[Questa è la trentesima puntata della rubrica del martedì, dedicata alla formazione di fumettiste e fumettisti. La rubrica è a cura di Matteo Bussola. Ringraziamo Onofrio per la disponibilità. gm].
Provo sempre un grande imbarazzo quando mi chiedono di “scrivere” in merito al mio rapporto con il lavoro che faccio. Perché io non sono uno che scrive e in definitiva anche con il disegno il mio è un rapporto strumentale. Il disegno mi permette di raccontare mettendo in sequenza le immagini che mi servono. Insomma “faccio” fumetti. Il resto, come dice Michael Douglas in Wall Street, è letteratura.
La scrittura mi serve per sceneggiare mentre col disegno interpreto storie mie o di altri sceneggiatori.
Parlare della formazione del fumettista è ripercorrere una storia nota e in molti casi sovrapponibile ad altre già raccontate: quasi sempre accade ad un ragazzo o una ragazza che in giovane età si imbattono nei fumetti, ne restano affascinati e si industriano per imparare a utilizzare e affinare quegli strumenti che, di primo acchito, appaiono necessari alla realizzazione dei comics: la scrittura e il disegno. A me, a molti della mia generazione, a quasi tutti è successo così.
Io mi sono trovato, da lettore, a vivere il passaggio tra l’artigianato anonimo che ha caratterizzato per lungo tempo buona parte del mercato fumettistico italiano del passato a quello dell’autore che “firma” il proprio lavoro. Succedeva solo a pochi, negli anni ‘70: Pratt, Jacovitti e Bonvi. Tutti gli altri restavano anonimi o protetti da pseudonimi fantasiosi: Magnus, Bunker, Galep…
Insomma conoscevo e riconoscevo dal tratto molti autori USA: Jack Kirby, Jim Steranko, John Romita, Gene Colan e Gil Kane ma assolutamente non sapevo a chi attribuire testi e disegni di buona parte degli albi che seguivo di produzione italiana. Le notizie e i retroscena restavano sconosciuti, misteriosi o completamente fantasiosi. I dati tecnici su sceneggiatura e disegno erano affidati a speculazioni tra appassionati vaghe e improvvisate. Chi realizzava quelle storie? Con quali strumenti? Quali erano e come funzionavano i team creativi?
Poi Magnus, dopo anni di Kriminal, Satanik e Alan Ford raccontò Lo Sconosciuto firmandosi col suo vero nome: Roberto Raviola. In sei straordinari capitoli presentò ai lettori un moderno desperado che si muoveva tra i quattro angoli del mondo senza riuscire a sfuggire al proprio retaggio violento. Cose che non avevo mai visto prima in un fumetto se non, per certi versi, nelle storie del Commissario Spada di Gonano e De Luca. Qualche anno dopo sulle riviste “d’autore” dell’epoca e nella collana Un uomo e un’avventura fecero capolino i credits degli autori che quelle storie avevano realizzate. Racconti a fumetti brevi o a puntate che, nel caso delle riviste, venivano spesso affiancati a lavori firmati da prestigiosi autori stranieri. Per me ciò voleva dire che in Italia c’erano persone che realizzavano fumetti e in molti casi possedevano un altissimo potenziale innovativo per segno, fascino delle immagini, composizione della tavola. Infine, last but not least, per la straordinaria novità rappresentata dal tenore delle storie che venivano raccontate. A me è accaduto con le prime apparizioni su Alterlinus di Andrea Pazienza e Filippo Scòzzari, autori che ho ritrovato accanto a Stefano Tamburini, Massimo Mattioli e Tanino Liberatore sulle pagine di Cannibale. Ecco, leggere prima Lo Sconosciuto e qualche anno dopo scoprire Cannibale, hanno determinato nel giovane e sconsiderato Catacchio la decisione di perseguire la stessa strada di quegli autori che tanto bene, e con tanta perizia, muovevano i suoi pupazzi preferiti.
Questo è stato il mio Big Bang. Il salto sulla barricata determinato dall’aver capito che la possibilità di scrivere e disegnare fumetti era una strada praticabile a patto di passare una selezione difficilissima da superare sotto il profilo qualitativo. Una selezione che superi se hai qualcosa da dire in termini narrativi ed anche visuali. Elementi che metti a fuoco imparando a conoscerti grazie alle ore che trascorri tutti i giorni al tavolo da disegno, o cercando di scrivere storie appassionanti dopo averne letto tante belle senza tralasciare le brutte. Perché tutto serve.
Poi la formazione continua, una sorta di bushido esistenziale che ti conduce a esplorare il tuo perimetro di autore ogni volta che metti la matita sul foglio, le dita sui tasti o affronti una nuova sfida editoriale. La formazione di un fumettista non si ferma mai perché il perimetro a cui accennavo tende di volta in volta ad espandersi e a comprendere, nel novero delle cose da conoscere per fare questo lavoro, sempre più elementi e competenze. Col tempo ti accorgi che la scrittura e il disegno, quegli elementi che comunemente vengono considerati le gambe su cui far viaggiare un buona storia a fumetti, sono solo due aspetti di un tutto che è inesorabilmente superiore alla somma delle sue parti. Ma l’essenza, ciò che io considero fondamentale nella ricetta compositiva di una tavola, di una sceneggiatura o di una buona storia non è visibile.
Il disegno e la scrittura si articolano tra loro annidati tra le pieghe del fumetto. Il disegno è l’aspetto affascinante e spettacolare ma disegnare è solo la parte emersa di un iceberg che nasconde i suoi nove decimi sott’acqua. Provate a raffigurare il vostro personaggio e non l’avrete raccontato. Provate a raccontarlo e ve ne sfuggirà, ineluttabilmente, l’aspetto iconico: i favoriti e l’orecchino di Corto, gli occhiali da saldatore di Ranx o le clarks di Dylan sono solo una polaroid del protagonista. Quanto basta a evocarlo e a renderlo riconoscibile, a mostrarci le sue caratteristiche psicologiche affidandole alle letture di segni convenzionali. Delle matite di Kirby ci restano tracce grazie all’inchiostro di Mike Royer, di Vince Colletta e di tutti gli altri suoi inchiostratori. Le matite delle sue pagine sono non visibili. Tecnicamente, sulla tavola originale e tra le pagine dei suoi albi resta impressa solo l’idea che Kirby ha abbozzato. La grafite usata è da tempo scomparsa sotto i segni di pennello e pennino dei suoi inchiostratori.
Provate a immaginare quante ore di viaggio, fisico, mentale, storico e culturale si annidano dietro una tavola di Corto Maltese e vi renderete conto che ciò che tiene assieme quelle immagini e vi costringe a seguire il flusso delle vignette fino alla parola fine non è solo una fortunata alchimia, quando avviene, tra segni. Ma ciò che tiene assieme quei segni resta non visibile e per certi versi misterioso.
Ogni volta che racconti una storia con le vignette e i balloon guadi un fiume saltando tra i sassi che affiorano e speri che ogni salto ti avvicini all’altra riva senza causarti scivoloni fatali. Arrivi dall’altra parte del fiume. Fai un respiro profondo e riparti: per la prossima vignetta, la prossima tavola, la prossima storia.
Onofrio Catacchio è nato a Bari nel 1964. Vive e lavora a Forlì. Come autore ha creato, nel 1988, il personaggio di Stella Rossa, pubblicato prima sulle riviste Fuego e Nova Express, e successivamente in volumi editi da Granata Press, ristampati in seguito da Kappa Edizioni. Sempre per Granata Press ha sceneggiato e illustrato le storie dell’ispettore Coliandro, tratte da soggetti di Carlo Lucarelli e riproposte in libreria dalle edizioni BD. Dal 1995 collabora con la Sergio Bonelli Editore, realizzando diversi episodi di Nathan Never e un episodio del Dylan Dog Colorfest. Come sceneggiatore ha scritto Progenie d’inferno per Andrea Accardi, uscita in Italia per Kappa Edizioni e in Francia per Albin Michel. Ha sceneggiato e disegnato La ballata del Corazza di Wu Ming2 edito da BD/Alta Fedeltà e inserito nell’antologia Alta criminalità (Mondadori, 2005). Su testi di Andrea Balzola ha disegnato La fattoria degli anormali, adattamento mutante del quasi omonimo romanzo di Orwell. Nel 2009 collabora con la Marvel USA inchiostrando le matite di Giuseppe Camuncoli per Dark Wolverine e Daken. Su testi di Luigi Bernardi, ha realizzato i disegni di Fantomax, rilettura in chiave contemporanea del più grande criminale di tutti i tempi. Pubblicato nel 2011 da Fandango/Coconino Press, il volume è stato recentemente riproposto in edicola dall’Editoriale Cosmo. Per la collana Le Storie della Sergio Bonelli Editore sta realizzando un albo dedicato a Joe Petrosino di prossima pubblicazione. Con Matteo Casali e Giuseppe Camuncoli è al lavoro sulla nuova serie di Kriminal per Mondadori Comics. Insegna arte del fumetto, all’Accademia di Belle Arti di Bologna.
Tag: Andrea Pazienza, Bonvi, Bunker, Filippo Scozzari, Galep, Gene Colan, Gianluigi Gonano, Gianni De Luca, Gil Kane, Giuseppe Camuncoli, Hugo Pratt, Jack Kirby, Jacovitti, Jim Steranko, John Romita, Luigi Bernardi, Magnus, Massimo Mattioli, Matteo Casali, Mike Royer, Onofrio Catacchio, Roberto Raviola, Stefano Tamburini, Tanino Liberatore, Vince Colletta, Wu Ming 2
22 giugno 2015 alle 08:05
[…] Leggi l’intervista completa nel blog Vibrisse: click qui. […]