La formazione della fumettista, 8 / Patrizia Mandanici

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di Patrizia Mandanici

[Questa è l’ottava puntata della rubrica dedicata alla formazione di fumettiste e fumettisti, che esce in vibrisse il martedì. La rubrica è a cura di Matteo Bussola. Ringraziamo Alessandro per la disponibilità].

patrizia_mandaniciSe cerco di andare indietro nel tempo per capire quando è nata la mia esigenza di fare fumetti capisco che non c’è risposta: mi sembra di avere letto fumetti da sempre (già da prima che imparassi a leggere guardavo le figure) e di aver subito scarabocchiato in giro immergendomi nei miei mondi (mio padre, che ha sempre assecondato la mia passione, racconta che quand’ero piccola dovette dipingere i muri di casa con pittura lavabile, che tanto io disegnavo anche lì).
Non sognavo di fare la fumettista, sognavo di fare “la pittrice” – intendendo con ciò genericamente la disegnatrice. Più crescevo e più credevo che avrei finito col diventare un’illustratrice, o qualcosa di simile, ma mai veramente una fumettista: quello era un sogno che mi sembrava così al di fuori della portata delle mie possibilità che neanche ci pensavo.
Poi, certo, c’era anche il fatto che per me disegnare storie a fumetti era una questione personale, di sopravvivenza: lo facevo allo stesso modo in cui mangiavo e respiravo, era parte di me, come avrebbe potuto diventare un lavoro?
Mi piacevano così tanto i fumetti che disegnarne di miei era anche un modo per prolungare il piacere che mi dava entrare dentro quegli universi – e infatti mi ispiravo a quello che mi capitava sotto mano a quei tempi, e che amavo, da Tex a Capitan Miki, storie con indiani e cowboy disegnate con qualsiasi cosa su qualsiasi supporto: carta da disegno, ma anche quaderni a righe, a quadretti, blocchetti della riffa, agendine.

Intuivo il potere che avevo di poter creare qualsiasi ambiente e qualsiasi personaggio, unito alla povertà e semplicità dei mezzi a mia disposizione: una matita, una penna, un foglio di carta, e via.
Per anni ho ignorato il fatto che potevo abbozzare la tavola a matita per poi ripassarla con più precisione con la penna o il pennarello (altro non conoscevo), per cui a un certo punto quando mi capitava di sbagliare una vignetta mollavo lì la storia e ne iniziavo un’altra, diversa, che tanto poi nel frattempo mi erano venute altre idee – o meglio venivo pesantemente ispirata da un nuovo fumetto letto o da un film visto (successe in particolare quando nel 1977 vidi Guerre Stellari al cinema – ne rimasi così fulminata che da allora misi da parte il western per immergermi nella fantascienza).
Da Galleppini e Ticci a Moebius e Giardino, non ricordo se il passaggio fu mediato da altri, ma in definitiva negli anni ’80 l’arrivo in edicola di tante riviste di fumetto mi fece abbandonare del tutto i deserti e i paesaggi rocciosi del western per una molteplicità di ambienti, personaggi, trame mai viste (le riviste che compravo erano queste: Pilot, Métal Hurlant, Orient Express, Comic Art, 1984, L’Eternauta, Frigidaire, Corto Maltese, Linus – e altre apparse più brevemente).
Ho capito che col fumetto si poteva raccontare di tutto quando lessi “Rapsodia ungherese” di Vittorio Giardino, “Il garage ermetico” di Moebius e poi “Pentothal” di Andrea Pazienza, quest’ultimo per me un vero colpo di fulmine. E ho adorato Pratt: uno dei più bei Natali che ricordo è quello in cui i miei genitori mi regalarono “Una ballata del mare salato”, nel 1979. E posso dire che tutta la mia voglia di esplorare il mondo tramite il fumetto (e non solo di riprodurre fumetti amati) è nata da lì.

Non conoscevo altre persone che avessero la mia passione, e di fumettisti non ne avrei conosciuti fino ad età adulta; disegnare è stata sempre per me un’attività molto solitaria. Anche al liceo e poi all’Accademia ho fatto leggere i miei fumetti solo a pochi amici fidati, e solo all’età di 24 anni iniziai a prendere contatto con il mondo del fumetto, con molta calma e senza aver chiaro nulla fino almeno per altri 3 anni (nel frattempo disegnavo illustrazioni per una rivista).
Immaginare e trasporre tutto attraverso sequenze e parole mi viene automatico, spesso ricordo delle cose successe e le trasformo mentalmente in fumetti; e li sogno, sogno edicole sempre diverse e di scoprirvi nuove mirabolanti uscite, copertine splendenti e originali, disegnatori noti e meno noti (ma sto vivendo un lungo periodo di assenza di questi sogni, ahimè).
In cuor mio, a tutt’oggi, rimane sempre la sensazione di essere entrata a lavorare nel mondo del fumetto per puro caso, grazie a coincidenze e opportunità arrivate in tempo. Questo e la consapevolezza dei miei limiti sono il cruccio che mi porto dietro, il tarlo di non essere riuscita a trovare la voce originale che invece avverto leggendo i miei autori preferiti.
Disegnare come prolungamento di un pensiero, di un punto di vista, di qualcosa che può andare nel profondo, magari lasciando il segno: questo sognavo di fare, come fumettista.
Col tempo ho imparato a venire a patti con me stessa, e non solo con la me stessa fumettista; possiamo migliorarci, e sognare di farlo, ma è improbabile trasformarci del tutto e diventare totalmente altro da ciò che siamo. È come essere rinchiusi in un sacco dibattendosi giorno per giorno per assumere la forma migliore che possiamo, ma il sacco è quello, non lo si può cambiare.
Spero di non aver dato l’impressione di non essere felice di ciò che faccio e di dove sono arrivata: tutto il contrario; e so anche di essere fortunata. Una certa insoddisfazione di fondo credo che sia il motore necessario per andare avanti e scoprire sempre nuove cose, preparandosi magari a quotidiane piccole nuove battaglie.

Patrizia Mandanici nasce a Messina nel 1965. Quando lei ha 9 anni la famiglia si trasferisce a Roma, dove Patrizia compie tutti i suoi studi superiori, Liceo Artistico e Accademia di Belle Arti (scenografia). Dal 1990 al 1992 collabora come illustratrice al settimanale Avvenimenti. Alla fine del 1991 si trasferisce a Milano. Inizia la sua carriera di fumettista collaborando con Marcello Toninelli ad alcuni lavori, compresi alcuni episodi per Il Giornalino di Agenzia Scacciamostri. Disegna alcuni episodi di Billitteri per L’Intrepido, Jordi eroe galattico per Il Corrierino, e la serie Ossian per la Star Comics. Nel 1996 riceve dall’ANAFI il premio Rino Albertarelli. Dal 1995 lavora per la Sergio Bonelli Editore, disegnando diversi episodi delle serie Legs Weaver, Gregory Hunter, e Nathan Never. Dal 2008 al 2011 disegna i tre albi della serie La Squadra Fantasma apparsi all’interno del semestrale della Bonelli Universo Alfa. Dopo essere tornata alla serie regolare di Nathan Never disegnando un paio di numeri, attualmente lavora su una storia lunga per Le Grandi Storie di Nathan Never in uscita a marzo 2015. Il suo sito-portfolio è qui, il suo blog è qui.

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4 Risposte to “La formazione della fumettista, 8 / Patrizia Mandanici”

  1. Patrizia Mandanici Says:

    L’ha ribloggato su Ritagli della fumettista curiosa e ha commentato:
    Ringrazio Matteo Bussola e Vibrisse per l’ospitalità.

  2. manu Says:

    sono sincera. prima di leggere tutto vado direttamente al blog dell’autore o dell’autrice. e ringrazio giulio mozzi per questo che sarà un archivio – se non altro – di luoghi della rete dove trovare cose bellissime. mi è bastato vedere quella foto di patrizia con il pennello che intinge nei winsor&newton da 24 (se non sbaglio) per sentirmi bene. thank’s thank’s thank’s e non fermatevi mai!!!

  3. manu Says:

    ecco. nella foto citata, non è patrizia ma laura scarpa, a ben ri-vedere. insomma. mi fa bene lo stesso 🙂

  4. Patrizia Mandanici Says:

    Purtroppo non sono io quella che usa i pennelli, ma Laura Scarpa – qui il suo blog: http://laurascarpa.com/

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