
Un Manzoni, centomila lire.
di giuliomozzi
Le seguenti domande sono rivolte alle signore e ai signori insegnanti, in particolare a quelle e quelli che insegnano nel biennio della secondaria superiore. E le domande sono: vi tocca, in linea di massima, fare I promessi sposi. Ebbene: con I promessi sposi, che cosa ci fate? Come li presentate? Li leggete in classe? (Dal principio alla fine, a salti, ecc.; leggendo voi, facendo leggere i ragazzi ecc.). Li leggete / li fate leggere per intero? E che cosa fate, materialmente, in aula? Che cosa fanno, materialmente, in aula, i ragazzi? Quali strumenti di presentazione e analisi adoperate? Quali insegnate ad adoperare ai ragazzi? Che strategie usate per far capire il senso complessivo dei Promessi sposi? E il senso locale di questo o quel capitolo, di questo o quell’episodio ecc.? Che cosa producono i ragazzi? Esercizi di riassunto? Analisi narrative? Analisi tematiche? Analisi linguistiche? E: ragionate sulle emozioni di lettura? Che emozioni vi danno I promessi sposi? Come fate a far dire ai ragazzi le loro emozioni? Come fate a far loro riconoscere nel testo gli strumenti e i modi usati dall’autore per provocare quelle emozioni? Avete mai provato, che so, a drammatizzare qualche scena? A far realizzare qualche scena in forma di fumetto? I ragazzi riescono a prendere in simpatia i personaggi, a identificarsi con questo o con quello? Eccetera.
Chi ha voglia di rispondere, risponda (anche a domande che ho dimenticato, sia chiaro) nei commenti. Penso che uno scambio tra colleghi possa essere utile.
[Chi mi conosce anche solo un po’ sa che ci ho la fissa dei Promessi sposi. A causa di questa fissa comincio da qui – e non a es. dal Verismo, dal Tasso o dai Poeti comico-realistici del Duecento – una serie di articoletti in cui proporrò di discutere sulla vita materiale dell’insegnante di Italiano in Italia. Ringrazio mia sorella Maria Luisa per la sollecitazione – e per aver suggerito buona parte delle domande].
Tag: Alessandro Manzoni
23 luglio 2014 alle 22:07
premessa indispensabile insegno nel professionale, ma anch’io ho la fissa dei Promessi Sposi. Uno degli esperimenti piu’ riusciti: una scrittura scenica dell’incontro tra Lucia e la Monaca di Monza. Partendo dall’analisi della descrizione perfetta di Gertrude in poche righe, siamo arrivati alla costruzione del personaggio, poi i ragazzi hanno riscritto il brano in forma drammaturgica, un piccolo copione con relativa rappresentazione. Un gruppo ha messo in scena in rap. Altro passo usato e’ l’incontro tra i bravi e Don Abbondio. Usare altri linguaggi mi e’ necessario per renderli vivi e di solito funziona molto, moltissimo. Io li leggo, ad alta voce, ed e’ l’unico testo che uso per fare analisi del testo, cosa che per il resto non amo molto fare.
23 luglio 2014 alle 23:13
sei una grande…. troppo poche quelle come te, purtroppo
24 luglio 2014 alle 08:34
“ Martedì 22 aprile 2003 – Alessandro Manzoni non è mai stato a Roma: se ci fosse stato non avrebbe scritto i Promessi sposi. “ .
24 luglio 2014 alle 08:54
1: perché studiamo I promessi sposi? Non perché è obbligatorio; partire da qua. Fare capire ai ragazzi che scrittore “d’avanguardia” fosse Manzoni e non quel busto ingessato che la scuola ci ha trasmesso, noioso e bigotto.
2: Le sue tecniche narrative. Iniziamo dall’incipit: chi vede il ramo di Como in quel modo? Dove dovete posizionarvi per avere quella visuale? Risposta dei ragazzi: In elicottero. Eh, ma ai tempi di Alessandro non c’erano gli elicotteri. Seconda risposta: Dio?
Partiamo dal punto di vista dell’Autore: sta così in alto! Descriviamo la nostra città, la nostra scuola, la nostra classe, come Manzoni descrisse il suo lago.
Il romanzo e la verità. Manzoni ci vuole assicurare che la sua storia è vera, con tanto di documenti; Svevo invece ci fa dire dallo psicoanalista che tutto ciò che racconta Zeno potrebbe essere una bugia. Cosa piace di più ai ragazzi? Un romanzo che dice la verità oppure le confessioni di un bugiardo?
L’indugio. Perché diavolo Manzoni è così prolisso? È solo noioso o c’è dell’altro?
L’episodio di Don Abbondio e i bravi: la suspence.
Le grida: era proprio necessario?
3. “La sventurata rispose” diventa “Io, sventurata, risposi”. Titolo di un workshop da fare in classe. Riscrivere la storia di Gertrude in prima persona. Riflettere su cosa si acquista e cosa si perde nella “traduzione” di un testo scritto da un Autore esterno in un testo con io narrante.
4. Per le ragazze: “Se io fossi Lucia” , per i ragazzi, “Se io fossi Renzo”, dibattito e riscrittura di alcune parti dialogate del testo, per mettere a fuoco i due protagonisti. Sono davvero anacronistici?
Quest’anno i ragazzi hanno prodotto un divertente piccolo musical su I promessi sposi, con canzoni di musica leggera a cui hanno cambiato i testi per adattarli alla trama de I promessi sposi. Un successone.
24 luglio 2014 alle 08:56
L’ha ribloggato su orlando furiosoe ha commentato:
Un dibattito molto interessante. Lo segnalo.
24 luglio 2014 alle 10:29
Non sono insegnante quindi non ho titoli per rispondere ma dico che secondo me i “Promessi Sposi” andrebbe semplicemente letto senza forzare in nessun modo lo studente, il rifiuto della lettura sta nell’obbligo. Poi il romanzo attecchisce da sé. La storia di un amore contrastato in una Italia turbolenta, con la paura della morte del contagio in tutti, un paladino degli oppressi con il saio ma dal temperamento sanguigno ed il passato violento, tanti colpi di scena e tanta comicità … Impossibile non possa piacere ad un lettore giovane malgrado il professore.
24 luglio 2014 alle 11:22
Hai ragione, rodixidor, se pensi che a scuola si debba insegnare solo il piacere della lettura o fare innamorare i ragazzi della lettura.
Queste due cose, sono, lo sappiamo, fondamentali, condizioni senza le quali non ha senso parlare di lettura. Però la scuola deve insegnare anche altro. L’italiano è una materia scolastica complicata, che deve dare sapere (storico, per esempio, e non solo di storia della letteratura, ma anche della lingua, dei generi letterari, dei costumi, delle categorie di lettori…), contenuti, tecniche di analisi, abilità di comparazione, di collegamento, di riflessione, di categorizzazione…
24 luglio 2014 alle 13:49
Premettendo che non sono insegnante (anche se mi piacerebbe diventarlo). Questo un argomento che mi interessa molto, e scriverò quindi una serie di riflessioni probabilmente inconcludenti, e scusate se sono prolisso (come Manzoni).
Se non sbaglio ci sono blog che hanno già affrontato l’argomento, chi difendendo Manzoni e il suo insegnamento a spada tratta, chi dicendo che scrive da cani e si potrebbe benissimo fare a meno di perderci tempo sopra.
Allora, perché studiare i promessi sposi? Ma in verità la domanda potrebbe anche essere allargata: perché studiare letteratura? Perché studiare proprio? Tanto lo studio non ci salverà dal big crunch, se dobbiamo guardarla con utilitarismo assoluto tutto è inutile. Immagino però che ogni umano abbia i suoi obiettivi, e ciò che studia, in teoria, dovrebbe variare in base al suo obiettivo, altrimenti non esisterebbero neppure i vari percorsi.
Allora io mi chiederei: qual è lo scopo dello studio della letteratura? Io studio lettere a Venezia, lo faccio perché mi piace; ma perché, per dire, far studiare Manzoni a un ragioniere (perché io ho fatto ragioneria)? Studiare manzoni a lettere ha un senso, studiarlo durante ragioneria mi pare inutile, anche se solo nel biennio.
Perché c’è gente che pensa che la scuola debba insegnare a scrivere un romanzo. Al massimo, ora come ora, la scuola insegna a distinguere un diario da una lettera, e al massimo ti presenta una base di Genette, ma nulla di più. È giusto così, ha ben più senso concentrarsi sulla scrittura saggistica, o di cronaca (che tutti probabilmente e si ritroveranno a scrivere) piuttosto che far scrivere racconti e simili (che molti non scriveranno mai).
Ma allora cosa dovrebbe insegnare lo studio della letteratura, e in particolare di Manzoni? Me lo sto ancora chiedendo. So che il Mozzi apprezzerebbe l’insegnamento della retorica. Almeno qui uno scopo ce lo vedo: insegnare, in generale, a comunicare in modo chiaro ed efficiente. La cosa però dovrebbe essere ben strutturata, perché continuerei a ritenere molto meno utile uno studio di “retorica narrativa” sul Manzoni rispetto all’analisi dei discorsi di Hitler o del manifesto di Kaczinski. E io apprezzo Manzoni eh! E apprezzo pure Kaczinski…
Qui non riesco a darmi una risposta, e non ci riesco perché non comprendo lo scopo di certe letture. Potrebbero essere utilissime, ma mi sfugge…
Piuttosto, mi attira adesso l’ultimo commento di Maria Luisa Mozzi. Indica i tanti scopi dell’insegnamento dell’italiano, ma mi chiedo: sicuri che sia il modo migliore per dare quelle informazioni? Insegnamento storico, per esempio. Per quello c’è la storia.
Storia della letteratura? È un campo che mi piace studiare, ma perché insegnarlo a tutti? La letteratura è influenzata dallo zeitgeist, scienze come la matematica no, ed è dunque giusto che si studi il rapporto tra l’opera e il suo tempo; ma di nuovo, la cosa può essere sensata o no in relazione allo scopo: è davvero utile insegnare storia della letteratura, tra l’altro fermandosi a inizio 900? È così insensato spendere una parola su: Calvino, Eco, Philip Roth, McCarthy, Auster, Don DeLillo, Saramago, Marquez, Murakami, e altra gente che ha influenzato la letteratura recente?
Analisi dei contenuti e delle tecniche… Ecco, questo potrebbe essere utile anche per chi vuole imparare a scrivere, ma io questo tipo di insegnamento non lo vedo, o forse è così arretrato da passare inosservato. Lo studio delle tecniche letterarie si è sviluppato soprattutto tra gli anni 80 e 90 in America (anche se i principi base c’erano già da decenni), e ancora oggi si continua a tirar fuori roba nuova (come nelle lezioni del 2008 di Palahniuk). Insegnare la narratologia di Genette non é più sufficiente per questo scopo.
Pure, lo studio delle categorie di lettori io non l’ho mai fatto: è più roba da semiotica cui raramente di dedica attenzione.
Abilità di categorizzazione, questa sì, ok, forse anche abilità di collegamento… Abilità di comparazione non so: se vuoi mandare in crisi uno studente, anche il più preparato, chiedigli di farti un paragone tra la figura della donna in Manzoni, Verga e D’Annunzio: non è un qualcosa che l’attuale sistema di insegnamento permette di fare.
Di contro, è sicuramente vero questo: se vuoi far odiare la lettura a un giovane, obbligalo a leggere. Noi odiamo i promessi Sposi, in America invece i pochi che lo leggono lo apprezzano. Noi amiamo Il giovane Holden, in America che sono obbligati a leggerlo lo odiano.
Anche il messaggio di Deborah mi interessa, soprattutto il secondo punto. Il primo punto lo apprezzo (ma Manzoni non era d’avanguardia. Avanguardia per l’Italia, in pauroso ritardo per il restante universo), il terzo punto se ben gestito può essere interessante, il quarto punto molto meno interessante (se non fossero anacronistici, ci sarebbe un problema, natura umana esclusa) ma comunque apprezzabile. Ma il secondo è interessante perché non possiamo fare a meno di chiederci: è utile studiare le tecniche di scrittura di Manzoni per lasciar perdere le tecniche, molto più avanzate ed efficaci, di un McCarthy? Ma anche senza fare i moderni: perché non studiare le tecniche di un Flaubert, o di un Gogol, o di un Poe, o un Turgenev, che appaiono comunque più moderni di Manzoni? Perché diciamocelo, un Madame Bovary si può accettare ancora oggi, un Promessi Sposi riceverebbe la risposta “purtroppo non rientra nei nostri interessi attuali” o simile.
Ma soprattutto, non sono sicuro che i punti indicati siano tecnica. Un insegnante potrebbe dire: “ragazzi, come vedete il Manzoni inizia con una frase lunga e contornata, con tante subordinate, perché la struttura della frase ricorda la geografia del territorio descritto”. Cosa ha capito l’alunno ora? Niente, perché non gli è stata spiegata la tecnica di Manzoni, ma un’interpretazione legata alla tecnica. Sarebbe più utile spiegare allo studente che quella frase lunga può affaticare il lettore, può confonderlo, e spiegargli insomma gli effetti di quella forma, per spiegargli DOPO che nel caso specifico si tratta di una scelta volontaria perché ecc… E poi, non sia mai, si potrebbe, dico magari, dire anche all’alunno che oggi iniziare un libro così non è che sia proprio una grande idea (a meno che, come Manzoni, non si abbiano buone motivazioni, motivazioni su cui influisce anche lo zeitgeist).
In particolare, credo sia peccato mortale insegnare l’interpretazione delle opere, e andare a dire che L’Ulisse di Joyce rappresenta l’uomo moderno che non va di isola in isola ma di bar in bar e chissà che altro (gli stessi eredi di Joyce dicono che il grande James riderebbe di tutte le interpretazioni che si fanno oggi sulle sue opere). Sia chiaro: l’interpretazione non è esterna all’estetica: anch’essa contribuisce all’effetto finale dell’opera. Il punto è che la vera influenza non viene dall’interpretazione, ma dall’interpretabilità. Che 1984 sia allegoria dello stalinismo o del picnic della settimana prima non cambia niente; ciò che cambia è la possibilità di interpretare il testo, quello che ti fa sentire “aspetta, questo vuol dire qualcosa…”. La critica non dovrebbe cercare di capire cosa vuol dire un’opera (per dire le cose esiste già il saggio), ma cercare di capire cosa rende il testo interpretabile, al di la della sua interpretazione. È lo stesso principio dell’arte di Koonz: il grande artista non cerca di esprimere qualcosa, ma, per sua stessa ammissione, crea qualcosa con cui tutti possono stringere un qualche collegamento: che i baffi dell’aragosta ricordino Dalì o i baffi del barbiere sotto casa, non ha importanza, l’importante è che ricordi qualcosa.
Ultimo punto, riguardo al modo in cui si insegnano i promessi sposi.
Ora, io ammetto che a scuola non ho mai letto i Promessi Sposi, e nessuno se n’è mai accorto, tanto bastava dare una letta ai riassunti. L’ho letto dopo, e nonostante non mi abbia soddisfatto come la riscoperta di tanti altri autori “scolastici” (ho adorato Dante e,sopra tutti, Ariosto), comunque non mi è spiaciuto.
Che l’estero offra autori che meriterebbero di essere approfonditi ben più di Manzoni (tipo Tolstoj, o Goethe, che noi nominiamo e basta, o Rabelais, che non nominiamo neppure) mi pare ovvio; e il fatto che qui ci si limiti a studiare Verga (bellissimo, ma che scompare oltralpe), D’Annunzio (che è pur il mio autore preferito) e Pirandello per poi ammazzare con una sola riga Eliot, Cervantes, Gogol, Caucher, Hoffmann non mi sembra cosa molto equilibrata.
Come mi sono stati insegnati i promessi sposi? Così: il prof dice “leggi questo capitolo”, io non lo leggo, lui fa le domande, io mi invento qualcosa. Avanti così finché non finisce la tortura.
Ne avevo discusso anche con la prof dell’ultimo anno (che non era quella dei primi), la quale appunto mi ha detto che sarebbe stato meglio spostare l’attenzione verso tanti altri grandi autori, ma soprattutto, mi ha detto un’altra cosa che mi ha molto interessato: non studiare il movimento e poi guardare le opere, ma prima leggere le opere e da lì dedurre il movimento. Perché, se proprio vogliamo dirla tutta, non esiste alcun movimento artistico: gli uomini della storia hanno scritto in base al gusto e all’ideologia dei loro tempi, i tempi cambiano e cambiano i modi di scrivere, ma attorno a un centinaio di romantici ci sono migliaia di scrittori dimenticati che hanno scritto a modo loro,fregandosene altamente dei modi più romantici.
Il punto è che noi studiamo prima un qualcosa di astratto, un’ideologia, salvo andare solo dopo a leggersi cosa dicono davvero lo opere. Per l’alunno è meglio fargli leggere “questo autore crede che l’opera debba avere il reale per soggetto l’utile per scopo e il dilettevole per mezzo”, oppure fargli leggere prima le sue opere, dove vede direttamente l’applicazione del principio, e al limite poi integrare con una spiegazione?
24 luglio 2014 alle 15:47
Scusa, LiveALive, ma: ho l’impressione che, in buona parte del tuo intervento, tu combatta delle opinioni che nessuno ha. Ad esempio quando dici:
Be’: io non ho mai sentito esprimere questa opinione da nessuno. Oppure:
Ancora, una sciocchezza di questo tipo non l’ho mai sentita dire. Ecc.
Altrove mi sembri un po’ ingenuo, ad esempio quando dici:
La rinascita della retorica è una faccenda francese degli anni Sessanta, nel clima strutturalistico; l’eredità strutturalistica è stata poi, alla distanza, più statunitense che europea; ma, per dire, le prefazioni di Henry James sono un po’ più antiche, per non parlare di Aristotele…
Indubbiamente: il concetto stesso di “avanguardia” è posteriore. Se invece intendevi dire che Manzoni non era innovativo, allora ti dirò che, a mio parere, il confronto con la scena letteraria italiana degli anni attorno al 1827 (quando uscì la prima edizione dei “Promessi sposi”) è impressionante: praticamente nulla di ciò che Manzoni aveva intorno ha conservato un minimo di leggibilità.
In quell’anno Flaubert aveva sei anni: sfido che poi le sue opere risultino più “moderne”… Turgenev aveva diciannove anni, Gogol e Poe ne avevano diciotto.
Infine: (a) se per te i “Promessi sposi” a scuola sono stati una sofferenza, mi dispiace; ma questa tua esperienza non è un argomento valido contro lo studio dei “Promessi sposi” a scuola (per me fu una sofferenza la semplificazione dei polinomi: ciò non comporta in nessun modo che la semplificazione dei polinomi non vada insegnata a scuola).
(b) Un insegnante di Italiano insegnerà letteratura italiana. C’è poco da fare. Possiamo abbozzare qui una riforma generale dell’insegnamento della letteratura nelle scuole dell’obbligo: ma io ho posta un’altra questione, che parte da un dato di fatto.
(c) Manzoni e i ragionieri. Qui m’impunto. Se pensiamo che la scuola dell’obbligo debba dare una formazione culturale di base, allora possiamo discutere se Manzoni – oggi – debba esserci o no in una formazione culturale di base. Se invece pensiamo che la scuola dell’obbligo debba preparare i ragazzi a essere an another brick on the wall, allora è un’altra storia.
24 luglio 2014 alle 17:16
Ciao Giulio,
Se contesto un’opinione è perché l’ho sentita, non è che mi invento le cose. Più volte mi è stato detto che la scuola dovrebbe insegnare la tecnica per scrivere un romanzo (cosa a cui invano ho risposto: per questo ci sono i corsi di scrittura). La frase su Joyce invece viene direttamente da un mio insegnante.
Volevo solo fare un commento generico: ci tengo a sottolineare che non sto contestando direttamente nessuno di questo blog.
Manzoni avanguardista. Ho detto infatti che, in relazione alla situazione italiana, è sicuramente innovativo.
Ammetto però di non aver considerato la versione del 27, per questo mi è venuto spontaneo il paragone con Gogol e Poe.
Questo mi fa tornare alla mente però che, anche in relazione alla versione del 27, ho sentito portare Cervantes, Voltaire o Goethe come esempi di scrittori antecedenti più moderni, o addirittura mi paragonano Foscolo e Leopardi definendoli prosatori (sì, prosatori) migliori di Manzoni. Su questo però io non concordo, nonostante l’affetto per gli autori citati.
Per manzoni ragioniere, non sono sicuro di aver compreso il problema… La scuola dell’obbligo deve sicuramente dare una cultura di base, ma se elementari e medie dovrebbero essere simili per tutti, uno che scegliere la ragioneria ha già scelto un percorso specifico in cui Manzoni ce lo vedo male.
Poi c’è anche chi prende posizioni estreme e dice direttamente che tutta la storia della letteratura non dovrebbe essere insegnata perché specialistica. A tal proposito, credo tu abbia già letto questo (mi spiace linkarlo, perché non apprezzo il sito): http://fantasy.gamberi.org/2011/03/22/il-manzoni-scrive-da-cani/
Non mi riferisco all’articolo, ma ai primi commenti. Non condivido simili posizioni, però non mi sembra del tutto insensata l’argomentazione.
Sia chiaro, comunque, che per me lo studio dei promessi sposi non è stata una sofferenza (la tortura era nel metodo, non nel libro), e che non penso che non si debba insegnare Manzoni alla scuola dell’obbligo (ho solo detto che io non vedo il motivo per farlo; sono sicuro che c’è, ma io non lo vedo, e per questo lo chiedo).
Sulle tecniche, certo, conosco il “drammatizzare” di James, così come so che si può andare a pescare fino ad Aristotele, che con “movimenti critici” come la scuola di Chicago torna ad essere la base della ricerca. Per questo ho detto che la base esisteva già da prima (anche se mi sono limitato ai decenni quando potevo dire millenni, vero?).
Toglimi però un dubbio… Su un sito di critica avevo letto che il più grande contributo alla tecnica letteraria viene dato negli anni 80-90 dalla critica americana. Mi ricordo infatti che negli anni 70 Genette parlava con ironia della possibilità di rimanere efficienti intrusioni come il “forse” o il limitarsi ad aggettivi puramente sensoriali, mentre oggi sono la base della tecnica. …è sbagliato?
24 luglio 2014 alle 18:45
“ Domenica 8 ottobre 2000 – « Ragusa – Camilleri al posto di Manzoni. Invece dei Promessi sposi sarà Il birraio di Preston il libro di testo adottato dal liceo classico di Ispica, un paese in provincia di Ragusa. L’iniziativa è di uno dei docenti di italiano, ma il preside Attilio Sigona spiega che è stata una decisione condivisa dagli altri insegnanti. Lo scrittore siciliano Camilleri sarebbe più accattivante e, secondo i prof siciliani, non determinerebbe quella “ ripulsa successiva verso la letteratura “, che è l’effetto-Manzoni. » (Dai giornali) “.
24 luglio 2014 alle 21:17
io non riscontro alcuna ripulsa, credo molto stia al modo di porre la lettura dei Promessi Sposi, che rimane il testo della letteratura in cui c’e’ tutto, ma proprio tutto e non mi dilungo in spiegazioni, in questa sede non c’e’ bisogno di sfoggio. E poi chi vieta la possibilita’ di ampliare e affiancare altre letture? Va bene anche il Birraio di Preston
24 luglio 2014 alle 21:27
“ 24 novembre 1988 – « Mi chiedo – ha detto ancora il discendente dello scrittore – chi meglio di Manzoni possa insegnare l’uso pratico e correto [sic] dell’italiano » (Dai giornali) “.
25 luglio 2014 alle 00:26
Riprendo la parola, LiveALive, per dire che il mio uso del termine “d’avanguardia” se era ovviamente forzato e anacronistico filologicamente parlando, era fortemente voluto nel senso che Giulio ha poi ripreso. Peraltro, la meravigliosa volontà di trovare una koiné linguistica è già squisitamente avanguardistica. Tu citi Flaubert e Joyce, autori a me carissimi. Ma stiamo parlando di una lingua, la nostra, e un’operazione analoga potrebbe farla l’insegnante di letteratura francese o inglese; ma se io voglio studiare letteratura italiana – che non è solo Zeitgeist, filosofia e storia, ma lingua, parole e suoni – devo farlo con un autore italiano.
Quanto all’inutilità della letteratura per i ragionieri o i periti industriali, dovremmo interrogarci sulla categoria di utile; se invece prendiamo la cosa non filosoficamente, ma in ambito didattico, tu profili una distinzione tra uomo di lettere e uomo tecnico/professionale, che neppure la riforma Gentile aveva ipotizzato, pur creando di fatto una scuola di serie A e serie B.
Terzo punto: la scuola non deve insegnare a scrivere bene?
Donde proviene questa idea malsana? Purtroppo le cose vanno così e basta correggere il 70% delle tesi di laurea per scoprire che molti laureandi sconoscono la funzione del punto e virgola o delle subordinate. È un dato di fatto, ma arrivare a teorizzarlo come punto programmatico…..
25 luglio 2014 alle 02:20
LiveALive ha scritto una cosa che ho apprezzato: si dovrebbe “non studiare il movimento e poi guardare le opere, ma prima leggere le opere e da lì dedurre il movimento”. Ha giustificato questa sua affermazione con argomentazioni che un po’ traballano, ma l’affermazione in sè è secondo me condivisibile e importante.
In tutto il mio percorso scolastico (sono laureata in lettere classiche con due esami di letteratura italiana) anch’io ho subito una didattica che dava molta importanza alla narrazione storico-letteraria che che proponeva di leggere o, più spesso, di citare autori e opere come esempi delle generalizzazioni e delle categorizzazioni presenti nella storia della letteratura. Mi si chiedeva per esempio di conoscere i nomi e le opere dei petrarchisti del ‘500, ma quasi mai di leggere (analizzare, descrivere, contestualizzare) una singola poesia, che ne so, di Gaspara Stampa.
Ascoltando i colleghi e sbirciando quello che studiano i figli, mi sembra che l’approccio alla storia letteraria, a distanza di qualche decennio, sia ancora questo.
A me sembra invece che, e torniamo al pensiero di LiveALive, il punto di partenza e il centro del lavoro didattico dovrebbero essere le opere letterarie, a partire dalle quali costruire un po’ alla volta insieme ai ragazzi la cassetta degli attrezzi da utilizzare per descrivere la lingua, lo stile, la poetica, la Weltanschauung degli autori. Lo studio della storia della letteratura, delle trasformazioni nel tempo della lingua, dello stile, delle poetiche, delle Weltanschauungen dovrebbe essere un punto di arrivo, non un punto di partenza.
Così facendo non si chiederebbe ai ragazzi di acquisire solo nozioni, ma di “costruire facendo”, per arrivare a possedere, un po’ alla volta, sia strumenti di lettura che conoscenze, su cui ragionare e piano piano generalizzare.
Questo, fra l’altro, potrebbe essere un buon sistema per non considerare ogni ragazzo solo an another brick on the wall.
25 luglio 2014 alle 06:23
Vedi, LiveALive: non dubito che tu abbia sentite dire qua o là certe sciocchezze. Ma qui – poiché è qui che stiamo parlando – non le sta dicendo nessuno.
25 luglio 2014 alle 07:18
Ancora LIveALive. Scrivi:
Potresti citare il sito e l’articolo? Se non altro per capire bene cosa hai letto.
Il resto del capoverso mi è oscuro. Credo che il verbo “rimanere” sia una svista. Puoi spiegare meglio cosa diceva Genette?
Che gli “aggettivi puramente sensoriali” siano oggi “la base della tecnica” letteraria mi pare un’opinione curiosa: tu parli come se esistesse una sola tecnica letteraria, e per di più condivisa da un’ampia – tendenzialmente universale – collettività di scrittori e critici.
A me non risulta che sia così. Leggo, e noto che vi sono opere letterarie molto diverse, nelle quali si usano tecniche (plurale!) molto diverse.
Certo: se devo insegnare a scrivere a degli adolescenti, ad esempio, cercherò innanzitutto di insegnar loro a scrivere nel modo più referenziale possibile: perché gli adolescenti faticano, nello scrivere, ad afferrare le cose. Quando lavoro con adulti, noto che spesso la difficoltà maggiore nel costruire una scena sta nella percezione dello spazio e delle cose.
25 luglio 2014 alle 09:01
“ Mercoledì 4 dicembre 2002 – « Il barocco lombardo di quei tempi [*] ha tenui tocchi e una grave dolcezza »: è una frase di Gadda, ma, per quanto mi tormenti, non riesco a ricordare dove stia. È una frase che mi è sempre piaciuta, intanto perché è una bella frase – ha tenui tocchi e una grave dolcezza -, poi perché ci mette a parte di una specie di segreto: esiste un barocco lombardo, chi l’avrebbe mai detto, dico a noi, che stiamo a Roma, che siamo andati a Lecce o a Palermo, che del barocco abbiamo un’idea un po’ greve, di meridionale sovrabbondanza, di spagnolesca pletoricità. Invece no: c’è, lassù, da quelle parti, un barocco tenue, lieve, grave, dolce. O, almeno, c’era. Intendiamoci: è pur sempre un barocco, cioè un artificio, una messinscena, una falsità. Diciamo Manzoni. Diciamo la questione della lingua. Diciamo la questione dell’Italia. Diciamo Gadda. [*] E’ nell’Apologia manzoniana. Pensare che ci ho fatto anche la tesi. Vergogna! Inoltre è « di quel tempo ». Ri-vergogna! “.
25 luglio 2014 alle 09:19
@Deborah Donato: l’uso del termine avanguardia l’avevo capito, non c’è problema. Sì, credo che la scuola debba insegnare a scrivere bene, nel senso di comunicare bene. Di sicuro studiare la lingua italiana, con tutte le sue varie possibilità comunicative, è importante. Ma mi chiedo: lo studio dei Promessi Sposi è utile per questo scopo? L’idea non è quella di creare una istruzione di serie A e una di serie B, per carità; ma mi chiedo: se bisogna insegnare a tutti a comunicare, far leggere per due anni l’italiano del Manzoni (che non è certo quello di oggi) è utile? Forse mi sbaglierò, in fondo io mi baso solo sulle mie esperienze, ma la mia impressione è che l’alunno impari a comunicare dialogando con il professore, e che la lettura dei PS invece lo annoi senza profitto nella comunicazione. Detto questo, non nego che la lettura dei PS possa essere utile per altri scopi che ora mi sfuggono.
@ Giulio Mozzi: Va bene, se vuoi che mi limiti a quello che è stato detto qui, vedrò di adattarmi.
La frase corretta era “genette parlava con ironia della possibilità di rimanere efficienti eliminando intrusioni ecc…”. Mi riferivo a una frase trovata nelle figure, frase che mi ricordo aver riportato nel mio diario. Ora non ho il testo sotto mano, ma appena ritrovo la frase te la trascrivo. L’articolo di critica invece mi sa che non ci riesco: l’ho cercato anche ieri pomeriggio, ma non solo non mi ricordo il titolo…non mi ricordo neppure in che lingua era!
Guarda, a me il discorso sulla tecnica letteraria interessa tantissimo, e che ci siano più tecniche io lo spero proprio. Il punto è che, basandomi sui testi che ho letto e sui corsi cui ho partecipato, si presenta solo un modo di scrivere e narrare, che è sempre lo stesso: usa pochi aggettivi e solo sensoriali, non usare avverbi, esprimiti in modo semplice e conciso, elimina ogni intrusione del narratore, elimina verbi di pensiero e percezione inutili, mantieni incollato il punto di vista a un solo personaggio… Tutti i libri di tecnica che ho letto e i corsi a cui ho partecipato mi hanno ripetuto all’infinito sempre e solo queste cose. Sono stato sfortunato?
Forse è un problema di insegnamento: capisco che se si deve insegnare a scrivere a un gruppo di persone si cerca una via comune.
Che poi ci siano un mare di autori famosi che scrivono in tutt’altra maniera, beh, per fortuna!
25 luglio 2014 alle 12:06
Io faccio ormai l’insegnante di sostegno, ma sono partito come “supplente” di lettere.
Come supplente, anni fa, sono stato in una classe “teribile” di Ispra, sul Lago Maggiore. La prof, che si era presa alcuni giorni di ferie forse proprio perché devastata dall’ingestibilità di quella classe, mi aveva lasciato alcune cose da fare, tra cui alcuni brani dei promessi sposi.
Come farglieli passare?
Ci sono riuscito!!! Ho preso la riscrittura di Piero Chiara e ho letto – confrontandoli – il brano originale e come l’aveva modificato Piero Chiara. Un successo strepitoso!!!!
25 luglio 2014 alle 12:55
Ciao GIulio mi pare anche molto interessante questo esperimento di cui dà conto Emilia Zazza in un articolo, te lo linko.
http://www.laricerca.loescher.it/index.php/attualita/letteratura/794-zazza-se-renzo-e-lucia-iniziano-a-twittare
secondo me sarebbe interessante coinvolgere anche questo nel dibattito.
d.
25 luglio 2014 alle 13:26
@ Gianni Papa
So che in certe scuole ora fanno leggere direttamente la versione di Eco; ma l’idea di confrontare i brani originali con quelli riscritti mi pare un’idea eccellente. Mi viene in mente che anche del Decamerone ci sono diverse riscritture, come la versione di Busi: anche se io adoro lingua e stile del Decamerone, fare confronti di questo tipo mi pare utile sia per far fruire con piacere ai più giovani un’opera linguisticamente ostica, sia per instaurare poi un discorso sulla lingua delle grandi opere (discorso che, leggendo solo la versione originale, in sincerità, mi sembra difficile fare).
Se poi l’effetto sia davvero questo non lo so, perché a me non li hanno mai insegnati così; però comunque mi viene spontaneo dire: una lezione di questo tipo l’avrei apprezzata molto di più. E direi che i risultati ottenuti in quella lezione sono un buon indizio.
Anche le riscritture dei classici potrebbero essere un argomento di discussione interessante. A tal proposito ricordo “un cuore così bianco” di Javier Maria. Lì si fa l’esempio del Chisciotte: uno spagnolo vuole l’inizio così come è stato scritto da Cervantes, alcuni addirittura potrebbero trovare irrispettosa una riscrittura; ma gli stranieri possono leggere il don Chisciotte nella loro lingua attuale, così come gli uomini del tempo di Cervantes, mentre gli spagnoli di oggi si ritrovano una lingua che non è esattamente la loro. È una naturale conseguenza dell’uso della lingua come mezzo: un verde è sempre un verde in qualsiasi epoca, ma da “alea” a “rischio”…
Personalmente, ho sempre pensato che “aggiornare” i testi classici sia un lavoro importante. Certo, non buttare via l’originale e rifare, ma per i testi scolastici io farei: a sinistra l’originale, a destra la versione riscritta.
C’è anche un’altra cosa che mi piace nel messaggio iniziale, di cui non ho parlato prima:
“E: ragionate sulle emozioni di lettura? Che emozioni vi danno I promessi sposi? Come fate a far dire ai ragazzi le loro emozioni? Come fate a far loro riconoscere nel testo gli strumenti e i modi usati dall’autore per provocare quelle emozioni?”
Ecco, anche un discorso di questo tipo, in classe, mi sarebbe piaciuto molto. Nelle scuole che ho frequentato io non si è mai fatto nulla del genere, l’aspetto emotivo dell’opera non veniva neanche lontanamente considerato. Ma ancor più importante è far capire cosa origina una data sensazione nella lettura, perché è con domande di questo tipo che si iniziano a prendere scelte consapevoli nella scrittura.
Poi, ammettiamo anche che il discorso che ne esce sia qualcosa di questo tipo:
“quel ramo del lago di Como… Mario, che emozioni ti dà questo passaggio?”
“Noia!”
“E come mai?”
“Succede niente!”
Magari l’insegnante sperava in qualcosa di più, ma già così è un discorso utile, sia per sviluppare la capacità di analizzare un testo, sia perché quando Mario dovrà scrivere il tema magari penserà a cosa non gli ha fatto piacere un dato stile, e agirà di conseguenza.
@Giulio Mozzi
Giulio, ho trovato la citazione, e vorrei farti una domanda, ma visto che non vorrei andare “off topic” parlando troppo di tecnica e niente di Manzoni, per te è un problema se ti scrivo una mail? O se ti invio un messaggio su Facebook?
25 luglio 2014 alle 14:44
LiveAlive: meglio la posta elettronica. E: sì, sei stato sfortunato.
In realtà, se si vuole insegnare a scrivere decentemente bisogna pur sempre cominciare da quel che c’è. Nella mia esperienza (che è quasi tutta con adulti consenzienti), quel che c’è è:
– abuso degli aggettivi (spesso “impressionistici”) e degli avverbi,
– prolissità,
– continua attività commentante del narratore,
– abuso di verbi di pensiero e di percezione,
– girovagamento incontrollato del punto di vista.
Quindi, in una prima fase, dire all’allievo
è una cosa sensata. Poi, una volta che si sia fatta piazza pulita, si comincia a costruire. Ad esempio, si legge Gadda.
Sulla riscrittura dei classici: metto da parte il discorso sulla letteratura per l’infanzia (tutti i Mark Twain, Malot, Jules Verne, Puskin, Melville eccetera della mia infanzia erano edizioni adattate). Lo metto da parte perché è un discorso enorme e non ho competenze precise.
Qualche anno fa ci fu una polemica furiosa perché in un’edizione divulgativa (Oscar Mondadori) delle canzoni giovanili di Leopardi (All’Italia, Angelo Mai eccetra) i commentatori avevano preferito abolire (o ridurre all’osso) le note esplicative, pubblicando invece a fronte del testo una “traduzione in prosa italiana moderna”. A me sembrò un’ottima idea (quelle canzoni, oltre che bruttarelle – rispetto al Leopadi adulto – sono intricatissime).
La riscrittura dei “Promessi sposi” di Piero Chiara è assai amabile; varrebbe la pena di dare un’occhiata anche a quella, oscena almeno per gli standard dell’epoca, di Guido Da Verona. Senza contare: “I promessi paperi”, “I promessi topi”, “I prosposi messi”, e così via. Poi ci sono le versioni cinematografiche e televisive.
Confrontare (scegliendo bene i campioni, certo) le diverse versioni di questa storia può essere molto interessante. Il passaggio da un medium a un altro, poi, mette subito bene in vista una quantità di aspetti sia poetici sia tecnici.
E questo vale, ovviamente, per qualunque altra opera.
25 luglio 2014 alle 17:10
Giulio, perdona l’ot. Hai letto il Decamorone di Busi? Che ne pensi?
25 luglio 2014 alle 18:16
Mi pare che alcune novelle siano venute benissimo, altre meno. Qualcuna è addirittura migliorata. Il lavoro è comunque piacevolissimo: avercene.
26 luglio 2014 alle 09:39
LiveAlive.
Ho usato spesso l’inizio del cap. XXXIII de I promessi sposi, la morte di don Rodrigo, per ragionare con i miei alunni (terza media, ma immagino che funzionerebbe anche nel biennio) sulle emozioni di lettura e su come la narrazione ce le faccia arrivare.
Succede sempre che i ragazzi si identifichino con il protagonista, ne rivivano l’incredulità, la paura, poi il terrore, la rabbia. Insultino il Griso per il tradimento.
Li lascio commentare liberamente, mentre leggo a voce alta, chiedendo solo che i commenti siano frasi, non sospiri, fischi o esclamazioni.
Affido prima segretamente al mio segretario (il capoclasse di una volta) il compito di scrivere i commenti via via che vengono pronunciati.
Poi li rileggiamo e cerchiamo di capire che strumenti abbia usato il Manzoni per coinvolgerci emotivamente nell’episodio. Riesco a dare alla lezione l’andamento di una ricerca, di un’indagine.
Scopriamo che l’ondeggiamento iniziale di don Rodrigo fra incredulità e paura è creata da una serie di avversative: “Ma, con una buona dormita, tutto se ne va”, “Ma non avrò bisogno di nulla”, “Ma le coperte gli parvero una montagna”, “Ma, appena velato l’occhio…”, “ma a questa idea si sostutiva…”.
Scopriamo che, alla fine dell’episodio, il crescente terrore di don Rodrigo all’arrivo dei monatti è reso con una lunga serie di proposizioni al presente coordiante per asindeto: “Sente uno squillo, […]; sta attento, lo sente più forte; […]. Guarda l’uscio, lo vede aprirsi…”. Ecc.
Ci rendiamo conto che questi due espedienti riguardano la sitassi.
Proviamo a costruire brevi dei testi che usino gli stessi stratagemmi e ne testiamo l’efficacia.
Scopriamo com’è fatta la digressione (la chiamiamo così) del sogno di don Rodrigo, con qull’anello di congiunzione con la realtà, la pressione tra il cuore e l’ascella nel sogno, il bubbone nella realtà, che è un espediente da film di Hitchcock. Ne parliamo, cerchiamo altri esempi, soprattutto nei film.
Ci rendiamo conto che questa parte dell’analisi riguarda l’intreccio.
Scopriamo l’efficacia della sineddoche finale, per cui i monatti sono “due logori e sudici vestiti rossi” e cerchiamo se ci siano nel testo altre figure retoriche di significato più velate, meno d’impatto.
Mi fermo qui. Se rileggi il brano di cui ti parlo ti rendi conto che con ragazzi più grandi si potrebbe parlare anche dell’efficacia della focalizzazione interna nella parte centrale dell’episodio, del lessico parallelo sogno/realtà e di mille altre cose.
Ti scrivo questo per farti capire meglio che cosa intendo per discorso sulle emozioni.
26 luglio 2014 alle 13:46
Errata corrige.
All’inizio del cap. XXXIII si racconta di quando don Rodrigo si ammala di peste, non di quando muore.
“Sintassi” e non “sitassi”; “dei brevi testi” e non “brevi dei testi”.
“Affido segretamente al mio segretario…” è un allitterazione diciamo così etimologica. Qualcuno mi sa dire cosa abbiano a che fare i segretari con i segreti?
26 luglio 2014 alle 14:33
@ Maria Luisa Mozzi: se non scrivo poesia è perché non ho il ben che minimo orecchio: l’allitterazione non l’avevo neanche notata. Segretario, perché gli si confidavano le informazioni riservate, credo.
Tutto l’esempio sulla lezione dei Promessi Sposi è molto bello, anche perché a me non è mai stato insegnato a ragionare così sul testo e, in particolare, sulla sintassi. Di sicuro mi sarebbe utile.
Soprattutto, mi piace che si spieghi la tecnica tramite il suo effetto, mentre fin troppo spesso si perde di vista l’effetto, e magari si finisce per limitarsi a “interpretare” la tecnica.
26 luglio 2014 alle 19:50
La narrativa italiana nei cinquecentocinquanta anni prima di Manzoni:
– Alcuni passi della Vita Nuova, di Dante.
– Il Decamerone, di Boccaccio (raccolta di novelle).
– La mandragola, di Machiavelli (commedia).
– Ultime lettere di Jacopo Ortis, di Foscolo (romanzo epistolare).
Che io ricordi, null’altro. E perciò: come si fa a mettere in discussione l’assoluta novità de I Promessi Sposi?
Che sia incorso in errori, a volte da zelo eccessivo, è indiscutibile. A Renzo fa dire “la c’è” a proposito della Provvidenza. Ma ditemi voi se un contadino lombardo del Seicento, per giunta analfabeta, avrebbe parlato così. Avrebbe piuttosto detto “la ghè”. Ma glielo perdoniamo, il povero grande Manzoni aveva quel certo problema della lingua nazionale. Tanto da andare a trascorrere un anno tra i ‘fiorentini dotti’ prima di riscrivere tutto. Per i pochi che lo ignorassero “la c’è” è un toscanismo. Troppa grazia, Sant Antò.
26 luglio 2014 alle 19:55
E.C.
Sant’Antò.
26 luglio 2014 alle 21:31
Maria Luisa: quella scena del cap. xxxiii a me ha sempre fatto una grande impressione. Vedi ad esempio le parole usate per don Rodrigo, in progressione:
– Sventurato: ancora degno di compassione, quindi umano (è la stessa parola usata per Gertrude: “La sventurata rispose”).
– Mugghiava: verbo da animali. L’umanità se ne sta andando.
– Rifinito e stupido: umanità andata, è solo un corpo che trema si lamenta.
– Miserabil peso: non è neanche più un animale, è solo un peso.
O il tornare della parola “galantuomo”. Rodrigo dice al Griso di cercare il chirurgo Chiodo, che “un galantuomo, che, chi lo paga bene, tien segreti gli ammalati”; poco più avanti, il monatto che tien fermo Rodrigo grida agli altri: “Fate le cose da galantuomini!” (cioè: non arraffate tutto per voi, lasciate anche a me la mia parte). Proprio il ritorno della parola ci dice che in realtà l’etica di Rodrigo e quella dei suoi “aguzzini” è la medesima.
E poi tante altre cose, che i commentatori sempre indicano ma che vanno fatte, se possibile, “scoprire”.
26 luglio 2014 alle 21:47
Carlo Capone: eh, c’è parecchio altro. Ci sono Il cunto de li cunti e il Centonovelle, che non sono male (anzi, il primo è proprio bello). Ci sono le narrazioni storiche di Machiavelli e Guicciardini (non è invenzione, ma è narrazione). C’è l’autobiografia del Cellini e c’è quella di Vittorio Alfieri. E fin qui sto su quello che si trova in tutte le antologie.
Poi c’è tutto il Settecento, ci sono almeno le “Notti romane” di Alessandro Verri, c’è una quantità di narrativa di viaggio, ci sono i romanzi popolari che finalmente si diffondono eccetera eccetera.
Insomma: prima di e attorno a Manzoni non c’è il deserto.
Il guaio (per così dire) è che a scuola si presenta agli allievi non la storia della letteratura, ma una serie di “ritratti” di singole personalità, alternati a schematici discorsi su “movimenti” o “tendenze”.
Mi sposto da Manzoni. Un lettore attuale può torvare bella o brutta, interessante o non interessante la produzione poetica di Giuseppe Parini. Ma un lettore che si sia preso la briga di leggiucchiare (non dico studiare, basta leggiucchiare) un’antologia della poesia settecentesca non può non rendersi conto della forza di novità del lavoro di Parini.
27 luglio 2014 alle 00:21
Mi ronza per la testa la parola “immaginario”. Una delle finalità istituzionali dell’insegnamneto della letteratura è condurre i ragazzi di scuola dentro l’immaginario collettivo dei vari periodo storici.
Mi piacerebbe conoscere itinerari di studio proposti in classe finalizzati alla conoscenza dell’immaginario manzoniano e del suo tempo, in tema per esempio di storia politica, di religione, di scienza, del ruolo dell’arte, del ruolo dell’artista, del ruolo della donna o di altro che non mi viene in mente.
27 luglio 2014 alle 05:48
“ Giovedì 15 dicembre 2000 – « Maggio 1945 – […] In piazza San Fedele, intorno al monumento di Alessandro Manzoni, cresce altissima l’erba. Distrutto e quasi cancellato in un bombardamento l’edificio sinistro della questura, la chiesa si iscrive baroccamente nel cielo, più netta e più aerea. Sono scomparsi nel ventre degli uomini tutti i colombi che cingevano di voli la statua del poeta e irriverenti più d’ogni altro volatore si posavano a lordare il suo capo. Per lo spostarsi dell’aria la statua si è mossa sul plinto pur senza precipitare: la lastra su cui il poeta punta i piedi è venuta innanzi sulla base, sicch’egli sta in bilico, come in un pericoloso esercizio d’acrobatismo. » (Francesco Flora, Viaggio di fortuna, 1945) “.
27 luglio 2014 alle 05:48
Ad esempio: i contemporanei di Manzoni si accorgono che nel suo romanzo non solo ci sono personaggi “umili” considerati con altrettanta serietà che i personaggi “elevati”: ma che umili ed elevati hanno che fare tra loro.
Dal punto di vista ideologico – è una sorta di fondazione profetica della Democrazia cristiana, con novant’anni di anticipo sul Partito Popolare… – la battuta (pensata, non detta) di don Abbondio che riconosce nel cazziatone che gli sta facendo il Cardinale (xxv) le medesime parole che mesi prima gli aveva dette Perpetua è – rispetto ai tempi – sconvolgente.
Il moderato (ma mica tanto…) Manzoni, poi ammorbidisce il gesto più avanti, nel xxxviii, quando racconta che l’Innominato ospitò nel suo castello tutta la brigata; e addirittura servì il pranzo ai nostri Renzo, Lucia, Agnese eccetera; per poi andarsene a mangiare in un’altra stanza, col Cardinale:
Basterebbe questo (l’invenzione dell’interclassismo cattolico, inteso come negazione della rilevanza storica della lotta di classe e promozione invece della cooperazione delle classi, ciascuna nel suo ruolo e con misura) a fare dei “Promessi sposi” un libro importante.
Voglio dire: è l’invenzione di un immaginario. (Un immaginario che oggi non funziona più tanto; ma che è stato storicamente importantissimo: ancora pochi anni fa, la retorica propagantistica del berlusconismo diretta alla popolazione anziana – il fascicolo “una storia italiana”, le parole sul “presidente operaio” eccetera – ne era ancora zeppa).
27 luglio 2014 alle 08:56
Straordinario.
L’insegnante spesso non ha questa lucidità e profondità di analisi e questo è già da subito un problema.
Se poi pensa con Daniel Pennac che gli insegnanti di letteratura non debbano aggiungere parole a quelle della pagina scritta, non debbano dare spiegazioni del lessico, non debbano costringere i loro alunni ad analisi ed esercizi vari sul testo, allora si capisce perchè la nostra scuola insegni così poco.
Permettimi di chiedere ancora, Giulio, ai colleghi del biennio: quali strategie usare in classe per ricostruire l’immaginario manzoniano?
Cosa fare fare ai ragazzi? Come? Con quali strumenti? Per quali prodotti finali?
27 luglio 2014 alle 15:24
“ Venerdì 25 febbraio 2005 – Il centro-sinistra / Romanzo. È il romanzo che avrei voluto scrivere – da trent’anni, lo voglio – ma non scriverò. Avrei parlato di politica, ma solo in un certo senso, avrei parlato di cinema, molto di più. Avrei parlato delle amicizie e delle ragazze, non so se avrei parlato più delle ragazze o più degli amici. Avrei parlato della mia famiglia, di quando c’erano ancora tutti. Avrei parlato della scuola, del liceo, dell’università. Avrei parlato anche della letteratura, così, per sommi capi, avrei parlato, figuriamoci, di Alessandro Manzoni, cioè dei Promessi sposi. Avrei parlato delle città, quelle del Nord e quelle del Sud. Avrei parlato delle vacanze. Del mare. Della sabbia. Dei bagnanti. Delle bagnanti. Del bagnarsi. Dell’asciugarsi. Al sole. Dello scottarsi. Del diventare rosso. Del diventare nero, a forza di essere rosso. Dello spellarsi. Del tornare in città. Perché la vacanza, alla fine, è finita. “.
29 luglio 2014 alle 07:26
[…] giorno fa domandavo alle signore e ai signori insegnanti: come fate con I promessi sposi? Oggi aggiungo un grado di difficoltà e domando (sempre alle signore e ai signori insegnanti; […]
12 agosto 2014 alle 08:00
[…] aver discusso su I promessi sposi e sui poeti comico-realistici del Duecento, ora propongo un’altra questione (già da più […]
12 agosto 2014 alle 15:22
Gentile Mozzi e gentili insegnanti,
leggo solo ora – con un certo ritardo – questo post e me ne scuso.
Volevo solamente segnalarvi l’esperienza di #TwSposi, con la quale 20 scuole italiane (tutte superiori tranne due medie inferiori) hanno riletto e riscritto con Twitter tutti i 38 capitoli del libro. Si è trattato della prima applicazione del “metodo twitteratura” alla didattica e il risultato è stato notevole, sia in termini di partecipazione numerica che di studio e avvicinamento all’opera.
Vi lascio alcuni link utili per saperne di più:
– http://www.twletteratura.org/twsposi-calendario-e-programma/: la presentazione del progetto;
– http://www.twletteratura.org/mille-riscrittori-cerca-dun-romanzo/: un bilancio in corso d’opera;
– http://www.twletteratura.org/renzo-e-lucia-numbers/: i risultati finali.
E da ottobre parte #TwPinocchio: se volete iscrivere la vostra scuola, fatevi avanti.
12 agosto 2014 alle 16:57
A me sembra che la twletteratura possa motivare fortemente i ragazzi a delle performances fondamentali (lettura, comprensione, analisi dei personaggi, scrittura divergente) che di solito sono vissute da loro come noiose.
E questo è positivo.
Mi piacerebbe però conoscere qualcosa di più sui risultati. Non sulla visibilità o sul successo in rete dell’iniziativa, ma sul percorso culturale dei singoli ragazzi partecipanti.
Ho dei dubbi, evidentemente.
Mi domando: non è che dedicarsi alla twletteratura sia come giocare a Risiko per imparare la geografia?
In altre parole: non è che si tratti di un bel gioco, che si prende molte ore del tempo scolastico e molte energie organizzative, ma che produce poi nelle classi progressi di abilità e conoscenze abbastanza modesti?
.
12 agosto 2014 alle 18:43
Gentile Maria Luisa,
i suoi dubbi sono leciti e la ringrazio per averli posti, così posso spiegare meglio il lavoro di TwLetteratura a scuola.
Lei ha ragione, i link che ho postato danno soprattutto risultati quantitativi, mentre quelli qualitativi ci sono stati rivelati dai docenti (e sono più difficili da classificare).
Le assicuro che, a livello di apprendimento individuale, la TwLetteratura ha aiutato – e molto – gli studenti. Tutti gli insegnanti coinvolti ci hanno detto: “Entravo in classe e mi chiedevano di leggere ancora i Promessi Sposi! In 3-5-20 anni di carriera non mi era mai successo”. E questo potrebbe farle pensare che, come appunto scrive, si sia trattato solo di un gioco: entusiasmante, coinvolgente, divertente, che elimina la noia purtroppo spesso associata al libro. Ma, appunto, un gioco.
Invece, come gli insegnanti ci hanno più volte confermato (spesso scrivendocelo via e-mail, quindi non certo su sollecitazione nostra), l’applicazione di tale metodo ha avuto positive ricadute a livello didattico.
Innanzitutto perché l’aspetto “giocoso” ha coinvolto anche gli alunni più restii, quelli che di solito stanno zitti e non partecipano e si accontentano di un 6 tirato. E poi perché questo aspetto così divertente è stato un richiamo per approfondire il testo nella sua interezza: anche chi si è prestato alle rielaborazioni più giocose (penso ai comici tweet in dialetto veneto con cui i ragazzi di un professionale di Padova hanno riscritto alcuni degli episodi salienti del romanzo) lo ha fatto in un’ottica di conoscenza e appropriazione del testo. La rielaborazione – anche quella più giocosa – non è mai stata fine a se stessa, ma si è sempre basata sul presupposto fondamentale della conoscenza e della scoperta del testo. In sostanza, chi voleva scrivere tweet divertenti ha capito che – per farlo – doveva prima leggere e conoscere bene il testo.
Inoltre, il progetto ha coinvolto scuole diverse: non solo i licei ma anche istituti professionali e tecnici, che hanno dato tutti ottimi risultati (i loro tweet lo dimostrano). Senza contare, infine, chi si è dato alla rielaborazione “colta”: c’è chi ha analizzato le figure retoriche e la lingua di Manzoni; chi si è dato alle indagini sulla storia e la politica dell’Italia del 600; chi ha saputo rapportare tematiche e situazioni del libro all’Italia di oggi, non vista in generale ma nell’ottica di adolescenti che si preparano al loro futuro.
Mi pare che questi siano i risultati migliori. Mi piacerebbe approfondire con lei questa discussione, però, magari su altri canali. Mi faccia sapere.
Grazie.
12 agosto 2014 alle 20:58
Iuri, credo che sarebbe utile fare una piccola pubblicazione illustrativa, nella quale gli insegnanti raccontino com’è andata la faccenda.
12 agosto 2014 alle 21:33
Capisco dalle sue parole, Iuri, che le partecipazioni sono state non di superficie, ma ben guidate e volte a mettere a buon frutto il coinvolgimento dei ragazzi.
Mi piacerebbe, come ha scritto Giulio, leggere qualche racconto dell’esperienza da parte di insegnanti e ragazzi, saperne un po’ di più.
Sento forte la tentazione di partecipare con una mia classe il prossimo anno scolastico.
13 agosto 2014 alle 04:34
Cari Giulio e Maria Luisa,
ottima proposta.
Ci lavoro in questi giorni e appena ce l’ho ve la linko. Anche perché, cara Maria Luisa, voglio che questa sua tentazione diventi presto certezza.
16 agosto 2014 alle 22:18
“ Martedì 5 agosto 2008 – Racconta la zia Ofelia che, quando erano ragazzi, il padre dopopranzo gli leggeva Dante o Manzoni, ma, piano piano, uno alla volta, i suoi fratelli, anzi le sue sorelle se ne andavano tutte, finché restava solo lei ad ascoltare. Infatti lei poi ha fatto la letterata. In quanto letterata, si è accorta che ora è come allora: uno alla volta, piano piano, se stanno andando tutti, perché nessuno ha più voglia di ascoltare niente. E io mi sento come se questa volta fossi io l’ultimo a restare a ascoltare: i racconti di chi era l’ultimo a restare a ascoltare etc. “.
18 agosto 2014 alle 06:54
[…] dì). E allora, riflettendo su questo, gentili insegnanti, e proseguendo il discorso cominciato con Manzoni, i poeti comico-realistici del Duecento e la letteratura occidentale mi viene in mente qualche […]
20 agosto 2014 alle 14:41
Gentili Mozzi (sia Giulio che Maria Luisa),
come ci avevate suggerito, abbiamo iniziato a pubblicare sul nostro sito i post con i pareri degli insegnanti coinvolti in #TwSposi: ne pubblicheremo uno a settimana per dare a ciascun insegnante il giusto spazio e permettere a chi non ha conosciuto l’esperienza di farsene un’idea migliore.
Nel primo post, voce a Paola Toto, insegnante di Fisica all’Ipsia Bernardi di Padova. Lo trovate a questo link: http://www.twletteratura.org/twsposi-pareri-degli-insegnanti-paola-toto/.
Buona lettura, attendo vostre impressioni.
20 agosto 2014 alle 16:03
Grazie.
Ho seguito in Twitter le ultime fasi della lettura de La solitudine dei numeri primi e anche questo è servito a farmi un’idea.
Leggerò quanto scrivono gli insegnanti.
21 agosto 2014 alle 01:56
Grazie a lei.
La cosa più bella sarebbe riuscire a coinvolgere lei – come anche altri insegnanti che passeranno di qui – per #TwPinocchio…
28 agosto 2014 alle 18:40
Sul sito di Tw Letteratura potete trovare il parere anche di Elisabetta Romano dell’ISIS Caramia Gigante di Alberobello (BA): http://www.twletteratura.org/twsposi-pareri-degli-insegnanti-elisabetta-romano/
31 agosto 2014 alle 18:03
Sul sito di Tw Letteratura potete trovare il parere anche di Simone Grassetto dell’IIS Falcone di Asola (Mantova): http://www.twletteratura.org/twsposi-pareri-degli-insegnanti-simone-grassetto-2/
31 agosto 2014 alle 22:41
“ 3 dicembre 1994 – Che cosa c’è di più datato di un diario? (Risate) “.
5 settembre 2014 alle 10:21
Ciao a tutti. Intervengo nella discussione solo per portare la mia esperienza di #Twsposi al proprio ex-liceo… http://www.twletteratura.org/da-vinci-reggio-calabria-twsposi-condemi/
Qui trovate anche i video dell’evento finale, in cui insegnanti e ragazzi si raccontano… http://www.youtube.com/watch?v=ni4k_kmmwxE&list=PL0NiwNpD-fzm5jroFwsOk-NzTEMAIBg6x
5 settembre 2014 alle 10:23
Ciao a tutti. Intervengo nella discussione solo per portare la mia esperienza di ex-alunna che ha portato #Twsposi al proprio liceo… http://www.twletteratura.org/da-vinci-reggio-calabria-twsposi-condemi/
Qui trovate anche i video dell’evento finale, in cui insegnanti e ragazzi si raccontano… http://www.youtube.com/watch?v=ni4k_kmmwxE&list=PL0NiwNpD-fzm5jroFwsOk-NzTEMAIBg6x
14 settembre 2014 alle 04:09
Sempre a proposito di #TwSposi e Tw Letteratura, ecco l’ultimo dei post relativi al progetto: videointerviste di due insegnanti realizzate al Salone del Libro di Torino (dove a Tw Letteratura è stato dedicato un evento) e breve riepilogo di tweetbook, account Twitter dei personaggi del romanzo e #Bravi. Lo potete leggere qui: http://www.twletteratura.org/twsposi-interviste-insegnanti-tweetbook/
17 settembre 2014 alle 07:26
Segnalo infine il contributo della professoressa Elena Tamborrino, per la quale la twitteratura – a partire da #TwSposi – è diventata vero e proprio metodo didattico: http://www.twletteratura.org/scuola-e-twitteratura-elena-tamborrino/
17 ottobre 2014 alle 15:58
Invece, la maestra Luisanna Ardu ci spiega com’e’ stato lavorare a #TwiFavola (esperimento di riscrittura de “Le favole al telefono” di Gianni Rodari) con i bambini di due classi V elementari: http://www.twletteratura.org/scuola-e-twitteratura-luisanna-ardu/
27 ottobre 2014 alle 06:11
Infine, Alessandra insegna Italiano e Latino a Barletta e ci spiega come mai la twitteratura è un buon metodo didattico: http://www.twletteratura.org/scuola-e-twitteratura-barletta/
1 Maggio 2015 alle 10:34
Salto tutti i commenti e rispondo direttamente alle domande di Giulio: io insegno al biennio delle superiori e, in genere, mi regolo a seconda della classe. L’ultima che mi è capitata è numerosa (27, quasi tutte ragazze) ma molto ricettiva, quindi ho deciso di proporre la lettura di quasi tutto il romanzo, un’ora la settimana, tralasciando qualche capitolo e soffermandomi, dopo la lettura integrale dei primi cinque, un po’ di più su quelli che mostrano la maturazione o i cambiamenti psicologici nei personaggi (la monaca di Monza, Renzo a Milano e il viaggio fino all’Adda, il rapimento di Lucia e la notte dell’Innominato…).
In genere leggo io o faccio leggere a un ragazzo particolarmente bravo che fa teatro, e mi soffermo spesso per far notare le tecniche narrative: come Manzoni presenta un ambiente o un personaggio, passaggi da lirismo a ironia a realismo quasi comico, ecc.
Alcuni capitoli in particolare hanno appassionato i ragazzi: quelli più dinamici o quelli che mettono in gioco emozioni.
Più che a drammatizzare ho provato a far scrivere alcuni episodi dal punto di vista del personaggio (es. la monaca di Monza) e i risultati sono stati molto soddisfacenti. I ragazzi fin dall’inizio prendono posizione per l’uno o l’altro dei personaggi. Don Abbondio e Perpetua, Renzo e Azzeccagarbugli, Gertrude ed Egidio, Lucia e l’Innominato sono sempre ottimi spunti per il confronto tra caratteri e atteggiamenti. Nel complesso, il romanzo non annoia, anzi molti episodi appassionano. Basta saper selezionare e non insistere troppo sulle interpretazioni critiche tradizionali, lasciando libertà ai ragazzi.
3 Maggio 2015 alle 18:58
ho letto soltanto in questi giorni, da quando Mozzi ha postato recentemente il link su FB.
Gli interventi dei colleghi sono molto interessanti e da qualcuno prenderò spunto per il futuro… Non mi sono trovata così spesso ad avere a che fare con i Promessi sposi. Per un motivo o per l’altro, soprattutto negli ultimi dieci anni, anche quando mi è toccata la seconda classe del liceo, ci ho circumnavigato intorno.
In passato le mie “deviazioni” dalla rotta ortodossa sono state fondamentalmente di due tipi:
1) mettere a cimento i miei ragazzi con prove di scrittura creativa, soprattutto scavando nelle pieghe di quello che Manzoni non racconta. Per esempio le parole della canzonaccia che cantano i bravi lasciando don Abbondio; il dialogo fra i due e don Rodrigo quando devono riferirgli l’esito dell’incontro; il testo delle lettere di Gertrude (ma li preparavo ritagliandomi anche un percorso parallelo leggendo con loro: a) la lettera di Leopardi al padre del ’19, quella della fuga mancata da Recanati; b) la Lettera al padre di Kafka). Insomma, cose di questo tipo.
2) far entrare in rotta di collisione la lettura dei Promessi sposi con qualunque cosa ne richiamasse trama, personaggi, epoca. Dico “leggere”, ma dovrei anche includere anche il verbo “vedere” e “sentire”, con le arti visive, il cinema, la musica. Lo so, non sono originale. Però è stimolante. Chissà a quanti sarà già venuto in mente prima di me, ma non trovate che il fra Cristoforo dei Promessi Sposi assomigli moltissimo al personaggio di Rodrigo del film Mission di Joffé? Io lo feci vedere ai ragazzi, e poi chiesi a loro di stendere una relazione sulle analogie tra i due personaggi.
Quanto alla twitteratura. Mi capitò a suo tempo di seguire, in dirittura d’arrivo, proprio l’esperienza sui Promessi sposi. No, abbiate pazienza. Non ne penso un gran bene.
4 Maggio 2015 alle 06:56
Cara Maria Letizia, come mai non ne pensi un gran bene?
Grazie.
25 marzo 2018 alle 21:45
Arrivo con tre anni di ritardo soltanto per dirvi grazie. Per un’insegnante giovanissima questo dibattito è pura manna dal cielo. Mi verrebbe da farvi tante di quelle domande …