
Un Manzoni così non l’avete visto mai
La verità è che in questi articoletti (ne ho pubblicati finora due:
Alessandro Manzoni non è il vero autore dei Promessi sposi e
Don Rodrigo insegna la pietà a fra Cristoforo) non ho detto e non dirò niente di nuovo e niente di speciale. Potete immaginare quante pagine di critica e di storia sono state scritte sui
Promessi sposi; a scoprire qualcosa di nuovo non sarò certo io, che in fondo non li ho mica studiati: li ho letti qualche dozzina di volte; qualche dozzina di volte ne ho commentato in aula una pagina o un episodio; qualche migliaio di volte, avendo bisogno di un esempio per spiegare una qualunque roba di narratologia o di stile, l’ho pescato da lì. I
Promessi sposi non sono il libro della mia vita, nel senso che non è presso di loro che si è formato e nutrito il mio immaginario; e so bene che il “peso” dei
Promessi sposi nella letteratura europea – rispetto a un
Rosso e nero, a un
Affinità elettive, a un
Père Goriot, a un
Karamazov, eccetera – è piuttosto leggerino. Ma, confesso, ho un amore per i
Promessi sposi: un amore direi quasi coniugale; diverso dall’amore furente che ho per i
Karamazov, dall’amore diffidente che ho per
Il rosso e il nero, dall’amore un po’ maialesco che ho per
Père Goriot, dall’
amor de lonh che ho per
Le affinità elettive (per non parlare del mio amante storico,
Dune). A questo “romanzetto / ove si parla di promessi sposi” (
v.) sono affezionato come sono affezionato alla Democrazia cristiana (che fu peraltro, nella sua parte migliore, manzoniana assai; la peggiore fu orrore puro, e non parlo qui di quella). Invito dunque, chi vuole, a seguire
la serie; e, chi non volesse, a non seguirla. Non pubblicherò pensosi saggi, ma brevi esempi di lettura.
Ora il concorso a premi. Quando dico
I Promessi sposi non sono il libro della mia vita…
anziché dire
I promessi sposi non è il libro della mia vita…,
quale figura retorica metto in campo? Il primo a rispondere qui nei commenti esattamente (o almeno persuasivamente, visto che la retorica è tutto fuorché una scienza esatta) riceverà in omaggio una copia dei Promessi sposi (o, a scelta, una copia di I promessi sposi).
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This entry was posted on 16 settembre 2015 at 13:52 and is filed under Teoria e pratica. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed.
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16 settembre 2015 alle 14:36
Non rispondo perché ho controllato su Google, però grazie, di questa figura retorica non conoscevo il nome.
16 settembre 2015 alle 14:39
E una copia de I Promessi Sposi no?
Allora non partecipo 😉
16 settembre 2015 alle 14:45
Sillessi.
16 settembre 2015 alle 15:00
Enallage: l’ho detto.
16 settembre 2015 alle 15:02
Sineddoche, allegoria, prosopopea? Ma sì, sarà la quarta! 😅
16 settembre 2015 alle 15:03
(Ho già scritto questo commento, ma è crashato il browser. Se è un doppione, mi scuso).
Direi che si tratta di Sillessi, perché è una costruzione grammaticale dove si concorda il verbo al plurale con un elemento singolare (i promessi sposi, libro) ma che dà sensazione di pluralità.
Altrimenti, se vogliamo intendere “i promessi sposi” come renzo e lucia, allora sarebbe una Sineddoche, una parte per il tutto (protagonisti per libro). Ma questa mi pare più forzata ^^
16 settembre 2015 alle 15:19
Sineddoche, in quanto la sostituzione di un verbo con un altro (non sono – non è) comporta un cambiamento espressivo (così diceva il mio professore) il relazione a come esprimiamo la quantità tra i due termini, in questo caso il plurale per il singolare.
La metonimia comporta invece un cambiamento espressivo in relazione a come esprimiamo il rapporto di qualità… per esempio avremmo potuto dire “Manzoni è il libro della mia vita”, esempio un po’ forzato.
Non so se sono stata abbastanza chiara, perché in genere faccio casino quando spiego le figure retoriche…
16 settembre 2015 alle 15:31
Enallage mi pare che riguardi di più lo scambio di un elemento del discorso. Con i verbi l’ho trovata spesso nello scambio di verbi da transitivi a intransitivi.
16 settembre 2015 alle 15:32
“ 18 novembre 1995 – Alla giornata di studio su Giorgio Vigolo, scopro di non saper più ascoltare la voce umana. Colpa mia? Colpa di Vigolo? Colpa della voce umana? (La dott.ssa Mortacci dell’Università di Cetona le sparava grosse: la Gradiva… Strawinskij… Atanasius Kirchner… e giù con le sinneddochi e sotto con le metonimie… Beguin the beguin… Io mi sono messo a leggere Zola: « Le gens qui boivent aux robinets. Il faut peser sur un bouton, l’eau ne coule pas toujours. Fontaine de pierre, très propre. On boit dans sa main, dans un verre, un coquillage, une bouteille. Le jeune homme qui boit sept petits verres e qui se lave sept fois les yeux, sans s’essuyer. Tous se lavent la figure, boivent et s’en vont. Des prêtres, des pauvres femmes, des dames. D’autres emplissent des bouteilles, des bidons, des cruches…. » (Voyage a Lourdes, 1891)…) “ [*]
[*] Lsds / 533
16 settembre 2015 alle 15:35
Ho pensato all’enallage perché ricordavo vagamente un legame con la concordanza, ma ultimamente ricordo tutto TROPPO vagamente!
16 settembre 2015 alle 16:04
Io la sento più Metonimia.
16 settembre 2015 alle 16:07
Io direi che si tratta di metonimia. Attui una sostituzione, e precisamente cambi il contenente con il contenuto. I promessi sposi sono i due personaggi “contenuti” nel libro I promessi sposi. Invece di nominare il libro, nomini il suo contenuto fondamentale: i due personaggi attorno cui ruota la vicenda, la relazione fra i personaggi (sono “promessi”), il nucleo drammatico della narrazione.
Direi che si tratta di metonimia e non di sineddoche, in quanto la relazione fra i termini sostituiti è di tipo qualitativo e non quantitativo (da Wikipedia: “Nella metonimia la relazione è di tipo qualitativo, nella sineddoche di tipo quantitativo (la parte per il tutto, il genere per la specie, il singolare per il plurale).”), benché apparentemente e formalmente si veda un plurale invece d’un singolare.
Ulteriore prova è il tuo dichiarato rapporto “affettivo” con il libro; e l’affetto si destina più facilmente alle persone (in questo caso ai personaggi) che alle cose.
16 settembre 2015 alle 16:55
E’ allergia.
Come chiarisce la riproduzione della stessa frase come segue:
“Il libro della mia vita non sono ‘I promessi sposi'”.
16 settembre 2015 alle 17:06
Ironia. Ovviamente i Promessi Sposi è il libro della tua vita.
16 settembre 2015 alle 17:57
“ Venerdì 17 giugno 2010 – Al mercato qua sotto una tizia « smucina » fra i vestiti usati tenendo un cane al guinzaglio. Lei sta da una parte, il cane dall’altra, in mezzo il guinzaglio si tende formando una barriera che è anche una trappola: lo vedo appena in tempo per non finirci addosso perdendo l’equilibrio etc. Dico: « Signora, il cane! ». Al ché lei risponde: « Perché, i cani ‘n ce ponno stà? ». E io, di rimando: « Ma stavo per cadere… ». Al ché lei, continuando a « smucinare »: « Tanto siamo assicurati… ». Poi leggo che stasera, all’Applauditorium, ci sono Baricco, Camilleri, Benni e Eco che leggono letteratura – Eco legge I promessi sposi. Bravi loro. “ [*]
[*] Lsds / 534
16 settembre 2015 alle 18:15
Errata corrige: ” Bravi, loro “.
16 settembre 2015 alle 19:09
Direi che si tratta di antonomasia, perché i promessi sposi, appunto per antonomasia, è il titolo del libro di Manzoni. Poiché però l’espressione è antonomastica, è avvertita come plurale e concordata ad sensum.
16 settembre 2015 alle 22:13
Metalessi? (Non sono mica sicuro, eh!).
16 settembre 2015 alle 22:28
Un tipo di Metonimia.
16 settembre 2015 alle 22:43
(Io leggo accettabilmente solo l’italiano. E leggendo nel Manuale di retorica di Bice Mortara Garavelli ho come l’impressione che neanche Bice Mortara Garavelli saprebbe rispondere alla tua domanda.
La sua “definizione abbastanza maneggevole” è: “sostituzione di un termine con un traslato prodotto da passaggi (impliciti) attraverso più nozioni che rimangono sottintese e che sono, l’una rispetto all’altra, sineddochi, metonimie, metafore, alternative o consistenti”.
Metonimie… Metafore.
È una definizione vaga e, perciò per uno approssimativo come me, affascinante e convincente.
Ho scritto, oggi pomeriggio:
Ed è evidente – e mentre scrivevo ne ero consapevole, il che non mi ha dissuaso dall’uso d’un tono certo – che poggio la mia argomentazione sul termine “contenuto”, che è, di già, un traslato.)
16 settembre 2015 alle 22:57
“ Domenica 2 aprile 2000 – Vedo la gatta Puzzi (Puzzola all’anagrafe, Puzzi per gli amici) che mangia qualcosa di gusto. Guardo meglio: è una penna di piccione. Ecco uno splendido caso di metonimizzazione, penso io. Ecco la pars pro toto, l’uovo oggi dubitando della gallina futura, la penna, sperando nel piccione à venir. La penna, stando al masticare entusiasta di Puzzi, dev’essere saporita, cioè deve « sapere » di piccione, o forse è la forza dell’immaginazione (di Puzzi) che fa il miracolo. Una penna poi, penso, non è soltanto un « pezzo » di piccione, ma anche un simbolo. Mangiarla dev’essere veramente come mangiare un piccione intero, mangiare la sua essenza, il suo « sapere », dev’essere come sapere la verità del piccione: la « piccionità ». Che forse, in un piccione, è quello che conta. E poi – poiché così come i pezzi di piccione fanno venire voglia di un piccione intero, i pezzi di diario fanno desiderare il diario nella sua monumentale completezza – mi viene in mente quel diario del mio Diario che dice: « 3 novembre 1995 – “ Un écrivain n’a nul besoin de dévorer tout un mouton pour pouvoir en décrire le goût. Il lui suffit de manger une côtelette. Mais cela, il doit le faire. “ (Somerset Maugham, Journal 1892-1944) ». Cioè a dire: il diario-piccione non c’è bisogno di leggerlo-mangiarlo tutto, ma almeno un assaggio, un assaggino, un bocconcino, che ti costa, o lettore cannibale, che male ti fa? Anche per non sembrare meno immaginativo di una gatta di casa. (E non venite a dire che siete vegetariani, se è solo che non avete voglia di leggere) “ [*]
[*] Lsds / 535
17 settembre 2015 alle 05:06
Mi sembra che venga trascurata la permanenza del corsivo. Se io dico: “Amo i promessi sposi”, dico (letteralmente) che amo Renzo e Lucia. Ma se dico: “Amo i Promessi sposi“, non dico che amo Renzo e Lucia.
17 settembre 2015 alle 08:21
e sotto c’è anche una p minuscola
17 settembre 2015 alle 12:18
Proprio per la permanenza del corsivo sono portata a propendere per la sineddoche.
Comunque questa discussione è interessantissima, non ne facevo di così dai tempi del corso di linguistica.
17 settembre 2015 alle 13:16
Sì, avevo pensato anche al corsivo. Però, dico, se tu avessi scritto “amo i promessi sposi” avresti manifestato un sentimento nei confronti di quei personaggi. E sarebbe stato curioso, e anche un po’ buffo. …Scrivendo “amo i Promessi sposi” ti stai invece riferendo al libro, e concordando poi al plurale come hai fatto, non tratti quel libro come un libro ma come una pluralità che contempla evidentemente i personaggi, e questo è un effetto.
Il corsivo non mi pare che neutralizzi quest’effetto sul lettore (non parlo di una lettura letterale e grammaticale, ma dell’eco che si avverte).
Poi boh, mi posso sbagliare.
17 settembre 2015 alle 14:06
io sto ancora pensando al peso dei Promessi Sposi nella letteratura europea, io non sono così convinto del suo essere “leggerino”. Sono fermo lì non riesco a andare avanti.
17 settembre 2015 alle 17:50
“ Mercoledì 1 novembre [1995] – Sì, io sono quello che, assistendo alla discussione della tesi di laurea del figlio (a proposito, congratulazioni), nota che il correlatore nella sua correlazione commette un’imprecisione (io sono quello che pensa si tratti di un lapsus) quando dice « … è proprio il Seicento dei Promessi Sposi… con Padre Cristoforo che ammazza uno per una questione di precedenza … “ vil meccanico “ … etc. », perché chi ammazza non è Padre Cristoforo ma Lodovico, perché « vil meccanico » non lo dice Padre anzi Fra Cristoforo ma quell’altro, perché Padre anzi Fra Cristoforo anzi Lodovico non ammazza « per una questione di precedenza » ma per vendicare il servo Cristoforo (« mirava piuttosto a scansare i colpi, e a disarmare il nemico, che ad ucciderlo ») … (sono quello che a un certo punto non sa più bene se si stia parlando dei Promessi Sposi o del Sorpasso) (sono persino quello che nell’incontro fatale da cui scaturisce il duello pensa di riconoscere qualcosa di analogo a quanto segnalato da Fruttero & Lucentini in margine alla loro traduzione del Doctor Jekyll di Stevenson e quello che addirittura ipotizza che anche i Promessi Sposi siano da un certo punto di vista una storia di incontri, di incroci, vedi Don Abbondio e i bravi). Sono nondimeno quello che crede di aver sentito bene quando ha notato quello che ha notato, perché poco dopo anche il relatore torna sull’argomento dicendo senza che nessuno glielo abbia chiesto che « Manzoni sapeva molto della borghesia ma non sapeva niente del popolo… ». Sono quello insomma che si convince di non essere matto quando conclude che, per qualche strana ragione, c’era un discorso sotto il discorso dei professori (a proposito, complimenti), un discorso diciamo sulla pena di morte, sul chi (ha) ammazza(to) chi, ammesso che sia vero che qualcuno ha ammazzato, ammesso che quello sia Padre anzi Fra Cristoforo, che nel libro comunque, certo, è anche un assassino, un certo tipo di assassino, uno che prima ammazza e poi si pente (io sono quello che a questo punto ha il sospetto si stia parlando di qualcosa di grosso, della « Cultura », per esempio), e forse il mondo va sempre così, hai voglia a cambiare nome (ma il nome è tutto quello che puoi cambiare). “. [*]
[*] Lsds / 536
19 settembre 2015 alle 06:20
Daniele (dm): se avessi scritto “amo i promessi sposi”, non avrei fatto capire che amo quei promessi sposi lì, e non tutti quelli che mettono fuori le pubblicazioni in Comune.
19 settembre 2015 alle 12:37
Se avessi scritto “amo i promessi sposi” fuori dal (con)testo di quell’articoletto, sì.
22 settembre 2015 alle 15:19
a mio parere, posto che il titolo del romanzo è “I promessi sposi” (con l’articolo), la prima frase che non corsivizza la “I” presenta in realtà una imprecisione. La figura retorica presente è una semplice ellissi, in cui l’espressione “Il libro I promessi sposi ecc., si semplifica in “I promessi sposi “. Mettendo poi il verbo al plurale si fa una concordanza a senso, spinti a ciò dall’ellissi stessa: è meno naturale infatti concordare il verbo al termine che l’ellissi ha soppresso e più immediato concordarlo con il termine che resta sulla pagina e su cui si concentra la consapevolezza di chi scrive e di chi legge. non mi sembra che qui si tratti di metalessi, perché non ci sono successioni di traslati.