[Questo è il nono articolo della serie La formazione dello scrittore, che appare in vibrisse il giovedì (ed è parallela a quella La formazione della scrittrice, che appare invece il lunedì). Ringrazio Giuseppe per la disponibilità. Il prossimo ospite della rubrica sarà Marco Candida. gm]
Non so nemmeno a quale formazione fare riferimento; per me, cresciuto negli anni Settanta e Ottanta e Novanta, è adesso più confusione e sbigottimento che ricordo il dire del me stesso, chi incontrò, cosa fece, come arrivò alla scrittura. Inoltre si tratta di “io” e qui sta un problema storico. Utilizzare questo pronome radicale è stato difficile nel corso dei due decenni in cui ho pubblicato. Ho tentato di costruire un ologramma, un avatar, che attirasse fulmini e saette, giusto livore e ingiusto rancore, lasciando in pace la persona in un silenzio e in un respiro ampi, secondo l’insegnamento di un poeta che annovero tra i miei maestri e che era Antonio Porta (così, noto al secolo; si chiamava Leo Paolazzi, in verità).
Prendo molto sul serio questo invito di Giulio, che certamente è tra gli scrittori e intellettuali i quali più stimo da tanti anni, con cui a me è parso di fare un po’ di strada insieme (vorrei citare, insieme a lui, tra i miei coetanei editoriali, quelli per me più decisivi: Tommaso Pincio e Aldo Nove). Dice Giulio: scrivi quello che vuoi sulla formazione tua, meglio se lungo il pezzo, anziché breve. Quindi scrivo questo autoritratto, sommario e forse un po’ peccaminoso, seguendo le metriche suggeritemi.
Ho iniziato a pubblicare in prosa, un po’ per scherzo, un po’ per provocazione, nel 1996, da Mondadori. Venivo dalla poesia. Mi ero avvalso dell’insegnamento di Antonio Porta e, in generale, della compagnia che vorticava attorno alla Cooperativa Intrapresa e al suo fondatore Gianni Sassi, e che aveva creato l’etichetta Cramps, pubblicava Alfabeta e La Gola e, più tardi, organizzava MilanoPoesia. Giovanissimo (un bimbo, in pratica, ma il ricordo è netto) stetti al biliardo con Demetrio Stratos, in piazzale Salgari a Milano; e ascoltavo John Cage, mi pare nell’inverno 1980 o forse nell’83. C’era Jo Squillo incredibilmente. Io ero un bambino che si strappava a un quartiere popolare feroce, sgambettando tra via Caposile (dove stava l’Intrapresa, due vetrine di un ex negozio, con l’ufficio bianco gesso e disordinato di Gianni Sassi) e i libri di Milo De Angelis, Somiglianze e Millimetri, letti riletti e mandati a memoria in piazzale Martini, tra amici tossici. Mi ricordo uno strano spilungone che era Gian Emilio Simonetti di Fluxus, fidanzato con la sorella del mio migliore amico, imparai del situazionismo. Andavo nel frattempo alla sezione del Partito Comunista della mia zona, recitavo il Kesserling di Calamandrei e apprendevo le differenze tra Mao-Tse-Tung e Lenin, in un seminterrato delle case popolari.
Poi facevo il liceo classico Berchet, a Milano luogo di élite cielline e semifasciste, luogo infame, da cui si propagava il contagio ottantino di “paninari” e “yuppie”. Erano ricchi, io mi iscrissi a Democrazia Proletaria, ma Mario Capanna lasciò, a Russo Spena, lasciai anch’io.
Antonio Porta mi insegnò la metrica, discusse le mie cose in versi, poi morì all’improvviso, a Milano pioveva quella notte tantissimo, mi sembrò di spegnermi. Mi arrivarono ondate di umanità da Primo Moroni, che poi andò ad abitare a duecento metri dalla casa popolare che abusivamente occupavo, stava in via Ciceri Visconti e parlottava signorilmente con mio padre.
Approdai a Poesia, la rivista creata e edita da Nicola Crocetti, il quale pietosamente mi raccolse in un momento in cui non sapevo cosa fare nella vita e non avevo un soldo. La facoltà di filosofia alla Statale di Milano, a cui mi ero iscritto in quanto interessato a San Tommaso, era una realtà orrenda, sia per via dei docenti sia per via dei miei compagni: li disprezzavo e mi formavo per i cavoli miei, approfondendo i metafisici e i novecenteschi, Husserl e Benjamin in particolare. René Guénon e L’uomo e il suo divenire secondo il Vêdânta, un Adelphi che lessi forse nel ’92, fu per me un testo decisivo.
Avevo iniziato la facoltà di filosofia pensando di intraprendere la professione di psicoterapeuta, ma un dispositivo del governo presieduto da Giuliano Amato (a mio parere il peggiore dell’intera età repubblicana, perfino peggio di Monti e di Tambroni) venne a interdire questa possibilità. Avrei dovuto cambiare facoltà, impegnarmi per anni senza lavorare. Non avevo una lira, non se ne parlava. Mi ero formato su Freud e su Lacan, avevo studiato Reich e Assagioli, avevo iniziato a sottopormi a un’analisi kleiniana e fornariana. Tenevo per ridicolo l’approccio di Jung. Ritenevo prossimo al collasso il paradigma psicoanalitico, mi pareva urgente elaborare un protocollo teorico e clinico che si opponesse al crescente riduzionismo. L’emergentismo non bastava. Mi formai lì, a quell’incrocio, stupendomi in seguito quando scoprii che lo scrittore Valerio Evangelisti aveva attraversato in modo notevole la psicosintesi di Assagioli.
Nel frattempo, verso il ’91 o il ’92, avevo incominciato a impratichirmi di reti telematiche, di BBS. Quando nacque il Web ero un entusiasta che navigava in Tiber (il browser tremendo lanciato da un editore sardo, Niki Grauso) e mi piaceva tantissimo lavorare a contatto con quella che mi pareva evidente essere un’ondata anomala, che tutto avrebbe travolto. Era, questo interesse per le reti e i network, un’ovvia conseguenza della formazione presso la Cooperativa Intrapresa. Anche all’università, stimavo i logici matematici e per me la scuola di Bonomi e di Mangione (post-Geymonat, dunque) fu centrale.
Nel frattempo Antonio Riccardi mi aveva salvato dalla disoccupazione. Riccardi era un poeta che lavorava agli Oscar, mi presentò Ferruccio Parazzoli alla Mondadori, mi fece esordire, sotto pseudonimo, con un libretto che non era saggio né racconto. Da lì seguì ciò che seguì.
Quindi non ne seguì l’attività poetica. La frequentazione di poeti contemporanei per me molto “alti”, Mario Benedetti e Stefano Dal Bianco, mi indusse a seguire i loro consigli, cioè smettere di scrivere versi per una certa carenza di ordine stilistico.
Venni, insomma, su, a questo modo: per incontri e studi non tanto matti, ma certamente disperatissimi. Andò così la gioventù.
Le direttrici di questa formazione sono riassumibili, un po’ velocemente e cripticamente. Non so davvero se questo possa essere di aiuto o di interesse per qualcuno. La mia formazione è anzitutto poetica (i classici e la linea novecentesca Beckett, Eliot, Celan, Stevens; più il secolo italiano, da Montale a Sereni fino a Raboni e De Angelis), poi letteraria (ruotando sempre allibito intorno al corpus di Kafka), poi filosofica (con perno in Husserl e controperno in Benjamin, per quanto concerne la filosofia occidentale contemporanea) e psicoanalitica o psicologista (Lacan, la quarta forza, Maslow, Bion, Fornari), storiografica (il Novecento e gli studi su Hitler), tecnologica (anche sulla scorta di quella che, forzando, si portrebbe definire epistemologia derridiana, di moda in Italia a fine Ottanta) e, definitivamente e sotto qualunque genere di formazione, metafisica (il nondualismo, dalle Upanishad a Platone, fino a Ramana Maharshi e Nisargadatta).
Sono quindi mosso da altri io, a prescindere dallo spazio e dal tempo. Fu bellissimo, sarebbe strano non lo fosse.
Il ritratto di Giuseppe Genna è di Tommaso Pincio.
Tag: Abraham Maslow, Aldo Nove, Antonio Porta, Antonio Riccardi, Carl Gustav Jung, Demetrio Stratos, Edmund Husserl, Eugenio Montale, Ferruccio Parazzoli, Franco Fornari, Franz Kafka, Gian Emilio Simonetti, Gianni Sassi, Giovanni Raboni, Jacques Lacan, Jo Squillo, John Cage, Leo Paolazzi, Ludovico Geymonat, Mao-Tse-Tung, Mario Benedetti, Mario Capanna, Milo De Angelis, Nicola Crocetti, Niki Grauso, Nisargadatta, Paul Celan, Platone, Primo Moroni, Ramana Maharshi, René Guénon, Roberto Assagioli, Russo Spena, Samuel Beckett, Sigmund Freud, Stefano Dal Bianco, Thomas S. Eliot, Tommaso d'Acquino, Tommaso pIncio, Valerio Evangelisti, Vittorio Sereni, Wallace Stevens, Walter Benjamin, Wilfred Bion, Wilhelm Reich
17 luglio 2014 alle 14:53
L’ha ribloggato su indice di letturae ha commentato:
Una testimonianza preziosa del percorso intellettuale di Giuseppe Genna
18 luglio 2014 alle 07:24
“Mi formai lì, a quell’incrocio, stupendomi in seguito quando scoprii che lo scrittore Valerio Evangelisti aveva attraversato in modo notevole la psicosintesi di Assagioli.”.
Non si capiscono i perchè del fermarsi e del successivo stupore.
28 luglio 2014 alle 18:41
concordo con maria luisa
29 luglio 2014 alle 07:04
senza polemica:
“”Mai confondere gli intellettuali con gli artisti. È stato sempre un po’ questo il problema della letteratura italiana.”” (F.S)
29 luglio 2014 alle 07:27
E chi è “F. S.”?
29 luglio 2014 alle 14:20
f.s. non è un personaggio storico, è una semplice appassionata,diciamo così, di letteratura-è un problema?
9 agosto 2014 alle 23:12
grazie per questo ritratto!
11 ottobre 2014 alle 20:56
L’ha ribloggato su Il Corsaro Biancoe ha commentato:
Autoritratto di Giuseppe Genna: “La formazione dello scrittore”. Il nono autoritratto pubblicato da Giulio Mozzi qualche tempo fa.