi “sbattere fuori tutti quegli sporchi negri” dal tuo commento e ne facessi un post dal titolo “Come sempre, è una questione di razza” in cui ti nomino. Ecco). Non puoi venirmi a dire che il senso del testo da cui è tratta una citazione è irrilevante nell’interpretazione (ausiliaria – cioè se non sono sufficienti gli argomenti relati al testo ritagliato o se qualcuno non li vuole riconoscere) del suddetto testo ritagliato.
b) hai preso un abbaglio.
B.
27 dicembre 2015 alle 05:13
Rinuncio. Non riesco a spiegarmi.
27 dicembre 2015 alle 07:07
C’era una volta una bella donna di nome Policastro. Era anche molto colta. Viveva in una villa. Le piaceva leggere e per questo aveva una libreria fatta su misura. I libri erano organizzati dal basso all’alto. Nell’ultimo scaffale rasoterra teneva i libri di “bassa cultura” che lei chiamava “brutti”, sullo scaffale più alto c’erano quelli belli, di “alta cultura”. Quella scelta corrispondeva ovviamente al suo gusto personale, soggettivo, seppur basato su anni di studi e di letture. Era comunque certa di aver riposto ogni volume al “suo posto giusto”.
Accadde poi un giorno che Policastro dovette chiamare un operaio per fare delle riparazioni. L’operaio si presentò puntuale. Quando vide la villa dove avrebbe dovuto lavorare, si sistemò la divisa prima di suonare il campanello. Ad aprirgli arrivò proprio la padrona di casa. Agli occhi dell’uomo apparve come una creatura incantevole.
Policastro accompagnò l’operaio all’interno della casa spiegandogli il danno da riparare. L’operaio sistemò tutto ad arte, facendo molto felice la bella donna che pagò senza chiedere sconti. Ma mentre stava per andarsene, a un tratto l’operaio si fermò incantato davanti al salone della libreria: il primo enorme, la seconda ricchissima. La donna, vista l’espressione affascinata, chiese all’uomo se gli piacesse leggere. Lui con un pizzico di vergogna rispose di sì, che leggeva davvero molto: «Almeno 5 libri all’anno!», si vantò.
Lei un po’ meravigliata, non tanto dal fatto che l’uomo leggesse, ma per la misera quantità ritenuta “tanta”, pensò che potesse dipendere dal costo dei libri. Decise quindi di regalargliene uno. Ma fece un errore imperdonabile. Chiese a lui di scegliere quello che preferiva. L’operaio molto impacciato per l’imbarazzo, dopo aver tentato di rifiutare per buona educazione, alla fine si avvicinò alla libreria. Comprese subito che i libri erano stati disposti con un criterio di valutazione ben chiaro: “alta cultura” e “bassa cultura”. Il che si traduceva secondo il suo soggettivo criterio in: “opere difficili, perché assai stimate dalla bella donna che è anche colta, e opere facili, probabilmente popolari”. L’operaio abbassò quindi subito lo sguardo verso l’ultimo scaffale. La scelta – era ovvio – doveva ricadere su un libro di quelli relegati laggiù. Era certo, tra l’altro, che così facendo non avrebbe offeso la padrona di casa, poiché scegliendo un’opera “bassa” avrebbe confermato il suo stato sociale umile, senza apparire sfrontato, come sarebbe potuto apparire se avesse osato leggere libri alla portata di una persona di rango elevato.
Ma, al contrario, per Policastro assistere a quella scelta fu terribile! La prima cosa che pensò fu: «Ma sei proprio un bestione vichiano! Accidenti! Se non sai scegliere tra una cosa bella e una brutta!».
La seconda cosa che pensò fu invece un rimprovero a sé stessa. Lei che voleva fare un’opera buona, aveva fatto l’errore di tenere esposti quegli obbrobri: «Appena se ne va devo buttare tutti i libri da metà libreria in giù. Se non ci fossero stati, l’operaio avrebbe dovuto prendere uno di quelli belli, o almeno passabili!»
In realtà, non poteva immaginare che l’operaio se avesse preso un titolo altisonante probabilmente non lo avrebbe comunque sfogliato, o se lo avesse fatto forse l’avrebbe trovato davvero di difficile comprensione o un po’ troppo impegnativo, non avendo lui le stesse nozioni di lei. In compenso – è vero – lo avrebbe esposto nella sua piccola libreria con grande orgoglio. Così tutti quelli che entravano in casa sua avrebbero pensato che lui era, in fondo, un uomo colto.
Prima di andarsene con il suo libro sottobraccio, l’operaio guardò per l’ultima volta la bella donna: non fosse stata così intelligente – pensò – forse avrebbe provato a invitarla per un caffè…
27 dicembre 2015 alle 10:15
“ Venerdì 19 gennaio 2001 – « C’è un problema », mi dice il simpatico capo della simpatica squadra di operai che stanno ricollocando i libri sugli scaffali. « Dove siete arrivati? » « A Gadda ». C’era da aspettarselo, quando si arriva a Gadda diventa tutto più complicato. (« Eccolo qua… Gadda Conti », dice l’operaio giovane. « No, quello è un altro », replico io un po’ stizzito. Quando confondono Gadda con quel cretino del cugino mi arrabbio sempre. « Neanche fossi Gadda » Neanche avessi un cugino) “ [*] [**]
[*] Lsds / 631
[**] Domanda a Ma.Ma.: qual è la divisa da operaio? Che, se c’è, ha comunque il suo fascino. Come sanno tutte le belle donne.
27 dicembre 2015 alle 10:52
Onestamente, è presumibile che quell’ operaio, se era un lettore, avrebbe gradito scegliere in base ai suoi gusti personali, se non lo era, non si sarebbe fatto tante seghe mentali sui libri colti o non colti, ma avrebbe pensato che preferiva un altro regalino. I libri non sono scelti solo in base alla difficoltà di lettura, si possono scegliere anche per motivi incredibilmente stupidi ma ugualmente degni, perché del resto stiamo parlando di un’attività piacevole, di non dell’asportazione di un tumore. Io ad esempio, non leggo libri ambientati a New York, o nel deserto, non leggo libri dove esistono faide, guerre, dove predominano situazioni lavorative, se sono storie di gente di fabbrica, o medici non mi interessa leggere neanche la trama. Se poi il protagonista è un avvocato scappo. Non sono un operaio, tanto meno Policastro, e soprattutto non mi interessa cosa leggono.
27 dicembre 2015 alle 11:07
acabarra59: fai tu, una qualsiasi divisa da lavoro. Elettricisti e idraulici usano le salopette, spesso; gli spazzacamini, si sa, prediligono le tute intere; il camice è più da vetrai, mentre i piastrellisti stanno in due pezzi, calzoni multitasche e giubbetto a maniche corte.
Amanda: anche il tuo è un punto di vista soggettivo…
27 dicembre 2015 alle 12:30
No per niente. È una prova del fatto che il mondo si divide in: io-gli altri e non Policastro-operai. E intanto iniziamo a capire la differenza tra soggettività apparente per raggiungere uno scopo e soggettività reale. Comunque, riguardo al discorso sulla famiglia, la cultura e tutta quella roba noiosa già citata, adesso sto per scrivere una cosa soggettiva, che non può essere applicata agli altri: io arrivo da una famiglia che non sta male, infatti ho iniziato a comprare libri esattamente quando ho iniziato a leggere, una media di cinquanta all’anno per vent’anni. Poi ne ho ereditati almeno 500 da mia madre, e poi altri che spuntavano, regalati o sempre ereditati Li ho regalati quasi tutti alle biblioteche, oltre al fatto che a un certo punto, ritrovandomi orfana, qualcuno mi ha fatto prendere i miei libri, a 15 anni, e me li ha fatti buttare nel fuoco, perché allontanavano da Dio. Li ho ricomprati tutti, uno per uno. A casa mia si ritrovavano molti imprenditori, amici del mio tutore dell’epoca. Spesso mi regalavano classici, con una loro dedica. Non li ho mai letti. Su migliaia di libri che ho letto, in prestito o miei, anche grazie al fatto che ho la sindrome di Asperger e leggere era la mia ossessione, quelli li ho sempre dati in biblioteca. Non solo, ho letto nonostante le mie condizioni per farlo fossero avverse, in quanto non ho frequentato quasi mai la scuola. Cioè, non so fare le divisioni, dire se l’Africa è a destra o sinistra, boh…con l’Asperger non ricordo per niente i numeri, quindi la gente potrebbe chiedermi in che anno è finita la seconda guerra mondiale e io non saprei rispondere, insomma sono una pescivendola con la terza elementare. Dove devo essere collocata? Sono ignorante, come uno scaricatore di porto, ma arrivo da ina famiglia con tutti i mezzi per avere in mano un classico. Anzi peggio, me li davano in mano, ma non li leggevo. E ancora oggi, nonostante abbia visto la puntata di Amici con Saviano che è stato più che convincente a raccontare la bellezza di “Le notti bianche” o quella roba lì, non lo leggerei mai. Perché? Perché mi vengono in mente conoscenti (anche pluri laureati) che gongolano allo specchio per la loro presunta superiorità grazie al fatto che riescono a comprendere certa letteratura…mi disgusta solo l’idea che esista una cosa che possa accomunarmi con chi si pavoneggia per quello che legge. Probabilmente da oggi, visto come è stata presa a cuore la questione, dirò che leggo soprattutto Volo. Il problema è che mi tocca comprare i suoi libri. Che palle.
27 dicembre 2015 alle 13:03
” Domenica 27 dicembre 2015 – Poi ho aperto il giornale e mi sono trovato di fronte il faccione di Roberto Saviano. Così ho pensato che il mondo si divide fra quelli a cui piace Roberto Saviano e quelli che no. Non dico quello che scrive, dico la faccia. Quelli a cui piace la faccia di Roberto Saviano io mi sentirei di chiamarli i faccisti. Allarmi, son faccisti, etc. ” (*) (*) Lsds / 632
27 dicembre 2015 alle 13:05
Naturalmente il neretto era ” faccisti “.
27 dicembre 2015 alle 13:10
Amandamelling: condivido la tua prima frase. I due binomi, tra l’altro, a me sembrano sinonimi; potevo evitare il nome delle donna forse per renderlo più chiaro. (che poi il mio raccontino infantile era un tentativo di spiegare diversamente una cosa che non riuscivo a rendere chiara a dm: è non credo di esserci comunque riuscita). Per il resto, temo che il tuo sfogo sia rivolto alla persona sbagliata. Esistono più eccezioni… E non è detto che anch’io non rientri in queste, ma non mi va di condividere gli affari miei. Sorry. 😌 E ora, davvero non saprei più che cosa aggiungere. Buona domenica! 😃
27 dicembre 2015 alle 13:24
Ma Ma non era uno sfogo per niente, era un racconto in prima persona, uno sfogo implica altre componenti che qui non ci sono.
A me piace la faccia di Saviano, molto bella. Quello che scrive non so, mai letto…
27 dicembre 2015 alle 18:57
Ma forse posso anche uscire dal piano delle “belle lettere”, che mi aiuterebbe ancora di più. E allora farei:
“Qua il problema è solo uno: tu puoi scegliere, beato te, tra il De Architectura di Vitruvio e il trattato medico al-Taṣrīf li-man ʿagiza ʿan al-taʾlīf di Abu al-Qasim al-Zahrawi. Peccato che la maggioranza si trovi in una condizione diversa […] Non è giusto che ai pochi sia concesso di farsi un Abu al-Qasim al-Zahrawi e ai bestini vichiani ammanniamo Vitruvio, che poveretti.”