di giuliomozzi
È questo la mia vita: è come un treno
in mezzo alla campagna, fermo, senza
che il capotreno mandi un’avvertenza:
un guasto sulla linea, un altro treno
da far passare: niente, la creanza
è un bene scarso. Al mio vicino «Almeno
ci dessero un motivo», dico, «almeno
potremmo contentarci… O è l’usanza
questa, da queste parti?». Un bel silenzio
è tutta la risposta. In lontananza,
oltre la curva, scorgo la città:
la mia destinazione. Ma il silenzio
rompe il vicino, finalmente: «Sa,
è un’illusione il viaggio, la distanza…
Lei vuole andare… Andare, e poi tornare,
e andare ancora… E poi cambiare meta,
e correre… Sì, il tempo è la moneta
di tutto, e tutto va in moneta… Avare
le nostre vite…». «Ma mi basta fare
un passo solo», dico, «un passo, e lieta
sarà questa mia vita, e dolce, e quieta:
ma questo passo pur lo devo fare
e per farlo, fin lì devo arrivare…».
«Eh già», il vicino, con un sorrisetto,
«manca qualcosa sempre, perché tutto
finalmente si possa sistemare…
E quel qualcosa, l’asso pigliatutto,
è sempre un passo, sì, è sempre un passetto
più in là…».
17 settembre 2014 alle 17:40
Mi ricorda terribilmente Cyrano…a parte la metrica, intendo: la malinconia, la levità, il singhiozzo celato.
Veramente un bel componimento.
17 settembre 2014 alle 17:53
A me ricorda guidozzano. Ciao!
17 settembre 2014 alle 18:14
ma “tutto va in moneta” c’entra qualcosa con certi modi di dire veneti?
17 settembre 2014 alle 19:19
Intuitivamente, il fulcro poetico di questo testo mi pare quell'”avare”. Forse perché si rivela solo all’ultimo aggettivo. Là dove era atteso un verbo, e di movimento avendo accumulato “andare”, “andare”, “tornare”, “andare”, “cambiare”, “correre”, ecco “avare”, aggettivo e inoltre statico e rugginoso, quindi ecco il componimento torna ai toni della stagnazione.
17 settembre 2014 alle 19:36
” 26 agosto 1987 – Come la gente racconta i viaggi. Si mangia bene si mangia male. “.
17 settembre 2014 alle 22:10
ho pensato al “Congedo del viaggiatore cerimonioso” di Caproni. Ho pensato al treno fermo nella campagna emiliana della “Strategia del ragno” di Bertolucci. I sogni di impotenza: è lì, ma non si raggiunge (la città)…
Si può notare la dimensione “economica” della giostra metaforica della lirica: la “scarsità” (della creanza), poi il danaro (legato al tempo, legato all’insignificanza). Che sia questa la stagnazione di cui parla – giustamente mi pare – dm? Questa, per così dire, “miseria vitale”, vita ridotta, riducibile, computabile, monetizzabile, arida (“tutto va in moneta”, è anche un cifrato: “tutto va in mona”, penso, Alessandra – confermerà forse l’autore).
E poi c’è però direi quel “passo” che richiama fonicamente (e non solo), con rima “ricca”, il termine “asso” (pigliatutto). Il desiderio del passo risolutivo, che sistema (ma cosa poi, sistema? L’aridità e la “miseria” sono un caos? un disequilibrio? da sistemare?), il desiderio – dicevo – risulta illusorio. la fermata non accenna a finire…
(Non so perché, Giulio, hai voluto allungare a quel modo il penultimo verso con quel “Sì, è sempre un passetto” che trovo non molto felice; motivi metrici?).
17 settembre 2014 alle 23:49
“ 29 marzo 1986 – È ufficialmente matto e in quanto tale gli è riservata una scrivania pro forma nel più deserto dei corridoi del palazzo-bunker. Intorno all’oggetto d’ufficio deambula frenetico tutto il giorno parlando animatamente da solo. Dicevano che dice a tutti di avere viaggiato in tutto il mondo. Oggi partiva per Mantova. Una borsa l’attestava. Dev’essere una delle tante vittime dell’immobilismo. “.
18 settembre 2014 alle 05:41
Ma: il testo è indubbiamente, come dice Enrico, un esercizio caproniano (e Caproni ha anche usato i sonetti, e i sonetti in corona; destrutturandone però il sistema rimico, abolendo – anche graficamente: né rientri, né righe bianche – la divisione in parti), ma per imitare il furor metafisico di Caproni ce ne vuole, così il testo va sul nostalgico e giustamente (mi pare) Giovanni cita “il coso con due gambe / detto guidogozzano“: gozzaniana sarà anche, volendo, la conversazione con i puntini e le parole ripetute (vi ricordate Arturo Capenna?). C’entreranno qualcosa anche i treni (spesso in sosta fuori della stazione) di Umberto Fiori. (Bertolucci mi manca, Cyrano mi manca). Il “sì” nel penultimo verso è un residuo d’un tentativo di dare al “vicino” un intercalare. Togliendolo, il verso fa “è sempre un passo, è sempre un passetto”, dove ci vuole uno iato un po’ forte, magari suggeribile con l’interpunzione, tipo: “è sempre un passo – è sempre un passetto”. Forse meglio: “è sempre un passo, sì – sempre un passetto”. Alessandra; dietro “tutto va in moneta” non c’è, nell’intenzione (il testo, poi, è là: e fa quello che vuole), nessun modo di dire veneto: piuttosto Adam Smith. 😉 Daniele: ho cercato di usare elementarmente parole elementari e ovviamente rime ovvie, poi alla fine – visto che tutto sdrucciolava giù – mi serviva una parola-rima un po’ più forte, e appunto è venuto l’ “avare”. Di tutto questo esercizio, secondo me, se c’è qualcosa di salvabile è il “sorrisetto”, che alla fin fine dà corpo (mi pare) al “vicino”. Grazie per l’attenzione (eccessiva).
18 settembre 2014 alle 19:25
avevo letto la stessa cosa che ha letto enrico ernst