La formazione della fumettista, 22 / Valentina Romeo

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di Valentina Romeo

[Questa è la ventiduesima puntata della rubrica del martedì, dedicata alla formazione di fumettiste e fumettisti. La rubrica è a cura di Matteo Bussola. Ringraziamo Valentina per la disponibilità. gm].

valentina_romeoHo sempre avuto una forte passione per il racconto attraverso le immagini, sono cresciuta divorando cartoni animati della Disney e giapponesi, e sognavo un giorno di poter disegnare proprio per la Disney, o comunque di diventare una disegnatrice e far vivere i miei personaggi nel modo più realistico ed elegante possibile.
I classici Disney come Cenerentola, La bella e la bestia, La spada nella roccia, mi colpivano particolarmente per l’eleganza dei disegni, per l’espressività dei personaggi, per le atmosfere fiabesche e per quell’umorismo che non appesantisce mai le storie. Ero affascinata dai movimenti realistici ma nello stesso tempo idealizzati, come se ogni movimento fosse tanto naturale quanto una forma d’arte. Che poi, quest’ultima cosa, è quello che mi affascina anche della cultura giapponese. In Memorie di una geisha per esempio, la protagonista parla proprio di questo aspetto, dicendo che i giapponesi riescono a trasformare le abitudini in arte, rendendo più affascinante perfino prendere un tè in compagnia. Il gesto più comune si trasforma in una visione che mi ipnotizza, dove l’amore per il bello cattura immediatamente la mia attenzione.
Per riuscire a realizzare il mio sogno di diventare disegnatrice bisognava studiare molto, e l’avrei fatto se la mia famiglia mi avesse appoggiata, ma non è stato così. Certe realtà, magari lontane da quelle che sono le aspirazioni più comuni possono spaventare i genitori, e infatti i miei non volevano rimanessi delusa nell’intraprendere una strada così difficile. Ma, raggiunta la maggiore età, mi sono spostata a Napoli per studiare prima Architettura e poi, con un atto di coraggio, mi sono iscritta alla Scuola del Fumetto per tentare una prima e forse ultima volta di realizzare il mio sogno di infanzia.
Con tenacia e disciplina mi sono diplomata con il massimo dei voti e ho trovato subito dei piccoli lavori che mi hanno permesso di continuare la strada dei miei sogni fino al punto in cui mi ero prefissata di arrivare: essere assunta dalla Sergio Bonelli Editore, la casa editrice più prolifica e importante di Italia.

A scuola, la Bonelli veniva proposta agli esordienti come meta finale di un percorso, quantomeno per chi aspirasse a disegnare un certo tipo di fumetto, realistico e di genere. Ovviamente, era ancora troppo presto. Ma, alla fine dell’anno scolastico, il compianto Ade Capone restò colpito dal mio gusto per il disegno e mi prese in prova per Lazarus Ledd, il primo vero bonellide “non bonelliano” di successo. Proprio in quell’anno però, sfrotunatamente, Lazarus Ledd chiuse i battenti a causa di problemi personali di Ade con la casa editrice. Ma Ade non si dimenticò di me. Mi propose a Federico Memola per Jonathan Steele, ugualmente pubblicato, come Lazarus, dalla casa editrice Star Comics, con il quale ho cominciato una collaborazione durata due anni. Federico era molto contento dei miei lavori e, pensando che fossi già pronta per la Bonelli, presentò i miei disegni ad Antonio Serra, sceneggiatore e curatore di “Nathan Never”. Nel frattempo, anch’io avevo mandato delle prove in Bonelli per mio conto, e per un insperato colpo di fortuna venni contattata sia da Antonio Serra che da Giovanni Gualdoni, al tempo curatore di Dylan Dog.
Ho lavorato con entrambi per circa tre anni.
Devo dire che le cose non son mai state troppo complicate, per me, ho sempre dato il massimo e forse anche per quello la fortuna mi ha aperto le braccia.
Mi trovo molto bene in Bonelli anche se, a onor del vero, i miei sogni vanno anche oltre questo traguardo. Coltivo ancora infatti la speranza di riuscire un giorno a lavorare per la Disney oppure come disegnatrice per videogiochi, o altri progetti importanti.
I videogiochi per me sono un vero viaggio mentale. Interagire con l’arte, nei videogiochi, è un’esperienza meravigliosa. Non sei solo lì a contemplarla, ma vivi tutti gli spazi, le ambientazioni, i drammi dei personaggi, in prima persona. Pensare che dietro quelle avventure c’è uno staff di artisti che dà vita a tutto, mi ha fatto venire voglia di fare parte di questo mondo. Vedere i tuoi disegni in tre dimensioni, che prendono vita e portano serenità e divertimento, dev’essere un’emozione unica. Sento che potrei dare davvero molto in questo specifico settore artistico, spero un giorno di avere la possibilità di poterci lavorare.
Per realizzarmi, studio ancora oggi con impegno le tecniche del disegno descrittivo. Non bastano passione e talento per raggiungere risultati importanti, la tecnica resta sempre fondamentale. Perché per comunicare al meglio con il lettore bisogna essere molto precisi e meticolosi nella documentazione e nella realizzazione di luoghi e protagonisti. Bisogna trasmettere un’anima ai personaggi, un’atmosfera ai luoghi e accompagnare il lettore nel modo più veloce e chiaro possibile, facendogli provare emozioni forti, facendolo affezionare alla storia e facendogli sognare di vivere quei luoghi. Per queste ragioni ho studiato e continuo a studiare le tecniche di disegno, prospettiva e anatomia, ma anche equilibrio della tavola e storyboard, ovvero la capacità di raccontare per immagini una scena in una sola tavola.
Ho avuto molti maestri, tutti per brevi periodi. Ho studiato con Giuseppe Ricciardi, Vincenzo Cucca e Pako Massimo, per pochi mesi ciascuno. L’insegnante che ho avuto per più tempo è stato Alessandro Nespolino. Era l’insegnante che più si avvicinava al mio modo di vedere le cose, ed era anche molto gentile e disponibile. Poi, finita la scuola, Ade Capone mi fece seguire dallo studio di Daniele Bigliardo per le prove per Lazarus, quindi conobbi altri bravissimi professionisti, tra cui Gianluca Acciarino, con cui ho vissuto sei bellissimi anni della mia vita. Ringrazio ognuno di loro per i preziosi insegnamenti, ma sento che il mio vero maestro è stato proprio Gianluca. Perché, in ogni momento di difficoltà, è stato grazie a lui che ho capito come andare avanti, quali scelte fare e come rinnovarmi per crescere professionalmente. Lui amava dire che un buon maestro non ti dice cosa fare, ma cerca di far scattare una scintilla dentro la tua testa che ti illumina il percorso. Lui è ancora un punto di riferimento per me, ogni volta che devo spedire le tavole in Bonelli, le faccio prima vedere a lui. Non si finisce mai di imparare.
Ma l’atmosfera, le inquadrature, la scenografia, i costumi, la recitazione dei personaggi, quella va studiata di continuo attraverso la conoscenza di autori diversi, non solo nel campo del fumetto. E di solito non sono cose che insegnano a scuola, le senti dentro, le riconosci guardando le altre opere, impari il linguaggio e come utilizzarlo quando ti servirà.
Non mi riferisco dunque solo al fumetto, ma anche al cinema, ai serial televisivi, ai videogiochi, ai video musicali, al teatro. Ritengo che gli autori che lavorano in questi campi abbiano un dinamismo, non solo nel racconto, ma anche nelle inquadrature, nella caratterizzazione dei personaggi, nelle scenografie e nei costumi che il fumetto ancora non ha (nella maggior parte dei casi). Quindi cerco di imparare da loro tutto quello che mi serve per essere quanto più vicina possibile al loro modo di vedere le cose.
Nel campo del fumetto nello specifico, invece, posso dire che tutte le storie di Robin Wood, da Helena ad Amanda a Dago sono state per me fondamentali. Lui è stato il primo autore di fumetti che mi abbia davvero stregata. Forse proprio per una serie di caratteristiche del suo modo di raccontare che lo avvicinano ad una visione molto cinematografica, che sento affine alla mia.

Per la Bonelli ho disegnato sia per “Nathan Never” che per “Dylan Dog”, due personaggi storici della casa editrice con un passato editoriale importante e prestigioso. Molti disegnatori e autori hanno contribuito al loro successo, quindi la sensazione che ho avuto quando ci ho lavorato era quella di essere poco libera e molto sotto pressione. Sono personaggi che appartengono a molti, che hanno una vita già ben caratterizzata, quindi la libertà di espressione era limitata. Mi sentivo onorata ma allo stesso tempo poco rilevante. Dylan Dog o Nathan Never esistono e hanno una grande forza, ma ce l’hanno con me o senza di me.
Sono io che devo qualcosa a loro e non viceversa.
Da un anno sono invece nello staff del nuovo progetto di Claudio Chiaverotti per la Sergio Bonelli Editore. Ed è una sensazione completamente diversa. Mi sento parte della nascita di qualcosa, ci penso in continuazione anche quando non sto lavorando, a come Morgan Lost potrebbe muoversi o reagire in determinate circostanze. Prende vita nella mia testa e poi sul foglio, cresce anche come una mia creatura, ed è precisamente questo che mi rende felice.
Spero che lo faccia ancora a lungo.

[Bio di Valentina Romeo. In Wikipedia].

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Una Risposta to “La formazione della fumettista, 22 / Valentina Romeo”

  1. La formazione della fumettista Valentina Romeo | afnews.info Says:

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