
Una recensione di Giuseppe Caliceti
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This entry was posted on 2 giugno 2015 at 14:03 and is filed under Annunci. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed.
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2 giugno 2015 alle 15:55
“Giulio Mozzi, oggi, in Italia, è probabilmente uno degli scrittori più sperimentali conosciuti”.
Non si può, purtroppo, ampliare il raffronto a quelli sconosciuti.
“dalle canzonette giocose in rima ai testi religiosi del Vecchio Testamento, piuttosto che al Nuovo.”
Dobbiamo intendere che Mozzi privilegia il Vecchio Testamento a scapito del Nuovo?
“compresi i mostri sacri della letteratura di ogni tempo, «minori» compresi”
Vorrei che qualcuno mi spiegasse il concetto di mostro sacro minore; ma non fa nulla: comprendiamo, comprendiamo …
“«Credo che Il male naturale sarà il mio ultimo libro di racconti o almeno che, d’ora in poi, lo scrivere sarà per me una cosa completamente diversa». Favole del morire avvera questa autoprofezia. Mozzi non pare essere più interessato a diventare uno scrittore diverso da quello che è ed è sempre stato.”
Mi sembra leggermente contraddittorio: la scrittura del Mozzi in “Favole del morire” è o non è diventata completamente diversa? Ma anche a fare uno sforzo e cercar di capire ciò che il candidato, ops, il Caliceti, voleva dire, qualcuno mi spiega perché il Mozzi doveva essere interessato a diventare uno scrittore diverso da quello che è ed è sempre stato?
2 giugno 2015 alle 16:17
Che io tenda a essere più vetero- che neo-testamentario, mi è stato detto spesso (tavolta per rimprovero, talvolta per complimento).
Il concetto di “mostro sacro minore” mi pare chiarissimo. A es. Tommaso Landolfi è sicuramente un “minore”, ma è anche un “mostro sacro”.
La battuta finale può apparire meno contraddittoria se si pensa che si riferisce a una pratica (lo “scrivere”) e non a una cosa (la “scrittura”). Nel 1998 ero spaventato – e lo si capiva, leggendo quella paginetta che Giuseppe cita – da ciò che potevo immaginare sulle trasformazioni del mio “scrivere”. E infatti feci almeno due libri (Fantasmi e fughe e Fiction) che si possono considerare due tentativi di sfuggire a quelle trasformazioni. Poi smisi di far libri per sette anni.
2 giugno 2015 alle 16:53
Non è per insistere, ma se io dico che Favole del morire avvera l’autoprofezia citata, intendo che in Favole del morire lo scrivere è diventato per te una cosa completamente diversa da quello che era prima della frase citata (non dopo). Se poi continuo dicendo che in realtà sei rimasto lo stesso scrittore, chi legge ci vede una contraddizione piuttosto evidente, soprattutto perché i lettori di una recensione non sono tenuti a conoscere i testi intercorsi fra i due citati. Ma questo fa parte delle disinvolte ellissi di Caliceti, nel novero delle quali rientrano anche, a mio parere, i mostri sacri “minori”. Sul “piuttosto che” sono stata tratta in errore (ma non ci giurerei) dalle stesse disinvolture stilistiche del nostro.
Grazie delle delucidazioni, che adrebbero però messe in nota alla recensione.
2 giugno 2015 alle 17:40
Anche le tue osservazioni, Lucia, dovevano andare in calce alla recensione.
2 giugno 2015 alle 18:18
Ti dirò che ci avevo pensato. Ma allora qua cosa ci andava?