di Marco Candida
[Propongo questo racconto (di cui ho parlato anche qui) in occasione del “Ritorno al futuro day”. “Ritorno al futuro day” era ieri. Purtroppo sono stato a una fiera del lavoro e non ho potuto pubblicarlo prima. Il testo appare anche nel sito di Wall Street International Magazine]
Tornare da Aurora
Ho cominciato a stendere il primo progetto di una macchina per viaggiare nel tempo tre settimane dopo la scomparsa di Aurora. Aurora era mia moglie. L’amavo. Era lei a tenere insieme il mio mondo. Ed ero così disperato, quando la perdetti, che mi misi in testa che forse sarebbe stato possibile costruire un marchingegno, tornare indietro nel tempo e impedire che quel camioncino del latte la stritolasse contro un muro in un vicolo troppo stretto. Perché così sono andate le cose, per quanto assurdo.
Io, ho solo una laurea in Lettere. Non sono un genio della matematica. Anzi, non sono un genio di niente. Non lavoro da anni. Da anni cerco lavoro senza trovarlo. Vivo con qualche risparmio. Sto per lo più a casa. Ho un sacco di tempo libero. Lo passo soprattutto a leggere. Romanzi, saggi. Un giorno ho trovato tra gli scaffali di una libreria un libretto che si intitola La relatività a fumetti. Sarà stato sette, otto anni fa. E’ così che ho preso ad appassionarmi di Fisica. Poi dai fumetti sono passato ai documentari. Morgan Freeman. Brian Greene. Dopodiché ho ripreso in mano i libri di Fisica, Chimica e Biologia del Liceo integrandoli con prontuari come Fisica. Corso di sopravvivenza e Matematica. Corso di sopravvivenza. Infine, giovandomi di una buona conoscenza dell’inglese, mi sono messo a seguire su Youtube le lezioni tenute alla Stanford University dal Professor Leonard Susskind e quelle del Professor Michiu Kaku presso la New York State College. Quando Aurora è morta, le cose che avevo fino a quel momento appreso in maniera del tutto amatoriale mi si sono radunate nella testa e come ho già scritto dopo solo tre settimane mi ci sono messo sul serio a far progetti per costruire una macchina del tempo.
L’ho costruita sei anni più tardi. E’ simile alla cabina di una doccia. Alta due metri. Fatta di pareti scure, di alabastro e bachelite. Viene attivata mediante pannelli di controllo che stanno all’esterno. La macchina del tempo si trova nel box auto in dotazione del condominio nel quale abito. Il carburante della macchina del tempo, per così dire, è costituito di oggetti. Sì, semplificando al massimo, la faccenda funziona così. I cunicoli spaziotemporali sono dimensioni senza materia, tempo, spazio. Dentro non c’è nulla. Gli atomi una volta dentro a un cunicolo spaziotemporale tendono a selezionare quale varco temporale aprirsi e almeno da quanto ho osservato scelgono di dirigersi nel tempo dal quale originariamente provengono. Facendo esperimenti ho notato che se fossi da solo tornerei al tempo presente ossia il tempo al quale i miei atomi appartengono. Se indossassi un paio di scarpe acquistate nel 2011 si aprirebbe davanti a me un varco che immetterebbe nel 2011. Ma essendo un oggetto solo, il varco risulterebbe piccolo, appena visibile.
Perciò portandomi all’interno del cunicolo spaziotemporale, atomi di quasi un migliaio di oggetti risalenti all’anno nel quale desidero recarmi, il varco è immediatamente visibile e attraversabile. Il varco mostra continuamente luoghi dove poter uscire. La bocca di un vulcano. La superficie di un lago. Le sabbie di un deserto. Una strada di campagna. Un’autostrada. Un prato. Una strada di città. A volte ci vuole del tempo per trovare il luogo meno pericoloso e più conveniente nel quale poter uscire dal cunicolo. Ma con un po’ di pazienza lo si trova. Come ho detto, tutto questo io l’ho solo verificato in via sperimentale. Mi manca la matematica per esprimere quel che accade. Come Michael Faraday anch’io attendo il mio James Clerck Maxwell.
Per tornare indietro nel tempo in cui è avvenuto l’incidente di Aurora, ossia il 14 luglio 1996, ho dovuto acquistare oggetti risalenti a quell’anno. Anzi, per essere sicuro di non sbagliarmi ho voluto acquistare oggetti risalenti a un anno prima. E il modo più rapido e sicuro che mi è venuto in mente è stato acquistare album musicali risalenti al 1995 e opere letterarie risalenti allo stesso anno. Ho acquistato almeno trecento album. Tutto quello che sono riuscito a trovare. Su Internet, nei negozi di dischi e nelle biblioteche. Naturalmente curandomi di verificare che fossero tutte prime edizioni e non ristampe messe in circolo negli anni successivi. Call Down The Moon dei Man.See you on the other side dei Mercury Rev. Wave of Popular Feeling dei Groundswell. Zuccherofilatonero di Mauro Repetto. Titoli così. E lo stesso per i romanzi. Cinquecento titoli. Tutti stampati e messi in commercio nel 1995. Raptor Red di Robert T. Bakker. Il gioco della mosca di Andrea Camilleri. The Ghost Road di Pat Baker. La leggenda di Bagger Vance di Steven Pressfield. Parasite Eve di Hideaki Sena.
Sei anni dopo la scomparsa di Aurora, sono tornato nel 1995. Ho attraversato il varco spaziotemporale creato dalla mia macchina del tempo finendo in una strada laterale di Caltanissetta. Niente pioggia. Sole. Due del pomeriggio. Per prima cosa ho cercato una banca e ho cambiato in lire i dollari che mi sono portato dietro. Nel 1995 infatti non c’erano ancora gli euro. Così prima di partire ho pensato di cambiare gli euro in dollari e una volta nel 1995 di cambiare i dollari in lire. Posso dire di aver dato fondo agli ultimi risparmi per questo viaggio. Da Caltanissetta ho preso un treno e mi sono trasferito ad Alessandria. Novembre 1995. Ho alloggiato per un po’ in un ostello in Via Mazzini. Tenevo d’occhio l’altro me stesso, cercando di non farmi vedere dalle persone che ad Alessandria mi conoscevano. Resistevo anche all’idea di poter rivedere facilmente mia moglie. Il mio obiettivo prima di tutto era far fuori il me stesso di allora. Infatti sapevo fin da principio che salvare la vita di Aurora avrebbe avuto ricadute sul mio presente. Facendo fuori il me stesso del 1995 e sostituendomi a lui avrei tuttavia evitato paradossi e distorsioni.
Come ho ucciso l’altro me stesso? Niente di più facile. Sapevo che il me stesso di allora amava fare lunghe passeggiate solitarie in collina – poi sostituite a partire dal 2004 con un tapis-roulant nel box auto. Non ho fatto altro che attenderlo e pugnalarlo in una serata dicembrina. Poi ho caricato il cadavere su un’automobile presa a nolo. Mi sono sbarazzato del cadavere sfigurandolo totalmente. Ho scavato una fossa molto profonda e l’ho ricoperta per bene. Detto così suona orribile. Ma in fondo me la stavo solo prendendo con me stesso. Questo credo cambi moltissime cose. E poi se ero riuscito a costruire una macchina del tempo sorretto dalla disperazione per aver perso mia moglie, avrei potuto benissimo avere la forza di compiere efferatezze pur di ricongiungermi a lei. Conciato così come lo avevo conciato nessuno avrebbe potuto riconoscere il cadavere. E anche se fosse accaduto chiunque avrebbe potuto verificare che abitavo come sempre nel mio appartamento di allora, in Via Ghilini, ad Alessandria. Le impronte digitali erano le stesse, avevo gli stessi documenti avendoli sottratti al mio alter-ego al momento dell’uccisione. Avevo solamente l’aria più invecchiata. Ho commesso l’omicidio il 10 dicembre 1995. E la sera stessa ho rivisto Aurora. L’ho abbracciata. Baciata. La notte abbiamo fatto l’amore. E’ stato bellissimo. Il 14 luglio 1996 ho salvato mia moglie dal camioncino del latte e dalla sua morte ingiusta e assurda. Qualche volta proprio lei, tra l’altro, mi ha detto che avevo l’aria invecchiata. Così, tutto di colpo. Una decina d’anni almeno. Io le rispondevo che purtroppo a volte capita. Però a letto andavo ancora bene.
Ho così trascorso il tempo con mia moglie. Ho continuato a fare quello che facevo senza dover affrontare il lutto. Niente funerale. Tutto quel periodo nero, abissale. Invece ho ripreso a fare la vita che facevo nel 1996 nella realtà del 1996. All’epoca ancora lavoravo e ovviamente un mucchio di scelte che allora non sapevo si sarebbero rivelate sbagliate non le ho fatte. Come fare alpinismo, cosa che nel 2002 mi avrebbe portato a rompermi una gamba – per quanto la mancanza che sentivo di Aurora in quell’occasione fu determinante. Sono rimasto con Aurora per anni, ricoprendola di attenzione e affetto, amore. Qualche volta mi scopriva al buio a piangere. “Perché piangi?” mi chiedeva. “Ma niente. Niente – le dicevo io – E’ che sono felice. Felice. Di stare con te. Di averti”.
Poi nel 2012 Aurora ha cominciato a tossire. Nel 2014 è morta. Io ho tirato fuori dei vecchi blocchi di appunti e ho ricostruito la macchina del tempo nel box auto. Aurora è deceduta tre settimane fa, sotto i miei occhi increduli, che maledicevano il destino. Oggi, dopo tre settimane, la macchina del tempo è di nuovo messa a punto. In tutti questi anni non ci avevo più nemmeno pensato, di viaggiare nel tempo. Quello che volevo era solo stare con Aurora. Aurora era tutto e non c’era macchina del tempo o viaggio su Marte o nel Pianeta di un’altra Galassia fatta d’oro che mi avrebbe attratto più dell’idea di passeggiare con lei per Corso Roma tenendole la mano o prendere un gelato da Cercenà o andare a cena al Pepe Nero. Niente.
Così ora sono qui che mi chiedo se posso fare qualcosa per salvarla di nuovo. Che cosa può avere causato la sua malattia. E come fare per tenerla distante da ciò che l’ha fatta ammalare. Ho comprato album e opere letterarie risalenti all’anno 2003. Kissing to be clever dei Culture Club. Quixotic di Martina Topley-Bird. Ya Nochnoy Huligan di Dima Bilan. La moglie dell’uomo che viaggiava nel tempo di Audrey Niffenegger. Treno 8017 di Alessandro Perissinotto. Utopia Park di Lincoln Child. Nome in codice Dark Winter di Andy McNab. Un migliaio di titoli circa. E mi sono rimesso in viaggio. Per tornare da Aurora.
[Tratto dall’antologia Prendi la Delorean e scappa, a cura di Andrea Malabaila, Las Vegas Edizioni)
Tag: Marco Candida
22 ottobre 2015 alle 20:37
Il racconto è molto bello, costruito con equilibrio tra le due parti, ricco di citazioni e di titoli, ma soprattutto di Aurora!
23 ottobre 2015 alle 01:07
Bello!
24 ottobre 2015 alle 09:15
Veramente molto bello e intrigante.
Bravissimo!
=)
25 ottobre 2015 alle 10:27
Bellissimo ed emozionante. Curioso che ad uno scrittore vengano in mente libri e musica e non invece ad esempio monete e banconote, oggetti da collezione vari, altri oggetti in casa risalenti all’epoca.
25 ottobre 2015 alle 16:42
Complimenti per quel Michael Faraday che cerca il suo James Clerck Maxwell. Riferimento storico azzeccato e pertinente.
Credo anche io che il racconto sia bello..o per lo meno a me è piaciuto (non vorrei che Iannozzi G. mi capti!). E mi è piaciuto perché nel periodo trascorso a leggerlo, sono stato trascinato fuori dal tempo…e ogni macchina del tempo che si rispetti questo fa.
Purtroppo non conosco gli ultimi lavori di Marco, sono rimasto al suo esordio. Però mi pare di notare che,sia nel suo romanzo di esordio, sia in altre brevi prove, una sua predilezione per l’indagine “filosofica” , un tentativo spasmodico di render conto, anche concettualmente, razionalmente, di alcuni assunti base, sue convinzioni introiettate, visioni delle cose, da cui muove il suo raccontare che e da cui non si scinde. Per usare un brutto ossimoro, diciamo che è apoditticamente retorico, sconfina sempre in una sorta di feroce stupore. Credo Marco possa diventare dare tanto alla narrativa italiana. La sua propensione allo stabilire solidi fondamenti gnoseologici (magari facendosi aiutare da Severino) forse andrebbe attenuata, ma mi pare di aver sentito in gitro che nei suoi ultimi lavori, la dimensione del racconto, quindi il suo indiarsi ed entusiasmarsi con la musica del qwerty sbocci in imprevisti mondi quantici…dove le prestazioni sessuali in dieci anni migliorano, non rimangono uguali. E neanche i racconti.
25 ottobre 2015 alle 17:12
Mi piace, mi piace il tocco delicato con cui viene trattato il tema dell’assenza, della separazione più dolorosa. Lo stile asciutto, lineare giova ancora di più ad esaltarne la drammaticità e anche la speranza. Bravo.
25 ottobre 2015 alle 17:21
Mi piace. Mi piace lo stile asciutto, lineare che sottolinea, ancor più, la drammaticità dell’assenza della separazione più dolorosa. Bravo
26 ottobre 2015 alle 10:18
Scientificamente immagino non possa funzionare; perché, per dire, gli atomi di un paio di scarpe costruite nel 2011 probabilmente non esistono da 4 anni, ma da un bel po’ di più. Immagino pure che questo tu lo sappia: è chiaro dal tono del racconto, e per questo non disturba, funziona lo stesso.
Non so invece se funziona il risolvere il tutto con la moglie tramite un semplice “sembri invecchiato”. 10 anni si vedono, e non è che salutando la persona il pomeriggio e rivedendola la sera è come niente fosse. è pur vero che il tutto rientra in un contesto abbastanza surreale, certamente non serio, che permea tutto il racconto. Il fatto che una idea tragica (fare di tutto per salvare la vita a una persona amata) sia narrata tramite un meccanismo, per quanto significativo, tutt’altro che tragico (il fatto che riesca sul serio a costruire la macchina del tempo con conoscenze basilari, la raccolta compulsiva di oggettucoli del 1995, il tenere la macchina del tempo senza problemi nel box auto…) è una cosa che riguarda il meccanismo generico del testo, e mi chiedo allora se anche questa soluzione facile non rientri negli strumenti usati per rendere questo “mood”.
Temporalmente – adesso faccio le pulci – ci sono alcune cose che mi confondono. Sua moglie è morta nel 1996. Lui è partito sei anni dopo, quindi attorno alla metà del 2002. Lui dice che, vivendo nel “nuovo” 1996, ha fatto tutto quel che aveva fatto in quello “vecchio”, tranne le scelte che poi si sono rivelate sbagliate, come fare alpinismo, che nel 2002 lo ha portato a rompersi una gamba. Cioè, se l’è rotta l’anno in cui è partito. Certo è possibile che se la fosse rotta qualche mese prima di tornare nel passato… però, con i preparativi, l’agitazione, un certo menefreghismo verso il suo presente…
Altra cosa: nel 1999 avevano cambiato il design dei dollari: quindi il signore qui o si è fatto il viaggio solo con banconote da 1 e 2 (abbastanza scomodo) o si è premurato di avere solo banconote di serie antecedente al 1995: ma andando in una banca a fare il cambio non è che puoi decidere che banconote ti arrivano.
Ultima cosa: quando dice “Sarà stato sette, otto anni fa.” a che anno si sta riferendo? Lui è partito del 2002, è tornato nel 1996, ma ora sta scrivendo, ipoteticamente, nel gennaio 2015 (perché dice “è morta nel 2014”, ne parla come fosse un anno passato, anche se sono passate solo 3 settimane). Quindi lui dovrebbe aver trovato quel libro nel 2007. Ma è impossibile. Stessa cosa vale quando dice “Non lavoro da anni. Da anni cerco lavoro senza trovarlo.”: il personaggio parla come se stesse in un tempo antecedente al viaggio nel passato, anche se in realtà non dovrebbe essere così.
Mi è piaciuto il paragrafo che inizia con “sei anni dopo la scomparsa di Aurora…”. Mi è piaciuto anzitutto la ripetizione frequente della data “1995”: lo si nota anche ad occhio, confrontandolo con gli altri paragrafi. Mi è piaciuto poi anche il fatto che il protagonista fugga dalle virgole, preferendo inanellare i termini separandoli con punti fermi: trovo che questa piccolezza dica qualcosa di importante sul modo di ragionare del personaggio.
La cosa si trova anche all’inizio: “Aurora era mia moglie. L’amavo. Era lei a tenere insieme il mio mondo.” Freddissimo, l’esatto opposto di “luce della mia vita, fuoco dei miei lombi, mio peccato, anima mia” XD Detto così, con questa neutralità, sembra prenderci in giro; sappiamo che non è così, ma questa minimizzazione mi pare necessaria, perché una tragedia reale, abbinata al meccanismo fantasioso della macchina del tempo e l’inevitabile “derealizzazione” che si porta dietro, non avrebbe retto bene. Subito dopo quella frase, segue “tornare indietro nel tempo e impedire che quel camioncino del latte la stritolasse contro un muro in un vicolo troppo stretto”, che, nonostante tutto, è un particolare cruento, c’è un cambio di tono: allora è una cosa seria? Ma poi: “Perché così sono andate le cose, per quanto assurdo.” Se lo dice da solo che è assurdo; poteva non essere così per il lettore, ma il fatto che se lo dica il personaggio lo fa diventare tale comunque.
Questo poi si riflette sul finale: questa seconda volta, il voler tornare indietro di nuovo (sapendo che di qualcosa bisogna pur morire: una cosa che il lettore poteva capire sin dall’inizio, ma che quest’uomo pare voler ignorare) diventa abbastanza ridico; e il senso del tutto diventa questa assurdità.
Ecco: questo meccanismo che ho provato a descrivere mi piace.
(P.S.: mi son dovuto fare l’account da zero perché non mi lascia accedere da facebook, e non mi ricordo la password del primo account che avevo fatto. Così almeno però riesco a commentare col mio nome – le altre poche volte avevo scritto qui come “livealive”)
26 ottobre 2015 alle 10:55
Il racconto mi è piaciuto. Tralascio qualsiasi discorso di tipo scientifico, perché il racconto – anche se dà qualche spiegazione – non ne ha la pretesa; e tralascio anche tutta la questione dei soldi necessari per costruire una macchina del tempo (anche raffazzonata), tipo: quanti risparmi aveva allora questo personaggio che non lavorava e non riusciva a trovare lavoro da anni?, eccetera. Tuttavia ci sono due cose che mi lasciano un po’ dubbioso:
1. Se l’obbiettivo del personaggio è salvare la moglie, una volta adempiuto al compito perché non si è semplicemente suicidato lasciando il se stesso del presente (cioè del passato), invece di sostituirsi a lui? Questo mi dà l’idea che l’autore (che non conosco) abbia in mente due personaggi ben distinti: il se stesso del passato e il se stesso del futuro, che in alcun modo interagiscono fra loro al cambiare degli eventi. Questo mi lascia perplesso, anche se non ne so nulla di scienza.
2. Il racconto, secondo me, sarebbe stato di ben altra caratura se, pur tornando indietro nel tempo, il personaggio per una qualche banalità (disattenzione, ecc., una cosa piccola insomma) non fosse riuscito comunque a salvare sua moglie. Ma questo è un mio giudizio estetico assolutamente personale e di gusto.
Inoltre quel: «sembri invecchiato», mi pare una soluzione un po’ troppo semplice. Sono passati dieci anni… Tuttavia il racconto è godibile.
26 ottobre 2015 alle 19:54
Salvatore, non è più il tempo dei Calvino e dei Pasolini; e se vuoi leggere cose di ben altra caratura meglio non affidarsi ai blog e a Internet.
Alessio, che analisi lunga! il racconto fa leva sui sentimenti non sulla ragione. Potrebbe benissimo aggiungersi a una raccolta di racconti che ho pubblicato con Historica dal titolo “Bamboccioni voodoo”.
Salvatore Siddi, ho scritto pubblicato otto romanzi e una racconta di novelle. Il tuo giudizio andrebbe bene se mi fossi fermato al romanzo d’esordio; ma ormai quel giudizio può riguardare solo un libro della produzione. Comunque grazie.
Agli altri, vi ringrazio.
28 ottobre 2015 alle 10:14
Molto bello, Marco, complimenti davvero. Poi sono un grande appassionato di Kubrick, e so che il tuo film preferito di kubrick, è proprio “2001 Odissea nello spazio”. Non credo sia un caso la confluenza degli eventi:
Sei anni dopo la scomparsa di Aurora, sono tornato nel 1995.
Quindi dal 2001: coincidenza!? Può darsi… ma io non lo credo. Poi il finale l’ho trovo molto logico: quella in cui Aurora trova la morte per la seconda volta. E come si dice Sarah in Terminator 2 al Cyborg Schwarzenegger :
-No, no… tu non dovresti nemmeno esistere. Voglio dire, abbiamo fatto saltare la Cyborg Dine Systems, oltre dieci anni fa. Abbiamo fermato il giorno del giudizio.
Ma, appunto, la risposta del Cyborg rimette le cose a posto:
-L’avete semplicemente rinviato, il giorno del giudizio è inevitabile.
16 novembre 2015 alle 12:34
Un racconto monologo , di un’uomo che vive con un’unica idea ossessiva che lo porta a perdere progressivamente il contatto con la realtà e ad isolarsi e che dalla realtà si distacca progressivamente proiettandosi in una dimensione onirica . Il sogno è pur sempre la scorciatoia : restituisce l’impossibile.
Questo racconto lo immagino trasportato in una pellicola cinematografica con una voce fuori campo che commenta la solitudine onirica del protagonista. È un racconto sospeso tra la realtà e il sogno.
Interessante.