Persona a conoscenza dei fatti / Leonardo Colombati

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di Leonardo Colombati

[Intervento tratto dal libro Se incontri Giulio Mozzi per la strada uccidilo].

Leonardo Colombati ha pubblicato: Perceber, romanzo eroicomico, Sironi 2005 (poi Fandango 2010); Rio, Rizzoli 2007; Il re, Mondadori 2009; 1960, Mondadori 2014. Ha curato: Bruce Springsteen. Come un killer sotto il sole. Il grande romanzo americano (1972-2011), Sironi 2011 (prima ed. 2007); La canzone italiana 1861-2011. Storia e testi, Mondadori 2011.

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[…]

Giulio Mozzi? Non conosco alcun Giulio Mozzi.

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Sì.

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È vero. Nel 2004. Avevo mandato il dattiloscritto del mio primo romanzo all’indirizzo della casa editrice per cui a quei tempi Mozzi lavorava. Mi chiamò lui, un paio di mesi dopo; mi disse che non ci aveva capito nulla e che per questo era deciso a pubblicarlo.

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La prima volta ci siamo incontrati a Padova. O forse a Milano. Non ricordo. Capii subito che avevo trovato la persona giusta. Uno che leggeva i libri in modo unico, uno che i libri li sapeva fare.

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Ma che c’entra! Certo che l’ho incontrato, Giulio. Mille volte. Abbiamo lavorato insieme, mangiato insieme… E allora? Non vuol dire che io lo conosca. Infatti, non lo conosco affatto. Nessuno lo conosce.

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Guardi, io non voglio prendere in giro nessuno. È che, francamente, questa convocazione, di sabato mattina…

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Non metto in dubbio che voi stiate facendo il vostro lavoro. Ma ci saranno quaranta gradi, mi aspetta una giornataccia. Possiamo venire al punto? È possibile sapere il motivo di questo interrogatorio?

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Va bene, non è un interrogatorio. Ma, insomma, perché mi state chiedendo di Mozzi?

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L’ultima volta? Sarà stato tre, quattro mesi fa. Anzi, per essere più precisi, è stato a febbraio.

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A Padova. Ero lì per lavoro. Sono andato a trovarlo a casa sua. Abbiamo preso un caffé e fatto due chiacchiere. Non lo vedevo da molto tempo. Negli ultimi anni ci siamo frequentati poco.

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Non c’è un perché. Sono cose che capitano. Cinque o sei anni fa, Giulio smise di rispondere alle mie telefonate.

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No, non mi sembrò poi così strano. Avrà avuto i suoi buoni motivi, non so…

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Senta, io sto provando a offrirvi tutta la disponibilità del mondo; ma a questo punto esigo di sapere il motivo di questa convocazione.

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In che senso “scomparso”? È morto?

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Si sarà rinchiuso da qualche parte a scrivere. Da quanti giorni non risponde al telefono?

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Guardi, io davvero non so come aiutarla. Non lo sento da mesi e, come le ho detto, si può dire che io non lo conosca. Nessuno conosce il vero Giulio Mozzi. È così che lui vuole: in giro manda solo il suo doppio letterario. La verità è che, nonostante le apparenze, Mozzi è lo scrittore meno autobiografico di tutti: si è creato una maschera, dietro la quale i suoi occhi scrutano vagoni ferroviari di seconda classe, uffici postali, cimiteri, labirinti popolati da mostri, da fantasmi, da diavoli, da suicidi… Dappertutto lascia scritto il suo indirizzo… via Comino qualcosa/b… lo so quasi a memoria per averlo letto dappertutto, nei suoi libri, su internet… E se lo vai a trovare, è davvero lì e ti offre un caffè; ma in realtà non è lui. Il Giulio Mozzi scrittore, il Giulio Mozzi editor, il Giulio Mozzi maestro di scrittura, il Giulio Mozzi amico, quello che ti è sembrato di riconoscere a una fermata dell’autobus… Nessuno di loro è Giulio Mozzi. Glielo ripeto: nessuno conosce quello vero. È uno scrittore borgesiano, un riflesso moltiplicato in uno specchio, ma anche per lo stile – uno stile che aspira alla classicità. Tutti, quando provano a descrivere il suo stile, utilizzano parole come «semplice», «conciso», «secco», «laconico». Col cazzo! Lo stile di Mozzi è classico.

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Nel senso di Lucrezio. Un suo amico e recensore ha scritto che la costruzione del periodo di certi racconti di Mozzi somiglia a quello di San Paolo nella Lettera ai Romani. E poi, quell’altra balla del realismo, dell’iper-realismo… L’autofiction. Puah! La verità è che nessuno capisce niente di letteratura, soprattutto i lettori, e in massimo grado i critici. La letteratura è il contrario del reale.

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Invece è un concetto semplicissimo, mi creda. Provi a sbobinare questo interrogatorio e vedrà quanto è antiletteraria la realtà! Tanto è vero che questa conversazione tra me e lei, che pretende di essere “vera”, è passata attraverso varie revisioni che l’hanno sostanzialmente stravolta. Ecco, Giulio Mozzi – almeno quello che state cercando voi, quello che si può afferrare – è un’ennesima revisione. La prima bozza, quella autografa, non la prenderete mai.

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Non ci crede? A cosa non crede, che questa è una bozza? Guardi, le anticipo adesso che tra un po’ citerò Gogol.

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Sono lieto che Gogol le piaccia…

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No, Gogol mi era venuto in mente quando parlavo della maschera di Mozzi: quella sua faccia un po’ stravolta, è come il naso di Kovalëv o la statua di bronzo che perseguita Dudkin in Pietroburgo – è una parte del tutto, o il suo simulacro.

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Lei ha ragione. Sto svicolando. Ma, mi creda, il rapporto di Mozzi con il corpo è tutt’altro che una divagazione. Comunque, mi chieda quello che vuole.

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È una domanda interessante. Come scrittore, direi che Mozzi, dopo i suoi primi due libri di racconti, avrebbe potuto scegliere di diventare il cocco dei professori, e invece ha scelto di diventare Franti – a modo suo, s’intende. Comunque, per come la vedo io, è stato eroico. Come maestro, posso solo dire che in un’epoca naturalmente incline all’avarizia (la più ridicola di tutte le umane follie, a detta di Montaigne), Mozzi è un vecchio spendaccione: non credo che nel mondo dell’editoria esista una persona più generosa.

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Sì, no, può darsi. S’è fatto tardi, maresciallo…

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Le ripeto, non ho idea di dove possa essersi cacciato. Da quanto ha detto che è scomparso?

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Solo? E voi vi attivate per così poco?

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Come “motivi non professionali”? Perché lo sta cercando, allora?

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Ah, capisco.

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No, guardi, io non leggo manoscritti. Per quello c’è Mozzi; fa bene a rivolgersi a lui, sempre che lo trovi…

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Non alludo niente. Le ho semplicemente augurato di trovarlo. Anche se spero vivamente che Giulio approfitti della Maskenfreiheit.

[…]

Sì, è tedesco. Un’espressione cara a Heine: significa «la libertà accordata dalle maschere». Abbiamo finito, qui? Bene. È stato un piacere. Le auguro una buona giornata.

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