[Questo è il trentacinquesimo articolo della serie La formazione della scrittrice, alla quale si è da tempo affiancata la serie La formazione dello scrittore. Ringrazio Antonella per la disponibilità. gm].
Erano gli anni ’80 e i primissimi ’90, avevo dagli zero ai dieci, dodici anni, andavamo in vacanza dal primo all’ultimo di luglio, sempre. I miei erano professori e, prima che mio padre passasse al superiore e cominciasse con gli esami di maturità, l’ultimo di giugno per loro il lavoro a scuola finiva, e ricominciava il primo di settembre. Nella mia città in quegli anni a luglio c’era ancora della gente, mi pesava andar via proprio quando con i miei amici eravamo in pieno gioco post-scolastico, proprio quando con Debora e Giuditta pattinavamo su e giù per il cortile e io cantavo Perché lo fai ma pure Cogli la prima mela, Io se fossi dio e La domenica delle palme, perché avevo rubato la cassetta di mia sorella maggiore e quando pattinavo mi mettevo le cuffie del walkman nelle orecchie. Mio padre e mia madre ci prendevano di peso – mia sorella chiusa in camera in stile adolescente – ed eravamo Fantozzi (ma mia madre non ci permetteva di guardare alcun Fantozzi, non ne sapevamo niente) o un qualsiasi film italiano di quei tempi. Auto non proprio utilitaria perché a mio padre piace correre, portabagagli e interni traboccanti, portapacchi con valigie e bici a separare il vento, ce ne andavamo per l’Autosole sempre piuttosto in ansia – è sempre così che si è vissuto a casa mia, pure in vacanza. Mia madre non ci hai mai permesso di vedere la tv per più di due ore al giorno, o di giocare a nessuno degli avi del computer che imperversavano in quegli anni. In vacanza leggevamo.
A casa leggevamo. A pranzo, a tavola, leggevamo. Di notte prima di dormire leggevamo. Sul mare leggevamo. Fumetti e libri per bambini, libri per adolescenti, i primi classici. Avevamo un’ansia di lettura che nemmeno sapevamo, l’abbiamo saputa solo quando siamo state grandi. Giocavamo, pure, soprattutto io. Mia sorella era l’intellettuale, io ero la matta della casa, la maschietto, quella che per tutte le scuole medie diceva che era maschio e che quando ti rivolgevi a lei dovevi darle del maschile, quella che non voleva stare a casa, che non tornava mai all’ora giusta, che il suo primo fidanzato era un malavitoso diciottenne che abitava nella strada di fronte casa sua, e suo (mio) padre l’ha (mi ha) sgamata e ha minacciato di morte il diciottenne (aveva la barba!, piangeva mia madre buttandosi sul letto; lo amerò per sempre!, dicevo io, e dopo tre giorni già ne amavo un altro). Giocavamo, pure, giocavo soprattutto io: ma leggere era talmente naturale che nemmeno ce ne avvertivamo. E poi c’era agosto, o Della Desolazione.
Come il primo di luglio le mie amiche non erano ancora partite, così l’ultimo di luglio, quando sbarcavamo in città abbronzatissimi – io in lacrime inconsolabili perché, ogni volta, non volevo mai partire non volevo mai tornare non volevo iniziare la scuola non volevo mai finire – le mie amiche non erano ancora tornate. Non solo loro. La città era desolata. Caldissima e inutile, abbandonata, negozi e supermercati chiusi, e nessuno – non un amico, non un parente, non un conoscente, ma nemmeno una persona sconosciuta – in casa o per le strade. Ma la tv ancora era proibita, e pure i giochi al computer. Dunque che potevo fare; leggevamo. In quel momento, però, ce ne accorgevamo.
Perché non c’era alternativa. Mi svegliavo, a casa mia non si faceva colazione, salutavo i miei e mia sorella e iniziavo la lettura. Se mia sorella aveva voglia, e ne aveva molto poca, ma quando ne aveva era bravissima e io ero proprio soddisfatta, rimanevamo a letto e per un po’ mi leggeva lei. Poi mi alzavo e continuavo da sola sul divano. Non smettevo nemmeno per il pranzo, mi portavo il libro a tavola, pieno di schizzi di sugo, mi piaceva molto il sugo, di macchie di gelato, mi piaceva assai il gelato, ancora gonfio di acqua di mare o sabbia del luglio appena terminato, e ti sentivi triste, oppure ancora intonso dato che era nuovo ma dopo un minuto stava già colando olio del pane e pomodoro. Finivo la sera prima di dormire, ricominciavo la mattina dopo appena sveglia. Tranne poche, odiatissime scampagnate con la nonna, ma pure lì il libro ce lo portavamo, passavo i 31 giorni dell’agosto solitario a leggere cumuli di libri e di fumetti.
E fu così che, nel bel mezzo degli anni ’80, a qualche mese dall’inizio della terza elementare, volevo scrivere libri pure io. Soltanto per orgoglio. Chi erano questi che mi facevano andare in trance ogni volta, chi questi che, quando il libro mi piaceva, se finiva mi facevano piangere a dirotto, chi questi che quando finiva agosto era peggio che finisse luglio? Volevo avere pure io questo potere; volevo fare la scrittrice.
Tag: Antonella Lattanzi
3 novembre 2014 alle 08:17
” Martedì 25 agosto 1998 – « Do you want Kellog’s? ». Mentre mi aggiro fra le navate di Auchan, l’immane centro commerciale alla periferia di Bari, sento una voce che mi parla in un basico inglese. Guardo e la riconosco subito: è lei, la ragazza bionda che qualche giorno fa, abbigliata in un grazioso costume, sorrideva dietro lo stand dei prodotti tipici greci. « No, grazie, non ne faccio uso… ». E lei, sentendomi parlare in italiano: « Ah, scusi… credevo che fosse con quella signora inglese… », e indica una signora visibilmente inglese. « Ma lei – insisto io, ora che tocca a me fare domande – la settimana scorsa non era greca? » « Sì… », ammette e poi, fra lo spiritoso e lo scontroso, puntualizza: « … io cambio spesso ». Ma io, che continuo a non usare Kellog’s, continuerò a riconoscerla. ” [*]
[*] La s-formazione dello scrittore / 69
3 novembre 2014 alle 11:58
Ho letto e molto apprezzato Devozione di A. lattanzi. ne ritovo qui parte della stessa bilita’ narrativa. Tutto molto evocativo, per una volta avrei gradito anche una discesa nel didascalico: Cosa leggeva Antonella? Generi, titoli, autori?
3 novembre 2014 alle 11:59
Si, il commento sopra e’ mio, non volevo pero’ mettere tutta quel link.
3 novembre 2014 alle 15:31
mi piace molto questo racconto
3 novembre 2014 alle 16:31
grazie monicawinters
4 novembre 2014 alle 11:41
@tuttoperbocca certo, con molto piacere. Da piccola, il primo libro che mi ha colpito è stato La storia infinita di Michael Ende. E’ stato il libro che mi ha fatto pensare: voglio fare la scrittrice. Poi c’è stata una passione smodata per Stephen King, che ho conosciuto con “Misery”, e poi con “Shining” e gli altri. Poi c’erano i classici, mia madre mi fece leggere “Il buio oltre la siepe” che mi piacque molto. I miei libri della maturità invece sono “La camera azzurra” di Simenon, “Pastorale americana” e “Il teatro di Sabbath” di P. Roth, “La porta” di M. Szabo, “Rumore bianco” di Don DeLillo, “Una questione privata” di Fenoglio, “Il maestro e margherita” di Bulgakov, “Madame Bovary” di Flaubert, e poi “Un divorzio tardivo” di Yehoshua, “I racconti” di Cheever, “L’arte della gioia” di Goliarda Sapienza, “Opinioni di un clown” di H. Boll, “Delitto e castigo” di Dostoevskij, “Quel che resta del giorno” di Ishiguro, “Quer pasticciaccio brutto di via Merulana” di Gadda, i racconti di e di Kafka e molti libri di Coetzee… E poi i fumetti, tantissimi, da Pazienza a Moebius a Miller a Héctor Oesterheld e Francisco Solano López… Insomma tantissimi, sono molto contenta di parlarne.