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This entry was posted on 10 giugno 2015 at 05:16 and is filed under Annunci. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.
10 giugno 2015 alle 10:10
No. Sorry! Non è affatto per la faccia (che risulta schietta e simpatica sebbene un po’ “assonnata”) e forse penserai “ma questa qui che ha commentato a fare” … ma la verità è che non comprerei mai un corso di narrazione in generale. Anni di bazzicamento tra varie case editrici di vario calibro mi hanno convinto sempre più dell’inutilità di molti corsi affini…
10 giugno 2015 alle 10:38
“ Venerdì 13 febbraio 1998 – Un effetto paradossalmente benefico della prevalenza dei giornali potrebbe essere quello che ora possiamo capire meglio che cosa è – è stata, potrebbe essere – la letteratura. Perché la questione che i giornali pongono, con il loro stesso esistere, è quella del tempo. La pongono in molti sensi: per esempio nel senso del tempo della narrazione, che per i giornali è sempre e soltanto il presente, ma anche in quello della ricezione, cioè della lettura. Il lettore di giornali è uno che va di fretta, che legge di fretta, che ha poco tempo, insomma. E non solo perché lavora, viaggia, è variamente indaffarato, ma anche perché gli riesce difficile “ sprofondarsi “ nella lettura di qualcosa di più lungo, lento, complicato, “ pesante “ di un testo di poche decine di righe. Tanti anni fa ho cominciato anch’io a conoscere i primi sintomi di questa strana inquietudine. Allora avevo ancora tutto il tempo che volevo ma già non riuscivo più a leggere. Forse perché leggevo già i giornali, o perché mi bastava affacciarmi in strada per avere voglia di uscire, e fuori c’era tanto da vedere. E vedere non è come leggere, che invece è uno stare praticamente al buio, con gli occhi praticamente chiusi, almeno in un certo senso. Il tempo, ormai lo so, si perde in un attimo, e io allora l’ho perso. Parlo me, naturalmente. (Ci sono anche lettori di giornali, lenti, meticolosi, pazienti, che il giornale lo leggono da cima a fondo, senza avere mai il dubbio di stare perdendo tempo) (Comincio a pensare che il tempo non c’entri niente) “ [*]
[*] La s-formazione dello scrittore / 377
10 giugno 2015 alle 11:30
“ Lunedì 9 febbraio 2009 – Quello che si intravede nell’iniziale di oggi [*] è il cappello del mio bisnonno Amabile. Il bisnonno Amabile, che, credo, prima era militare, se ne andò in Argentina – esattamente, credo, a Posadas, nello stato di Misiones -, credo nei primi anni del secolo scorso, lasciando in Italia la moglie e i tre figli. Non si è mai saputo bene che fine abbia fatto, le notizie scarseggiano, c’è solo, che io sappia, una lettera ai figli, negli anni Trenta, credo. In casa se ne parlava poco – anche perché c’era poco da dire -, ma quando se ne parlava, io, come direbbero da queste parti – che continuano a non essere le mie -, « appizzavo gli orecchi », cioè stavo a sentire, appassionatamente, avidamente – ero e sono avido di avventure, di storie. Quello che è certo è che non è più tornato, neanche da morto. Nessuno si è più ricordato di lui, e, quando io non ci sarò più, sarà difficile ricordarsi anche di questi pochi, incerti ricordi – per esempio non si saprà mai se era, come qualcuno diceva, originario del Piemonte, oppure del Meridione d’Italia, come il suo cognome sembrava incontrovertibilmente attestare. Non si saprà nemmeno se se n’era andato per « liberarsi » dalla famiglia, oppure per cercare, come tanti in quel tempo, fortuna – non si saprà neanche se si possa mai riuscire a saperlo: ci sono cose che si fanno per ragioni del tutto diverse da quelle che si dice, che si crede. Non si saprà soprattutto perché, chiamandosi Amabile, non riuscì a farsi amare – o forse non voleva? A me dispiaceva sentire la nonna e la mamma parlare male di quel per nulla illustre sconosciuto. Che aveva, capii allora, la colpa irredimibile di essere andato via. Capii allora che è vero quello che dicono tutti: che « gli assenti hanno sempre torto », che so soprattutto è vero per le donne. Che, a quanto pare, amano soprattutto la « presenza » – la amano anche se non è « bella », basta che ci sia. Comunque la nonna e la mamma parlavano molto male di quel povero cristo che, dopotutto, non avevano mai visto se non in fotografia – la stessa da cui proviene quel dettaglio, quel cappello da cui sono partito -, suscitando nella mia testolina di bimbo sottomesso alle narrazioni, che, come spesso succede, avevano un copyright vistosamente muliebre, uno tsunami di perplessità. Perché mi dispiaceva vederle accanirsi, sia pure in contumacia, sia pure ex post, sia pure solo a parole, contro quel tizio che, almeno a guardarlo nella foto, non aveva per niente l’aria di spassarsela. A parte il cappello, già il cappello. Il nonno comunque, che dopotutto era l’unico che avrebbe avuto qualche ragione per lamentarsi – in fondo quello, fino a prova contraria, era il suo babbo, il suo babbino caro -, non diceva niente – del resto il nonno era uno che apriva bocca di rado. Forse sono sempre e solo le donne che accusano, e se lo fanno avranno le loro buone ragioni. Io comunque ogni tanto ci penso. A quel bisnonno che non ho mai visto – anche perché, comunque, quando io sono nato era sicuramente già morto. In quanto al cappello, mah, non saprei. Si usa per coprirsi la testa, ma anche per conservare un posto – si usava, al cinema, per esempio. Però è sempre un po’ rischioso, perché può sempre arrivare uno che il posto lo vuole lui, subito, a tutti i costi, cappello o non cappello. Tutto questo per dire che quando si va non è detto che poi si riesca a tornare. Ragione per cui forse non si dovrebbe mai andare. Da nessuna parte. Per nessuna ragione. Eppure, se si va, se si continua a andare, una ragione ci deve essere. “. [*] [**]
[*] Nel mio diario – se a qualcuno interessa – ci sono le iniziali, i “ capolettera “, come in un codice miniato, in una cronaca medievale, come se fossi un amanuense, un monaco, un monacello, un pischello che scrive – anzi che copia.
[**] La s-formazione dello scrittore / 378
10 giugno 2015 alle 11:33
“ Mercoledì 10 maggio 2000 – « Come nelle poesie e nelle canzoni le rime scandiscono il ritmo, così nelle narrazioni in prosa ci sono avvenimenti che rimano fra loro. » (Italo Calvino, Lezioni americane / Rapidità, cit.) “ [*]
[*] La s-formazione dello scrittore / 379
10 giugno 2015 alle 13:14
ritratto dell’artista con sciacquone
10 giugno 2015 alle 14:09
Il gabinetto del dr. Caligari non è della MGM
11 giugno 2015 alle 16:29
Me lo chiedo ogni volta (che sia in foto o de visu)… Stavolta oso: i capelli sono tinti?
11 giugno 2015 alle 18:31
No, Virginia.
22 giugno 2015 alle 11:08
Bene, ho in antipatia le tinture. E (benevola invidia) in famiglia abbondano i canuti precoci!