di Claudio Mercandino
[Le regole del gioco sono qui].
Prima c’è il tuffo, dopo il capogiro,
un vortice di aromi e di colori,
di lame un mulinar senza respiro,
egualitaria danza di sapori.
Più niente asperità né differenze
in questo democratico frullato:
con normalizzatrici turbolenze
omologa il presente, ed è passato.
Tag: Claudio Mercandino
28 settembre 2014 alle 15:39
Molto originale la tua poesia culinaria 🙂
28 settembre 2014 alle 16:02
https://www.facebook.com/pages/Minipimer/57843878593
28 settembre 2014 alle 18:48
” Sabato 22 giugno 1996 – Addormentarsi è come fare un tuffo, spiccare il volo. Il corpo – libero, senza peso, senza dolore – si immerge in un illimitato spazio apparentemente vuoto, fluttua, galleggia, vola, sostenuto da invisibili braccia, da pietose onde, da amorevoli brezze. In quel vuoto così amichevole c’è una grande pace e un perfetto silenzio. Il corpo va, seguendo le curve del vento e dell’acqua, timido e solenne, come in una musica. Il corpo riconosce le forme di cose già viste, volti, voci, parole. Il corpo ricorda. E quando si sveglia, sa tutto. “. [*]
[*] La s-formazione dello scrittore / 15
28 settembre 2014 alle 20:42
Mi piace molto!
29 settembre 2014 alle 12:12
commento superficialissimo: io eliminerei dalle possibilità della lingua poetica le apocopi: come in “mulinar” (se non per sbertucciar la poesia – che è ormai vecchia, ottocentesca, signora un po’ desueta con la veletta)… Ci saran senz’altro motivi metrici, per usar l’apocope, ma allora, su, aboliam di nuovo l’interesse metrico e ritorniam al verso libero, di novecentesca memoria, senza temer, senza timor… (la mia preferenza in assoluto va al primo verso!)
24 febbraio 2015 alle 21:44
E’ tutto vero. Ma mi accorgo che mi viene naturale: quanto più ironico mi esce il verso, tante più apocopi utilizzo. E infatti, ora che mi ci fai pensare, se mi capita di scrivere cose più “serie”, passo inconsapevolmente da registro tronco a quello piano. Però, vuoi mettere le piroette sbarazzine dell’elisione?