di giuliomozzi
1. Il vero nome di Elena Ferrante è Elena Ferrante. Abita a Napoli – la città nella quale sono abientati i suoi romanzi – e per trovarla basta consultare l’elenco del telefono.
2. Il vero nome di Elena Ferrante è Elena Ferrante. Abita a Napoli ed è così povera che non ha nemmeno un telefono (e quindi non la si trova nell’elenco). Tanti anni fa ricevette centomila lire in cambio di un paio di firme. Da allora esiste un conto corrente a lei intestato, nel quale girano discrete sommette: ma lei non lo sa.
3. Elena Ferrante è in realtà un signore sui sessant’anni. Si chiama Domenico Starnone ma non è il Domenico Starnone che tutti (si fa per dire) conoscono: è un altro Domenico Starnone, che sta a Voghera e lavora nel ramo delle assicurazioni sul trasporto di animali vivi. Pubblica romanzi con un nome diverso da quello vero semplicemente per distinguersi. (Tra l’altro, apprezza molto i romanzi dell’altro Domenico Starnone).
4. Il nome “Elena Ferrante” non corrisponde a una persona precisa. L’azienda che fornisce i testi all’editore impiega una cinquantina di collaboratori a progetto, pagati malissimo. (I collaboratori a progetto non sanno di essere Elena Ferrante: loro lavorano su singole frasi, o brevi stringhe di testo; il lavoro di mettere insieme i romanzi è fatto da un software prodotto in Austria).
5. Una volta all’anno gli scrittori italiani – i soli maschi – si ritrovano in un’osteria di Amburgo, e lì se le danno di santa ragione, andandoci pesanti, fregandosene dell’eleganza. Il vincitore riceve dall’oste un plico contenente un dattiloscritto, e un documento da controfirmare nel quale si impegna a pubblicarlo con il nome di Elena Ferrante, a non rivelare nulla, eccetera eccetera. L’autore del romanzo contenuto nel dattiloscritto è l’oste, e tutti gli scrittori lo rispettano.
6. L’autore dei romanzi di Elena Ferrante è l’editore stesso. Lo sanno tutti.
7. Non si saprà mai chi è Elena Ferrante. La vicenda di J. T. Leroy insegna: appena si scoprì che i romanzi firmati “J. T. Leroy” erano in realtà scritti da Laura Albert, per lei fu un crollo (per dire: la Wikipedia italiana ha una pagina per J. T. Leroy, ma la nega a Laura Albert).
8. E’ impossibile essere Elena Ferrante, perché chiunque dichiari di essere Elena Ferrante (io, per esempio, l’ho fatto più volte) non viene mai creduto. E’ una sorta di paradosso del cretese.
9. Tutti noi siamo Elena Ferrante, aspettiamo solo di prenderne coscienza.
10. Elena Ferrante è una signora che vuol tenere protetta la propria vita: il che è un sacrosanto diritto.
4 aprile 2015 alle 16:33
Undicesima ipotesi. Ma chissenefrega di Elena Ferrante?
4 aprile 2015 alle 16:48
La prima ipotesi è la più bella
4 aprile 2015 alle 17:22
Direi che gli unici a sapere chi sia, sono gli addetti al codice fiscale –
4 aprile 2015 alle 17:59
La tre? Non so. La dieci è la più bella
4 aprile 2015 alle 18:35
Una vale l’altra, anche se confesso un debole per la nona
4 aprile 2015 alle 18:45
Oui, je suis Elena Ferrante.
4 aprile 2015 alle 18:53
l’ipotesi 4 è la più divertente
4 aprile 2015 alle 19:05
La 5 mi sembra plausibile. In realtà tutte. Corro a condividere su FB!
4 aprile 2015 alle 19:21
La terza. Incontro Domenico ogni mattina in via Emilia per recarci in processione fin sotto al portone di Arbasino per la quotidiana dose di ispirazione raccomandatagli dall’anziano medico del Cervinia (noto ritrovo di intellettuali impegnati a bersi anche la fontana di piazza Meardi e fucina creativa alta ma così alta che al confronto Brera è un nanetto da giardino).
Poi tra una polizza e l’altra a protezione dei futuri salami di Varzi Domenico attacca interminabili bottoni su Napoli, così per consolarlo finiamo per prenderci un gelato in piazza Duomo alla sobria cifra di cinque euro per gusto; ma solo le sue bozze, che leggiamo sulla panchina del ridente prato antistante la stazione, lo trattengono dal buttarsi sul primo treno in corsa per il sud.
Lunga vita a Domelena Fernone vogherese (quasi) Dop, ordunque! Credetemi: a Napoli non potrebbe essere né anonimo né prolifico. Qui a Vogh invece non c’è pericolo che qualcuno ti guardi in faccia. Qui a Vogh, se non hai qualcosa di fresco da leggere o scrivere ogni mattina, c’è il rischio che quel treno in corsa lo prendi sul serio, sbagli direzione, ti ritrovi a Bolzano e tanti saluti a ispirazione ma soprattutto ai salami.
4 aprile 2015 alle 20:24
G., stai mentendo. Non esistono infatti treni diretti da Voghera a Bolzano,
4 aprile 2015 alle 20:44
Ecco, son caduta sul treno (sempre meglio che sui maiali).
5 aprile 2015 alle 14:28
Giusto, esiste solo il codice fiscale che da ora in poi, così prescrive
Bruxelles, dovrà anche apparire in ogni richiesta di rinnovo di abbonamento a qualsiasi rivista italiana come si deduce da questa mail della nota casa editrice Giunti:
Gentile/Spettabile abbonato / a,
le scriviamo per comunicarle che, a seguito di una recente modifica delle leggi dell’Unione Europea (UE), al fine di adempiere alle disposizioni in materia di fatturazione relativamente all’abbonamento (o abbonamenti) da lei sottroscritto è necessario avere nella sua anagrafica cliente anche i dati fiscali (codice fiscale ed eventuale partita IVA).
Inoltre questa informazione è essenziale qualora sia da lei richiesta, o obbligatoria per legge, l’emissione di fattura.
La invitiamo pertanto ad aggiornare i suoi dati fiscali seguendo le istruzioni qui sotto.
– Sul sito http://www.giuntiabbonamenti.it clicchi su “area abbonati”
– Inserisca il suo Codice Abbonamento (Q117458) e la Provincia (se non risiede in Italia selezionare “Estero”)
– Inserisca i suoi dati fiscali e poi clicchi su “Salva Modifiche”
Il codice fiscale oramai assume una propria indipendenza e identità avulsa da qualsiasi incarnazione umana o umanoide.
Firmato : l’abbonata GABRIELLA che ha deciso di rinunciare all’abbonamento abbandondolo al solo CF.
6 aprile 2015 alle 10:46
Secondo me è la moglie dello Starnone di Napoli.
13 marzo 2016 alle 13:05
Che ne pensi, Giulio, del supposto scoop di Santagata? Coinciderebbe con la tua tesi n. 10.
Ma poi, forse non c’entra: il personaggio che nel primo romanzo di Waler Siti, Scuola di nudo, è chiamato “il Cane”, è Santagata?
13 marzo 2016 alle 13:07
Quello che è chiamato “il Padre” dovrebbe essere l’ormai scomparso Umberto Carpi.
Curioso come tutti questi supposti misteri ruotino, alla fine, attorno alla Normale di Pisa.
15 marzo 2016 alle 14:44
Penso che Santagata e il “Corriere” potevano risparmiarselo; e penso che abbiano agito nel loro buon diritto.