di Marco Candida
Perché l’Inferno di Dante ha 34 canti e non 33? La Divina Commedia è divisa in 3 Cantiche ciascuna a sua volta divisa in 33 canti più il canto iniziale che fa da proemio. Nella sterminata bibliografia sull’opera dantesca sembra darsi per scontato che non ci siano significati nel fatto che la prima Cantica sia formata da 33 canti + 1. Tuttavia, come mai Dante, così maniacale nel creare simmetrie, nominò il primo canto appunto “primo canto” e non, ad esempio, “proemio” mantenendo intatto il frazionamento 33-33-33? Non potrebbe esserci un significato, per noi della “piccioletta barca”, nell’asimmetria 34-33-33?
Visto che qui si tratta di architettura sia pure di un’opera letteraria, pensiamo ad alcuni esempi tratti dall’architettura propriamente intesa: il Duomo di San Martino a Lucca, la chiesa di Santa Maria di Naula, la basilica di San Andrea di Vercelli, l’abbazia di Staffarda o il Duomo di Notre-Dame di Strasburgo. Esempi manifesti di asimmetrie. La facciata del Duomo di San Martino di Lucca presenta l’arcata di destra molto più stretta di quella centrale e di sinistra. La basilica di San Andrea a Vercelli presenta una torre campanaria nell’angolo nord-ovest ossia in posizione obliqua rispetto all’asse longitudinale della basilica stessa scombiccherando il tutto. L’abbazia di Staffarda presenta, come di regola nei monasteri cistercensi, un’asimmetria. Il Duomo di Notre-Dame di Strasburgo che ha forma di basilica a tre navate con transetto manca di una guglia determinando un effetto fortemente asimmetrico – dato che, come ogni cattedrale ogivale, dovrebbe presentare, invece, due guglie.
Ora, quali spiegazioni si sono date alle asimmetrie di queste costruzioni? Tralasciando quelle di ordine più poveramente pratico, una risposta è che la tensione verso la perfezione architettonica può essere interpretata come un atto di orgoglio verso Dio. Un’altra che l’asimmetria tende a interrompere il cerchio dell’infestazione satanica dato che Satana si presenta, assai volentieri, sottoforma di ordine e logica. Dunque, le risposte sono che l’asimmetria serve a evitare la superbia e a tenere lontano il demonio.
Va considerato, tuttavia, che nella Divina Commedia i 34 canti formano la Cantica dell’Inferno. In fondo allo scopo di rompere la nefasta tripartizione simmetrica Dante avrebbe potuto aggiungere un canto nell’explicit della Commedia e non nell’incipit. Invece il Nostro sceglie l’Inferno. Sicché quando confrontiamo 34, 33 e 33 siamo costretti a notare lo sbaglio, l’asimmetria, l’ineleganza proprio in corrispondenza del Regno di Satana.
Tag: Commedia, Dante, Divina Commedia, il Duomo di San Martino a Lucca, Marco Candida
12 agosto 2015 alle 20:07
Eh, bella domanda.
12 agosto 2015 alle 23:48
Perché Dante ne sapeva una più del diavolo.
13 agosto 2015 alle 00:31
mi pare di ricordare che, al contrario, il 34° canto abbia, dal punto di vista dell’architettura come la chiami tu, la funzione di massima simmetria ed eleganza, perché consente di arrivare a 100, che numerologicamente ha il suo bel peso tanto più in un’epoca in cui la numerologia aveva la sua bella importanza. 34-33-33 quindi è ben lungi dall’essere, per dante, una assimmetria (e del resto quella che tu chiami nefasta tripartizione per il sommo era splendida armonia. va be’ cercare letture innovative, ma il primo comandamento del lettore, se non dell’esegeta, è non commettere anacronismo…). quindi la tua tesi mi sembra poco sostenibile. (cioè naturalmente è lecita qualunque sensazione in quanto lettore, ma non sempre è lecito attribuirne l’intenzione all’autore. in questo caso dire che dante voleva spezzare la simmetria è proprio una provocazione, mentre è interessante rilevare che il lettore contemporaneo può sentire quel canto liminare come elemento di asimmetria anziché di bilanciamento). il perché poi il canto in più si trovi all’inizio e non alla fine secondo me ha tutto a che vedere con la funzione di soglia. nella commedia il proemio non è un semplice incipit, né un’introduzione informativa; si tratta quasi di un’epitome del “prima” nell’esistenza di dante, e quindi ha una collocazione esterna (anche numerologicamente) all’esperienza che è poi oggetto del poema. laddove un explicit non avrebbe avuto senso, dato che per dante l’esperienza del viaggio ultramondano è in totale continuità con la vita successiva, missione di testimonianza. una chiusa sarebbe stata in totale contraddizione con l’ispirazione poetica, per cui il poema fluisce senza soluzione di continuità nella vita di dante ma anche in quella del lettore. ma qui girano molti prof che sapranno dire meglio di me. comunque ricordo che il bel commento dei mitici bosco-reggio spiegava bene tutto quanto.
13 agosto 2015 alle 09:29
Sì, il 100 è, già dai pitagorici, un numero legato alla rappresentazione di Dio. Nel pezzo l’avevo messo, ma poi l’ho tolto. Ho tolto anche il significato del 34 in numerologia. Un significato che rinvia a conflitti, non positivo. In effetti, se questa teoria fosse in qualche modo verosimile o sostenibile qualche conseguenza di non scarsissimo peso lo avrebbe. Sconfesserebbe, credo, l’attributo “divina”. Fu Boccaccio, come forse tutti ricordiamo facilmente, a definirla così Divina perché perfetta, mirabile, etc. Ma se ammettiamo come verosimile l’ipotesi che Dante introdusse intenzionalmente un canto affinché i conti non tornassero, questo proverebbe che il Sommo Poeta si guardava ben bene dal voler scrivere qualcosa di “divino”. Comunque dato che questa “asimmetria” porta il conto dei canti a 100 e 100 è un numero legato a Dio, al Nostro (Eroe), ancora una volta, è riuscito il prodigioso gioco di creare una “divina asimmetria”. .
13 agosto 2015 alle 10:16
Io ricondurrei il fatto difettoso con il numero posseduto da Gesu’ Cristo: 33 anni di tempo per rimettere l’uomo nella giusta rotta; cioe’ riuscire a farlo entrare nel paradiso o nel purgatorio, per mezzo delle sue interpretazioni.
14 agosto 2015 alle 10:08
Faccio due esempi di “tesi” sostenute da Guglielmo Gorni in “Dante Storia di un visionario” Editori Laterza.
La prima tesi riguarda le tre fiere: la lonza, il leone e la lupa. La spiegazione si trova a partire da pagina 253. Gorni sostiene che le tre fiere, le quali cominciano tutte e tre per L, siano parti di un unico essere mostruoso che si trasforma indefessamente. Ecco il testo: “La mia ipotesi è che la “bestia” dantesca non designi una lupa spogliata della sua identità di lupa, appiatita in una perifrasi elusiva. Ma che sia invece un mostro uno e trino, che di volta in volta è lonza, leone e lupa, in una metamorfosi subdola e continua della sua natura maligna, pronta ad aggredire l’uomo nel suo punto più debole, nell’ora topica e nella maniera più insidiosa. Mi piace supporre che il primo canto del poema sia abitato da un mostro uno e trino, simmetrico al Lucifero con tre teste del canto di chiusa dell’Inferno”
La seconda tesi riguarda Beatrice.nel capitolo “Beatrice, nome della beatitudine”. Vi si tratta del legame tra Beatrice e il numero 9. Ecco che cosa si legge a pagina 117: “Il nove dunque come miracolo, diretta emanazione del tre, ossia immagine prima, prodotto primo della Trinità. Neppure questa ragione somma e, al dire dell’autore, infallibile, basta […] Se BEATRIX è l’anagramma di una BERTA (nome convenzionale di ‘donna’ per Dante, come si ricava da “Non creda donna Berta e ser Martino…” Pd, 13, 139, e dalla costruzione di De Vulgari II VI 4, “Petrus amat multum dominam Bertam”) seguita da un IX (nove in cifre romane, che peraltro veniva scritto per lo più VIIIJ). BEATRIX, come già AMOR (A+MOR), è stata scomposta in due elementi, corrispondente a radice e desinenza: a questa stregua, BEATR+IX risulta letteralmente acompagnata dal nove, dato che IX ne costituisce la parte terminale. E’ insomma una donna (Berta) – miracolo (IX).”
Questa “tesi” è accolta anche nelle note a la “Vita Nova” nell’edizione tascabile Feltrinelli. Guglielmo Gorni è Presidente della Società Dantesca.
14 agosto 2015 alle 16:00
Guglielmo Gorni è stato presidente della Società Dantesca, poiché è morto nel 2010. (Tra l’altro: il sito della SDI è fatto benissimo ed è un piacere consultarlo. Ci sono informazioni e rimandi a iosa)
15 agosto 2015 alle 07:16
“ Martedì 30 novembre 2010 – Venendo a sapere della morte – « dopo una lunga e atroce malattia » – di Guglielmo Gorni, apprendendo che era un dantista, cioè un professore, ma, soprattutto, che aveva quasi esattamente la mia età, non trovo di meglio – non cerco di meglio – che rievocare un diario: « 27 ottobre 1980 – Toscana chiara / dove sarei / un professore / perfetto / vetri licei / e lei sempre / bionda e bruna / sotto la gonna. (Dopo una visita a Firenze, mattino, stazione, ore 10. 12) ». “ [*]
[*] Lsds / 477
15 agosto 2015 alle 17:15
Mah. Marco, scrivi:
Ecco, io non tralascerei le spiegazioni di “ordine più poveramente pratico”. Volendo costruire un paragone, andrei in cerca di opere nelle quali l’aspetto pratico-economico non sia così importante. La “Commedia” è l’opera di uno solo, composta nell’arco di un pezzo di vita; le opere d’architettura citate sono opere di molti, composte nell’arco di più generazioni.
16 agosto 2015 alle 16:48
Gian Marco Griffi, una bella domanda a cui si cerca di dare una risposta.
RobySan, sì, Dante Alighieri è incredibile.
Dante Torrieri, l’interpretazione deve, secondo me, fondarsi su dati testuali. Le 3 Cantiche della Commedia presentano rispettivamente 34, 33 e 33 canti: questo è un dato di fatto incontrovertibile. Dante chiamò il primo canto non proemio, ma canto. Questo è un altro dato. E qui si è data una spiegazione. Se non è intenzionale, è “preterintenzionale”. In ogni caso, mi pare che la spiegazione tenga.
Acabarra, Il libro di Guglielmo Gorni che ho letto l’ho trovato divertente. Molto più ardito di quelli della Corti. Però il mio nuovo Mito Incontrastato è Marco Santagata. La lectio magistralis sull’attualità di Dante è superba – trovi sul Tubo. E, sorpresa delle sorprese, Santagata cita Joyce e l’Ulisse come altro esempio di libro illegibile e anche un po’ indecifrabile. Cosa che rinvia all’articolo sull’Ulisse che ho postato qui su Vibrisse e che abbiamo già discusso. Quello che mi piace di Santagata è che quando dice cose profonde non sta parlando da dantista. Parla da scrittore.
Giulio, la Divina Commedia non ha paragoni. Impossibile cercare altri paragoni in ambito letterario. Ci sono i “debiti” della Commedia all’Eneide, al, volendo, Liber della Scala, etc.; ma un’opera paragonabile non esiste. Poi la Commedia è così rigidamente organizzata che il paragone con un’opera architettonica non è affatto strampalato. Quello che conta è, comunque, che questo “sbilanciamento” (il 34-33-33) potrebbe essere determinato, come provano gli esempi addotti, da una credenza superstiziosa. Come ho scritto a Dante Torrieri, c’è un dato di fatto, e la spiegazione.
16 agosto 2015 alle 17:16
“ Venerdì 7 gennaio 2011 – E comunque la mia nipotina – quella grande – sta leggendo Dante. Mi ha detto – con la sua dolce, calda voce di bimba buona – che è arrivata al terzo canto dell’Inferno, quello dei pusillanimi – « pusillanimi », ha detto proprio così. Solo una buona bimba toscana poteva dire una parolona così. “[*]
[*] Lsds / 483
17 agosto 2015 alle 17:24
Quella che ho postato è solo una delle noterelle che ho scritto ultimamente relative alla Divina Commedia. L’ho riletta in questi mesi. Da un po’ non postavo nulla su Vibrisse e ho deciso di mettere questo. Eh, anch’io, Acabarra, come la tua nipotina mi svegliavo al mattino presto, la domenica, a nove, dieci anni e leggevo, sfogliavo la Commedia con le illustrazioni di Gustavo Dorè. Non che ci capissi qualcosa. Oggi ci sono le innumerevoli parafrasi disponibili su Internet. Però l’Inferno non è proprio libro per bimbi.
23 ottobre 2021 alle 11:41
Mentre con XXXIII XXXIII XXXIII non puoi anagrammare niente, con XXXIV XXXIII XXXIII almeno puoi ottenere VIXXXXXXXXXIIIIIII 😛