Di che cosa ha bisogno un editore per decidere di pubblicare un libro?

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Gutenberg

di giuliomozzi

Tutto ciò che si dice in questa noterella è approssimativo. L’abbondante uso di virgolette lo testimonia.

1. Per decidere di pubblicare un libro, un editore ha bisogno della sensazione di avere davanti qualcosa di compiuto, finito e dotato di senso. Nel caso dell’editoria cosiddetta “letteraria”, il romanzo o la raccolta di racconti o il lavoro poetico devono dare una sensazione di “coesione” e di “pienezza”: la sensazione di essere un’ “opera”. Nella narrativa basata sull’intreccio, l’intreccio deve funzionare senza vuoti o attriti. Nella manualistica alla completezza delle informazioni devono aggiungersi la facilità di reperimento delle stesse, la chiarezza dell’esposizione, la definizione precisa delle competenze che si presumono già presenti nel lettore, eccetera. Nella saggistica, la presenza di una “tesi” o di una “costellazione di tesi” deve accompagnarsi a un’adeguata e ben mirata argomentazione. E così via.

2. Per decidere di pubblicare un libro, un editore ha bisogno di poter immaginare chi lo leggerà. Si tratta di un’immaginazione doppia, qualitativa e quantitativa. Qual è il lettore ideale di questo libro? Quali sono le categorie di lettori (i “target”) che potrebbero essere interessati a questo libro? Quanti sono, complessivamente, i lettori interessati o interessabili a questo libro? Qual è il lettore che il libro presuppone? E, simmetricamente: quali sono i lettori ai quali questo libro non può interessare, o addirittura può fare schifo? Eccetera.

3. Per decidere di pubblicare un libro, un editore ha bisogno di poterne immaginare la “durata”: per quanto tempo lo venderemo? Quando nel 1963 (se non erro) l’editore Hoepli pubblicava il libro di Livio Susmel Il canarino: allevamento, malattie, cure, forse non immaginava che nel 2014 lo avrebbe avuto ancora in catalogo (in questo preciso momento ufficialmente non è disponibile, ma pochi giorni fa ne ho vista una copia in libreria). Quando rifiutò Se questo è un uomo di Primo Levi (“Un altro libro sui campi di concentramento! Basta! Non se ne può più!”), o quando finalmente lo pubblicò nella collana dei Saggi (nella quale uscì anche Il diario di Anne Frank), l’editore Einaudi forse non aveva compreso la natura dell’opera: non aveva compreso che, oltre che una testimonianza, Se questo è un uomo è una grande opera d’arte; e certamente non aveva immaginato che, tra i tanti (effettivamente tanti) libri di memorie che si pubblicavano in quegli anni, Se questo è un uomo sarebbe durato più degli altri (per capirsi: la pubblicazione di Se questo è un uomo è la più grande e fruttuosa operazione commerciale della storia di Einaudi – me lo disse Roberto Cerati un po’ d’anni fa).

4. Per decidere di pubblicare un libro, insomma, un editore ha bisogno di riuscire a immaginarne la “dinamica”. Va’ dove ti porta il cuore di Susanna Tamaro uscì in seimila copie (uno sforzo non esagerato, a quei tempi, per un editore come Baldini e Castoldi) e cominciò a “muoversi” in libreria diversi mesi dopo essere stato pubblicato. Gomorra di Roberto Saviano uscì ugualmente in seimila copie (il minimo sindacale, a quei tempi, per un editore come Mondadori). Nel caso di Saviano si sa quali eventi hanno dato il via alle grandi vendite; nel caso di Tamaro si può al massimo fare un riferimento generico al “passaparola”. Inshallah di Oriana Fallaci, pubblicato da Rizzoli con enorme pressione promozionale, diventò la più grande montagna di rese della storia dell’editoria italiana. Nei periodici “resoconti di gestione” di Mondadori (disponibili nel sito) le vendite dei libri di Fabio Volo sono spesso commentate con un sensibile stupore. Cito questi quattro casi per far capire che i grandi successi e i grandi insuccessi non sono sempre (come credono gli ingenui) programmabili. Ma la buona salute di un editore non dipende, non può dipendere, dai “colpacci”: dipende dalla capacità di diffondere, di ciascun titolo, esattamente il numero di copie che se ne può vendere (per giudizio unanime di librai, distributori ed editori, la casa editrice più capace di esatte previsioni è Marcos y Marcos; anche se ultimamente il fenomeno-Ervas forse è stato in buona parte imprevisto).

5. Per decidere di pubblicare un libro, un editore ha bisogno di immaginare come “comunicarlo”. Un romanzetto del tipo “Ci sono lui e lei, che vogliono sposarsi; c’è un cattivone che si mette in mezzo; seguono peripezie, separazione degli amanti, moti di piazza, intrighi; poi una grande calamità spariglia tutti i giochi; e alla fine lui e lei si sposano e fanno tanti bambini: il tutto scritto magnificamente, con una lingua alla portata di tutti” non è soltanto una spudorata operazione commerciale: è prima di tutto un libro facile da comunicare. Un romanzo del tipo: “Un uomo perennemente indeciso entra far parte di una commissione nella quale non si decide nulla; mille pagine dopo sono ancora tutti lì a non fare nulla; il tutto è inframmezzato da capitoli filosofico-mistico-matematici” non è soltanto un esperimento velleitario e pretenzioso: è prima di tutto un libro impossibile da comunicare.

6. Per decidere di pubblicare un libro, un editore ha bisogno di immaginare perché quel libro possa risultare “interessante”. La cosa apparentemente bizzarra è che il motivo d’interesse – quello che si spende nella comunicazione, non quello reale – non sta quasi mai nella bellezza del libro. Con le peggiori intenzioni di Alessandro Piperno, spiega Antonio Franchini (dirigente Mondadori) nel documentario Senza scrittori di Andrea Cortellessa e Luca Archibugi, era un romanzo “interessante” perché racconta e descrive un ceto, quello delle famiglie dei palazzinari romani, al quale fino allora non era mai stata dedicata un’opera romanzesca. Il motivo d’interesse, che Franchini chiama “gancio”, richiede ovviamente che l’opera di per sé sia almeno discreta: ma il punto è che se un ufficio stampa dice a un giornalista: “Guardi, questo romanzo è molto bello”, il giornalista risponde: “E allora?”; mentre se l’ufficio stampa dice a un giornalista: “Guardi, questo romanzo per la prima volta racconta la tal cosa, descrive il tale ambiente, contiene questo o quel motivo di scandalo”, eccetera, il giornalista risponde: “Interessante”. Nella mia esperienza sono arrivato perfino al punto, e per due volte, di “vendere” un romanzo usando come “gancio”… la sua illeggibilità. La prima volta fu con Perceber di Leonardo Colombati (Sironi 2005): qualche mese prima dell’uscita costruimmo un blog nel quale si raccontavano una quantità di cose del romanzo, presentandolo direttamente come romanzo-monstre; pubblicammo foto dei luoghi dell’azione, lunghi elenchi dei personaggi, enigmatici estratti, e così via; così che, prima ancora di parlare del romanzo, i giornali cominciarono a parlare del gran parlare che di quel romanzo si faceva (il blog, tanto per dar dei numeri, nei due mesi precedenti l’uscita del romanzo, arrivò ad avere quattro/cinquecento visite al giorno). La seconda volta fu con La dissoluzione familiare di Enrico Macioci: ne pubblicai degli estratti in vibrisse presentandolo appunto come “romanzo illeggibile”: e nel giro di qualche settimana si presentò un editore.

7. Per decidere di pubblicare un libro, un editore ha bisogno di immaginare come i potenziali compratori capiscono che se quel libro è stato pubblicato da quell’editore lì, proprio quello lì, una ragione deve esserci. Quando ha cominciato a pubblicare la saga Millennium, l’editore Marsilio era già “quello dei gialli svedesi”. Quando minimum fax ha pubblicato Acqua in bocca di Camilleri & Lucarelli, tutti i lettori affezionati all’editore hanno capito che pubblicare una vergognosa puttanata (tanto vergognosa che gli autori hanno pubblicamente devoluto i propri diritti in beneficienza) era per quell’editore più sensato che farsi strangolare dalle banche. E’ vero che negli ultimi anni il valore – valore in termini di senso, di aspettative da parte dei lettori ecc. – dei marchi editoriali è fortemente diminuito (nelle Feltrinelli non ci sono quasi più gli scaffali dedicati a questo o quell’editore, ad esempio): tuttavia, soprattutto presso i lettori forti (quei 700 mila eroi che mantengono tutta la baracca), un certo valore permane.

Ci saranno senz’altro dei punti 8, 9, 10, eccetera.

L’incisione su in alto viene da qui.

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153 Risposte to “Di che cosa ha bisogno un editore per decidere di pubblicare un libro?”

  1. Nadia Bertolani Says:

    Una cosa è consolante: la centralità del libro. Ma permane un dubbio: nella scelta o nell’attenzione che la precede non entra forse in gioco la “personalità” dello scrittore (età, bizzarria, sesso e altre caratteristiche umane)?

  2. Antonio Says:

    Di che cosa ha bisogno un editore per decidere di pubblicare un libro? Sempre più spesso di soldi, meglio se a metterceli sono gli autori.

  3. Giulio Mozzi Says:

    Antonio, lasciamo stare gli editori a spese dell’autore. La mia noterella parla di editori che campano vendendo i libri ai lettori. Quelli che campano vendendo i libri agli autori non mi interessano.

  4. luccone Says:

    L’ha ribloggato su Dentro il cerchio.

  5. F T De Nardi Says:

    … e non viene mai presa in esame, da un editore, la voce: ho pubblicato tale libro perché mi piace? Quanto conta il gusto personale? A volte, leggendo le quarte di copertine, ho l’impressione che in molti libri si punti più sulla biografia dell’autore, che su quello che ha scritto.

  6. Elena Marino Says:

    L’ha ribloggato su EMe ha commentato:
    Editori e libri vendibili

  7. Grazia Brambilla (@GraziaBram) Says:

    interessantissimo articolo.

  8. flaviofirmo Says:

    L’ha ribloggato su Flavio Firmo's Blog.

  9. Ale T. Says:

    Questo è molto, molto, molto interessante. Thanks.

  10. Pendolante Says:

    Ecco, oa ci capisco di più… e io che pensavo bisognasse produrre un buon libro.

  11. Andy Says:

    Su quali basi l’affermazione riguardo al diminuito valore dei marchi delle singole case editrici e’ vera?

    Solo perche’ la Feltrinelli non utilizza il marchio come distinguo per la disposizione (che e’ comunque rilevante), o c’e’ dell’altro?

  12. RobySan Says:

    Leggerei volentieri il secondo libro presentato al punto 5 (e il primo, ogni tanto, lo rileggo).

  13. pietro1968 Says:

    L’uomo senza qualita’ ma con migliaia di copie vendute.

  14. LucaT Says:

    Nadia parla della centralità del libro. A me è sembrato invece che si sia diffusa una centralità o meglio un primato del paratesto (scrittore con scorta; scrittore gay televisivo; scrittore simpatico televisivo; scrittrice fantasma di cui nessuno sa nulla etc) sul testo. Sbaglio?

  15. Pensieri Oziosi Says:

    RobySan, vedi Pietro qui sopra.

    Giulio, la lettura del resoconto finale del 2012 di Mondadori a partire (pagina 14 e seguenti) è stata inaspettatamente interessante. Non posso che consigliarne la lettura.

  16. Giulio Mozzi Says:

    P.O.: e hai visto quello intermedio del 2013?

  17. Giulio Mozzi Says:

    Andy: le (poche) periodiche ricerche sulla lettura mostrano da tempo che la percezione dei marchi editoriali va diminuendo. Il consumatore sa distinguere un dentifricio Parmalat da uno del Mulino Bianco, ma non sa se il romanzo che gli è piaciuto tanto è pubblicato da Volkswagen o da Trenitalia. Non posso pubblicare qui i dati, che sono proprietà aziendale. Ti chiedo (e me ne dispiace) di fidarti.

    Poi: a parte il fatto delle Feltrinelli, osserva come Amazon “nasconda” il nome dell’editore.

    Basta un giretto in una libreria italiana per notare come il lavoro grafico dei maggiori editori non punti tanto sulla differenziazione quanto sulla somiglianza. Guarda questa copertina:

    gamberale_Dieci_minuti

    Al di là del marchio, che cosa fa di questo romanzo un “libro Feltrinelli”? Nulla: non la grafica, né l’autrice (che proviene, dopo l’esordio Marsilio, da Bompiani e Mondadori).

    Anche sul vagabondaggio degli autori bisognerebbe ragionare: non dico che sia necessario fare come Moravia (che pubblicò pressoché tutto presso Bompiani), ma è certo che il vagare da un editore all’altro degli autori di maggior successo contribuisce a rendere preminente il “marchio autore” sul “marchio editore” (mentre il vagabondare da un editore all’altro degli autori di minor successo è solo sintomo evidente del fatto che non vendono abbastanza).

    Dà un’occhiata al blog Copertine di libri.

  18. Calikanto Says:

    Be’, grazie per aver chiarito i passi e i meccanismi, in fondo ragionevoli, del lavoro di scelta dell’editore. Mi sembra che alla fine un buon libro, salvo casi sfortunati, abbia ancora qualche chance di farsi notare.

  19. sergiogarufi Says:

    ottimo articolo, grazie.

  20. F T De Nardi Says:

    Ho notato anche io, le copertine sono come le carte delle caramelle, tutte simili, tranne che so, quelle di sellerio o le copertine delle serie da edicola come segretissimo di Mondadori. Si dovrebbe tornare a una maggiore identificabilità? Per me sì.

  21. Jessica Servidio Says:

    Vero è anche il fatto che in questo campo, ora come ora, c’è una crisi che fa paura (ed ecco la proliferazione di “case editrici” a pagamento, che speculano sui sogni quasi impossibili degli scrittori). Vero è anche che la crisi di campi ne ha toccati parecchi in realtà, ma spesso si dimentica che questo collasso è visibile, forse ancor più, a livello culturale. Nella biblioteca comunale del mio paese, stupido esempio, quasi tutti i libri sono sempre disponibili fin da subito. E ti lamenti? Sì, le opere d’arte vengono ignorate sempre più.

    (http://angolodiscrittura.wordpress.com/)

  22. Andy Says:

    Beh, quelle copertine tutte uguali sono scioccanti, evidentemente. Quello che mi chiedo è se la situazione attuale è conseguenza delle scelte di marketing delle case editrici, che non fanno “image building” per creare “brand awareness” e, di conseguenza, “brand loyalty”. E se non lo fanno perchè? Perchè le indagini di mercato dicono che il brand è importante per orientare il consumatore nello scegliere un dentifricio, una polo o un altoparlante per la televisione al plasma, ma non per un libro? È francamente sconvolgente.

  23. F T De Nardi Says:

    Forse perché essendo pochissimi i distributori di libri e legati a quattro case editrici, incassano di più vendendo libri di altri che pubblicandoli loro! Quindi meglio che i libri si assomiglino tutti!

  24. Carlo Capone Says:

    Giulio, dunque può capitare che l’autore scriva un bellissimo romanzo (termine che in se, come hai fatto notare, significa poco o nulla, ma lo prendo come esempio paradigmatico ) ma per il fatto che non descriva un tema interessante non lo pubblichi nessuno? qui c’è allora da stabilire prima se l’auore sia libero nella fase di incubazione ispirativa, oppure debba scrivere ciò che pensa interessi l’editore, a prescindere dai suoi intenti creativi.

    Sembrebbe così, anche se a Michelangelo il Tondo Doni glielo commissionò il ricco Agnolo Doni e la Pietà non ricordo quale alto prelato cardinalizio. Insomma l’artista ha più o meno sempre guadagnato su espressa ordinazione del committente , e quando l’ha trasgredita è morto misteriosamente abbandonato su una spiaggia toscana (anche e soprattutto a causa delle turbolenze del suo carattere).

  25. Giulio Mozzi Says:

    Carlo: ogni autore, risponderebbe un sociologo, si muove all’interno di un orizzone di aspettative e di possibilità. Ogni autore decide come confrontarcisi.

  26. Davide Scardaci Says:

    Ci sono tanti passaggi veritieri in questo prezioso articolo che hai scritto e ti ringrazio per averci dedicato tempo. Il metodo di selezione dei romanzi passa anche attraverso una serie di prassi che non solo sono figlie del mercato editoriale, ma anche di una serie di meccanismi antichi che funzionano poco. Se negli ultimi 2 anni l’industria editoriale italiana ha segnato -14% un motivo c’è – e non è solo perchè la gente non ha soldi in tasca, è il modo di scegliere che è fallace. Si scarta male e si seleziona peggio.

  27. davide Says:

    ben detto, Scardaci!

  28. davide Says:

    non so se “..si scarta male” ma per ragiona che provai a spiegare anche quassù ,si seleziona anche in una maniera che poi ha portato alla mezza disaffezione attuale (il pubblico del libro non è quello del cinema,della tv o della radio,che vnan quasi per inerzia :dopo uno,due,tre libri così cosà,un fruitore di libri,spende meno,non altro…)e davvero non mi parlate solo di ipod e crisi economica che farebbero concorrenza

  29. davide Says:

    (ops volevo dire “per ragioni”)

  30. davide Says:

    dal punto 4

    “” Ma la buona salute di un editore non dipende, non può dipendere, dai “colpacci”
    A dire il vero di colpacci da qualche tempo ne mancano un pò (vedere anche le vendite sottotono del 2° libo di paolo giordano)però si,com’è noto c’è anche il famoso catalogo,dove sperare che X novità o autori al 2° /3° giro procedano “crescendo”
    Questo sembra non accadere così spesso,anzi:un noto ex scrittor giovane,intervistato anni fa sulla cosa,disse:
    “beh c’è gente che al primo libro ha venduto 100 mila copie,al secondo 20 mila,al terzo 6000,beh al settimo vincerà un set d coltelli…” 😀
    Ed effettivamente,qualcosa del genere,qua e la è avvenuto
    Perchè succede?
    Avanzo un ipotesi:che differenza c’è,o c’era in tv,tra l”indice di gradimento” e “l’audience /indice ascolto”?
    Semplice :se un programma è molto visto in una data serata,i dati di audience e share non ci dicono se quel programmi è stato anche gradito, se piace davvero:
    Se per contro quel programma,anche se con ascolti inferiori (la prima volta di un programma l’effetto “novità”tira)continua ad avere un ascolto costante,vuol dire che bene o male,ha un certo indice di gradimento,e quindii,di”sostanza”(concetto,che con gli anni in tv è andato un po perdendosi..)
    ..ma nel campo vendite della letteratura italiana si è proprio perso!
    E questo dà quell effetto disaffezione dove la gente compra un libro molto spammato,non lo gradisce con sorpresa dell editore,al 2° giro per lo stesso autore che ha scritto il primo fortunato libro NON va piu a comprare quello nuovo!
    Mi si potrebbe obiettare che no tutte le ciambelle,da sempre,escono prevedibilmente col buco:d’accordo,ma ogni tanto nelle”forbici” di vendita si son visti dislivelli notevoli
    Gli esempi,in giro,se ci si informa sono tanti
    Ricollegandomi a quel che dice Scardaci:credo si scarti bene,ma si seleziona in una maniera che davvero sta mostrando limiti

  31. gian marco griffi Says:

    Davide, ma sei proprio tu?

  32. manu Says:

    griffi, se è così, e così sembra, ogni tuo desiderio è un ordine!

  33. davide Says:

    (…Gian,si sono io me stesso medesimo !)

  34. gian marco griffi Says:

    Il fatto è che ci son troppe questioni irrisolte su Vibrisse che necessitano l’intervento di Davide; anche Mozzi l’ha capito e si è dovuto arrendere. Davide: mi sei mancato.

  35. davide Says:

    mah,Gian,che dire grazie e inviterei chi vuole a prestare attenzione alla chiosa dell intervento di Scardaci sopra :

    “”Si scarta male e si seleziona peggio.”

    eh si secondo me i mitici selezionatori della narrativa italiana,han in qualche modo perso di vista quel che il pubblico medio vuole in un libro (e quindi non mi riferisco ai soliti blockbuster anglosassoni)

    (ne parlavo 30 min fa al telefono con una simpatica lettrice calabro-ligure conosciuta su fb :solita geremiade sua?

    “…ma che brutti libri che si pubblicano..”)

    ..solita lamentale?forse,ma davvero troppo rousseauvismo ha fatto male alle patrie lettere

  36. F T De Nardi Says:

    Sono d’accordo, la cernita dei testi, funziona malissimo…spesso vengono scelti testi più basandosi su che cosa fa un autore nella vita o cosa ha fatto, che su come e cosa ha scritto…si guarda insomma più alla faccia che al cervello. Più conosco questo mondo, più capisco perché si vendono pochi libri! È un mondo autoreferenziale, altro che conflitto di interessi!

  37. davide Says:

    “”Sono d’accordo, la cernita dei testi, funziona malissimo…spesso vengono scelti testi più basandosi su che cosa fa un autore nella vita o cosa ha fatto, che su come e cosa ha scritto””

    io la vedo un filo differente:al di la del problema “libro scritto dal personaggio “famoso”(meno,ma succedeva anche 20 anni fa),c’è tutto un problema di libri ed esordienti “rugiadosi” col”cuore”,che però alla prova del fuoco(mercato/vendite)vendono poco.

    non vedo la caccia all’esordiente dal background original/stravagante (eccetto il caso di nicolai lilin,ma son casi rari)il problema secondo me,ripeto,è il solito:

    Libri con storie deboli.Punto.

    Mi si obietterà che Ken Follet fa libri con storie piu robuste:certo,ma le scrive anche in maniera prevedibile,con un linguaggio fermo alla metà del ‘900,e con ritrovati/colpi di scena già visti 65 volte

    ci vuole un Somerset Maugham italiano,ormai,ci vorrebbe dico,quello si che imbastiva storie non banali con una scrittura non banale

  38. RobySan Says:

    Mi gira la testa.

  39. davide Says:

    (ottimo,mister:sa com’è,coi soliti calembour visti altrove,si risolve poco..)

  40. F T De Nardi Says:

    Purtroppo sono esperienze che ho visto sotto gli occhi… Personaggi bravissimi a parlare e a tessere alleanze, veri leoni della parola parlata, ma a leggere un rigo ti cascano le braccia.
    D’accordo Per le storie forti, ma anche la scrittura ha la sua importanza, siamo in Italia, dopotutto, la storia e la tradizione pesano e non sono da sottovalutare.

  41. davide Says:

    “ma a leggere un rigo ti cascano le braccia.”

    sinceramente cose simili capitano anche leggendo libri molto spammati qua e la,esordienti o di autori agli inizi,magari censiti sia sul web che sulle terze pagine:quello è il problema:davvero pensar che abbiano un pubblico di quanto ?3000 copie quando va bene

    che Ligabue ne vicenda molte di piu sull’ inerzia della sua fama di rocker”padano”(si fa per dire),per contro non mi sorprende

    sul discorso “la scrittura ha la sua importanza”ci andrei cauto,piu spesso,al di la della mera trama,i libri italiani non “sfondano”perchè parlan di mondi,sfondi e immaginari gia un po inflazionati cmq poco potenti (nessuno chiede di far trame alla Patterson,per dire)

    insomma difficile far sfondi o cose interessanti anche per l’estero con la provincia italiana(spiace dirlo ma credo sia così)

    va un po meglio per qualche libro ambientato nelle città(decisamente da palermo a trieste,,ne abbiam di davvero pittoresche..)

  42. Giulio Mozzi Says:

    Davide, all’estero sono apprezzati soprattutto i prodotti “tipicamente italiani”, cioè quelli con la provincia italiana eccetera. Se nel romanzo poi ci sono Venezia, la mafia, e un po’ di terrorismo rosso, allora la traduzione è assicurat.

  43. davide Says:

    ..infatti venezia non è un paesino sulla costa marchigiana..

    con gli anni però son stati anche tradotti ovunque P.Giordano(libro ambientato a torino,non un paesello )addirittura negli Usa Lucarelli (libri ambientati tra bologna e rimini perlopiu, Zone che posson piacere o meno ma non son paesini in lucania)e potrei far altri esempi .

    Ferrandino,successone in francia,ha fatt almeno due libri ambientati nel ventre di napoli-napoli

    peraltro ho gia trovato due giovani scrittori che alla domanda,in un intervista ciascuno,dicevan anche cose grossomodo:

    “beh io ho voglia di scrivere altro,dico anni fa c’eran molti libri ambientati in provincia etc etc..”

  44. Giulio Mozzi Says:

    Non è vero che Ferrandino abbia avuto un “successone” in Francia. Adelphi, quando pubblicò “Pericle il nero”, s’inventò questa balla. Vero che Ferrandino era stato (per ragioni di amicizie ecc.) pubblicato nella “Série noire” di Gallimard. Ma era andato male. Questo raccontò, pubblicamente, in diverse occasioni, Luigi Bernardi: primo editore (Granata Press) di Ferrandino, procuratore dell’edizione francese.

    Quello che voglio dire, Davide, è che fuori d’Italia c’è un concetto molto “provinciale” dell’Italia; quello che si traduce più facilmente è il “pittoresco”. (Ciò non esclude che si traduca anche altro, beninteso). Questo mi dicono gli agenti che operano sui mercato internazionali.

    Quanto all’essere tradotti, stiamo attenti: io sono pur sempre un autore tradotto in Francia, Germania, Olanda, Russia, Giappone e Stati Uniti d’America. Ma questo non significa che io abbia avuto un successo internazionale.

  45. davide Says:

    beh giulio i tempi campano,a certi starei attento tipi starei attento(a come cambiano)

    voglio dire ancora 20 anni fa la metà degli italiani degli usa capiva solo i mc donald,le portarerei,le harley davidson,le guerre smil coloniali,..erano ben lontano da capire e sapere (qualità Usa tout court)che i politici corrotti colà li trattano molto piu severamente che da noi,per dire(e noi che pensavamo in italia di esser dei geni,pensa te)

    (direi che anche sull italia,in europa,che non sia tutto rose e fiori e romanticismo alla lunga l’han capito,tranne qualche ex contessa britannica che vive solo nel Chianti,magari)

    su Ferrandino seppi che in francia se l’era cavata,venne tradotto gia nel 93!

    però per tornar al discorso iniziale,certo libri che qualche stereotipo letterario permane,ma se in qualche periodo troppi libri italiani parlavano di educate signore in provincia o vicessitudini di 18-25 enni nelle Marche,beh non stupiamoci che le traduzioni segnano il passo

    10 anni fa c’era su Repubblica un intervista al solito agente letterario britannico,e questo,sul numero non enorme di libri di narrativa italiani tradotti all estero,disse

    “un lettore inglese potrebbe sentire piu affinità su un libro di un autore indiano tradotto,dopotutto,quelli han un background mental culturale anglosassone..cosa che non succede con molti libri dall italia ..”( poi certo ai britannici il Chianti,e ai francesi napoli,piacciono molto)

    questo sopra cmq non è il solo problema ma è anche uno dei problemi

  46. Nadia Bertolani Says:

    Venezia, celo, mafia, manca, terrorismo rosso manca… 😦

  47. Giulio Mozzi Says:

    Davide, sei sicuro che a es. in Italia vent’anni fa (cioè nel 1994) non fosse giunta eco del caso Watergate? (Che è del 1972, mentre il film Tutti gli uomini del presidente – che, mi pare, circolò anche in Italia – è del 1976). Peraltro il primo McDonald’s in Italia aprì nel 1985 (in Italia: a Bolzano!), e ho il sospetto che fino a quel momento qui da noi non se ne parlasse molto.

    Luigi Bernardi disse, più volte e pubblicamente, che “Pericle il nero” dell’edizione francese non aveva avuto un gran risultato.

    Ti invito a dire qual è l’agente letterario del quale citi una frase e da dove hai tratta la citazione. Se non lo fai, poiché proprio a causa di comportamenti argomentativi di questo tipo (citazioni senza fonte, ecc.) ti ho bandito a suo tempo dai commenti di “vibrisse”, ti bandirò di nuovo.

  48. davide Says:

    giulio,io mi chiedo se a volte scherzi o dici sul serio:) e sopratutto,non capisco perchè di ogni rivolo fai una affare di stato,ma tant’è,il forum è tuo

    cosa centra il watergate e il fatto se fosse o meno giunta voce del watergate??( peraltro è roba anni 70,io parlavo di” 20 anni fa”..)

    quando dico:

    “”voglio dire ancora 20 anni fa la metà degli italiani degli usa capiva solo i mc donald,le portarerei,le harley davidson,le guerre smil coloniali”

    è per dire che col tempo le stratificazioni dell esperienze e le varie mode importate e -o percezioni cambiano,ad esempio il”mito” americano oggi come oggi in europa è diverso da come lo era negli anni 70-80 (aggiungiamoci gli italiani che si sbalordivano della durezza contro clinton per la vicenda lewinski,senza capire che colà i politici devon esser trasparenti:qui all epoca,sembrava un problema secondario…poi abbiam avuto un brusco risveglio)

    punto 2,sulle fonti giornalistiche lessi tra qualche settimanale e le pagine centrali di repubblica ben 15 e passa anni fa ,il libro di Ferrandino aveva avuto un accoglienza entusiastica davvero

    quanto al punto 3,se io mi ricordo di un articolo sulle pagine centrali di repubblica (intervista ad agente anglosassone eh,mica italiano!)magari credo proprio dell estate del 2004,dove ne piu ne meno veniva detto (e nn è una gran sorpresa, cmq lo riscrivo):

    ““un lettore inglese (o britannico,ndr)potrebbe sentire piu affinità su un libro di un autore indiano tradotto,dopotutto,quelli han un background mental culturale anglosassone..cosa che non succede con molti libri dall’italia ..””

    non so,devo ricordarmi dopo dieci anni(dieci!) in che pag era,il nome della articolista,il nome dell agente e il gg in cui è uscito? 😀 forse chiedere un pò troppo,che dici? 🙂

    beh chiamando l’archivio centrale credo di roma di R. magari ci si riesce,ma dire che una settimanina ci vorrà,tu che ne pensi ? 😀

    ah io non se che dire,ma vorrei ricordare che modi vagamenti inquisitori come questi dubito giovino al dibattito,ma tant’è,il forum è tuo :)…

  49. davide Says:

    leggo ora meglio:

    “”(citazioni senza fonte, ecc.)””

    ah problemone,di quest tempi..si si..non ho ancora assunto nessuno come archivista,non so, che dite devo pensarci?

  50. Franci Says:

    Mr. Mozzi, buongiorno. Non vorrei sembrare inopportuna, dato che non ho seguito nel dettaglio la discussione, ma bannare è una forma di censura, molto peggio di non citare le fonti.

  51. Giulio Mozzi Says:

    Franci: la citazione – tra virgolette! – di Davide è il vago ricordo di un articolo che lui dice di aver letto nel 2004.

    Se Davide avesse scritto qualcosa del tipo:

    Mi ricordo di aver letto in “Repubblica”, forse dieci anni fa, in un’intervista a un agente letterario inglese (del quale non ricordo il nome), che questi riteneva che un lettore inglese potesse provare più affinità con uno scrittore indiano, a causa del comune background anglosassone, che con uno italiano.

    Ovvero:
    – niente virgolette (che segnalano la citazione letterale),
    – ammissione preventiva dell’impossibilità di fornire la fonte.

    Per comportamenti (intensivi) di questo tipo avevo bandito (non “bannato”, per carità) Davide dai commenti di “vibrisse”. Poiché appena l’ho riammesso li ha ripetuti, di nuovo serenamente lo bandisco.

    Chiamala censura, Franci, se vuoi. Io la ritengo legittima difesa dai disinformatori.

  52. Franci Says:

    Ci mancherebbe, lei può difendersi come vuole, era giusto per dire. Io comunque credo basti chiarire come ha appena fatto. In fondo, dove non ci sono i “disinformatori”, come li chiama lei, la discussione tende ad appiattire, sicché, darei libero spazio al posto di bandire.

  53. Francesco Pasca Says:

    Pubblicare? Leggere? Prim’ancora scrivere. Scrivere! Scrivere! Ma dal prim’ancora, ch’è scrivere, ecco nuovamente il pubblicare. Pubblicare! Pubblicare!
    Ma leggo che ci vuole sensazione e che sia per lo stampatore e comprendo. Ahi! Me ne duole.
    Il ché l’è nel diverso, così come l’è nella distanza che trova l’editore e tale fa differenza e diventa “sottile” la sembianza se sagomata dall’ombra di una vacca ch’è grigia per essersi palesata all’imbrunire.
    Comeeee? Ma è facile: da chi s’è dato nel mai e ne scrive senza sensazione. Ma s’è detto? No! Io lo faccio comunque? Sì! Se ne ho avuta.
    Ora ne ho, quindi, scrivo e qualcuno leggerà in auto-pubblicazione. Lo farà prima o poi, forse prospettando nell’immaginare il semplice rinforzo di un corsivo posposto al pronome o alla congiunzione, forse in un avverbio, in quel che si prefigura nel quanto o nell’immaginare o in quel che diventa azione: “che mai vorrà?”; “dove mai sarà stato letto o da chi?”; oppure “ma quando mai?”
    Come vedi anch’io faccio il mio virgolettato. Ma, al contempo scrivo, leggo e pubblico anche del e coll’immaginare e per chi ne legge dovrà essere nei sì, nei meandri dei target, nella loro giusta durata, nella loro dinamica, se accompagnata dalla sollecitata comunicazione.
    Forse è questo il motivo che fa scaturire l’interesse del fottersene persino di una comunicazione.
    Chi mai potrà leggere senza quell’immaginare? Magari lasceranno perdere e prendere i decidere, i pubblicare, i lasciare e i poi sorprendere, i comunicare.
    Un libro da sé è nel chi e nei perché, è dell’immaginare e non solo. Chi scrive i perché mai dovrà preoccuparsi di chi lo leggerà nel o nel mai, se pur nel necessario, in quel comprare.
    Chi lo stamperà l’editore? Colui che vuole differenza per differenza o specialità per giudizio?
    Oggi è: Di che cosa ha bisogno un editore per decidere di pubblicare un libro?
    Così è nella ricerca di definizione e chiamasi editori, invero stampatori.
    Il bisogno v’è ed è della loro signora annoiata che passa dal Sole alla Luna per durata, per dinamica frescura di un corpo, per comunicazione e per esser vacca all’imbrunire in lettura, in esibizione.
    Oppure è del signore o signora, dell’intellettuale ch’è nel superfluo e dice che la Terra non muove e ch’è fatta per dimora e per essere grave nei corpi, per stampare, non per leggere prim’ancora di creder nei libri ed editare.

  54. Francesco Pasca Says:

    Evviva l’editore censore.

  55. Arlen Siu (@paolobruschi) Says:

    Questo articolo mi ricorda vagamente manuali tipo “10 modi per far innamorare una donna” o “le 15 cose da vedere a Londra”.
    Il suo problema maggiore è già nel titolo, molto pretenzioso: “un editore” non esiste. Esistono “gli editori”, che hanno storie, sensibilità, procedure e mission (per non parlare delle competenze) assai diverse.
    Se vogliamo trovare un comune denominatore, forse l’unico, potremmo dire che le case editrici sono imprese, le quali – come è noto – hanno per fine la produzione di reddito. E per produrre reddito, nelle imprese moderne, ci si affida al marketing.

    Ma se pensiamo che gli editori possano proporre opere e viverci sopra basandosi esclusivamente sul marketing (come peraltro sta avvenendo), allora abbiamo appena cantato il requiem dell’editoria: perché un libro è un prodotto unico, è una sottile alchimia che sfugge a qualsiasi previsione di successo. “Un libro” ho detto, e non “una marchetta”, per la quale l’applicazione del marketing ha invece un’efficacia misurabile, che porta a esiti commerciali assai prevedibili.

    Solitamente gli editori, tranne qualche rara eccezione, dividono la propria produzione tra “marchette” e “libri”. Le prime assicurano il reddito, i secondi sono sostanzialmente incognite, utili però a garantire il mantenimento del buon nome e del prestigio della casa editrice.

    Le marchette:
    quando Mondadori pubblica la biografia del terzino destro della Juventus (tale Chiellini, ndr) o quando Einaudi fa il filo a Ivano Fossati per due anni, convincendolo infine a “collaborare” col suo stuolo di editor per la pubblicazione del romanzo di se stesso, le chicchere stanno a zero: cercano un nome noto e i supporter che tal nome si porta dietro, che possono assicurare qualche decina di migliaia di copie vendute indipendentemente dalle amenità che ivi verrano snocciolate.
    Nell’ambito “marchette” rientrano anche clamorosi casi letterari come Moccia o Volo: schifezze vomitevoli che però passano positivamente al vaglio dei punti che lei stesso ha elencato.

    Dunque lei ha ragione? Non credo proprio, a meno che non facciamo l’esiziale errore di identificare i libri con le marchette.

    I libri:
    il buon editor (parlando di narrativa) che si trova a valutare inediti, ammesso e non concesso che questa figura esista ancora, credo abbia come primo obiettivo verificare che il manoscritto lo emozioni. Se, cioè, l’originalità e l’intensità del romanzo gli trapassano la pelle e la corteccia cerebrale, rimanendogli in testa e in pancia anche nei giorni a venire. E, in secondo luogo, chiedersi se i lettori potranno condividere questa sua emozione.
    Un editor capace di fare queste due operazioni, a mio modo di vedere, sarebbe già un enorme professionista.
    E non chiedetegli se quel libro venderà, perché non potrà mai saperlo.

    PS
    Appello agli autori: scrivete cose che vi emozionano. Forse potranno emozionare anche gli altri e, se siete stati bravi e avrete un po’ di culo, fra questi “altri” potrebbe esserci un editor.
    È l’unica arma che avete in mano: se state a pensare cosa ha bisogno un editore per pubblicare il vostro libro, siete fottuti.

  56. Giulio Mozzi Says:

    Franci, mi permetto di ipotizzare che
    1. se una persona viene bandita dai commenti di “vibrisse” una volta, due volte, tre volte, a causa di un certo comportamento;
    2. se la motivazione del bando viene, a questa persona, spiegata e rispiegata,
    3. se, appena riammessa ai commenti, questa persona subito ripete quei comportamenti,
    4. allora questa persona fa apposta,
    5. tant’è che alla mia richiesta di fornire la fonte di una citazione risponde col dileggio.

    No, i “disinformatori” sono fanno “appiattire” la discussione. La incasinano e basta.
    Per quanto mi riguarda, qui chiunque può esprimere qualunque opinione. Le opinioni di Davide, peraltro, essendo in genere aderenti al senso comune, sono particolarmente innocue.

    Ciò che non voglio, qui, è dare spazio a chi passa il proprio tempo ad “avvelenare i pozzi della verità”.
    Consiglio la lettura di Franca D’Agostini, Verità avvelenata. Buoni e cattivi argomenti nel dibattito pubblico, Bollati Boringhieri 2010, 15 euro, 192 pagine.

  57. Giulio Mozzi Says:

    Arlen, la distinzione che tu proponi tra “libri” e “marchette” è ovvia; in modo forse un po’ più suggestivo (ma anche più preciso dal punto di vista finanziario), qualche anno fa, io l’avevo posta tra “classici” e “puttanate”. La riprendo dal blog di Lucio Angelini che riportò il mio intervento:

    […] Ci sono gli editori industriali, o Grandi Editori, che fanno quel che fanno: campano di classici e di puttanate (pensateci un mmento: il Più Grande Editore, cioè Mondadori, campa di Classici – gli Oscar – e di Puttanate). Ci sono gli editori di ricerca, che fanno il lavoro di portare alla luce qualcosa che gli editori industriali (troppo impegnati a mungere le due vacche dei classici e delle puttanate) non possono vedere, ma che una volta che sia loro mostrato, possa apparire ai loro occhi come Potenziale Classico o Potenziale Puttanata: quindi qualcosa da investirci su. Questo sistema binario, cioè questo tran-tran, ha funzionato qualche anno fa. Adesso non funziona più. Perché? Perché il mercato, a forza di rimpinzarlo di Classici e Puttanate, Potenziali Classici e Potenziali Puttanate, è diventato un luogo nel quale se non vendi quattromila copie di tutto sei morto. […].
    Inoltre, l’editore industriale ha cambiato prodotto. Non vende più Libri Classici e Libri Puttanate, ma Autori Classici e Autori Puttanate. Quindi l’editore industriale chiede all’editore di ricerca non più di trovargli un libro che sia un Potenziale Classico o una Potenzial Puttanata, ma di trovargli un autore che sia un Potenziale Autore Classico o Autore Puttanata. E (visto che le risorse sono sempre di meno, in quanto si chiede che il profitto sia sempre di più) gli chiede non solo di trovarlo, l’Autore C. o P., ma anche di testarlo. Di fargli vedere, se è davvero così Potenziale Classico o Potenziale Puttanata come sembra.
    Se, quindi, un tot (non tanti) di anni fa l’editore industriale teneva d’occhio quegli editori di ricerca che facevano buoni libri, oggi l’editore industriale tiene d’occhio quegli editori di ricerca che riescono a fare notizia. Pensate alla traiettoria. Dieci anni fa: Castelvecchi mette a soqquadro la letteratura italiana pubblicando Aldo Nove. Oggi: Castelvecchi ha un sacco di articoli nei giornali pubblicando Pulsatilla. Per fare notizia ci vuole tutta un’altra professionalità, che quella dell’editore capace di trovare Libri o Autori Potenziali Classici. Mentre se uno sa scovare Libri o Autori Potenziali Puttanate, in genere a fare notizia se la cava: perché oggi, nei mezzi di comunicazione di massa, la Puttanata si porta molto. […] (fonte).

    Quanto al resto, il mio articoletto ha tutti i limiti che può avere un testo che accenna in due cartelle un contenuto che potrebbe occupare un libro di duecento pagine.

    In particolare, Arlen, quando scrivi

    il buon editor (parlando di narrativa) che si trova a valutare inediti, ammesso e non concesso che questa figura esista ancora, credo abbia come primo obiettivo verificare che il manoscritto lo emozioni. Se, cioè, l’originalità e l’intensità del romanzo gli trapassano la pelle e la corteccia cerebrale, rimanendogli in testa e in pancia anche nei giorni a venire. E, in secondo luogo, chiedersi se i lettori potranno condividere questa sua emozione.
    Un editor capace di fare queste due operazioni, a mio modo di vedere, sarebbe già un enorme professionista.
    E non chiedetegli se quel libro venderà, perché non potrà mai saperlo,

    scrivi qualcosa che non serve purtroppo a molto. Perché:
    1. gli editor e i consulenti editoriali stipendiati dagli editori che leggono e valutano inediti esistono, esistono eccóme (io sono uno di quelli), benché la leggenda dica che non esistono;
    2. è difficile stabilire se “l’originalità e l’intensità del romanzo gli trapassano la pelle e la corteccia cerebrale”. Ossia: d’accordo che di certe cose si riesce a parlare solo per metafora; ma cerchiamo di non esagerare;
    3. l’editor diventa “un professionista” proprio quando riesce sia a leggere con tutta la sua emotività all’erta, sia sia a fare delle previsioni di vendita. Perché non si tratta solo di “pubblicare”, ma anche di decidere: con quale marchio editoriale, in quale collana, con quale copertina e presentazione, in quali copie, con quale promozione, eccetera eccetera.

    Poi scrivi:

    [Autori,] se state a pensare cosa ha bisogno un editore per pubblicare il vostro libro, siete fottuti.

    Qualche anno fa, nel corso di un convegno sull’editoria (vedi una cronaca), un ragazzo si alzò in piedi di tra il pubblico e disse: “Ma, insomma, ditecelo: che cosa dobbiamo scrivere se vogliamo essere pubblicati?”. Io stavo al tavolo dei relatori; mi presi una delle maggiori incazzature della mia vita; e cercai di spiegare a quel ragazzo (e a tutti gli altri presenti) che quella domanda era più o meno il male assoluto, o forse qualcosa di peggio.

    Detto questo: quando un autore si propone, è bene che abbia una percezione realistica di che cosa è e che cosa fa l’editoria: per non farsi illusioni, certo; ma soprattutto per non farsi divorare, maltrattare, violare dall’editore.

    Qualche anno fa un autore mi parlava di come lo trattavano in casa editrice: con rispetto, con gentilezza, con amore, con pazienza, eccetera. Gli buttai là qualche domanda un po’ tecnica, e mi resi conto che aveva firmato dei contratti-capestro. L’altro ieri lo stesso autore mi ha telefonato, pieno d’angoscia, perché in casa editrice lo trattano come una merda. E certo. I suoi libri di qualche anno fa vendevano bene. Gli ultimi due sono andati malissimo. La vacca, quando non dà più latte, si manda al macello.
    Solo che lui, l’autore, non capiva. non si rendeva conto.

  58. Giulio Mozzi Says:

    Sull’argomento: Pubblicare un libro: 4 domande per 4 editor.

  59. RobySan Says:

    “La musica è arte e scienza allo stesso tempo. Deve quindi essere sentita emozionalmente e compresa razionalmente”, dalla introduzione di Grammatica della musica, di Otto Karoly.

    Sostituite “letteratura” a “musica”.

  60. Franci Says:

    Davide, attento ai pozzi… Perdoni la leggerezza Mr. Mozzi. Dico la mia cercando di non avvelenare, se no sembra sia venuta qui solo a spammare (fatta la rima). L’editore per decidere di pubblicare, e mi lasci aggiungere: un bel libro, avrebbe bisogno di una buona dose di coraggio, quella che in realtà manca. L’editore, o chi per lui, dovrebbe abbracciare la passione, prima ancora degli introiti, e semplicemente osare. Inoltre l’editore, sempre per pubblicare un buon libro, dovrebbe smettere di immaginare, come troppo spesso accade, all’eventuale stupidità di noi lettori, perché quella, quando c’è, non sarà un pessimo libro ad evitarla.

  61. Arlen Siu (@paolobruschi) Says:

    Solo un paio di precisazioni.

    – A proposito di “pelle e corteccia cerebrale”: ne sono convinto, non era un’esagerazione metaforica. Scegliere e scartare manoscritti è operazione diversa dal selezionare mele in base al calibro sul nastro trasportatore: stiamo parlando di arte, e un editor non si può sottrarre dal prioritario compito di scovare l’emozione in un romanzo. Perchè il lettore, quando sceglie un libro, non sta forse cercando e comprando un’emozione?

    – Quando scrivo “Chiedersi se i lettori potranno condividere questa sua emozione”, sto descrivendo un’operazione da “lato imprenditoriale” dell’editor. Ovvero, chiedersi se il libro piacerà. Ok, se verrà venduto.

    (Grazie della sua gentile risposta)

  62. sergio l. duma Says:

    Faccio i complimenti all’autore dell’interessante articolo. Questo è il mio primo commento nel blog e cercherò di essere breve. Non conosco la situazione delle traduzioni di opere italiane all’estero e quali siano le motivazioni che spingano gli editori a tradurne alcune a scapito di altre. Ma per ciò che concerne il mercato italiano, da semplice lettore, mi pare che in effetti ci sia un eccesso di provincialismo. Sarà responsabilità degli scrittori? O degli editori? Non saprei. Tuttavia, mi domando: se uno scrittore italiano presentasse a un editore, invece del solito thriller ambientato in provincia, un romanzo con un protagonista bisex dalla doppia personalità che fa sesso con un individuo che si fa chiamare Gesù Cristo e la cui trama coinvolge una cantante industrial chiamata Venere Supersonica, un gruppo di lucertole intelligenti, una comitiva di ragazzi ossessionati dall’Apocalisse che frequentano le chat, una popstar che ha l’hobby di ammazzare cagnolini, un sedicenne che ha interpretato San Giovanni Battista in un film porno e altri personaggi simili, avrebbe la possibilità di farsi prendere in considerazione?
    Grazie dell’attenzione.

  63. Giulio Mozzi Says:

    Arlen, tu fai una domanda:

    … il lettore, quando sceglie un libro, non sta forse cercando e comprando un’emozione?

    E io rispondo: no, secondo me no.

    Detto questo: quali sono le prove che si possono portare per sostenere la tua ipotesi (formulata in forma di domanda, ma è comunque un’ipotesi), e quali si possono portare per smentirla?

    Sergio: sì, se l’opera è bella. No, se non lo è.

    Certo, può essere un pochino più semplice che piazzare un’opera del tipo: un commissario di polizia di Vigevano, separato dalla moglie, indaga su un misterioso omicidio che via via lo porta a risalire alla ‘ndrangheta milanese, ecc.; e come sottotrama, il conflitto con la moglie separata e soprattutto con la figlia che non lo riconosce più come padre ecc.; magari in mezzo ci si mette un rapimento intimidatorio della figlia da parte dei malviventi, ecc.

    Chi volesse leggere il romanzo in questione, quello scritto da Sergio L. Duma, clicchi per esempio qui. Chi lo volesse per Kindle, clicchi qui. Io l’ho appena comperato.

  64. Giulio Mozzi Says:

    Franci: metti che l’editore abbia da pagare degli stipendi, un affitto e relative bollette, le tipografie e così via.

    Non dico certo che il mio editore preferito sia quello che pensa solo al profitto. Ma l’editore che si dimentica del profitto non è il mio preferito.

    Chi avesse voglia di leggere il mio articolo qui sopra, noterà che in nessuno dei sette punti si difende il profitto per il profitto. Al contrario, si dà qualche suggerimento per la pubblicazione di libri invendibili.

  65. Giulio Mozzi Says:

    Ahi, ahi, Sergio L. Duma. Leggo la prima frase:

    I tempi terribili arrivarono ufficialmente non appena finii di fare sesso con Gesù Cristo, però non lo sapevo ancora e di conseguenza, non provai particolare agitazione.

    La virgola dopo “di conseguenza” proprio non, ci va.

    😉

  66. Franci Says:

    Mr. Mozzi: il benedetto profitto, aldilà dell’autore, è il risultato di un accurato marketing. Sono gli editori a decidere cosa vendere, non devo dirglielo io. Vedi pubblicità, proprietà allettanti di titoli e copertine, primi posti in libreria e finanche recensioni fatte su richiesta senza neanche una lettura; il tutto studiato a tavolino per noi branco di pecorelle. E allora, al posto di pubblicare il libro di qualche raccomandato, che magari sarà pure fotogenico, ma scrive così-così, si potrebbe riversare lo stesso impegno su autori meno famosi, ma capaci e, credo, anche meno pretenziosi del soggetto famoso di turno (così resta qualcosa per le bollette). Questo intendo io per osare. A noi lettori questo “commerciale” ci ha stufato! E ci sarà un motivo se in Italia i lettori sono sempre meno.

  67. RobySan Says:

    “il benedetto profitto, aldilà dell’autore, …”: questo è un lapsus fantastico!

  68. Franci Says:

    ahahah perdono!

  69. Franci Says:

    La fretta… (ancora rido!)

  70. Arlen Siu (@paolobruschi) Says:

    Confesso che la domanda, così formulata, era un’ipotesi fino a un certo punto. Diciamo metà ipotesi e metà domanda retorica.
    Non ho statistiche alla mano. Ma personalmente l’emozione è l’unico aspetto che cerco in un libro, come in qualsiasi altra opera d’arte.
    E l’arte – e questa volta la domanda è pienamente retorica – non è forse l’espressione creativa capace di veicolare emozioni (e messaggi soggettivi, certo)?

  71. Franci Says:

    (Che poi, caro RobySan, detto tra noi è un errore che faccio spesso, me l’hanno corretto anche due gg. fa, ma col benedetto possiamo dire che ci sta da Dio? 🙂 )

  72. sergio l. duma Says:

    Gentile Guido,
    Sono convinto che non mi crederà mai ma ci provo… con il mio post non intendevo certo farmi pubblicità, anche perché sarebbe stato davvero un modo meschino per pubblicizzarmi. La mia domanda era più che altro riferita alle grandi case editrici. L’editore che ha pubblicato il mio testo, come avrà visto, è piccolo. Ma, senza fare nomi, in passato alcune persone che lavoravano per grosse etichette, rispondendomi mi dicevano: ‘Lei è interessante ma ascolti questo consiglio: scriva di cose più realistiche, più legate alla realtà quotidiana e così via.’
    Riconosco che avrei dovuto essere più chiaro. Spero di non aver fatto una brutta figura e se sono risultato opportunista e offensivo nei confronti suoi e del blog mi scuso ufficialmente.

  73. Sara Says:

    Giulio, penso che il punto 9 (o il 10, o via di seguito) dovrebbe riguardare l’autore. Tanti libri si pubblicano perché c’è un autore, al di là del valore letterario che può esserci o meno. Un editore può considerare di vendere un autore più che un libro. O forse questo è un aspetto che riguarda più in generale la comunicabilità? È interessante che l’autore possa diventare anche un brand, con tutte le conseguenze del caso (è stata la Rowling, mi pare, a pubblicare recentemente un libro sotto pseudonimo).

  74. gian marco griffi Says:

    Davide è durato un giorno e mezzo, non m’ha manco dato il tempo di dirgli che come al solito sono in disaccordo con lui su quasi tutto.
    Per il resto c’è le librerie piene di robe non realistiche, non legate alla realtà quotidiana. Mi pare. Volevo dire n’altra cosa ma è cominciata la partita.

  75. Andy Says:

    … il lettore, quando sceglie un libro, non sta forse cercando e comprando un’emozione?

    Riformulando, l’acquisto di un certo bene risponde a un’esigenza (aspirina per il mal di testa, cibo per la fame, macchina per gli spostamenti etc).

    Nemmeno io sono convinto che l’esigenza principale dietro l’acquisto di un libro sia di tipo emotivo. Leggere un libro è qualcosa di meno estemporaneo che “provare un’emozione”. Per quello, probabilmente, vanno meglio le poesie. E Lucio Battisti.

    Credo che innanzitutto leggere sia qualcosa che ha molto a che fare con il tempo libero e con due esigenze parallele: l’intrattenimento e l’automiglioramento. Quando le due opzioni coincidono, la lettura è un piacere intenso, prolungato, superiore a (quasi) tutto.

  76. dm Says:

    Ma, a ben guardare, ci sono leggenti “patemici” e leggenti algidi, leggenti sentimentali e leggenti ipercognitivi, leggenti amorosissimi e leggenti anaffettivi. E stando solo alla (per così dire) sfera affettiva. E quindi all’esito. Quanto al processo della lettura, be’ ci sono leggenti ipervisivi e sordi ai suoni, leggenti immaginativamente cecati e “melomani”, come pure leggenti corporei (che reagiscono con sensazioni) e leggenti mentali (con un corpo dimenticato) eccetera. Forse quando si parla della lettura, bisognerebbe partire dai leggenti (preferisco usare “leggente”, sul calco della distinzione scrittore/scrivente, dato che, io credo, non tutti i leggenti sono dei veri lettori. Ma è una mia idea).
    Insomma, non la lettura, le letture. Con scopi diversi, indecifrabili magari distanti anni luce.

    Io, per esempio, leggo per imparare a scrivere. E scrivo per imparare a vivere. Perciò leggo per imparare a vivere attraversando la scrittura. Ma c’è chi scrive per imparare a leggere. E chi legge per disimparare a scrivere (o dimenticarsi come). E chi legge e basta (i lettori ingenui, i più affidabili per chi scrive – credo). Insomma, siamo una galassia. E l’astronomia non ci aiuta.

  77. Arlen Siu (@paolobruschi) Says:

    Rispondo ad “Andy” e a “dm”:
    innanzitutto ricordo che io stavo parlando di narrativa, e più specificamente di romanzi. Tagliando fuori la divulgazione scientifica e altre categorie.
    E non parlavo di lettura, ma di letteratura.

    Poi vanno benissimo gli anaffetivi, i patemici, i corporei, i detrattori di Battisti. E anche chi compra un libro perché gli balla il tavolo.
    Ma vorrei sapere chi sceglierà mai un romanzo, in mezzo a tanti altri, sapendo a priori che non suscita emozione alcuna.

  78. Giulio Mozzi Says:

    Franci, ma a chi stai parlando?

    Arlen: quindi, se ho ben capito, la tua domanda/ipotesi va intesa non nel senso che tu ipotizzi che “un lettore” (ossia: “tutti i lettori”) comperino libri in cerca di emozioni, ma che “un lettore” (tu) compera libri in cerca di emozioni. Resta da scoprire perché mai li comperino gli altri 18 milioni di compratori di libri (mi fermo all’Italia).

    La nuova domanda che poni,

    Ma vorrei sapere chi sceglierà mai un romanzo, in mezzo a tanti altri, sapendo a priori che non suscita emozione alcuna,

    è di tutt’altra specie. Se parli della motivazione del lettore, parli d’una cosa; se parli della potenzialità emotiva di un testo, parli di un’altra cosa. Decidi dunque di cosa vuoi parlare, e possiamo parlarne; altrimenti, facciamo solo confusione.

    Sara: ho cercato qui di fare un ragionamento su un editore ideale, interessato alle opere letterarie, non cannibale (= mangiatore di autori, cioè di persone umane).

  79. Giulio Mozzi Says:

    Sergio: mi chiamo Giulio.

    Lo so che non hai fatto nulla per farti pubblicità. I link al tuo lavoro li ho messi io.

  80. sergio l. duma Says:

    Ok.
    Chiedo scusa per il Guido. Un’altra gaffe.
    Quanto a me lettore, personalmente quando acquisto un libro sono spinto da diverse motivazioni. A volte ci può essere la curiosità nei confronti dell’autore o del testo in questione. In linea di massima prediligo scrittori che lavorano sul linguaggio, indipendentemente dalle tematiche affrontate. Un utente ha tirato in ballo le emozioni. Per ciò che mi concerne, se un libro mi emoziona, ben venga; ma per me non è un fattore determinante. Alcuni romanzi di Doris Lessing, per esempio, non mi hanno comunicato nulla a livello emotivo; ma li ho trovati ugualmente validi. Quindi, la questione è piuttosto complessa, almeno secondo me.

  81. Arlen Siu (@paolobruschi) Says:

    D’accordo. Faccio un passo indietro. È la prima volta che intervengo nel forum e mi rendo conto che devo adattarmi al registro degli utenti e del gestore, e alla loro capacità di analisi.

    Credetemi, però:
    – non volevo essere così supponente e scontato da identificare il mio sentire con il sentire comune. Il mio era semplicemente un tentativo di accostarmi alla definizione stessa di arte, a cui la letteratura non deve mai dimenticarsi di appartenere.

    – Per “emozione” non intendevo certo (o meglio: solamente) la “potenzialità emotiva di un testo” come Giulio dice. L’emozione può essere il frutto di più sollecitazioni che giungono alle vibrisse (caffé pagato) del lettore: non solo un bacio scoccato dal protagonista ad una comparsa quando meno ce lo aspettavamo (scusate, non mi è venuto un esempio meno osceno), ma il compiacersi della padronanza del linguaggio, della capacità dell’autore di prendere per mano il lettore, della maestria nella modulazione del ritmo…
    È la percezione della bellezza, dell’originalità (in ogni sua declinazione) dell’opera.

  82. deborahdonato Says:

    Giulio, l’articolo mi fa chiarezza da un lato e mi mette una sorta di cinica tristezza, dall’altro. Non parlo di me, perché mal tollero le lagne di chi non riesce a pubblicare pur sentendosi Thomas Mann. Parlo, invece della Letteratura. Nel panorama editoriale attuale mi sembra spesso che scompaia una idea guida, una funzione e per usare una parola forte una “poetica”. Ma prima di accusare editor ed editori, io accuso gli scrittori (ovviamente parlo con una forzata universalizzazione, che non vuole essere qualunquismo, credetemi). Riflettevo l’altro giorno sull’incipit de L’uomo senza qualità. Quale scrittore avrebbe oggi il coraggio di quell’incipit? Tutti avrebbero paura che l’editor cestinerebbe immediatamente il manoscritto. Chi ha oggi il coraggio della mancata punteggiatura di Joyce? Chi sente su di se non il compito di vendere il proprio libro ma di fare compiere un passo – più o meno grande a seconda del talento che si ha – alla meravigliosa storia letteraria a cui ogni scrittore dovrebbe sentire di appartenere? Vedo invece, come dicevi tu sulla ricerca spasmodica di un Autore da mungere, un individualismo sfrenato, l’incapacità di fiutare il periodo storico in cui viviamo, di cercare uno stile, di dare forma e quindi comprensione al mondo attuale. In poche parole di assumersi l’ingrato compito di essere poeti (nel senso anche civico di questo termine). Purtroppo la scrittura spesso diventa un’attività salottiera.
    Vorrei un tuo parere,perché sicuramente hai delle opinioni molto più veritiere – basate cioè su un’esperienza – delle mie.
    Grazie.

  83. F T De Nardi Says:

    Thomas Mann, Joyce, Musil… Scusa se mi intrometto, tutti scrittori stranieri…spero tu li abbia letti in originale.
    Che italiani potresti citare al loro posto? A me, per un uso straordinario della punteggiatura viene in mente Berto, per esempio, il Male oscuro

  84. Giulio Mozzi Says:

    Deborah: io sono – tecnicamente – uno “scrittore” (ho delle opere letterarie, belle o brutte che siano, pubblicate da editori considerati serii); eppure, ti confesso, non sento minimamente la responsabilità di far compiere un passo alla meravigliosa storia letteraria eccetera. Sarà che non riesco a sentire come “meravigliosa” la storia umana. Sarà che della letteratura non m’importa niente (m’importa delle persone).

    Quanto agli autori che non hanno paura di vedersi cestinata l’opera, agli autori che hanno il coraggio di scrivere un incipit meteorologico come Musil o di fare un uso personalissimo della punteggiatura eccetera, a me pare che non manchino. Basta guardare, che so, Aldo Busi o Michele Mari. So anche che ci sono opere più difficili da pubblicare e opere più facili da pubblicare.

    Dovremmo però abituarci, secondo me, a ricordare che la letteratura, così come le altre arti, ha anche funzioni ricreative. Non si può chiedere a ogni opera, a ogni autore, di condurci sempre a sublimi esperienze. Tutti noi leggiamo dei romanzi (più o meno ben fatti) per passare il tempo (in treno…), così come ascoltiamo musica più o meno buona mentre diamo la cera ai pavimenti o appendiamo in sala una riproduzione d’un Van Gogh perché ci piace avere lì qualcosa di bello e luminoso.

  85. deborahdonato Says:

    Si, sulla funzione ricreativa e ludica della letteratura, sono perfettamente d’accordo. Utilizzando ancora la musica, amo canticchiare Daniele Silvestri, ma non gli chiedo di essere Bach. Io intendevo la capacità di rappresentare, non esclusivamente in chiave realistica, il mondo che viviamo, di lasciarlo intendere a chi verrà dopo. Io insegno storia e mi accorgo che spesso più delle opere di storiografia sono i romanzi a svelarci il cuore di un’epoca . Per capire la fine del mondo asburgico leggere Musil, Kraus o Schnitzler. Per comprendere cosa fosse lo stalinismo, faccio leggere La fattoria degli animali o 1984, ecc…
    Mi sembra manchi oggi – ma forse non l’ho trovato io e chiedo consiglio – un’opera che possa ad esempio narrare cosa è diventata l’Italia e non mi appello a nessun neorealismo, perché trovo Kafka più veritiero di tanti realisti. Cosa rrsterà, insomma, di questi anni letterari?
    Riguardo la domanda di Nardi, nonostante fosse posta in un tono che io non utilizzerei neanche con il mio alunno più impreparato, rispondo con piacere. Musil e Mann sì, ho letto alcune parti delle loro opere in tedesco, Joyce solo in traduzione. Riguardo gli italiani, non ho letto il libro che citi, ma metto Pirandello, Calvino e Gadda tra i grandi maestri di stile.

  86. F T De Nardi Says:

    Se il mio tono era scortese o sarcastico me ne scuso. Solo che mi fa incavolare e anche ridere, che si citino sempre opere straniere, e siccome parliamo in italiano – questo molti se lo dimenticano- penso che sia importante prima conoscere la propria letteratura (ergo lingua) e citarla, e poi leggere quella straniera, in originale, se si può, altrimenti con traduzioni appropriate. Tutto qui. Infatti, di letteratura italiana si parla sempre troppo poco, e se se ne parla poco se ne vende poco, e si citano sempre esempi stranieri come mostri della lingua, non riflettendo che sono stati letti spessissimo in traduzione… ( una volta erano di affermati scrittori o poeti italiani… Quelle di oggi, meglio lasciar stare) Conosco persone che adorano scrittori inglesi/ giapponesi/ etc. e non sanno una parola di inglese o di giapponese e nel contempo, non sanno nulla di letteratura italiana, mi chiedo dunque con che serietà e gusto della lingua, e consapevolezza linguistica possono affermare di conoscerli e apprezzarli, visto che mi pare, i libri si scrivano ancora con le parole… E lo stile ha la sua voce e il suo colore.

  87. deborahdonato Says:

    Perfettamente d’accordo, tanto che sto imparando un po’ di francese con l’unica motivazione di assaporare dal vivo la voce del mio amatissimo Proust (così ho completato la trilogia dei miei favoriti). Ma sulla letteratura italiana, che dire? La amo e la insegno pure (in modo alterno, solitamente insegno filosofia). Tra l’altro il commento di Mozzi sulla letteratura siciliana, mi ha mandato in un brodo di giuggiole. Ciao.

  88. davide Says:

    applauso per l’ultimo intervento di ft de nardi,appena qui sopra

  89. RobySan Says:

    Un’occhiata qui (c’entra solo di sfuggita).

  90. davide Says:

    cit. da De Nardi

    “” Infatti, di letteratura italiana si parla sempre troppo poco, e se se ne parla poco se ne vende poco, e si citano sempre esempi stranieri come mostri della lingua, non riflettendo che sono stati letti spessissimo in traduzione… ”

    è così,è così

  91. Marisa Says:

    Tutte le dissertazioni del mondo si riassumono in termine solo: FORTUNA! E’ una parola che ha attraversato i millenni in maniera discreta, decidendo, di fatto, delle sorti degli uomini…Scrittori compresi. Un libro, per essere pubblicato, non può prescindere dalla Fortuna ( e non sto delirando!) Basta farsi un giro tra i presunti best seller della letteratura attuale per rendersi conto di quante schifezze ci ammorbano. L’autopubblicazione può risolvere molti problemi, compresi quelli relativi ai pregiudizi sulle singole opere che non possono essere giudicate da una sola persona, per quanto competente sia. E’ la massa che, a suo capriccio, decreta la validità o meno di un libro. Mi sembra questo il punto di vista più obiettivo. Un saluto.

  92. davide Says:

    marisa,personalmente,non son troppo d’accordo

  93. sergio l. duma Says:

    La fortuna è un concetto molto aleatorio. Così come è molto vago il termine ‘massa’ che comunque non decreta affatto la validità o meno di un libro. Se un libro,indipendentemente dal successo o dall’insuccesso, continua ad essere pubblicato, analizzato e studiato nel corso del tempo, ha buone probabilità, secondo me, di essere ritenuto valido. Insomma, se ancora oggi qualcuno legge a tanti anni di distanza ‘Se Questo E’ Un Uomo’ di Primo Levi (cito il primo titolo che mi viene in mente), qualcosa significherà. Forse ciò avviene perché il testo in questione è valido, indipendentemente da ciò che può decretare la ‘massa’. Inoltre, esistono capolavori indiscussi della letteratura che alla loro uscita il grande pubblico ha ignorato. Non di meno rimangono capolavori. Con il metro di giudizio di Marisa, i libri di Fabio Volo dovrebbero essere considerati di qualità, quindi, dal momento che il grande pubblico sembra gradirli. La fortuna non c’entra assolutamente nulla. Non esistono libri validi non pubblicati. Magari uno scrittore può impiegare anni a farsi prendere in considerazione da qualcuno ma se il testo è buono ce la farà. Quanto all’auto-pubblicazione… sì, può anche capitare che possa esserci un buon libro auto-pubblicato, non lo nego… ma per la maggior parte dei casi si tratta di opere mediocri quando non pessime scritte da sedicenti scrittori che non trovano giustamente spazio in ambito editoriale ma si ostinano a scrivere. La chiamerei una fiera della mediocrità, ecco.

  94. davide Says:

    “”Se un libro,indipendentemente dal successo o dall’insuccesso, continua ad essere pubblicato, analizzato e studiato nel corso del tempo, ha buone probabilità, secondo me, di essere ritenuto valido.””

    e vale,anche,tra gli altri, per almeno un libro di umberto eco,almeno uno di Brizzi,almeno uno della Tamaro e almeno uno di paolo giordano,tra gli altri

    bene o male,questi li si studia,anche se hanno ed hanno avuto i loro avversari.

    Di quelli di fabio volo,per cntro,fra due anni,non parlerà piu nessuno

  95. sergio l. duma Says:

    Sì, Davide, sono d’accordo con te. Ovviamente, come ho già scritto, ho fatto il nome di Levi perché è stato il primo che mi è venuto in mente, ma il discorso si applica a tanti altri scrittori, compresi quelli che hai citato, al di là del fatto che abbiano avuto i loro detrattori.

  96. davide Says:

    ciao,sergio,

    poi certo tra i moloch (anche non”accademici” ) e gli “istant book” ci son tante vie di mezzo,sfumate:

    che so,dubito che ken follet e wilbur smith saranno studiati in futuro,se non dai sociologi della letteratura:certo verran ristampati per qualche lustro e piu ancora

    e che dire poi della tanto strombazzata letteratura americana?passi Brest Easton Ellis,quasi un classico,ma i tanti nomi molto strombazzati dal 2000 in poi,mi sa verran letti(ma oggi solno letti?) e dibattuti molto meno

  97. sergio l. duma Says:

    Be’, io ho un debole per la letteratura americana, quindi in questo caso sono poco obiettivo. Il tempo darà la risposta. Credo che comunque David Foster Wallace resterà. Probabilmente accadrà pure con William T. Vollmann… poi ci sono gli autori Avant-Pop che trovo godibili ma sopravvalutati, tipo Palahniuk e altri che ritengo forse meno capaci di superare la prova del tempo. Vedremo. Ciao.

  98. Giulio Mozzi Says:

    … i tanti nomi molto strombazzati dal 2000 in poi…

    Quali?
    Ovvero: potresti provare, Davide, ogni tanto, a nominare ciò di cui parli?

  99. davide Says:

    giulio ,in campo letteratura italiana,come ricorderai ho fatto anche troppo spesso nomi di libri o autori che non mi piacevano-e anche quassù,il caro david foster wallace lo ho criticato piu volte, eccome…

  100. Gianni Says:

    Se io fossi il responsabile di una casa editrice assolderei un gruppo di comuni lettori per giudicare le opere degli autori che mi arrivano sul tavolo. In fondo sono loro che acquistano i libri e non i soliti critici letterari con la puzza sotto il naso che puntualmente cannano le previsioni di vendita.

  101. F T De Nardi Says:

    Anche io ho un debole per la letteratura americana, però ho l’enorme fortuna di poterla leggere senza traduzione e allora leggo veramente letteratura americana ed è un’altra storia. Poi posso godermi quella francese in francese e ovviamente l’italiana. Non leggo altre lingue, da un po’ di anni, perché, tradotte in italiano, di che nazionalità sono?

  102. davide Says:

    un semi ot ,solo un secondo:madison stuart bell e bret easton ellis(!!!)sulle pere di david foster wallace,diedero giudizi durissimi:

    ..e loro le leggevano in originale…

  103. davide Says:

    sulle opere,volevo dire,sorry

  104. sergio l. duma Says:

    @De Nardi: anch’io leggo autori americani e inglesi in originale, ogni volta che ne ho la possibilità; perciò ritengo di poter dare un giudizio basato appunto sulle opere e non sulle traduzioni, per quanto ben fatte.

    @Davide: conosco le opinioni di Ellis nei confronti di Wallace che rispetto ma non condivido. In definitiva, si tratta sempre di un giudizio individuale.

  105. davide Says:

    sergio,Ellis ha un caratteraccio,è noto-ma madson stuart bell,uno scrittore del profondo sud usa che non è famoso per aver un caratteraccio,anzi ne lessi una pregevole intervista a lui fatta in italia,e che negli usa è pure apprezzato per le sue pere,ha dato lo stesso un giudizio duretto su dfw….

    morale:al mondo ho trovato piu aspiranti critici di dfw che non lettori di dfw..

  106. davide Says:

    opere,volevo dire ancora,vabbè,il tasto O del laptop mi sta abbandonando,chiedo venia

  107. F T De Nardi Says:

    @Sergio. Grazie della precisazione. Concordo

  108. gian marco griffi Says:

    Sì ma a noi che DFW ci piace – e tanto -, di madison square garden e bret easton ellis e degli altri suoi critici che secondo te sarebbero milioni, che cazzo ce ne frega?

  109. davide Says:

    gian marco:al mondo, ogni tanto,bisogna anche “contarsi”

    …sennò si prendono per interessanti tutte le mode del momento,fossero anche letterarie..

  110. sergio l. duma Says:

    Gian Marco Griffi ha detto quello che ho cercato in fondo di dire io in maniera più pacata :). Per me, Davide, non è questione di avere o no un caratteraccio; lo trovo, anzi, irrilevante nel contesto della discussione. Ellis, che pure adoro, ha espresso un giudizio negativo su Wallace, più che legittimo, intendiamoci. Lo stesso ha fatto Bell. Ma si tratta, appunto, di giudizi individuali. Personalmente, non sono interessato alla questione. Se un libro mi suscita emozioni e uno scrittore mi coinvolge, non bado ai giudizi altrui. Secondo me, sarà il tempo a stabilire se Wallace è stato o no un grande scrittore. Io penso che perlomeno ‘Infinite Jest’ rimarrà. Parere personale, of course.

  111. davide Says:

    ah sergio se vedi sopra,ho risposto subito a gian marco…

  112. davide Says:

    io penso che nel giro di 3 anni nessuno,tranne qualche dipartimento di filologia,parlerà piu di dfw,forse qualcosa negli usa ma si sa di accademici originali la ne han qualcuno

  113. Giulio Mozzi Says:

    Davide: per l’ennesima volta ti rifiuti di nominare ciò di cui parli. Alla prossima, ti bandisco (come ho fatto alre volte).

    A me “Infinite Jest” è sembrato un gran bel romanzo. E belli mi sono sembrati anche i racconti. Questo non mi impedisce di vedere che David Foster Wallace è, nella sostanza, un epigono di scrittori forse meno amabili di lui (e Dfw è risultato anche a me molto amabile) e forse meno virtuosi (nel senso di Paganini). “Il coltivatore del Maryland”, “Giles ragazzo-capra” e “La casa dell’allegria” di John Barth sono opere (romanzi i primi due, racconti con cornice il terzo) che suscitano meno simpatia umana (Barth, tra l’altro, da giovane aveva – almeno della foto, sempre quella, che l’editore italiano faceva circolare – una notevole faccia da assassino psicopatico maniaco tipo telefilm) ma a me sembrano molto, molto più belle. In più (che non è essenziale, ma conta qualcosa almeno sul piano sotrico) sono più originali.

  114. Giulio Mozzi Says:

    Ah, Davide, lo scrittore che citi come “madson stuart bell” è forse Madison Smartt Bell? Io ho letto “Quando le anime si sollevano” e mi è sembrato un romanzone storico assai bello e forte – ma niente di nuovo.

  115. Giulio Mozzi Says:

    Gianni, scrivi:

    Se io fossi il responsabile di una casa editrice assolderei un gruppo di comuni lettori per giudicare le opere degli autori che mi arrivano sul tavolo. In fondo sono loro che acquistano i libri e non i soliti critici letterari con la puzza sotto il naso che puntualmente cannano le previsioni di vendita.

    Quali sarebbero, questi critici letterari? Puoi nominarli? Almeno qualcuno?

    A me non risulta che i critici letterari si occupino di previsioni di vendita. Non ne conosco nemmeno uno che lo faccia. Mentre mi risulta che le grandi case editrici abbiano cominciato da qualche anno a fare delle indagini di mercato piuttosto serie.

    D’altra parte, il libro è spesso un prodotto così a basso costo che l’indagine di mercato più economica consiste nel pubblicarlo e vedere come va.

  116. davide Says:

    “”D’altra parte, il libro è spesso un prodotto così a basso costo che l’indagine di mercato più economica consiste nel pubblicarlo e vedere come va.””

    meccanismo che effettivamente è andato bene-forse-fino all altro ieri,ma che ggi inizia a mostrare un pò la corda

    piu che far indagini di di mercato(e per converso piu che ascoltare i critici-qualche volta ciò davvero avviene o è avvenuto)- gli editori farebbero meglio ad avvicendare piu spesso i responsabili della narrativa italian,qua e la:come avviene in tutte le economie liberali,in altri campi,dalla lockheed-martin alla bmw (in italia avviene?mah,pare meno)

  117. gian marco griffi Says:

    Davide: ti noleggerei e ti metterei lì al bar per farti parlare tutto il giorno di letteratura. Vitto gratuito. Altro che Juke-Box, non dovrei manco pagare la siae.

  118. Giulio Mozzi Says:

    Davide, con il libro digitale quel modo di fare la “ricerca di mercato” diventa ancora più economico.

    Già oggi chi compera i libri autoprodotti in Amazon fa, di fatto, “ricerca di mercato” per conto degli editori.

    Non vedo perché le aziende dovrebbero mandar via dei dirigenti, se fanno il fatturato che gli si chiede di fare. E se non lo fanno, non ci pensano due volte a mandarli via.

    Ieri sera, al bar, uno si lamentava che il calcio italiano va male perché le società sportive cambiano continuamente allenatore, non lavorano per “costruire” eccetera. Questo appunto – accolgo il suggerimento di Griffi – è il livello della conversazione: quello del bar, basato sul disdegnoso rifiuto dell’informazione e dell’argomentazione..

  119. davide Says:

    no guarda giulio,il luogo comune sull italia,non è che la gente “va e viene troppo spesso” bensì IL CONTRARIO 😀 (vero che viene avvicendata poco)

    ..E CREDO CHE LA COSA STIA COSì,lo si dice anche in altri campi

    dici : “Non vedo perché le aziende dovrebbero mandar via dei dirigenti, se fanno il fatturato che gli si chiede di fare. E se non lo fanno, non ci pensano due volte a mandarli via.”

    peccato,il tutto mi risulti molto piu tortuoso che non così come sopra : appena trovo un vecchio articolo di daniele brolli su un”pulp “di otto anni fa,dove veniva detto che il tutto è molto molto molto meno lineare (apperò eh!)

    non colgo il riferimento ai bar:giulio son anni che quassù ci mi sgolo dicendo che un certo procurement dei testi di narrativa italiana ha il focus fuori campo,beh le scarsissime vendite in giro non mi dirai che son solo colpa della crisi economica,no :)?

    come mi ha detto uno,in privato, che mi leggeva quassù o per argomenti similari,su fb : “se lei è così bravo a fiuto, davide,perchè non si propone lei come scouter di testi altrui ?a gratis ovviamente!”

    😦 vabbè 🙂

  120. davide Says:

    nb :giulio,il voler sempre far pensare che le proprie argomentazioni sono quelle anche solo metodologicamente giuste,potrebbe anche far venire il sospetto che lo stesso le argomentazioni degli altri non le legge,o non le comprende

  121. Maria Luisa Mozzi Says:

    Da leggere, anche se non aggiunge granchè al dibattito: http://www.sulromanzo.it/blog/l-algoritmo-al-posto-dell-uomo-ora-valuta-anche-i-manoscritti

  122. Giulio Mozzi Says:

    Davide, ma io non sono mica convinto che solo le mie argomentazioni sono quelle (metodologicamente) giuste!

    Ho soltanto l’impressione che tu parli spesso a vanvera, tutto qua.

    (Ricordo l’articolo di Daniele Brolli).

  123. davide Says:

    ah giulio io non so se le tue argomentazioni sono metodologicamente giuste,però a naso direi che sei un pò troppo innamorato delle tue griglie interpretative,diciamo,che ogni tanto,si sa,van riviste….

  124. Andy Says:

    Sono disposto a fare un salmone con pelle croccante in qualsiasi giorno della settimana -escluso il lunedì – sulle griglie interpretative di Giulio Mozzi.

  125. RobySan Says:

    Ed è probabile che il nostro non sia estraneo a tutto ciò.

  126. Gianni Says:

    Pardon, ho scambiato i critici letterari con i consulenti editoriali. In ogni caso anche la prima categoria da me citata non è esente da colpe poiché, attraverso recensioni più o meno accomodate, cerca di influenzare i lettori a seconda del proprio tornaconto.

  127. davide Says:

    tempo fa (speriamo giulio non se la prenda)parlo ,altrove,in chat, con una donna conosciuta su questo blog (ne ho conosciute ben piu di una,quindi riconoscerla è impossibile) che mi fa:

    “sai a me piace leggere il blog di vibrisse..però”

    io: “però,,cosa?”

    “nn so..”-fa lei -“i gusti in fatto di libri di Gm,non so,no saprei come definirli,però mi pare che,ecco,ehm non sono sicura,mah..”

    io :”..ah dico Gm mica ha un gusto fisso,credo,però ecco diciamo avrà letto anche un bel po di quei libri che io,dico io, definisco “da nord est dolente…”

    lei: “ah si si veroooooo! non sapevo come definirli masssì è cosìììì bravooooo”

    (ci si potrebbe quasi far un racconto,ma il dialogo sopra,è vero,nel senso che suppergiù mi è accaduto così)

  128. acabarra59 Says:

    ” Martedì 19 agosto 2014 – Al mio figliolo che, insieme al mio nipotino, tornava da un giretto sul canotto Explorer 200 appena acquistato al negozio cinese di Alberobello (BA) al prezzo per nulla modico di euro 35 (32 con lo sconto) ho avuto voglia di dire, quando avessero preso terra: « Era già l’ora che volge il disìo ai navicanti / e ‘ntenerisce il core… ». Ma poi mi sono reso conto di quanto sarei stato ridicolo se l’avessi detto – magari avrebbero capito solo che volevo andarmene, e avrebbero anche capito bene – e non ho aperto bocca. L’importante è fermarsi in tempo. “.

  129. Giulio Mozzi Says:

    Gianni: di quali consulenti editoriali parli? Puoi fare il nome di qualcuno, e citare degli esempi di previsioni di vendita “cannate”?

    Davide: sapresti descrivere le mie “griglie interpretative”?

    (Come al solito: tanto per capire di che cosa si parla).

  130. davide Says:

    giulio,riallacciandomi in parte all argomento del thread,vorrei far ri-notare che sopra ho fatto una domanda:

    “son anni che quassù ci mi sgolo dicendo che un certo procurement dei testi di narrativa italiana ha il focus fuori campo,beh le scarsissime vendite in giro non mi dirai che son solo colpa della crisi economica,no :)?”

    non solo non hai risposto tu(non sei obbligato ma avrei gradito)-ma con la timidezza che contraddistingue molti,non ha risposto nessuno

    poco male, parte del popolo è così ,è talmente fissata sulla retorica qualità vs quantità che ci si dimentica spesso che sotto certi livelli quantitativi non si “vive”

    nb:tanto per rimanere in topic, vorrei far notare che un altro libro dalle rese epocali fu “ho sognato don chisciotte” di romina power….

  131. F T De Nardi Says:

    Ti rispondo io e ti dico che hai detto una verità sacrosanta. Molti libri vengono pubblicate per il nome dell’autore, basta vedere che si dà più importanza all’autore che al libro… Quindi tutti sono autori, io preferisco quei libri dove invece della bio dell’autore mettono una paginetta di assaggio. E poi funziona l’effetto tonno Rio Mare… Compri un “prodotto” che conosci o che hai già sentito, non un “tonno” sconosciuto… Etc. Etc. Etc… Ma è così in molti settori, per quello ci sono certi casini in giro, altro che crisi. Mettono l’incompetente e l’incapace. Ma basta, non scrivo altro che son cose che sono stranote.

  132. davide Says:

    salve ft,
    probabilmente ne avevam gia parlato sopra in qualche pst passato,ma io resto convinto-anzi ho gia spegato- che la percentuale di “libri fatti da tizio gia famoso -per altro-” sia,sul totale,irrilevante

    è ,può essere, rilevante come numero di copie vendute(ma non sempre peraltro,vedasi flop della Power..),ma numericamente i libri fatti da “celebrities”sul totale,saran 4-5 all anno-questi su un centinaio e piu di titoli di narrativa piu o meno pubblicizzati da editori mainstream piccoli medi o grandi ,di cui si arriva a parlare,poniamo,su settimanali e mensili-come si vede,poca roba

    quindi torno al punto di partenza:se in italia il comparto narrativo arranca,è per altri motivi,non certo per i 2-3 libri l’anno di celebrities che davvero vendono e che aiutano a rimpolpare il bilancio(come del rest,quando ci sono ,i blockbuster anglosassoni)

    Non è questini di incompetenti o incapaci:è questione di poco fiuto, e poco intuito

    uno/a posson aver fatto tutti i master in editoria del mondo e ave runa cultura enciclopedica,,ma se non han fiuto e intuito,c’è poco da fare

    il problema non è la traduzione di megaseller in alto o qualche libro trash di troppo in basso,il problema è tutto quello che ci sta in mezzo:

    E molto di tutto quello che ci sta in mezzo ,per come è l’italia ora,per i gusti che han molti addetto a lavori,per il milieu di cui è fatta la cultura italiana libresca (catto sinistrese esistenzial rousseauvsta con pochi isole diverse,qua e la)finisce per produrre opere curate,educate, con la”voce”,etc etc ma che al pubblico interessano poco..il lettore non può crollare a pag 20…

    capita che “gli esperti” si sbaglino:

    si sbagliò Mc Namara sul vietnam,si sbagliò Donald Rumsfeld sull iraq..si son sbagliati un bel po di economisti dalla fine del 2008 ad oggi..etc etc..solo che i quest campi,strategici ,prima o poi si corre ai ripari, a volte cambiando direzione drasticamente :in editoria, par di no, almeno in italia..:(

  133. F T De Nardi Says:

    Che manchi il fiuto è vero, infatti lo sostituiscono con altre “skills”… Come in molti altri settori.

  134. Giulio Mozzi Says:

    Davide: guarda sul sito dell’Aie (Associazione italiana editori) e trovi tutte le analisi che vuoi sullo stato del mercato.

    I libri delle celebrità godono spesso di un finanziamento preventivo, soprattutto se la celebrità è in declino. Ovvero: l’editore ci guadagna comunque.

    Il problema, Davide, è che tu sei convinto di una quantità di cose che non sono vere. Ad esempio scrivi:

    …se in italia il comparto narrativo arranca,è per altri motivi,non certo per i 2-3 libri l’anno di celebrities che davvero vendono …

    Ora: non è vero che “il comparto narrativo arranca” (nel confronto con la saggistica, la divulgazione, i tascabili ecc.); e i libri delle celebrità sono più di quelli che credi.

    E scrivi:

    … il milieu di cui è fatta la cultura italiana libresca (catto sinistrese esistenzial rousseauvsta con pochi isole diverse,qua e la)finisce per produrre opere curate,educate, con la”voce”,etc etc ma che al pubblico interessano poco…

    Peccato che quel “milieu”, dentro le case editrici, sia stato fatto fuori quindici anni fa. Oggi, nelle case editrici, c’è gente che pensa solo al fatturato.

    Davide: sveglia!

    Il mondo è diverso da quello che t’immagini tu.

    Non serve a nulla che tu ti rigiri sempre i tuoi soliti tre pregiudizi vaghi e confusi.

    Se vuoi parlare di editoria, mercato eccetera, prima raccogli qualche informazione.

    Se ragioni sistematicamente a partire da dati sballati, di tua invenzione, pregiudiziali, eccetera, dirai sempre e solo sciocchezze.

  135. davide Says:

    non so chi dicesse “opinione piu opinione,si arriva al centro delle cose..”

    ecco qua quindi un curioso passaggio di un intervista a Giovanni Cocco

    “”La qualità autoproclamata dai Soloni della Rete non ha nulla a che vedere con l’editoria reale. Esiste un’editoria virtuale ed esiste un editoria reale. Qualità e successo commerciale possono coincidere (penso a Vitali, Malvaldi, Rumiz, Maurensig e sono solo i primi nomi che mi vengono in mente). Il problema non sono i best seller o la letteratura. Il problema è tutto ciò che sta nel mezzo. Il 90% della produzione attuale. “”

    al di la dei nomi degli scrittori che egli apprezza,leggere bene quando dice:

    “Il problema non sono i best seller o la letteratura. Il problema è tutto ciò che sta nel mezzo. Il 90% della produzione attuale. “”” 🙂

    decisamente,direi che siamo in pieno in topic 🙂

  136. davide Says:

    ops,dimenticavo, l’intera intervista si può leggere qui

    http://www.libreriamo.it/a/4435/giovanni-cocco-al-premio-campiello-concorro-per-vincere.aspx

  137. Giulio Mozzi Says:

    Il 90% della produzione attuale è ciò che mantiene in vita il comparto.

  138. RobySan Says:

    Ciò che io non ho capito è in quale senso Cocco ritenga “un problema” quel 90% “che sta in mezzo”. “Sta in mezzo” significa che è senza infamia e senza lode? Che è produzione che non tocca né vette di arte né vette di cassa? Ma questa è la norma. E’ così anche per i salumi, il vino, le canzonette e chissà quant’altre cose. E se non si intende ciò, allora cos’è quel 90%? Che “problema” rappresenta?

  139. davide Says:

    sopra,c’è il link dell intervista intera,spero si veda

  140. RobySan Says:

    Infatti, Davide, io ho inserito il mio commento “dopo” aver letto l’intervista a Cocco, non prima. E il mio “non ho capito” a quella si riferisce. Lì, secondo me, il nostro, oltre a esporre un punto di vista – che non discuto – e fare un elenco dei personaggi che secondo lui han valore e van salvati, non spiega proprio nulla. Non dice “quale” è, secondo lui, il problema rappresentato da quel 90%. Di questo genere d’interviste mi pare si possa dire che non aggiungono nessun elemento di analisi. Giulio dice, lapidariamente, che il 90% della produzione è ciò che mantiene in vita il settore. Probabilmente è vero. Ma anche questo è ovvio. Non riesco a immaginare un mercato editoriale (non è di questo che si tratta?) basato esclusivamente sulle eccellenze. Qualcuno di voi (altri commentatori, magari dotati di esperienza nell’editoria) ci riesce?

  141. davide Says:

    eh secondo me ,forse -(dico:forse)intendeva-ipotizzo- dire una cosa tipo:

    ..in ogni narrativa nazionale ci son libri ultrapopolari e-o best seller piu o meno facili o spammati, da una parte; e “letteratura” alta per -pochi-palati ultrafini,dall altra,agli antipodi. Ma il grosso,il 90%,tutto quello che sta in mezzo, e piu difficile da incasellare,è quello che fa sapere,che fa dire, se la narrativa nazionale è in salute o meno..

    secondo me così sarebbe un discorso calzante

    Cmq ho scritto a Cocco su fb in mp, e vediamo se ci risponde

  142. Gianni Says:

    Presto accontentato signor Giulio. Katrin Stocket, autrice del romanzo “The Help” divenuto un best seller pubblicato in 35 paesi, nel giro di 2 anni ha ricevuto oltre 60 lettere di rifiuto. Lo spagnolo Falcones, autore de “La cattedrale del mare”, che ha venduto 4 milioni di copie in 40 paesi, ricevette molte lettere con scritto ‘non rientra nella nostra linea editoriale’. Carlos Ruiz Zafòn si sentì dire da gente del settore editoriale che il suo manoscritto ‘L’ombra del vento’ non avrebbe venduto più di 3 copie. La Rowling stessa collezionò una decina di rifiuti prima di pubblicare il suo “Harry Potter”. Stessa sorte capitò ad Herman Melville con “Moby Dick”, Richard Bach e potrei continuare all’infinito. Queste notizie le ho attinte da uno dei tanti siti internet che trattano l’argomento e non mi sono inventato nulla. Per completare la mia disamina, citerò uno scrittore italiano e precisamente Antonio Pennacchi. Costui si vide rifiutare il suo romanzo “Mammut” ben 56 volte ad opera di 33 editori diversi, ma non si perse d’animo e continuò a rispedire il suo manoscritto cambiando di volta in volta il titolo. Tutto ciò serve a dimostrare la mia tesi: meglio far giudicare le opere da chi, come gusti e cultura, si avvicina di più all’utente finale, altrimenti le cannate sono sempre in agguato.

  143. sergio l. duma Says:

    Il fatto che questi libri siano stati a suo tempo rifiutati dagli editor non significa nulla. Sono sempre stati altri editor che in seguito li hanno accettati. Se nell’ambito di una casa editrice un comune lettore dovesse giudicare un manoscritto e stabilire cosa pubblicare, dovremmo rassegnarci a vedere pubblicati molti ‘Harry Potter’ e pochi ‘Moby Dick’. Capisco che il grillismo ha dato la stura alle baggianate della ‘democrazia diretta’ ma, per favore, non inseriamole pure in ambito editoriale.

  144. davide Says:

    beh gianni,però:

    il primo libri della tamaro,ebbe svariati rifiuti (era “la testa fra le nuvole”,non propri un moloch)e la cosa non mi sorprende particolarmente:infine fu pubblicato credo da Marsilio ma banalmente,altri che lo ebbero tra le mani lo giudicarono troppo etereo:infatti quel libro PRIMA del successo del terzo libro della tamaro non vendette molto

    ma appunto un casi del genere si ricollega a quanto diceva in alto.Ok linea editoriale propria di un editore (che col tempo tra editori è diventata piu simile di quanto non fosse negli anni 70,insomma a qualcosa che venda ci fan l’occhiolino tutti)ma di opere “calviniane” ed “eteree” non credo avesse bisogno la letteratura italiana 25 anni fa..e men che meno oggi…semplicemente perchè già il mondo culturale è così,peccato non si riesca a capire che il popolo che legge voglia anche e sopratutto altro-tra la Kinsella e wilbur smith da una parte e l’opera esordiente che cito,c’è un oceano,di possbilità narrate,diciamo,in mezzo:questo molti sembrano non capirlo.

    ah,poi in alto Cocco parlava -senza nominarli-di “… qualità autoproclamata dai Soloni della Rete non ha nulla a che vedere con l’editoria reale”””

    ecco,ad alcuni di questi soloni un libro come i primi due della tamaro(ripeto,il suo primo libro ebbe molti rifiuti) poteva pacere;per inciso,quei due libri,(diversi,molto,da “va dove ti porta il cuore”)piacquero anche a federico fellini

    però:tonnellate di commentatori,economisti,esperti vari,non fan che dire ,ultimamente-o da mò.Forse ma prima erano inascoltati- “italia,cultura troppo shiftata sulle discipline umanistiche,ragazzi vi prego fate anche qualcosa di pratico,non andate solo al liceo e dopo all università a lettere e dopo a sperare in un lavoro di uffici,ci vorrebbero anche piu ingegneri,molti tecnici,matematici,fisici,etc etc..e un bel po di infermieri,assistenti di base e cuochi e pizzaioli!”

    ed è vero,molto del mondo orientale l’ha capito e infatti ci sta dando la polvere-però quando applicato all ambito lavorativo non sembra un discorso manicheo,se lo fai in campo culturale,i soliti soloni-e anche imprevedibili fans -gridano allo scandalo

    Ultimamente gridano un po meno,il mercato,le librerie,son così ko(per motivi molto vari,certo) che forse qualche best e long seller ci vuole-piu spesso- con buona pace delle opere da 2000 copie (cioè:di quelle che da subito si vede che qualcosa venderanno..ma mai troppo!e questo è un discorso un po diverso da quello di Gianni)

    (ieri ero con amici per pesca + grigliata e su varie persone passate a far chiacchere sulla argine -eravam molto conviviali,la gente si fermava a far due chiacchere..qualche rivista sulle bici si vedeva ma libri,no -l’unico con un libro sul telo poco lontano,credo di esser stato io…)

  145. Giulio Mozzi Says:

    Gianni: qui stiamo parlando del mercato italiano, quindi l’unico esempio davvero pertinente è quello di Pennacchi. Non hai citato il nome di nessun “consulente editoriale”. Hai citato “gente del settore editoriale”, “un dirigente editoriale”. Come “consulente editoriale”, sono quindici e passa anni che sperimento una certa differenza di vedute tra i “consulenti” (che non hanno responsabilità di fatturato) e i “dirigenti” (che ce l’hanno). Dico questo perché vorrei che si cercasse di dire A quando si parla di A, B quando si parla di B, eccetera. Altrimenti si fa come al bar.

    La tua conclusione,

    Tutto ciò serve a dimostrare la mia tesi: meglio far giudicare le opere da chi, come gusti e cultura, si avvicina di più all’utente finale, altrimenti le cannate sono sempre in agguato.

    a me pare un non sequitur. Sarebbe come dire che: poiché si può provare che talvolta i medici sbagliano, meglio sarebbe far curare gli ammalati da ha condivisa la malattia (magari guarendone spontaneamente). E questo senza averci provato (cioè: senza un gruppo di controllo).

    Il punto è: finché si continuano ad allineare storie singole, casi singoli, eccetera, si può sostenere qualunque cosa e il suo contrario – e sempre con fondamento insufficiente.

    Ah: Melville pubblicò “Moby-Dick” nel 1851; e fu un disastro di vendite, benché diversi critici letterari (in quanto tali non appartenenti, suppongo, al numero di coloro che “come gusti e cultura, si avvicinano di più all’utente finale”) lo avessero giudicato assai positivamente. La sua carriera editoriale da quel momento declinò.

  146. Giulio Mozzi Says:

    Sulla retorica dell’incompetenza, peraltro, ho già scritto qui.

  147. davide Says:

    “Sarebbe come dire che: poiché si può provare che talvolta i medici sbagliano, meglio sarebbe far curare gli ammalati da ha condivisa la malattia (magari guarendone spontaneamente). E questo senza averci provato (cioè: senza un gruppo di controllo).””

    un medico,o un gruppo di medici,posson sbagliare,qualche volta su 100-ma se sbaglian 15 volte su cento,beh…..:(

    la vita è fatta anche di caratteri quantitativi,non solo qualitativi

    la verità,in discorsi para filosofici,non è mai sbilanciata completamente a uno dei due poli,e ,contrariamente a quanto dicevano i latini,raramente è nel mezzo preciso.

    in realtà il discorso di gianni ha un suo senso (l’obiezione di guardare solo ai confini nazionali,mi pare ingiusta)

    scrive giulio:

    “Il punto è: finché si continuano ad allineare storie singole, casi singoli, eccetera, si può sostenere qualunque cosa e il suo contrario – e sempre con fondamento insufficiente.”

    giulio,di esempi,io e altri non ne abbia portato uno(da mesi in qua)ne abbiam portati tanti,tanti…

    ritornerò sulla questione,ma ora,un godibile esempio-fuori dal contesto letterario-culturale-che credo possa divertirvi 🙂

    Nei primi anni 80,l’industria aeronautica italiana e quella brasliana(!!)progettano un areo da attacco leggero chiamato Amx per le due aviazioni militari dei rispettivi paesi-certo se arrivassero commesse da paesi terzi non sarebbe male e per questo è fondamentale scegliere bene il motore,un componente vitale (in italia e brasile si aveva da sempre poca industria motoristico-aeronautica,mentre sulle cellule si era abbastanza capaci)

    la scelta è tra un motore inglese,uno americano,e uno francese(i motori russi,vista l’epoca,ancora pre-muro di berlino,era ovviamente out)

    quello francese appare out da subito,l’italia ha qualche amicizia di troppo in Libia all epoca(azionariato fiat,petrolio,armi,altro..)mentre la francia è una fiera avversaria di gheddafi (lo è rimasta anche dopo,come ricorderete per le vicende del 2011..)

    quello americano viene scartato:si ha paura che gli usa neghino il permesso di riesportazione della componentistica di ricambio dei motori degli aerei in quei paesi(e sono molti)con cui hanno ruggini (o piu banalmente che lo facciano perchè loro vogliono esportare piu aerei made in usa,che non di produzione straniera ma con parti usa anche se fatti da alleati..c’è una bella differenza tra una royalty e una vendita di interi aerei!)

    rimane il motore inglese:la gb ha ottime relazioni con tanti paesi del 2° 3 ° mondo,etc etc…

    peccato che nell ambiente aeronautica militare non sia sia troppo soddisfatti della scelta del motore inglese:non avevam grossi programmi in comune con la G.b da tempo,molti motori inglesi sembran esser un po retrò su molte cose,etc etc..

    le obiezioni vengono fatte ma dall industria aeronautica italiana arriva una risposta che suona così “voi militari occupatevi delle tattiche,che noi dell industria ci occupiamo di progettazione,management,idee,e rapporti con le industrie estere..!”

    gli anni passano,l’aereo esce in linea nel 1989,dal ’90 in poi inizia qualche problema-dal 90 al 99 di amx ne cadono diversi in incidenti di volo,e dico diversi-che la cosa capita quando si fan mille aerei,è normale:quando se ne producono solo 132,è un po diverso..

    ma il peggio deve ancora venire: nel 92 l’argentina mostra interesse per l’aereo:peccato che il famoso motore inglese ha la componentistica sotto embargo per l’argentina,visto che il paese sudamericano ha grane con la gb per la famosa vicenda delle isole falklands riconquistate dalla gran bretagna dopo la guerra dell 82…:( morale:non si vende) e dire che la gb non ha molte altre vertenze con altri paesi!ma con l’argentina,si! 😦

    poi è la volta della thailandia:metà anni 90,l’interesse sembra concreto,peccato che sul mercato di seconda mano ci siano decine di f-16 americani diventati surplus dopo la caduta del muro di berlino e la fine dello spauracchio sovietico..:( i thailandesi comprano Usa, quindi..)

    poi è la volta,qualche anno dopo del Venezuela,fine anni 90 :mostra interesse,ma parte della armamento omologato solito i piloni dell aereo è usa:in venezuela spuntano gia qua e la i venti “chavisti” (da chavez,il famoso presidente dittatore rosso)e qui gli usa mettono il veto…:D

    morale:l’amx se lo tengon solo brasile e italia…. 😦

    quando io e altri appassionati parliamo con ufficiali dell aeronautica militare italiana(ce ne sono anche su FB) della vicenda (che non vedono l’ora che l’amx venga sostituito dall f-35..) e gli chiediamo che morale se ne tragga,ci viene risposto:

    “..vatti a fidare degli esperti….” 😀

  148. Stefano Trucco Says:

    Non so: quanto ci si può fidare delle caotiche opinioni sulla letteratura di un presenzialista logorroico chiaramente a disagio con la lingua italiana?

  149. davide Says:

    ma sa,non è che che ci si deve “fidare” 😀 –

    lei stesso,signore,esordisce con un”non so”

    io invece penso un po di sapere dov’è il problema

    cmq semmai è chi non la pensa come me,che dovrebbe chiedersi:

    “la strada seguita fin ad oggi,proprio di pianificazione non dico culturale,ma almeno nel campo letterario,diciamo,è giusta?”-

    secondo me,No! 😀 e temo di esser in buona compagnia,a pensarla così 🙂

    in giro c’è un diffuso malcontento,per come vanno le cose nel campo ITALIA & NARRATIVA-non da ora,ma da qualche lustro..

    non si pretende che qualcuno con furore luterano salti su e dica “sii!siii è vero ci siamo sbagliati!”, 😀 però davvero c’è un humus culturale che credo non aiuti a trovare nuove gemme,o anche libri con un ispirazione un po diversa dalle solite cose da esistenzialismo dolente che manda il comparto narrativo italico

    decenni fa quelli del gruppo 63,non si scagliarono solo contro “la trama”,ma proprio con un certo modo di vedere il mondo (se ricordo bene,nelle pagine dei vari Cassola,Bassani,e anche Pasolini,in parte)

    beh adesso c’è bisogno di un nuovo gruppo 63,possibilmente con meno fissa sul linguaggio e contro la trama ma davvero contro certe rugiadosità tra il malinconico e l’intimista -buonista che pervadono davvero troppi libri…da qui a far letteratura “di destra” ce ne corre,tranquilli….

    i libri delle celebrities,anche televisive,per contro, nel mentre sono l’ultimo dei problemi

  150. dm Says:

    Davide, io preferirei leggere il tuo ultimo commento scritto così.
    Ho messo gli spazi dopo le virgole, le maiuscole, aggiustato un poco la punteggiatura. Tutte cose che si possono fare in modo meccanico.
    Mi sembra più presentabile, oltre che più decifrabile (in tutta onestà, il commento mi sembra… Be’.)

    Ma sa: non è che ci si deve “fidare”. Lei stesso, signore, esordisce con un “non so”. Io invece penso di sapere dove sia il problema.
    Comunque, semmai, è chi non la pensa come me che dovrebbe chiedersi:

    “La strada seguita fino ad oggi, di pianificazione non dico culturale, ma almeno nel campo letterario, diciamo, è giusta?”

    Secondo me, no! E temo di essere in buona compagnia… a pensarla così.

    In giro c’è un diffuso malcontento, per come vanno le cose nel campo ITALIA & NARRATIVA – non da ora, ma da qualche lustro.

    Non si pretende che qualcuno, con furore luterano, salti su e dica: “sii! siii è vero ci siamo sbagliati!”. Però davvero c’è un humus culturale che credo non aiuti a trovare nuove gemme, o anche libri con un’ispirazione un po’ diversa dalle solite cose da esistenzialismo dolente che manda il comparto narrativo italico.

    Decenni fa, quelli del gruppo 63 non si scagliarono solo contro “la trama”, ma proprio contro un certo modo di vedere il mondo (se ricordo bene, nelle pagine dei vari Cassola, Bassani, e anche Pasolini, in parte).

    Beh, adesso c’è bisogno di un nuovo gruppo 63, possibilmente con meno fissa sul linguaggio e la trama; ma davvero contro certe rugiadosità tra il malinconico e l’intimista-buonista che pervadono davvero troppi libri… Da qui a fare letteratura “di destra” ce ne corre, tranquilli.

    I libri delle celebrities, anche televisive, per contro, sono l’ultimo dei problemi…

  151. davide Says:

    caro dm,mi creda,grazie, ma la “forma” sopra non mi interessa granchè

    semmai non capisco la frase “in tutta onestà, il commento mi sembra… Be’.” p

    ..”commento”..mah!forse i commenti,nel senso che sopa e da mò di commenti ce ne sono tanti:

    e ogni tanto,senza troppa diplomazia,sarebbe anche il caso di contarsi o schierarsi(possibilmente senza dir le solite cose)-Tranquilli,mica c’è da sbarcare a omaha beach!

    “”“”La qualità autoproclamata dai Soloni della Rete non ha nulla a che vedere con l’editoria reale. Esiste un’editoria virtuale ed esiste un editoria reale. Qualità e successo commerciale possono coincidere (penso a Vitali, Malvaldi, Rumiz, Maurensig e sono solo i primi nomi che mi vengono in mente). Il problema non sono i best seller o la letteratura. Il problema è tutto ciò che sta nel mezzo. Il 90% della produzione attuale. “”” (G.C.)

    direi che qui c’è abbastanza pane per denti-di chiunque-

  152. Stefano Trucco Says:

    ‘La “forma” non mi interessa granché’ – direi che così non si va da nessuna parte. Non sarebbe il caso di provare a creare (o produrre, se preferisci) qualcosa che ne valga la pena, invece di schizzare seme sterile per tutta la Rete? Fra l’altro, anche a volersi limitare alla critica, non sarebbe una buona idea provare a renderla leggibile e piacevole? Anche la critica fa parte della letteratura, no? Da quando ho cominciato a provare sul serio a scrivere la quantità dei miei interventi online è scesa drammaticamente (non scomparsa del tutto perché sono un chiacchierone): insomma, devi scegliere. Anche se so benissimo che provarci implica la possibilità del fallimento mentre limitarsi a espettorare commenti alla belin di cane possa dare l’illusione di dire qualcosa al mondo senza correre rischi…

  153. Giulio Mozzi Says:

    Davide, scrivi:

    la vita è fatta anche di caratteri quantitativi,non solo qualitativi

    Certo. Però tu ragioni solo con numeri di tua invenzione: questo è il problema.

    E con ciò: fermo questa discussione, nella quale mi pare di aver cercato – ma senza successo – di far notare l’inutilità delle chiacchiere sconclusionate.

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