[Questa è la trentaduesima puntata della rubrica del martedì, dedicata alla formazione di fumettiste e fumettisti. La rubrica è a cura di Matteo Bussola. Ringraziamo Michele per la disponibilità. gm].
Quando avevo cinque anni, mia madre ha rischiato di perdere il lavoro perché non conosceva l’inglese. Ha rimediato con corsi serali e mi ha iscritto, per risparmiarmi lo stesso problema un giorno, a lezioni pomeridiane. Si è scoperto presto che avevo una certa predisposizione per le lingue, tanto che a undici anni ho partecipato alla mia prima vacanza studio all’estero. Di giorno imparavo l’inglese, la sera Giorgio Cavazzano e Giovan Battista Carpi ci insegnavano a disegnare personaggi Disney. Una delle due cose l’ho imparata bene, l’altra neanche un po’.
Comunicare in inglese, francese e spagnolo mi ha aiutato per le acquisizioni di diritti di fumetti stranieri, sia quando lo facevo per la mia piccolissima casa editrice, sia quando ho cominciato a farlo per Edizioni BD prima e Renoir poi. Nel frattempo, oltre a moltissimi fumetti, ho tradotto anche una settantina di romanzi, imparando così a gestire lo spazio delle parole, e il bisogno di compromessi dignitosi nella mediazione linguistica. Sceneggiare per Disney e insegnare alla Scuola del fumetto di Milano sono state le esperienze che mi hanno formato all’editing delle storie altrui.
Quando, con Caterina, abbiamo fondato BAO, avevo un capitale composto da: almeno centocinquanta errori che avevo visto fare o aiutato a fare e che avremmo potuto evitare; la capacità di empatizzare a livello umano e professionale con gli autori; ottime conoscenze tra gli autori e gli editori del mondo occidentale; la capacità di fare fatica indefinitamente, senza sensibili abbassamenti della qualità del mio lavoro. Sei anni dopo, ci è servito tutto, e sento di essere cresciuto parecchio, soprattutto nella capacità di essere utile agli autori per veicolare la loro visione narrativa e farla diventare un libro. Il fatto poi di aver lavorato per realtà editoriali medio-piccole mi ha aiutato a impratichirmi di molti aspetti del lavoro di editore. In effetti, lo dico senza vanto perché non c’è gloria in questo fatto, credo che ci siano poche persone in Italia nelle quali coabitino gli aspetti dello specifico know-how di cui mi hanno dotato gli ultimi diciassette anni della mia vita.
La morale del mio percorso è che ci sono mestieri che si inventano, ma non vuol dire che li si possa improvvisare. Provare e sbagliare, sopravvivere ai propri errori e imparare da essi, trovare percorsi più diretti ed efficaci per ottenere gli stessi risultati sono ciò che permette di ambire progressivamente a risultati più importanti.
Come la scrittura e il disegno, l’editoria è un muscolo: va allenato.
Nato a Treviso nel 1976, Michele Foschini non si laurea in lingue e letterature straniere a Ca’ Foscari e invece fonda Indy Press, etichetta di fumetto indipendente. Inizia a tradurre fumetti nel 2001 e romanzi nel 2005 e nel mezzo fa l’editor per Edizioni BD e Renoir, insegna sceneggiatura, scrive un pugno di storie per Disney Italia. Nel 2009 fonda, insieme a Caterina Marietti, BAO Publishing, di cui è Chief Creative Officer. Vive a Milano con due gatti, Brody e Spock.
Tag: Caterina Marietti, Giorgio Cavazzano, Giovan Battista Carpi, Michele Foschini
30 giugno 2015 alle 09:17
Sapere qualcosa di più di questi errori sarebbe interessante…
30 giugno 2015 alle 10:00
Ma non era dedicata alla formazione del fumettista questa rubrica? Mi pare si stia allargando un po’ troppo la definizione a questo punto.
Anche volendo prendere in considerazione l’esigua attività di Foschini come sceneggiatore, lui per primo non dedica che un paio di parole all’argomento per concentrarsi sulla sua attività di traduttore e sul suo know-how (sic!) editoriale in qualità di Chief Creative Officer (ri-sic). È evidente che l’autore di questo post ci sta raccontando il percorso che l’ha portato a diventare un editore; le altre attività sono considerate semmai dei passaggi intermedi che hanno contribuito a consolidare il suddetto know-how (ehh… questi prestiti aziendal-imprenditoriali sono davvero cringeworthy alle volte, non trovate?).
Quindi, di che stiamo parlando? Di certo non della formazione di un fumettista. Per lo meno, se vogliamo continuare a considerare il fumettista come colui che disegna e/o scrive un fumetto.
E forse è meglio – anche da un punto di vista ideologico – continuare ad attenersi a questa elementare definizione, senza attribuire sproporzionate istanze creative al direttore di una casa editrice.
Poi capisco bene come tutto questo sia funzionale a consolidare la zuccherosa narrazione di sé che la casa editrice in questione continua incessantemente ad ammannire ai propri acquirenti (pardon, amati e speciali lettori) nonché ai propri autori (cui non mancano mai amorevoli pacche sulla testolina unite a paternalistiche attestazioni d’orgoglio), ma tant’è…
30 giugno 2015 alle 15:44
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