“Ranocchi sulla luna e altri animali” di Primo Levi.

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di Luigi Preziosi

“Primo Levi è uno scrittore di racconti. Il suo primo libro Se questo è un uomo, pubblicato nel 1947, è composto di brevi racconti racchiusi entro una doppia cornice: tematica, la testimonianza, e narrativa, l’inizio e l’epilogo della sua vicenda concentrazionaria /…/Anche La tregua, la storia del suo viaggio di ritorno, è costruita attraverso una serie di quadri successivi disposti in una sequenza temporale e spaziale ed è, a suo modo, un libro di racconti”. Così Marco Belpoliti, nel suo saggio introduttivo all’einaudiana Tutti i racconti del 2005. L’inclinazione per il genere è del resto denunciata dallo stesso autore come necessità di corrispondere all’ “intuizione puntiforme” che guida la misura breve del narrare, cioè, sempre secondo Belpoliti, quella “capacità di far nascere la narrazione a partire dai dettagli, particolari, punti attorno a cui si raggrumano e si dipanano storie”.

La particolare vocazione di Levi per il racconto è misurabile anche nel recente Ranocchi sulla luna e altri animali (Einaudi, 2014, € 19,00), che raccoglie testi tratti da Storie naturali, Vizio di forma, Lilit ed altri racconti, L’ultimo natale di guerra, integrati da una serie di elzeviri tratti da terze pagine de La Stampa, poi raccolte in L’altrui mestiere del 1985, alcune poesie e, in appendice, un estratto di La salvazione del capire, tratto da La ricerca delle radici  del 1981, in cui Levi rende conto della propria formazione culturale. Il curatore Ernesto Ferrero, autore anche del ricco saggio introduttivo, antologizza le pagine che raccontano il mondo animale, colto nelle sue più diverse manifestazioni, enucleando, del corpus leviano, una sorta di segmento tematico autonomo, che, lontano dall’essere un divertissement collaterale e minore in un autore noto per ben diverse prove narrative, assurge ad una sua propria individuale identità. Non si tratta di un elemento di incoerenza nella storia dell’autore, perché, come nota Ferrero, “gli animali assumono una funzione centrale, quasi di innesco narrativo, perché consentono all’autore di sviluppare le sue fabulae con originalità di approccio”. Traspare qui l’intento di evitare il rischio che una raccolta imperniata su un tale limite tematico consenta fraintendimenti, autorizzando letture dell’autore torinese che non tengano comunque presente il quadro generale in cui l’opera sua si è formata. Certo è che l’interesse per le storie di animali attraversa, come dimostra Ferrero, quasi tutto l’arco di produzione dell’autore, a dimostrazione di un’attenzione costante nel tempo. Siamo lontani da una narrazione realistica e ancora più da una narrazione edulcorata o venata da antropomorfizzazioni semplificatorie. Levi sfugge a facili categorizzazioni o ad assimilazioni dettate dall’appartenenza ad una data generazione di scrittori: la sua scrittura, anche se così cartesianamente razionale, consente affacci su significati non espressi. Piuttosto, si distingue in essa il tentativo di conformarsi ad una sorta di antropologia “a sfondo naturalistico, etologico, che sembra conservare il significato originario del termine, quello che ancora utilizzava Kant a fine ’700, dell’antropologia come ultimo capitolo della zoologia, nella continuità pre-evoluzionistica col mondo animale”, come scrive Porro in Un etologo nel lager (in Letteratura come filosofia naturale). Questa precaria continuità tra mondo animale e mondo umano da un lato rende ragione della persistenza lungo l’intera carriera letteraria dell’interesse di Levi verso il non umano (o pre umano, per stare alla tesi di Porro). D’altro canto, colma le sue storie di animali di significati diversi da quello in immediata evidenza, approfittando con ciò appunto di quegli “inneschi narrativi” di cui scrive Ferrero.

Alcuni esempi contenuti in Ranocchi sulla luna e altri animali possono corroborare questa ipotesi di lettura, a cominciare da Il fabbro di se stesso, in cui una creatura, oggi pienamente umana, riesce a ripercorrere a ritroso con la memoria diecimila generazioni, risalendo tutte le tappe del processo evolutivo, attestando così l’assenza di soluzioni di continuità tra umanità e animalità. In Verso Occidente questa antropologia a sfondo etologico si realizza nella sperimentazione di un rimedio al tedio della vita, al tarlo della depressione (la protagonista femminile, Anna, accenna ad un forma di depressione post partum, forse per avvicinare il tema ad una domestica quotidianità), rimedio che viene propinato con infausti risultati sia alle torme di lemming in corsa verso il suicidio di massa, sia ad una tribù nascosta nella profondità dell’Amazzonia. L’umano e il non umano si affacciano sul medesimo vuoto esistenziale, e si assomigliano in fondo più di quanto non si potrebbe supporre. Anche in Vilmy il ponte tra creature tanto dissimili come uomo e animale si accorcia e si trasforma in morbosa malia tramite un mezzo che altera il costituito ordine naturale. In altro modo, che evidenzia aspetti più paradossali, antropologia ed etologia si sfiorano in L’amico dell’uomo, dove la contiguità che interessa Levi si manifesta nell’adombrare la possibilità di comunicazione con altri esseri viventi: la storia immagina la scoperta e la decifrazione di un codice linguistico nascosto nel mosaico composto dalle cellule epiteliali delle tenie, che svela singolari invenzioni poetiche composte in omaggio agli uomini che le ospitano.

Intriso di riferimenti ancora più privati è poi Quaestio de centauris, dove la singolare antropologia leviana si adegua ad una implicita spiegazione di se stesso dell’autore. L’essenza anfibia della creatura mitologica si staglia come figura delle diverse nature di cui Levi si dichiara partecipe. In alcune interviste degli anni Ottanta, renderà esplicita questa rappresentazione di sé come di un ibrido: “Io credo proprio che il mio destino profondo … sia l’ibridismo, la spaccatura. Italiano, ma ebreo. Chimico, ma scrittore. Deportato, ma non tanto (o non sempre) portato al lamento e alla querula”. Ed anche testimone dell’orrore del secolo scorso e al tempo stesso narratore di storie nel senso pieno del termine: nella figura del centauro sembra infatti adombrata anche questa lacerazione, mai completamente ricomposta. Il centauro è sì immagine plastica di questa scissione, ma lo è anche del nesso inestricabile che lega le due vocazioni, che sono destinate a convivere dalla pubblicazione di Storie naturali in poi (non a caso avvenuta con lo pseudonimo di Domenico Malabaila, quasi a voler marcare la distanza tra il narratore e il testimone).

In questa prospettiva, le storie di animali di Levi non solo non sono ellittiche rispetto alla sua restante produzione, ma si allineano al modello della misura breve da lui praticato. Traspare anche in esse, sia pure con minore evidenza, quella ricerca di una morale che presieda alle storie narrate individuata da Belpoliti come una costante dei racconti leviani, proprio perciò eredi della nobile tradizione novellistica, in cui dalla narrazione filtra un insegnamento per la vita. L’antropologia “come ultimo capitolo della zoologia” serve a confermare, anche dall’angolo visuale decentrato che può offrire la raccolta composta da Ferrero, la qualità di scrittore moralista di Levi: chi abbia avuto in sorte di essere vittima e poi testimone dell’orrore non può più non ricercare, qualunque sia la materia trattata, un senso etico di ciò che racconta del mondo.

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6 Risposte to ““Ranocchi sulla luna e altri animali” di Primo Levi.”

  1. acabarra59 Says:

    “ Domenica 8 settembre 1996 – Dice che la neo Miss Italia, la bellissima coloured di Montecatini, alla domanda: « Che libri leggi? » ha risposto: « Mi piace il genere horror, tipo Primo Levi ». Dice anche questa. “ [*]
    [*] La s-formazione dello scrittore / 315

  2. Monica Cerroni Says:

    Molto interessante. In effetti, la propensione per la misura breve nella narrativa di Levi è ravvisabile anche nel “Sistema periodico”. La sua lingua, poi, tende alla sintesi nobile dell’esattezza. In questo Levi ha molto in comune con Calvino.

  3. acabarra59 Says:

    “ Lunedì 4 agosto 2003 – « In somma i Diarj, o Giornali, o Atti diurni, o Efemeridi, come gli chiamavano gli antichi, o Commentari domestici, e Ricordi, e Memorie, Carte, Diplomi, e simili particolari pezzi di cose, sono il seminario dell’Istoria; poiché lo Storico, benché abbia tutte le virtù a lui appartenenti, e brevità, e chiarezza, e forza, e diligenza, e giudizio, e discernimento; pure talora con trasandare alcuna circostanza, che in questi speciali scritti si trova, e da’ quali essi attingono, fanno non poche volte variare i fatti, e mutar faccia ai negozi; e di qui si ripescano i veri fini, e le cagioni di quelli, e si trae, come dal pozzo, la verità, che è l’anima della Storia. » (Salvino Salvini, Prefazione, a Buonaccorso Pitti, Cronica, 1720) “ [*]
    [*] La s-formazione dello scrittore / 316

  4. acabarra59 Says:

    “ Martedì 30 aprile 1996 – « Devo, infine, giustificare l’estrema brevità delle mie annotazioni (ed anche in questo è evidente la differenza dagli altri autori di “ Diari “). A tal proposito non mi mancano le ragioni, alcune rispettabili, altre molto meno: timore di stancare, desiderio di interessare piacevolmente: a meno che, più umilmente, la mia fretta di passare da un pensiero all’altro non sia come quella del funambolo, che, in bilico sulla corda, non mira che a raggiungerne l’altro capo. Il gusto, si direbbe, della brevità: o il fiato corto, semplicemente! O, forse, un certo pudore: non m’è mai piaciuto sostare davanti allo specchio; brevissime occhiate, non di più. E tuttavia può succedere che, al pari del cinema che crea il movimento facendo susseguire ventiquattro immagini al secondo, i veloci lampi dell’anima forniscano dell’autore un ritratto più vivo di quanto non lo consentano lunghi discorsi. » (Gilbert Cesbron, Diario senza date, [1967]) “ [*]
    [*] La s-formazione dello scrittore / 317

  5. カゼムグダルジマニ Says:

    Non solo con Calvino, ma Levi credo che abbia anche molte cose in comune con Saba.

  6. Lucia Astrobello Says:

    Mi sembra che in questi racconti alla “precaria continuità tra mondo animale e mondo umano”, all’interesse per le strategie evolutive e all’ammirazione per la geniale funzionalità delle soluzioni elaborate, si intrecci un tema più torbido e inquietante che mina precisamente questa naturale funzionalità. Parlo della manipolazione, centrale in un buon numero di racconti e in particolare in quello che apre la raccolta: “Angelica farfalla” (per il quale l’osservazione della neoeletta Miss Italia citata più sopra da acabarra potrebbe anche non essere del tutto fuori luogo). Gli animali di Levi – uomo compreso – sono minacciati da atroci manipolazioni, atroci anche se intraprese con le migliori intenzioni. È interessante che chi manipola non è sempre l’uomo: ad esempio nel caso della Vilmy, l’animale fantastico il cui latte crea nell’uomo incolmabile dipendenza affettiva.
    Che ciò accada attraverso una brutale violenza, attraverso il mezzo più sottile della chimica di laboratorio, quello più sottile ancora di sostanze psicotrope naturali, o addirittura attraverso il lodevole (e ironico) apprendimento dei linguaggi animali a scopi di umana utilità, il mondo naturale di Levi è costantemente minacciato da “innaturali” sovvertimenti che alla fine non sono molto diversi dalle dinamiche evolutive, se è vero che ai macabri avvoltoi di “Angelica farfalla” corrisponde, in altro senso, l’umanità a cui spuntano bellissime ali piumate della “Grande mutazione”. Un perenne stato di agitazione che è degli individui ma anche della specie, come se a nessuno, uomo o animale, fosse concesso di trovare un ubi consistam.

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