di giuliomozzi
Amare la morte no, ma amare il morire
è dolce e degno per l’uomo. Se incute spavento
la morte, il velame oscuro che preme
sugli occhi e le membra, solo tenerezza
procuri il morire, l’abbandono all’amore
degli altri, ormai necessario. Sia vergogna
a chi non ama il morente, a chi non vede
sé stesso nell’amico a cui di giorno in giorno
diminuiscono le forze e la voce e la vista
e la coscienza di sé. Quello è il tuo corpo,
quella è la tua vita, guarda, e quello il tuo finire
se non saranno un incidente o un colpo ricevuto
nella battaglia a fare di te in pochi istanti
in un solo istante una cosa.
25 ottobre 2014 alle 18:03
Profonda riflessione, molto molto vera e toccante
25 ottobre 2014 alle 19:07
Allora, per chi suona la campana?
26 ottobre 2014 alle 09:44
Avresti potuto fermarti al primo verso, con la stessa valenza emotiva. Non credo che tu abbia simulato una maschera per ottenere risposte. Un “sé stesso” che ti è scappato me lo sussurra. E ti fa sentire meno stridente. Posso dirti che non hai trovato quello che più cercavi? una abbraccio. la matta
26 ottobre 2014 alle 11:02
” 11 luglio 1995 – Il diario è un genere letterario mostruoso. Perché pretende di non finire. Come il nonnino ultrecentenario del tg che dice incomprensibili stupidaggini in un suo oscuro dialetto e ride alla telecamera e non avrebbe nessuna voglia di morire mai. “. [*]
[*] La s-formazione dello scrittore / 56
26 ottobre 2014 alle 13:26
Mozzi, Giulio , permettimi, carissimo.
Assistere al quotidiano spegnersi della persona che ami è dolore, rabbia , impotenza.
Non ami la sua morte, eppure in qualche modo l’amore c’entra, hai ragione.
Un amore che cresce e che in un modo misterioso tende all eterno , lo sfiora.
Poi rimane il rimpianto
Ciao.
Con spontaneo affetto.
27 ottobre 2014 alle 07:07
Matta: puoi dire, per carità – ma non serve a nulla, come non servono a nulla in generale le frasi che mancano dell’oggetto, che non nominano o indicano ciò di cui parlano -, che non ho trovato quello che più cercavo. E se tu provassi a dire che cosa secondo te cercavo e che cosa secondo te ho trovato?
27 ottobre 2014 alle 15:16
Si sentono gli echi dei classici nell’inizio (dulce et decorum…) ma poi è originale e al contempo universale il pensiero dell'”abbandono all’amore dell’altro, così necessario”. La condivisione della comune pena, che oltre a schiantarci può anche permetterci di dare il meglio di noi stessi, è un conforto struggente per le nostre angosce. Grazie per questa poesia.
4 novembre 2014 alle 07:38
ha a che fare con ‘le favole del morire’?
5 novembre 2014 alle 01:00
No.
6 novembre 2014 alle 09:55
Cercavi un lingotto d’oro che non serviva a nulla. Poi hai rotto le dighe della tua prudenza e ti sei mosso alla cieca pieno di stanchezza. La tua lunga angoscia ha diluviato fino a travolgere il tuo stesso tracciato…Puoi liberamente dirmi che sono veramente una matta. Un abbraccio.
6 novembre 2014 alle 14:00
A me invece pare che Giulio, qui, si sia mosso con ancora maggior consapevolezza che in molte altre sue prove poetiche. Non c’è alcuna “diga della prudenza” che abbia dovuto essere rotta né angosce che abbiano “diluviato”. Si afferma, qui. Questi versi sono addirittura icastici. Conativi. In breve, si afferma doveroso amare chi sta morendo. Mentre sta morendo. Si afferma essere vergognoso il torcere il viso da lui. Si afferma che, se angoscia c’è, questa deve essere affrontata assumendo la consapevolezza che – se non sarà un fulmine a incenerirti in una frazione di secondo – quella fine dilungata nel tempo, che vedi sul volto e nel corpo dell’amico, sarà verosimilmente anche la tua. E dunque, un po’, già te ne stai andando con lui.
No man is an island,
Entire of itself,
Every man is a piece of the continent,
A part of the main.
If a clod be washed away by the sea,
Europe is the less.
As well as if a promontory were.
As well as if a manor of thy friend’s
Or of thine own were:
Any man’s death diminishes me,
Because I am involved in mankind,
And therefore never send to know for whom the bell tolls;
It tolls for thee. [John Donne]
6 novembre 2014 alle 14:06
P.S: un’occhiata qui.
8 novembre 2014 alle 10:59
Caro Giulio, io ho provato a dire ciò che tu mi avevi sollecitato a dire (e non tutto ) e si riferiva al tuo vissuto abbastanza remoto. Non era diretto ad altri il mio messaggio. Te ne mando un altro che a me sembra , alla fine, giusto : ” Il triste sottrarsi al dolore è come una collana di perle rubate “. Spero tu condivida. E tanto mi basta. Matta