di giuliomozzi
Pensateci un momento: che cos’hanno in comune le piattaforme di autopubblicazione, il concorso Io scrittore inventato da Gems, il programma Masterpiece, il Movimento 5 stelle, l’ironia di Berlusconi sul “teatrino della poltica”?
Risposta (facile): hanno in comune la retorica dell’incompetenza.
Mi spiego. I politici? Tutti ladri, tutti a casa. I boiardi di stato? Tutti ladri, tutti a casa. I grandi dirigenti delle grandi aziende? Tutti ladri, tutti a casa. I sindacalisti? Tutti ladri, tutti a casa. E così via. E’ almeno un ventennio che questo disco suona e suona sempre la stessa canzone: così che, ormai, nel senso comune [1], la cosa è diventata ovvia.
E poi: ha fatto carriera? L’hanno spinto, ha leccato il culo, ha pagato, l’ha data a quello giusto, lo hanno messo a posto, gli hanno fatto il concorso su misura, i concorsi sono truccati, e così via. E’ almeno un ventennio che questo disco suona e suona sempre la stessa canzone: così che, ormai, nel senso comune, la cosa è diventata ovvia.
Eccetera.
Basta fare un giretto nella rete per ritrovare la medesima canzone a proposito del mondo editoriale: i dirigenti (soprattutto delle grandi aziende editoriali) non capiscono niente, non ne azzeccano una, non sono capaci di riconoscere i lavori letterari, non sono capaci di far fare soldi alle loro aziende, trattano i libri come fossero salami (o formaggi ecc.), e così via. E la Repubblica delle lettere è tutta una consorteria, è una mafia, è un magna-magna, i critici parlano bene solo dei libri degli amici e dei parenti, se vuoi essere pubblicato e/o riconosciuto devi avere amici Tizio e Caio, eccetera. E’ da quanto frequento l’ambiente – cioè da almeno un ventennio – che questo disco suona e suona sempre la stessa canzone: così che, ormai, nel senso comune, la cosa è diventata ovvia.
La logica conseguenza di tutto questo è, inevitabilmente, la promozione dell’incompetenza a virtù, e a virtù necessaria. Voto la lista 5 stelle perché saranno inesperti, ma almeno sono onesti. Voto Forza italia perché saranno farabutti, ma almeno sono estranei al teatrino della politica. E così via.
In un concorso come Io scrittore si viene giudicati dai propri pari, non da professionisti dell’editoria. Nella mia esperienza, circa nove su dieci tra gli speditori di dattiloscritti non è in grado di accorgersi che la propria opera è brutta. Immaginando che le quote siano sempre più o meno quelle, nove su dieci dei giudizi espressi in Io scrittore sono espressi da persone che scrivono opere brutte e non sono capaci di accorgersene.
In Masterpiece si viene selezionati da chissà chi (chi ha scelto, tra i cinquemila – così dicono – testi pervenuti, quelli da prendere in considerazione?) e si viene giudicati da una giuria che è composta, certo, da scrittori: ma non da professionisti dell’editoria, cioè non da persone il cui mestiere è decidere che cosa si pubblica e che cosa no.
Il motto di lancio di un servizio come Il mio libro era esplicito: “L’hai scritto? Va stampato!”. Dal detto al fatto, senza attraversare nessun giudizio. E tutto l’ambaradam di concorsi, connessioni con case editrici e scuole di tecniche di narrazione, eccetera, serve solo a dare l’illusione che aver stampato sia la stessa cosa che essere stati pubblicati; e i “migliori libri” sono quelli “selezionati dalla community”.
L’autopubblicazione (cartacea, on demand, digitale) è cosa molto pratica e utile: ma se a diffonderla non è la sua praticità e utilità bensì il mito dell’arrivare al “successo” saltando tutte le mediazioni professionali (editori, agenti, negozianti…), allora siamo da capo.
E dunque? E dunque niente, è tutto qui. Siamo entrati nel dominio dell’incompetenza. Non è detto che sia del tutto una cattiva cosa.
—
[1] Definizione di senso comune.
30 gennaio 2014 alle 07:31
Gli incompetenti possono ancora imparare a far bene o addirittura meglio. I competenti (o almeno quelli che dovrebbero esserlo) hanno spesso la cecità che deriva dalla supponenza. Sarebbe auspicabile una buona dose di umiltà da entrambe le parti e forse le cose andrebbero meglio, ma questa è utopia. Non credo che amerei vivere nel dominio dell’incompetenza. Preferirei quello della sperimentazione e dell’accrescimento culturale, che non dovrebbe mai appartenere ad alcun senso comune.
30 gennaio 2014 alle 08:00
Tutto ciò è – forse, in parte – risultato del marketing che da decenni fa leva sui bisogni individuali. L’illusione aleggia costantemente intorno a noi.
30 gennaio 2014 alle 08:40
Qualche giorno fa in un blog fatto prevalentemente di recensioni, sinceramente non ricordo quale, tra i commenti di una netta stroncatura, c’era quello dello scrittore del romanzo, che un po’ si scusava perché era il suo primo ebook, ché sì, insomma, anche lui doveva imparare, e non poteva permettersi revisioni o correzioni di bozze! Una cosa tragicomica.
30 gennaio 2014 alle 08:56
sì, ma quando per esempio Claudio Magris scrive che non è mai riuscito a capire i criteri con cui si pubbblicano i libri per cui cose che sencondo lui non dovrebbero essere pubblicate vengono pubblicate e all’ opposto cose degnissime non vengono prese in considerazione l’incompetenza dove sta?
30 gennaio 2014 alle 08:57
Premetto: non ho particolari simpatie politiche per il M5S. Ma questo refrain della loro incompetenza mi sembra ormai un luogo comune; molto comodo per evitare una richiesta di competenza alla classe dirigente nel complesso. Ma quanta competenza si trova, altrove?
30 gennaio 2014 alle 09:03
Non parlo di incompetenza di fatto, ma di retorica dell’incompetenza e di senso comune. Paradosso: se vuoi essere accreditato, devi apparire incompetente.
30 gennaio 2014 alle 09:06
granitico, perfetto, questo piccolo pezzo.
30 gennaio 2014 alle 09:16
L’intrecciarsi dei discorsi – fibre che si annodano più o meno lungo uno stesso tracciato retorico, rinforzandosi a vicenda – riesce a creare mondi in cui poi andiamo ad abitare.
30 gennaio 2014 alle 09:38
Sara’ che, in nome di una supposta competenza (talvolta anche quella puramente retirica), per anni hanno costruito fortune politiche astute volpi?
Comunque non so in ambito editoriale (che e’ quello, mi sembra, che riveste il ruoli centrale nella tua analisi; per cui mi scuso per insistere su un aspetto forse laterale); ma non mi sembra che in ambito politico la retorica dell’incompetenza paghi, che serva a guadagnare credito. Non mi sembra che M5S si accrediti come incompetente ma onesto, e FI come farabutti ma estranei al teatrino. Prendono solo la parte positiva. Se poi chi li vota deve trovare simili giustificazioni, e’ un problema diverso, mi sembra.
30 gennaio 2014 alle 09:46
Concordo con la frase finale di Mozzi: «Non è detto che il dominio dell’incompetenza sia del tutto una cattiva cosa».
Pure la democrazia vede degli incompetenti (in economia, politica estera, scienza, agricoltura, istruzione, arte, ecc.) nominare un parlamento che poi deciderà – a maggioranza – su tutti quegli argomenti.
Che alternativa c’è? La platonica repubblica (meglio sarebbe chiamarla: dittatura) “dei filosofi”, cioè dei “competenti”? Non mi pare auspicabile, perché chi li sceglie i “filosofi” o nel nostro caso i competenti a giudicare della bontà d’un libro?
Se si scelgono da soli, qualunque scrittorucolo si autonomina.
Meglio affidarsi alla scelta democratica degli incompetenti: i lettori. Si decide a maggioranza: i libri “migliori” sono per definizione quelli più letti, che vendono di più.
30 gennaio 2014 alle 09:55
Tornando alla questione retorica: nel caso del mondo editoriale, qual è l’agenzia di queste retoriche dell’incompetenza? emergono dal basso? oggi, ma anche in passato (seppur forse con tempi più lunghi) sono supportate e alimentate da pratiche possibili come il self-publishing. dunque anche le pratiche possono essere delle retoriche?
30 gennaio 2014 alle 09:57
Credo che in un sistema globale e in un modello economico consumista, la competenza spesso può risultare un ostacolo, soprattutto a livelli non al top. Poi differente è ancora il discorso dei mercati dove si offre ciò che vende di più ma con dei distinguo per fasce di consumatori. Un lavoro prodotto da te è un prodotto di qualità che certamente vende a fasce di mercato competenti ma numericamente inferiori rispetto ad altre con esigenze più massificanti. Ma in un caso e nell’altro bisogna sapere ed essere competenti per proporre ciò che “serve”. Porta tutto questo in tutti mercati e aspetti sociali e il gioco è fatto. La mia conclusione è che l’incompetenza a volte è la competenza necessaria per la platea a cui si rivolge. Forse è anche per questo che non si comunica più. Ciao grazie per questa suggestione.
30 gennaio 2014 alle 09:59
Allora, Gatto, diciamo, correggendo un po’: la retorica degli homines novi.
Può andare?
Comunque, l’incompetenza non viene certo chiamata col suo nome. Quando B. se la prende con chi ha fatto della politica un mestiere, e propone sé o i suoi come persone che vengono, diciamo così, dal mondo reale, fa della retorica dell’incompetenza (dico questo per provare a spiegare cosa intendo).
30 gennaio 2014 alle 10:00
Eh no, qui fai di ogni erba un fascio. Prendiamo l’intervento di Villarosa contro la fiducia a Letta:
Altro che incompetenza! Ce ne fossero!
Prendiamo un editor a caso:
http://lucioangelini.wordpress.com/2011/03/14/nuovi-flagelli-delleditoria-leditor-iper-invasivo/
Non per questo non ne esistono di più rispettosi.
Resta una realtà politica italiana di inoppugnabile SFASCIO, la cui responsabilità va attribuita esattamente ai governi che si sono succeduti da vent’anni a questa parte.
30 gennaio 2014 alle 10:01
Paolo, scrivi:
Eh: ma io parlo del modo di decidere che cosa pubblicare. Cioè di quello che viene prima.
30 gennaio 2014 alle 10:27
Condivido quasi tutto. La mia perplessità è data dal fatto che non sono sicuro che l’incompetenza abbia raggiunto il dominio. Per esempio, i 5 stelle per il momento sono solo la terza forza politica in Italia e l’autopubblicazione non ha soppiantato per ora l’editoria professionale. L’incompetenza, in tutti i campi, ha fatto passi da gigante, grazie ai notevoli errori dei professionisti (errori dovuti al fatto che negli ultimi vent’anni anche nel professionale si è fatta strada l’incompetenza) e ad una incapacità generale del mondo nel recepire il flusso inarrestabile di novità tecniche, ma sembra che per ora non riesca a fare il salto di qualità (e non solo per l’ossimoro incompetenza-qualità). Che poi non sia una cattiva cosa che l’incompetenza tenda a farsi voce predominante del senso comune, è vero, a patto che la competenza, essendo competente, tragga esperienza da questo e ne utilizzi funzionalmente la grande carica latente. Per esempio, io che sono un grandissimo scrittore tendo a sfruttarla, più che posso, a mio vantaggio.
30 gennaio 2014 alle 10:47
Con homines novi capisco meglio, e cosi’ il tuo discorso mi sembra granitico, come e’ stato definito. Pero’: e’ vero, B. si accredita (ed e’ incredibilmente creduto) come homo novus. Ma competente perche’ ha molte aziende che gli fruttano milioni, una squadra di calcio che vince, ecc. Competentissimo. Grillo dice che le cose che dice lui le dicono fior fiore di scienziati inglesi, e i suoi sono preparatissimi perche’ si infornano sulla Rete, ecc. Tutti competentissimi.
Diversamente competenti, nella propria autopresentazione. Incompetenti non se lo dicono da se’, glie lo dicono gli altri.
30 gennaio 2014 alle 11:04
Avrei potuto usare la parola “inesperienza”, Gatto. Ma ha altri echi (vedi i discorsi su “la fine dell’esperienza”, “l’epoca dell’inesperienza”, eccetera).
30 gennaio 2014 alle 11:10
Il problema è che – come spesso – vero e falso si mescolano, si mischiano, si impapocchiano e in questo frullato l’operazione bisturi può essere fatta solo per chi ha accesso alle informazioni (e quante informazioni? Quali informazioni?).
30 gennaio 2014 alle 11:15
Ecco un esempio di uso della retorica dell'”inesperienza”; un po’ funzionale a quanto dicevo nel mio primo commento qui sopra. E infatti da “inesperienza” si passa poi, in poche ore, a “debuttanti”, forse perché ogni tanto ci si ricorda che si è considerati il quotidiano più “autorevole” del Paese…
30 gennaio 2014 alle 11:29
applausi a chi ha saputo renderla familiare, l’incompetenza. purchè non mi si renda obbligatorio un corso di formazione.
30 gennaio 2014 alle 11:35
Bene Giulio. Ma. Masterpiece e la “Rete che pubblica tutti” sono esattamente agli antipodi; anzi forse quello (in parte) cioè Masterpiece nasce perché c’è quella, la Rete. Ovverosia: in Rete, tantissimi, e idealmente tutti, vincono, cioè pubblicano (e aspetto ancora una riflessione radicale sulla “competizione” e l'”agone”, questo delirio occidentale). Ed ecco, che mentre tutti gozzovigliano nel miglior mondo possibile della Unità Indivisa di Casaleggio (per cui sei in Rete ergo Esisti), dove la selezione latita, nasce la Cruna dell’Ago di Masterpiece dove su cinquemila, Uno Solo (l’Eroe, il Vincente, “uno su mille” ce la fa di Gianni Morandi) vince, pubblica, gli altri sprofondando nel ventre caldo e vorticoso di un Possibile Oblio. Di qui l’emozione palpitante di chi assiste al nuovo sport estremo. Se gli dei (Zeus, Poseidone e Diana) ti eleggono, sei Arrivato (Illuminato). Certo le Antiche Crune (le case editrici, editor, redattori, consulenti letterari) mostrano, nella considerazione pubblica e nel tifone della crisi, crepe sempre più consistenti. E personalmente dico: è un peccato, qualificandomi come un nostalgico e un resistente…
30 gennaio 2014 alle 12:25
E può succedere che uno di IoScrittore arrivi sul palco del Campiello o vinca il Neri Pozza…
30 gennaio 2014 alle 12:30
Ma, Giulio, se fossero in grado di accorgersi che… ti manderebbero ugualmente il manoscritto? Non sarebbe un comportamento ancora più idiota?
Credo che si debba per amore o per forza accettare lo stato di cose: il web permette a tutti di far valere, per un tempo minimo, la propria inconsistenza o irrilevanza[*]. Quindi, essendo facilissimo ticchettare sulla tastiera mentre si guardano le gocce di pioggia scorrere sul vetro della finestra e le si paragona alle lacrime del primo amore, è iniziata una inondazione di “opere di battitura”. Con la convinzione che la “competenza” (letteraria) non conti perché ciò che conta è il “sentimento” o “l’urgenza interiore”.
Ma anche il “sentimento” è come la marmellata: meno ce n’è, più la si spalma.
[*]: non l’ho detto io. E’ stato l’Eco, mi pare.
30 gennaio 2014 alle 12:32
Su una cosa- in linea di principio- sono perplesso:
Giulio dici:”Nella mia esperienza, circa nove su dieci tra gli speditori di dattiloscritti non è in grado di accorgersi che la propria opera è brutta. Immaginando che le quote siano sempre più o meno quelle, nove su dieci dei giudizi espressi in Io scrittore sono espressi da persone che scrivono opere brutte e non sono capaci di accorgersene.”
In questo caso non tieni conto del concetto secondo cui “Ogni scarrafone e’ bello a mamma sua”, per il quale e’ molto difficile notare la bruttezza della propria opera, mentre potrebbe essere possibile notare la bruttezza dell’opera di qualcun altro.
in questo senso quel 9:1 e’ una stima forse poco rigorosa, altrimenti opere oggettivamente belle faticherebbero ad imporsi avendo a che fare con un pubblico incapace (cosa peraltro ampiamente sostenuta- certo non da te- ma che non mi trova d’accordo).
Se fosse vero peraltro, che senso avrebbe cercare opere belle se poi 9 lettori su 10 sono dei deficenti (inteso non come insulto ma come “persone alle quali manca qualcosa”)?
30 gennaio 2014 alle 12:35
Fuori tema: mi scuso per l’errore di concordanza. Anche a me scappano (“Circa nove su dieci… non sono in grado…”).
30 gennaio 2014 alle 12:39
Cito da RobySan:
O, in altri campi, conta l’ “onestà” (autotestimoniata).
30 gennaio 2014 alle 13:22
E il mio commento dov’è finito?
30 gennaio 2014 alle 13:30
vi è una grande confusione nella determinazione delle competenze, laddove le vecchie aristocrazie della competenza sembrano essere state abbondantemente soppiantate da una nuova classe di liberti arricchiti e cafoni; potremmo chiamarlo “Effetto Fabio Volo”, o “Effetto Calderoli”, quello per cui, a furia di vedere figure evidentemente incompetenti agitarsi nella piazza televisiva, ci si chiede: “perchè lui sì e io no?”; è evidente che la comunicazione broadcast, dal’uno ai molti, genera figure di riferimento nell’atto tecnico di reiterarne l’esposizione mediatica, dunque aldilà delle effettive competenze: la figura del “esperto nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” viene a coincidere con la figura del divulgatore o dello show-man, in questa maniera appiattendo ogni concezione della competenza, trasformando l’episteme in doxa; quello che non è trasparente, e dunque genera scontento e senso di ingiustizia, è il metodo attraverso cui vengono scelte le figure di riferimento; è in questo luogo oscuro, fuori dalle trasmissioni, dietro le quinte, laddove si ipotizzano le peggio nefandezze e persino le normali dinamiche relazionali degli esseri umani assumono accenti sinistri, che la retorica dell’incompetenza si rivela essere una retorica della competenza incompetente, in quanto incapace di opporre all’opacità altrui altro che non sia una notte dove tutte le vacche sono bigie, e dunque l’opacità dei criteri sia, paradossalmente, l’unico criterio legittimo di scelta (il Movimento 5 Stelle mi pare emblematico, da questo punto di vista).
30 gennaio 2014 alle 13:58
Questo tipo di problemi nasce quando i competenti non sono più percepiti facenti l’interesse di coloro i quali rappresentano (i lettori in letteratura, gli elettori in politica) ma i propri (delle loro piccole consorterie in ambito di lettere, delle loro piccole e grandi mafie in ambito politico). O, peggio, quando i comptetenti non sono più percepiti come tali, ma come cialtroni cooptati o autonominati.
Intervengono allora sulla scena due tipi di persone, a supplire: lo spesso in buona fede “onesto” (molto diffuso in campo letterario, dare pane al pane e vino al vino) e lo spesso in malafede “homo novus” (in politica, decisionismo e populismo, rincorrendo le istanze non soddisfatte degli elettori), più subdolo perché generalmente davvero alieno a qualsiasi peer review che ne attesti quantomeno la competenza specifica.
30 gennaio 2014 alle 14:43
La retorica del “sono tutti ladri”/ “sono tutti incompetenti” non nasce dal nulla.
Ogni politico e ogni giornalista ama riempirsi la bocca di critiche puntute sull’inefficienza della burocrazia italiana, sul malaffare, sul nepotismo o quant’altro, esattamente come molti scrittori/editori/sceneggiatori amano lamentarsi del mercato editoriale, delle sue deformazioni, della pochezza di certi prodotti. Il problema è che quando queste critiche non si trasformano in prese di posizioni nette – che portano a farsi nemici e complicano le carriere – chi osserva dall’esterno è ovviamente – e giustamente, aggiungerei – portato a dubitare della buona fede della critica. Da questo dubbio al “tutti i politici sono ladri”, o al “si fa carriera solo se si conoscono le persone giuste”, il passo è breve.
Se si propaganda l’idea che le deformazioni o le pochezze non sono eccezioni, errori da correggere, ma elementi fondanti del sistema (“così funzionano le cose”, “questa è la politica”, ecc.), non ci può poi stupire se emerge una retorica che condanna gli attori di un sistema ladro (o incompetente) come tutti ladri (o incompetenti).
30 gennaio 2014 alle 14:58
Hai ragione Giulio. E non è un luogo comune darti ragione, infatti parli politicamente scorretto. Da voce libera e competente. Complimenti Stefano.
30 gennaio 2014 alle 15:25
È il parossismo del tutto subito-tutto possibile-perché non io se quello. Per alcuni. Per altri è la voglia di provare altre strade. Credo. Sulla politica mi astengo perché vorrei solo dir male degli elettori, e anche questa è retorica, ormai. Ma in genere credo che spesso, da un lato e dall’altro del campo letterario, si confonda la pratica (il mestiere) col successo: imparare un mestiere ahi, per tentare il successo (che ovviamente in teoria porta soldi) basta giocare al lotto.
30 gennaio 2014 alle 15:29
Giulio, poni una questione interessante. A mio modesto parere, oggigiorno sempre più spesso si ha la sensazione che l’ignoranza (o l’incompetenza che dir si voglia) sia stata sdoganata. Oddio, che brutto termine… Depenalizzata forse è meglio. Cioè, un tempo avevano la vergogna per la propria ignoranza. Oggi dribblano ogni giudizio “professionale” senza patemi quando sarebbe buona abitudine non pronunciarsi mai su cose che non si conoscono e non occuparsi di questioni su cui non si hanno sufficienti nozioni. Eh si, l’incompetenza è depenalizzata secondo me. Ciao!
30 gennaio 2014 alle 15:38
Sì, forse “retorica dell’incompetenza” non rende perfettamente l’idea. Nemmeno “retorica dell’inesperienza” al netto degli echi culturali (che peraltro non sono completamente estranei alle cause… azzardo). Neanche “retorica degli homines novi” rende bene l’idea. Così si perde per strada l’incompetenza, appunto. L’homo novus dovrebbe avere almeno una abilità retorica, un qualche carisma; mentre, ad esempio, nel caso dei deputati a cinque stelle si sarebbero avuti risultati più apprezzabili con un’estrazione casuale dall’elenco del telefono…
Retorica dell’esogeno? (O dell’esogeneità?)
30 gennaio 2014 alle 15:39
Il tuo commento era finito nello spam, Lucio. Non so perché sia successo. Il sistema antispam blocca i commenti che includono più di due link, ma il tuo ne ha giusto due. Per di più li tiene tra i sospesi, invece il tuo è finito proprio nello spam.
Misteri.
Grazie per aver avvisato.
30 gennaio 2014 alle 15:40
Non so nel mondo letterario, altrove spesso l’incompetenza, essendo accompagnata sempre dalla raccomandazione, non viene considerata come totalmente ostativa a ricoprire un ruolo, anzi, diventa una specie di vezzo.
30 gennaio 2014 alle 15:57
Ecco, per esempio (io concordo):
http://www.linkiesta.it/rischi-del-self-publishing
30 gennaio 2014 alle 16:13
Il punto è che la retorica dell’incompetenza nasce da una base positiva, direi, in una parola, democratica, secondo cui chiunque è in grado e per questo bisogna dargli una possibilità. Questa logica non è sbagliata in assoluto, è sbagliata quando si fa credere che sia facile. I risultati li vediamo ogni giorno. Parlando del mondo editoriale, credo che tutti, case editrici, editor, consulenti, agenti letterari, potrebbero fare molto di più per rendere consapevole chi scrive che, parafrasando Natalia Ginzburg, se non ci si stanca, se non si fa fatica, è un brutto segno.
Credo anche che programmi come Masterpiece (con i consigli, per quanto discutibili, dei giudici) e tornei letterari come Io scrittore (con ebook a disposizione che donano un’infarinatura generale sulla scrittura) abbiano di fondo questa intenzione ma forse non la rendono evidente, vuoi per evitare un atteggiamento paternalistico – in chiaro contrasto con i principi democratici -, vuoi per ampliare il loro raggio d’azione a un pubblico progressivamente più ampio, che ha bisogno a volte come “primo aggancio” di essere persuaso, con la retorica – termine che mi sembra ovvio non sia per forza da intendere in maniera negativa. Sono forse troppo positiva riguardo alle intenzioni di tali progetti? Meglio costruttiva che disfattista, nel dubbio.
Per quanto riguarda la politica, certamente è giusto quello che scrivi ma forse non completo: se la promozione dell’incompetenza a virtù viene sfruttata spesso in maniera bieca dalla politica, c’è da dire che se altre strategie non hanno avuto altrettanto successo – attenzione, non sto dando giudizi di valore, non sto giustificando questo comportamento – è perché queste strategie non hanno considerato il coinvolgimento di ampi strati della popolazione, scegliendo invece la strada del distacco consapevole dal popolo (non posso essere paternalistico perché sono antidemocratico, non posso essere democratico fino in fondo perché sarei troppo retorico, e la retorica è un pericolo. Perciò, chi mi capisce mi segua, il resto non è importante). In pratica, un po’ come è successo a momenti alterni alla nostra letteratura. Insomma, non è un discorso così semplice, perché porta in sé problemi già affrontati in passato da politici e letterati e addetti ai lavori del mondo editoriale; perché porta in sé la difficile questione della legittimità della democrazia, fin dai tempi antichi, mi pare. Così se l’alfabetizzazione di grandi fasce della popolazione è considerata positivamente perché democratica, l’auto-pubblicazione e la libera scelta politica (diretta conseguenza di ciò) ancora destano dei dubbi riguardo ai metodi. In fondo credo sia normale che quando l’opinione pubblica arriva a comprendere fasce sempre più ampie della popolazione (anche grazie alla rete) ci sia più difficoltà a trovare una direzione unica perché le voci sono moltiplicate. Cosa resta da fare ai politici e agli addetti del mondo editoriale? Selezionare il meglio di queste voci, risultando essere a volte retorici, o guardare giù in maniera paternalistica, e ripeto antidemocratica, verso quella che si crede essere semplice incompetenza? Un bel dilemma. Ciò che forse si dovrebbe evitare di fare è, come dici, evitare lo promozione dell’incompetenza e invece incoraggiare le capacità di ognuno evidenziandone i difetti da superare. Ma forse mi manca il quadro generale, perché sono troppo giovane e non ho abbastanza esperienza o competenza.
30 gennaio 2014 alle 16:17
mi correggo: “Ciò che forse si dovrebbe evitare di fare è, come dici, promuovere l’incompetenza…”
30 gennaio 2014 alle 16:37
A me sembra che i due domìni — dominio della retorica dell’incompetenza e dominio dell’incompetenza — debbano essere tenuti ben distinti.
L’incompetente che è tale di fatto, al più e se ci riesce, può tentare di apparire fittiziamente competente; invece il competente di fatto, in un contesto non dominato dall’incompetenza generalizzata, ma in cui il dominio della retorica dell’incompetenza prende piede, potrebbe ritenere opportuno ragionevole utile urgente interessante necessario astuto inevitabile apparire incompetente, allineandosi o accomodandosi alla retorica in discorso anche nei fatti, magari dopo aver contribuito ad alimentarla. Farsi persuadere dalla retorica dell’incompetenza è probabilmente un rischio che oggi i competenti corrono.
Potremmo così ritrovarci dominati dall’incompetenza di fatto (lo siamo già?), consapevole di sé stessa però, complice, accondiscendente, che non ha neppure più bisogno di una retorica per affermarsi. Il dominio sarà sempre quello dell’incompetenza, i dominatori saranno in parte i detti complici consapevoli e in parte i genuini incompetenti strutturali — questi ultimi finalmente in posizione di coerenza col mondo. Magari l’incompetenza capovolgerà in competenza e saremo da capo, forse più confusi o forse meno.
Interessante capire: perché tanto bisogno di ammantarsi d’incompetenza? A chi serve? Agli incompetenti? Io direi: non solo a loro e, forse, soprattutto non a loro.
30 gennaio 2014 alle 17:16
Caro signor Mozzi, Lei come fa a dire che i partecipanti a Ioscrittore sono per la gran parte incompetenti in materia? Li conosce tutti? Ne conosce almeno qualcuno? Se ne conoscesse qualcuno, si accorgerebbe che magari, forse (è un “magari, forse” retorico) ci sono partecipanti che non solo hanno talento, ma che sono anche competenti: persone che hanno pubblicato con piccole case editrici serie e cercano il grande editore, persone che lavorano nel giornalismo, docenti di materie letterarie o persone in ogni caso preparate che amano scrivere e cercano un’occasione per emergere, per farsi notare. Mi sorprende davvero che una persona di cultura come Lei cada in queste generalizzazioni. Da chi possiede cultura (e intelligenza) ci si aspetta la capacità di fare dei distinguo, non certo giudizi intrisi di preconcetti. Si sbaglia nel dire che chi non sa scrivere, non sa leggere né quindi giudicare: tra la lettura e la creazione c’è un abisso e spesso chi sa leggere e valutare le opere altrui non ha ancora la maturità (letteraria o esistenziale) per scrivere qualcosa di valido, e altrettanto spesso è conscio dei propri limiti di scrittore. Per quanto riguarda la competenza di chi fa il mestiere dell’agente, del critico letterario, dell’insegnante di scrittura creativa, mi permetto di dissentire su quella vantata competenza professionale: basta vedere quante opere di scarsissimo livello vengono pubblicate ogni anno da molte case editrici. Forse la causa di questo sta nel fatto che in alcuni casi chi fa il “mestiere della letteratura” non lo fa per un merito reale: in alcuni casi, sottolineo, perché come ci sono aspiranti scrittori capaci e incapaci, ci sono agenti letterari capaci e incapaci, editori capaci e incapaci, e così via. Sa, detesto le generalizzazioni. Cordiali saluti.
30 gennaio 2014 alle 19:02
Sono sostanzialmente d’accordo, anzi, applicherei semplicemente il famoso rasoio. Tu scrivi un romanzo, lo invii a gente che fa soldi pubblicando romanzi, te lo tirano dietro.
Opzione 1: pensa dove arriva l’invidia! Rinunciano a guadagnare milioni pur di non pubblicare il tuo fantastico libro.
Opzione 2: il tuo libro fa schifo.
Certo, potrebbero sbagliare, ma se non sono ancora falliti, anzi, sono grandi editori, vuol dire che sbagliano solo ogni tanto. Comunque, basta ripetere l’invio tre o quattro volte e si vede subito se la realtà converge inesorabilmente verso l’opzione 2.
Ah, sei uno scrittore di nicchia, incompreso dal mondo, lontano dalle logiche mercantili? Ecco, tienilo per te, il tuo libro.
30 gennaio 2014 alle 19:46
v.f., mi domandi:
Ma io ho già scritto come faccio a dirlo:
Mi pare chiaro quale sia il mio argomento, e mi pare che ne siano chiari i limiti.
30 gennaio 2014 alle 20:49
Ti si potrebbe obiettare che nell’esperienza di ogni inviatore di dattiloscritti nove su dieci editor che abbiano visionato le proposte e risposto con un diniego sono risultati incapaci di coglierne la bellezza:-)
30 gennaio 2014 alle 21:21
Giulio, perdona la domanda, ma la percentuale di brutture degli speditori di dattiloscritti (mi ci metto dentro anche io) è veramente così alta?
30 gennaio 2014 alle 21:26
Un’altra osservazione: sia l’agone letterario che quello politico hanno una componente scenica (diciamo il 33%? 33% di valore intrinseco o talento, 33% di riconoscimento tra pari o cursus honorum, 33% di legittimazione sul campo o presa della scena). Chi vuole fare, sale sul palco / prende voce e fa, competente o non competente, portandosi eventualmente dietro un pubblico. L’ultimo incompetente in ordine di tempo, il guru del metodo stamina, insegna, no? C’è una gradazione del danno: chi dice sciocchezze letterarie fa meno danni di chi illude i malati o di chi si fa le leggi ad personam.
30 gennaio 2014 alle 22:34
Lucio: sì, mi si potrebbe obiettare in quel modo. Qualcuno ha voglia di farlo?
Roberta: quello che ho detto, ho detto.
31 gennaio 2014 alle 12:44
@Giulio & @Lucio: non credo che quell’obiezione sia possibile. Per ragioni di simmetria numerica: tu, Giulio, ricevi 1000 manoscritti l’anno (più o meno) ma è improbabile che ciascuno dei manoscrittari spedisca lo stesso manoscritto a altri nove giuliomozzi, ciascuno dei quali ricevebbe pure 1000 manoscritti l’anno.
Ma ammettiamo che ciò avvenga: ci sono allora 10 giuliomozzi che si ritrovano tra le mani 1000 manoscritti di 1000 autori. Ogni giuliomozzi ha le stesse cose che ha ciascun altro giuliomozzi. Ora avviene che ciascun giuliomozzi scarta, giudicandoli brutti, nove decimi dei testi ricevuti. Oppure, all’estremo, che nove giuliomozzi scartano tutto e uno solo accetta tutto. A monte di tutto ciò c’è il fatto che nessuno dei dieci giuliomozzi ha chiesto agli autori di mandare materiale: questi ultimi hanno agito autonomamente. Ora 900 dei 1000 autori potrebbero pensare che 9 dei 10 giuliomozzi non capiscano un cacchio di letteratura, ma allora dovrebbero smettere di inviar loro manoscritti. Mentre i vari giuliomozzi non possono smettere di giudicare ciò che ricevono e di farlo secondo i loro criteri.
Succederebbe lo stesso anche se gli autori si autoeleggessero a giudici del proprio onore (o della propria (in)competenza), non appena uno leggesse l’opera di un altro.
31 gennaio 2014 alle 13:10
Roby, stai bene?
31 gennaio 2014 alle 14:08
Ma secondo voi ha senso mandare un manoscritto a qualcuno (sulla base di una fiducia intrinseca) e poi se la risposta è negativa dargli dell’incompetente)? Io non mando i miei a un/una professionista dell’editoria che non ritengo competente…
31 gennaio 2014 alle 14:10
Giulio, credo che il concorso IoScrittore possa essere inquadrato in modo diverso. Premetto subito: ho partecipato all’edizione 2012, risultando tra i finalisti pubblicati in e-book, quindi qualcuno potrebbe obiettare che io sia mosso da una sorta di “conflitto d’interessi”. Mi auguro che la mia argomentazione possa dimostrarsi sostenuta solo da logica e buon senso.
Il concorso in questione non è promosso come “rivolta verso l’establishment” da parte di chi ne è stato finora escluso, ma nasce direttamente da un grande gruppo editoriale (Mauri Spagnol), quindi da un’azienda che si occupa professionalmente da molto tempo di questo settore.
Per come la vedo io, il concorso è stato ideato da GeMS per mettere a confronto i risultati di “scuoting” ottenuti attraverso la selezione tradizionale (valutazione dei manoscritti da parte degli editor) con un nuovo meccanismo di selezione effettuata direttamente da un campione rappresentativo degli “utenti finali” (giusto per rinverdire un’espressione ricorrente tra i giornalisti agli albori di “puttanopoli” e prematuramente scomparsa).
Il Gruppo Editoriale, secondo me, vede negli “aspiranti romanzieri” che ogni anno inviano la loro opera inedita al concorso (oltre mille per edizione) anche un campione significativo dei “potenziali clienti”, cioè di chi in Italia ha una forte passione per la lettura e paga per acquistare libri. L’equazione, a mio giudizio, regge: per arrivare a “voler scrivere” un romanzo, in genere una persona è spinta dalle emozioni provate leggendone altri, dalla voglia di cimentarsi in un’arte che ammira, apprezza, acquista e della quale spera di potersi fare a sua volta interprete.
Sono d’accordo con te nel ritenere che la stragrande maggioranza degli “aspiranti romanzieri” non sia in grado di giudicare correttamente la propria opera, che non ne sappia riconoscere i limiti e la bruttezza. Così come non fatico a crederti quando affermi che su dieci romanzi che ti arrivano, nove sono brutti e comunque non valgono la pubblicazione. Questo però non significa che quegli stessi nove autori inadeguati come tali, nel momento in cui si trovino a leggere e valutare l’opera di un altro scrittore, non possano esprimere un’opinione attendibile in quanto “lettori italiani medi”. Ed è esattamente questo che prevede IoScrittore: ogni partecipante, infatti, valuta le opere degli altri e sottopone la propria al giudizio altrui in forma anonima (per chi fosse interessato, il regolamento completo è qui http://www.ioscrittore.it/regolamento). E nel momento in cui esprime un giudizio, un partecipante non è certo portato ad essere istintivamente benevolo verso gli altri, anzi: i testi che riceve in valutazione sono infatti opera dei suoi diretti concorrenti, che come lui aspirano al premio della pubblicazione finale.
Questo meccanismo, a mio avviso, rende possibile che diversi romanzi apprezzabili vengano affossati strada facendo dai partecipanti che vivono il torneo solo come competizione fratricida (“questo libro, scritto da un mio competitor, è bello: meglio che lo affossi con un votaccio, perché rischia di prendere troppi voti alti e di passare al posto del mio…”); di contro, a maggior ragione perché hanno superato anche questo ostacolo, i romanzi che alla fine riescono a spuntarla, ad arrivare alla pubblicazione, con ogni probabilità sono opere che in effetti sono in grado di incontrare il gusto del “lettore italiano medio”, perché sono stati valutati positivamente da un campione di questi lettori che non aveva alcun incentivo a giudicarli come “belli”, a parte la piacevolezza provata nella lettura.
E allora, mi chiedo, ti chiedo: non è anche questo uno degli obiettivi che dovrebbero raggiungere con il loro lavoro gli editor di una Casa Editrice che voglia rimanere sul mercato editoriale? Non dovrebbero saper intercettare i gusti del pubblico? Certo, chi si occupa professionalmente di editoria ha anche il dovere di “educare” il pubblico, di offrire opere che possono risultare ostiche e indigeste per la maggior parte dei lettori, ma gratificare enormemente segmenti più “raffinati” o “settoriali” di lettori. Ma giustamente, per questo, continua e deve continuare ad esistere la forma di selezione tradizionale da parte degli editor.
Tra l’altro, GeMS di fatto utilizza la “preselezione” del concorso come filtro iniziale, visto che alla fine, dopo che si è creata la cerchia ristretta dei romanzi pubblicati in e-book sulla base dei giudizi espressi dalla comunità degli autori/lettori, sono solo i professionisti del gruppo editoriale stesso a definire quali opere verranno eventualmente pubblicate anche in formato cartaceo. Mi sembra in definitiva che GeMS abbia individuato una modalità efficace e a costi ridottissimi per selezionare ogni anno una rosa ristretta di opere potenzialmente valide come “gradite al grande pubblico”, esentando da questa operazione gli editor professionisti, che possono così dedicarsi prevalentemente a ricercare gli autori e le opere dirette a lettori più “specifici” e “raffinati” (ma tendenzialmente meno numerosi), potendo invece attingere da un bacino di opere già “scremate” per quanto riguarda la pubblicazione della narrativa diretta al “pubblico medio”.
31 gennaio 2014 alle 14:33
Forse Giulio hai ragione. Ma, con tutta la stima che ho per te, perché non togliersi il gusto di vedere quelle quattro boiate che hai scritto sotto forma di libro se la spesa non ti pesa? Del resto un libro così non vale meno di un libro di Andrea De Carlo che a Masterpiece (unica puntata che ho visto per capire) ha lanciato dietro (in modo dispregiativo) a una concorrente il libro rilegato che le aveva presentato. Ma che crede di essere, questo De Carlo (come tanti autori italiani), uno scrittore vero? E’ al limite uno scrivano, uno che riempie i fogli di parole. Solo perché Fellini lo ha apprezzato (ma quanto conta un Fellini in letteratura?) e poi comunque scaricato, crede di poter trattare così la gente? E quell’altro trombone di De Cataldo e quella non so chi di Selasi, giudicano e criticano. Prima di leggere i libri (o manoscritti) di altri rileggessero i propri. Dobbiamo forse chinarci davanti agli Ammaniti, Mazzantini, Giordano, Avallone, Carofiglio e tutti quelli che per qualche motivo vanno a “il libro del giorno” di Fahrenheit?
Molte volte domina il fattore Q e/o un rapporto clientelare e di conoscenza (insisto, ma basta guardare le loro biografie!) e non vale la pena, non dico di comprare e leggere questi libri, ma neanche di sfogliarli attentamente in libreria.
Philip Milton Roth l’ho considerato solo un buon artigiano fino a quando non ho letto IL TEATRO DI SABBATH.
Questo per dire che di fesserie ne sono piene le librerie e le biblioteche e oggi tutti potrebbero togliersi il gusto (avendo i soldi) di riempire le librerie delle proprie stupidaggini senza che nessuno avrebbe nulla da dire, anzi, con una buona campagna pubblicitaria essere apprezzato e idolatrato.
E’ una questione di autorevolezza: i politici, i dirigenti e gli scrittori non sono più capaci di conquistare quella stima per cui “la gente” li riconosce politici, dirigenti o scrittori (e se non ti riconosco in quella mansione siamo pari).
Niente di personale e spero perdonerai il mio tono rancoroso.
31 gennaio 2014 alle 16:48
Sono d’accordo con l’intervento di Antonio. È una questione di autorevolezza. In questi anni i politici hanno eliminato questo concetto. Il voto (anche mio) a M5S deve essere interpretato in questo senso ad esempio: se voi presunti politici non avete idea di cosa state facendo allora anche io posso andare in parlamento almeno se ci arrivo e cerco di fare una lavoro onesto non ci sarà un criminale, ma solo un incompetente onesto.
Ovviamente poi si scopre che l’umanità M5S è variegata e di tutti questi una decina forse sono in grado di fare un lavoro al limite della decenza. Ma la ricetta non è riempire pagine per spiegarci che gli eletti di M5S sono incompetenti, ma tirare fuori dei politici autorevoli che inizino a dare risposte almeno chiare.
Nel campo letterario io penso che alla fine se un autore vale un editore lo pubblicherà, anche se alle volte risulta oscuro comprendere i meccanismi di selezione: essendo gli editori degli imprenditori e dovendo seguire il profitto difficilmente sono portato a credere che trascurino un grande autore. Magari prenderanno insieme il De Carlo della situazione (che nel passato non mi dispiaceva neanche) e l’autore sconosciuto.
C’è poi un discorso legato alle nuove tecnologie. Io penso che anche al tempo di Manzoni di gente che scriveva per diletto il mondo era pieno. Certo è che già la fatica di scrivere a mano, poi comporre la stampa e tutto il resto lasciava molti scritti nei diari di tanti contemporanei del Manzoni. Oggi con niente posso comporre un libro in maniera elettronica e pubblicarlo in rete. Per chi scrive per gioco la tentazione è forte. Con qualche euro in più posso addirittura stamparlo e distribuirlo con tanto di isbn. Poi così dieci miei amici lo leggono, magari comprandolo a meno di un euro, donandomi quel quarto d’ora di soddisfazione, probabilmente immotivata. È simile alla fotografia. Comperare una buona macchina non costa più molto. La fotografia digitale non prevede neanche la stampa. Posso parlare insieme a qualche amico appassionato di filtri, tecniche. Ma non è che divento automaticamente Helmut Newton! Se poi c’è il concorso del Cral o di un giornale di fotografia e mando le foto e magari vinco che male c’è. L’importante è che subito dopo non mi faccia stampare i biglietti da visita con fotografo o scrittore bene in vista.
Quindi io non criminalizzo nessuno. In genere i libri che ho letto e che sono stati pubblicati da editori con i famosi metodi oscuri mi hanno lasciato spesso qualcosa. Alcuni non mi sono piaciuti, ma li ho sempre trovati adeguati alle mie aspettative. Quelle volte che mi sono capitati volumi tra l’autoprodotto e l’editoria a pagamento, onestamente ho notato anche io la differenza.
Certo se qualcuno mi dicesse che un mio lavoro scritto è degno di essere pubblicato ne sarei molto contento è ovvio. Non avvenendo questo mi tengo i miei dieci amici con i quali passo il tempo a guardare foto sfocate il sabato.
31 gennaio 2014 alle 18:19
catenomarco, il problema – che col commento drammaticamente si mostra – è il passaggio semiautomatico dall’incompetenza all’onestà.
31 gennaio 2014 alle 18:20
Oltre a ribadire che Ioscrittore non è né il dominio né la promozione a virtù dell’incompetenza, in quanto appunto non si può fare di tutta l’erba un fascio e ignorare che tra i partecipanti ci possono essere e di fatto ci sono persone molto competenti per formazione e professione, vorrei aggiungere un’altra cosa: anche solo pensare di poter paragonare e mettere in un unico calderone Ioscrittore (torneo gestito a un primo livello da appassionati di letteratura e a un secondo livello dagli stessi editor del gruppo Gems, che di certo incompetenti non sono!), Masterpiece (talent show televisivo che segue altri meccanismi di spettacolarizzazione che ovviamente Ioscrittore non ha, non può e non vuole avere) e le piattaforme di self publishing, è un errore concettuale, oltre che una banalità. L’assunto poi da Lei sostenuto del “chi non sa scrivere non sa leggere” (e quindi valutare) è opinabile, giacché presuppone il contrario, cioè che chi sa leggere sappia anche scrivere, cosa assolutamente non vera: categorie professionali quali critici letterari, professori e ricercatori universitari nell’ambito della letteratura e della linguistica, editori, agenti letterari (tutte figure professionali che di sicuro sanno leggere, analizzare, comprendere un testo letterario), non necessariamente (anzi: quasi mai) sono a loro volta scrittori. Le due cose, leggere e scrivere, viaggiano su binari che spesso sono destinati a non incontrarsi. Io posso anche non saper scrivere, ma so capire e individuare in un testo significati e bellezze in esso contenuti.
31 gennaio 2014 alle 18:55
La platea dei partecipanti a Ioscrittore è piuttosto varia, ci sono persone che scrivono da sempre ma per varie ragioni non hanno mai sfondato nel mercato editoriale, esordienti in cerca della propria occasione, alcuni dei quali candidamente confessano «Non avevo mai scritto un rigo in vita mia, ho visto questo concorso, in quindici giorni ho scritto un romanzo e l’ho spedito. Speriamo che vada bene!», ma ci sono anche dei validi scrittori o perlomeno degli scrittori che grazie a questa iniziativa sono riusciti a pubblicare, hanno fatto un buon successo di vendite o hanno vinto premi importanti: cito Valentina D’Urbano, Giuliano Pasini, Marco Montemarano, Matteo Cellini. Per me, poi, che bazzico un po’ di siti e blog letterari, è stato facile accorgermi che lettori e commentatori di vibrisse, ad esempio, hanno partecipato a Ioscrittore e, viceversa, che alcuni torneisti commentano più o meno frequentemente su vibrisse o su altri blog letterari.
Su cosa si intenda per “incompetenti”, in ambito letterario, penso sia difficile trovare un accordo unanime. Ammettiamo che “competenti” siano editori e loro staff. In questo caso si potrebbe dire che degli incompetenti, cioè delle persone che non svolgono il mestiere di editore, talent scout, editor… valutano le opere che partecipano a Ioscrittore. D’altra parte, chi dice che una persona che ha frequentato le scuole, legge molti libri, conosce magari i classici e non disdegna i contemporanei, non possa essere competente nel giudicare un’opera letteraria? In che cosa consiste la competenza? E il successo di un’opera, non viene forse decretato dal favore di molti lettori non professionali ma non per questo incompetenti? C’è un po’ di supponenza, a volte, da parte dei lettori professionisti, nei confronti di chi legge per passione. È come se un regista considerasse incompetente il pubblico che va a vedere i suoi film.
Più che nell’incompetenza, a me pare che il punto debole della giuria di Ioscrittore stia nel conflitto di interessi: se partecipo a un torneo, ho interesse che opere competitive siano eliminate perché spero che la mia possa trionfare. Inoltre, anche inconsapevolmente, sarò portato a leggere con un certo disprezzo le opere altrui e a confrontarle con la mia, che tenderò a considerare superiore.
Che poi questa giuria tenda a premiare opere di un certo tipo, è nel complesso vero: intendo dire che molti dei partecipanti (lo deduco dalla tipologia dei testi emersi nel corso di questi anni e anche da affermazioni lette sul blog del torneo) apprezzano romanzi di evasione, adorano il lieto fine, gradiscono un pizzico di paranormale, preferiscono una scrittura scorrevole, non eccessivamente innovativa o “letteraria”. Questo fa sì che emergano romanzi perlopiù facili, commerciali, in alcuni casi definiti “da ombrellone”.
D’altra parte non bisogna dimenticare che la scelta dei titoli da pubblicare in formato cartaceo la fa l’editore, mentre la grande maggioranza dei finalisti selezionati dai lettori finisce in e-book e difficilmente riesce a farsi strada.
31 gennaio 2014 alle 18:58
Nel nostro panorama editoriale manca sempre più una serie di risposte estetiche “corrette”. Rileggendo (cito a caso) Eutanasia della critica (Lavagetto), Polemiche letterarie (Policastro) e Vere presenze (Steiner) non viene il sospetto che molti editor e, in modo particolare, i critici (se vale ancora questa definizione) siano quanto meno condizionati? (Non solo dai datori di lavoro ma anche dall’attuale momento culturale che sta sviluppando una deriva maligna, quella che porta gran parte -in Italia direi tutta- della narrativa a rassicurare e consolare il lettore, curandosi di non metterlo a confronto con una visione del mondo diversa dalla sua, uniformandosi a quella visione e restituendola come in uno specchio. Il lettore, invece di essere stimolato all’approfondimento delle percezioni interiori, viene – quello che è più grave, senza dolo da parte dell’editor o del critico- messo a confronto con una comoda visione di intrattenimento, ricalcando i suoi quotidiani gusti o le sue opache opinioni.)
Ascoltavo giorni fa Andrea Coltellessa sottolineare come i media oggi si limitino a “fotografare” il panorama letterario senza discriminare, senza dare nessuna indicazione nel bene e nel male (tanto meno nel male!)
31 gennaio 2014 alle 19:08
Premesso che non stiamo parlando di Saggistica, di Storia o di Filosofia, ma di scrittura creativa. Sono pienamente d’accordo con V.F. (30 gennaio). Sono generalizzazioni su cui è persino difficile riflettere. Lo scrittore e il lettore sono liberi, indipendenti, di ogni estrazione sociale e culturale. Devono vivere e ardere nel proprio percorso. Chi li vuole mettere in gabbia e identificarli (e soprattutto giudicarli) applica la retorica dell’incompetenza per antonomasia: “se sono liberi e indipendenti sono anche incompetenti”. Dire che esiste una competenza “autorizzata e certificata” per poter giudicare il proprio stesso manoscritto è quanto di più fuorviante si possa affermare. Gino Paoli ha detto: un cantante lo vedi nel suo talento ancor prima che inizi a cantare. Retorica dell’incompetenza (“se non canta ed già considerato bravo è sicuramente incompetente”) o talento naturale che svilupperà nel tempo le sue caratteristiche con innovazioni che nessuno può catalogare ora? E poi: chi decide quali sono le caratteristiche per poter essere giudici del proprio stesso lavoro? Quindi, riepiloghiamo: se le cose stanno così, oggi non ho bisogno solo di individuare il critico lettore accreditato, devo individuare anche il critico letterario scrittore accreditato e abilitato a poter giudicare la propria stessa produzione. E chi sarà il prescelto accreditato e abilitato a poter individuare il critico letterario scrittore accreditato e abilitato a poter giudicare la propria stessa produzione? Pochi, e non sapremo mai perché, sentono il capolavoro e non saremo di certo noi a individuarli.
31 gennaio 2014 alle 19:18
dm – io non ho detto che il passaggio risulta semiautomatico, ma credo ci siano diverse evidenze che spesso, troppo spesso i politici hanno dato la certezza di esserlo incompetenti. Ad ogni modo io ho la fortuna di conoscere chi ho votato, di sapere che nel campo industriale ha una competenza. Sicuramente in Italia c’e’ di meglio, ma non lo vedo candidato nei partiti. L’unico discorso che sento fare e’ siamo cambiati abbiate fiducia, che detto dalle stesse identiche persone di prima difficilemente appare credibile.
Abbiamo una enorme crisi di autorevolezza ed il caso Stamina ad esempio lo certifica. Chi ha un problema non si fida della stessa sanita’ che lo dovrebbe curare. E questo diventa molto pericoloso.
31 gennaio 2014 alle 19:22
Giulio, scrivi: “Non è detto che sia del tutto una cattiva cosa.”
Perchè?
Se le cose stanno bene così, serve discuterne?
31 gennaio 2014 alle 19:56
Marco, il semiautomatismo a me pare di vederlo in azione qua (dove l’io è un io generico):
31 gennaio 2014 alle 20:14
dm, l’io generico in questione sono io che prendo parte ad un paradosso: nelle liste abbiamo essenzialmente assenze di politici.
volevo a questo punto girare un attimo la prospettiva. Perche’ io sono su questo sito? Perche’ mi ritengo un profondo ignorante di cio’ che e’ letteratura. quindi provo ad esplorare il mondo che ritengo letteratura per trovare chi oggi la fa Italia. Non chiedo al concorso lo scrittore di rispondere a questa domanda. E’ probabile che se avessi uno scritto per me decente, proverei a mandarlo al concorso, ma continuerei a non fare quella domanda.
Ai 5S non chiedo di politica realmente, ma in sua assenza provo almeno a mandare dei messaggi in parlamento.
A Masterchef non chiedo cos’e’ l’alta cucina, ma di raccontarmi che non basta buttare la pasta ed usare un coppapasta per essere un grande chef.
A Xfactor non chiedo di parlarmi della grande musica, ma di farmi ascoltare qualcosa alle volte di inusuale (quali sono i programmi di musica rimasti).
Io non chiedo al ministro della sanita’ attuale di esprimersi su Stamina, ma cerco i pareri del modo scientifico. Pero’ rifletto sul fatto che mettere alla berlina la disperazione dei malati in maniera mediatica e’ una brutta cosa.
Cosa voglia dire? Alle volte noto una paura eccessiva da parte della politica, della cultura, della scienza rispetto a quello che chiamo genericamente (sicuramente sbagliando) nuove tecnologie. Sono queste che sono troppo forti (malignamente) o e’ tutto il resto che dopo anni di catalessi adesso e’ debolissimo?
Nel caso editoriale, sono i dilettanti che sono deludenti o i professionisti? che i primi lo siano e’ fatemi dire banale, che lo siano i secondi preoccupante.
31 gennaio 2014 alle 20:22
forse dico meglio: vedo in giro tantissimi incompetenti. I competenti ci sono? E se si dove se ne stanno?
Attenzione io sono convinto che ci siano e che abbiano necessita’ di una mano.
31 gennaio 2014 alle 22:45
Catenomarco, non quali sono i programmi di musica rimasti, ma quale musica è rimasta?
Nel caso editoriale, sono i dilettanti che sono deludenti o i professionisti? Dei primi non ci interessa, i secondi lo sono di certo.
Negli ultimi mesi, per rigenerarmi (dopo la lettura di tanti italiani), mi sono deciso alla lettura di INFINITE JEST che, pur lasciandomi deluso, mi ha fatto respirare un’aria frizzante rispetto allo stantio italiano.
1 febbraio 2014 alle 02:29
Scrivi Marco: “Ai 5S non chiedo di politica realmente, ma in sua assenza provo almeno a mandare dei messaggi in parlamento”. Questa è proprio strana, dà da riflettere. Non starò a discettare su quella “assenza”. Ma se a una forza politica (la terza del paese) non si chiede di fare (bene, in modo evoluto, con maturità ed etica, con cognizione di causa e capacità di comprendere gli eventi) politica, cosa le si chiede, propriamente, di fare? Questo mi sfugge. Totalmente. Tu, Marco, dici: “mando un messaggio”. Ma quel “messaggio” scusa cosa reca scritto: “Andatevene tutti a casa” e morta lì? Tsunami tour? Le forze della distruzione e delle macerie? E dopo le macerie, l’aria tersa di un primo giorno? Sì, sicuro? (Mi pare che su “Io scrittore”, senza entrare troppo nel merito, Marisa con la consueta lucidità abbia messo il dito nella piaga: e io continuerei a chiedere: c’azzecca qualcosa la letteratura con la competizione sfrenata: “mors tua vita mea”, il regno dei “giudizi”, gli uni contro gli altri armati?… qualcuno mi dirà: ma sarai contrario anche ai concorsi in genere? Vuoi solamente che ci sia una “casta” di competenti (riprendo il discorso di Giulio) che decida i “migliori”? Dirò questo anche; un editor/redattore ai tempi miei non era solo un selezionatore feroce e integro: era anche uno che “coltivava” talenti… affiancava l’autore nella sua crescita… sono diventato un insegnante di scrittura creativa perché credo in un tessuto vasto di “talenti”, di gente che vuole crescere e trovare la propria voce, “oltre” il successo, “oltre” la dialettica vincente/sconfitto, che ancora mi pare semplicemente terribile, a volte completamente cieca e sciocca… i professionisti (gli scritttori affermati?) “sono deludenti” dice ancora Marco: bene! è un punto di vista che, così generico, risulta un filino stolido – il “sono tutti ladri” che mi fa sempre accapponare la pelle – e qualunquista, ma bene, anche così… la testa si volti da altre parti, e nascano nuovi gusti, nuovi progetti, perché “si faccia crescere tutto quello che non è inferno”, senza la litania del vittimismo, e con voglia di crescere intellettualmente e spiritualmente, di imparare, studiare, incontrare l’altro, con la potenza della mitezza, e con la voglia di diventare… competenti?).
1 febbraio 2014 alle 10:26
Enrico ernst: supponi che di colpo tutti i produttori di vino inizino a diluire con acqua il loro prodotto. E questo fino a che dentro le costosissime bottiglie, il vino sia scomparso. Ad un certo punto un produttore di acqua minerale si butta sul mercato, prendendo la stessa acqua di prima ed imbottigliandola in convenienti bottiglie di vetro. Ma lo dice guardate che è acqua. Ecco la domanda che invio ai produttori di vino in parlamento è questa, se volete vendere acqua, allora dovete confrontarvi con chi acqua vende. E grazie ai venditori di vino in tanti sono convinti oramai che il vino e l’acqua sono la stessa cosa.
Ora io sono convinto che acqua e vino sono diversi e pure che ci sono anche grandi enologi in circolazione, ma all’ultima consultazione elettorale io potevo votare per i produttori di vino adulterato, oppure non votare e quindi supportare in un modo o in un altro ancora questi. Oppure votare per l’acqua minerale, così almeno ogni volta che esce una bottiglia nuova c’è qualcuno che ricorda a tutti che di acqua si tratta, roba di cent non di decine di euro.
Quindi il problema non è per me occuparsi dei dilettanti, ma chiedere ai professionisti di non fare i dilettanti. Sul decreto Imu ad esempio mi sarebbe piaciuto che qualcuno dei professionisti avesse spiegato il perché dell’introduzione della parte su Bankitalia. Mi sarà sfuggito ma io non ho visto nulla, solo considerazioni stizzite contro chi, motivandone la scelta, non voleva farlo passare.
Per la letteratura io non sono convinto che sia tutto da buttare, ma io al massimo dopo averlo letto un libro posso dire se mi è piaciuto o no. A questo punto io chiedo alla cultura non di lamentarsi di autopubblicazioni, concorsi e basta, ma di spiegare a me che vorrei saperlo cosa è letteratura. I mezzi tecnologici ci sono. Questo blog può essere uno di questi. Ma anche un corso di scrittura può esserlo, la scuola, i portali dove la gente scrive, i concorsi, pure Masterpiece. Forse serve che la politica e la cultura in genera capisca che le nuove tecnologie ci sono e che vanno utilizzate come prima si faceva con la penna ed il calamaio.
1 febbraio 2014 alle 10:30
E sottolineo ancora non credo che gli scrittori affermati siano deludenti. Ho una libreria piena di scrittori affermati e ne sono contentissimo. Però se apro un media spesso ne sento parlare malissimo e vorrei anche capire il perché…
1 febbraio 2014 alle 11:06
Catenomarco perché non fai i nomi di questi scrittori? Tanto per capire e imparare. Poi forse si riuscirebbe a dare una risposta al tuo quesito. Grazie!
1 febbraio 2014 alle 15:52
Andrea Monini, scrivi:
E infatti, per nostra fortuna, nessuno lo afferma (soprattutto, nessuno ha scritte le parole che metti tra virgolette).
1 febbraio 2014 alle 16:26
Imparare da me non lo consiglio proprio. Prima dovrei avere qualcosa da insegnare. Ad ogni modo i nomi sono più o meno quelli citati da te Antonio. Il vituperato De Carlo, qualche anno fa non mi spiaceva. Raccontava un panorama di vita in cui mi riconoscevo. Degli ultimi non ho lo stesso ricordo, ma io non me la sentirei di definirlo scrivano. Mi annoia questo sì, ma credo che venga apprezzato dai lettori. Per carità anche le varie sfumature di qualcosa sono apprezzate, ma De Carlo mi appare superiore. Posso continuare con Baricco dall’ego smisurato: mi ha dato tanto in questi anni, sarà anche furbetto e ha da tempo cominciato ad appannarsi. Ammanniti, che anche lui qualcosa mi ha dato in passato, ma ora mi annoia moltissimo. La Mazzantini non l’ho mai sopportata, comprese le trasposizioni cinematografiche del marito, ma dal mio punto di osservazione non mi sento di archiviarla come spazzatura. Erri De Luca e Maggiani, entrambi mi hanno sempre affascinato sino a metà del libro, ma questo capisco che è un mio limite più che un giudizio sensato. Giordano ha scritto secondo me un bel teorema, i suoi numeri primi sono risultati per me freddi, ma definirlo deludente no. Carofiglio, lieve, mi ha lasciato poco. E poi potrei andare su Genna, Aldo Nove, lo stesso padrone di casa Mozzi. Scoperti relativamente da poco mi hanno portato in posti mentali dove volevo andare, ma che con i miei mezzi difficilmente avrei visitato. Mi piacciono? Mi hanno fatto vedere che esiste altro e che questo altro mi piace in questo momento, quindi la risposta è sì. Ma se vado in giro trovo altalene di giudizi e polemiche. Perfetto, fatemi capire meglio allora. Perchè da ognuno di questi autori ho tratto qualcosa che mi porto dietro. Non saranno tutti letteratura, ma datemi anche degli strumenti per discriminare allora.
1 febbraio 2014 alle 16:50
Perché nessuno pensa alla delusione degli scrittori (soprattutto i morti) che si trovano ad avere i lettori di oggi (che, si sa, non sono proprio come quelli di ieri) e soprattutto gli italiani, i lettori italiani, che non sanno leggere, si sa, bombardati dal senso comune e dal sesso in comune, questi lettori pavidi senza spina dorsale, post-berlusconiani e post-atomici, questi lettori italiani che non sanno leggere, poeticamente semi-analfabeti e politicamente corrotti, questi lettori qui, non come quelli d’un tempo, quando c’era Pasolini, quando c’era Moravia, quelli sì che erano lettori!, mentre oggi, oggi non ci sono Lettori Veri, tutti abbindolati dal marketing presi nella morsa del mercato, mercantili come navi mercantili ma senza grandezza ah, questi lettori, gli italiani poi, il novecento se li è inghiottiti in un calderone di zolfo e polvere da sparo, questi lettori italiani…
1 febbraio 2014 alle 21:58
Io per esempio sono una disgraziata lettrice che di fatto legge più scrittori stranieri che italiani, più per un principio di circolazione e comunicazione di idee e cultura che per esterofilia pura…
Però per esempio posso dire questo: stesso romanzo – mio – valutato in Ioscrittore dai miei “pari” e da un professionista (che ho pagato, e qui si può aprire un’altra diatriba). Nove su dieci (sic) dei miei “pari” mi hanno detto cose tipo: “Non è possibile che una poltrona di prima classe sia sfondata – il tuo romanzo vale 5”. Il professionista mi ha detto: “Bene la prima parte per questo e per quello, male anzi malissimo la seconda parte perché risulta staccata dalla prima, il personaggio non è ben strutturato etc etc”. Ora, nel primo caso mi sono incavolata, nel secondo ho detto: “Caspita, è vero, ecco cosa non mi convinceva”. C’è tanta “fuffa”, sì, come dappertutto. Ma a Ioscrittore non parteciperò più, e mi sono rimessa al lavoro per sfruttare il risultato di una competenza che ho scelto di interpellare. Come finisce? Magari male, che ne so? Ma non sto certo a lamentarmi – come sento fare troppo spesso – perché c’è quello e quell’altro in classifica che di letteratura non capisce niente etc etc. E non sono nemmeno cinica (altro “sentimento” che ultimamente circola). Una cosa che un po’ mi scandalizza (ma vengo dal paesello, io, con una biblioteca enorme ma paesello era) è sentir parlare continuamente di “prodotto”: il libro è un prodotto, sì, il romanzo no. Anche la competenza linguistica non è male… mi pare.
2 febbraio 2014 alle 16:26
Catenomarco gli strumenti, purtroppo o per fortuna, te li devi costruire da solo. Del resto ti sei già risposto: r
ileggi il tuo post. Quella è roba da San Remo della scrittura (letteratura mi sembra esagerato). Salverei De Luca (per il suo impegno ma non per ciò che scrive),Maggiani (per averlo sentito parlare) e il Mozzi de “Il male naturale” (libro di grande intensità e dolore).
2 febbraio 2014 alle 18:09
Antonio, posso allora chiederti dei nomi? Chi consiglieresti di leggere?
2 febbraio 2014 alle 18:22
Marco. Antonio scusate. Ma questa cosa degli elenchi di scrittori (i bravi i meno bravi quelli che hanno deluso) è estenuata (o estenuante?). le promesse, gli affermati, quelli con passato e quelli con futuro. Ma la letteratura non esiste: se non nelle parole, nelle immagini, nei sentimenti. nelle frasi, nei regni delle immaginazioni. Non è nei nomi, non è nelle librerie. Cioè in parte non esiste; è la luce del buio, di una voce che cerca di farsi spazio, oltre il bordo del pozzo, oltre il bordo del nascondersi, e del tacere.
2 febbraio 2014 alle 23:08
Catenomarco, non posso fare nomi (almeno in un blog che mi ospita) non sarebbe elegante.
Enrico, sei l’ultimo dei romantici. Ma va bene così.
2 febbraio 2014 alle 23:35
Antonio, Enrico io non credo che esistano autori da leggere e altri no. Ognuno ci racconta una storia che è buona se in quel preciso momento ci dice le cose di cui vogliamo sentir raccontare. Per questo il successo o meno di un autore è per me relativo. Sarà riduttivo o semplicistico ma per me va bene così.
3 febbraio 2014 alle 11:30
Avete letto questo bell’approfondimento su Officina Masterpiece di Gemma Trevisani? Difficile avere certezze sulle doti dei lettori e degli editori…….. da che mondo è mondo:
Non storcete il naso davanti a questo elenco di celebri rifiuti editoriali (qui solo per autori non italiani), pensando di conoscerli già. Leggete fino in fondo.
Il peggior incubo di un editore è di vedere osannato da critica e pubblico un romanzo che, per i più svariati motivi, ha deciso di non pubblicare. È qualcosa che accade da sempre ed è verosimile immaginare le notti insonni, la rabbia che cede il posto all’amarezza e al rimorso di chi ha rifiutato Stephen King, Gabriel Garcia Marquez o Marcel Proust. Editori che hanno avuto per le mani – senza accorgersene – un’opera che poi si è affermata come un capolavoro della letteratura mondiale. Sono decine le storie di rifiuti celebri, cominciamo a raccontarne cinque stranieri…
1- Marcel Proust, La strada di Swann, il primo volume della Recherche fu rifiutato tre volte, finché l’editore Grasset consentì alla pubblicazione, previo pagamento di 1750 franchi, cui ne furono poi aggiunti altri 1000 perché il lavoro sulle bozze per il povero editore fu infernale. La nota dolente è che tra i primi a rifiutarlo ci fu, per Gallimard, niente meno che Andrè Gide, all’epoca condirettore della prestigiosa Nouvelle Revue Française. Si ravvede ben presto ma ormai è tardi, all’errore non si può riparare in alcun modo. La prima di una lunga serie di missive all’indirizzo di Proust, agli occhi di un editor, è davvero straziante: «Da qualche giorno non lascio più il vostro libro; me ne sazio con diletto, mi ci sprofondo. Ahimè! perché deve essermi così doloroso amarlo tanto?… Aver rifiutato questo libro rimarrà il più grave errore della N.R.F. e (poiché ho la vergogna di esserne in gran parte responsabile) uno dei rimpianti, dei rimorsi cocenti della mia vita».
2- Conserva a lungo, invece, la certezza di aver scelto per il meglio Virgina Woolf che, lette duecento pagine dell’Ulysses di James Joyce, avrebbe commentato «Never did any book so bore me». Una noia mortale, insomma. Fu proprio lei, che stava pubblicando se stessa e altri scrittori del «gruppo di Bloomsbury» a rifiutare l’opera dell’irlandese, che aveva già ricevuto numerosi no anche perché considerata impudica. Ma è tale la veemenza contro cui, in alcune lettere, la scrittrice si scaglia contro Joyce che nel suo rifiuto si è tentati di vedere anche un certo spirito competitivo. Alla fine, dopo una prima minuscola tiratura stampata a Parigi grazie a una libreria, finalmente Joyce verrà notato e firmerà per l’americana Random House.
3- Cent’anni di solitudine, che ha venduto milioni di copie dal 1967 a oggi ed è considerata una delle opere in lingua spagnola più importanti di tutti i tempi, deve essere stato per tutta la vita il cruccio di Carlos Barral, proprietario di una casa editrice di Barcellona, se è vero che si è lasciato sfuggire il romanzo di Gabriel García Márquez. Non è detto che l’avesse veramente letto: a quanto pare infatti lo scrittore aveva ricevuto un rifiuto generico e firmato da un funzionario qualsiasi della Seix Barral. Per fortuna poi i rapporti tra loro si ricucirono, il rimpianto però sarà senz’altro rimasto lo stesso.
4 – Nabokov non ebbe vita facile, una volta terminato Lolita. Quattro case editrici americane lo rifiutano per via del tema scabroso e così lo scrittore tenta di nuovo a Parigi. Solo l’Olympia Press, un editore di narrativa erotica, accetta di pubblicarlo. Siamo nel 1955. Possiamo immaginare la gioia estrema di chi l’ha scelto, una volta che il libro diventa un caso editoriale e viene tradotto in tutto il mondo – e finalmente negli Stati Uniti –, diventando un best seller. Ma il romanzo era destinato ad altri rifiuti, anche nel nostro Paese. Garzanti, scottata dai guai in tribunale seguiti alla pubblicazione di Ragazzi di vita di Pasolini, e Bompiani lo snobbano, facendo la fortuna di Mondadori che lo pubblica nel 1959.
5- Stephen King ha collezionato un numero improponibile di rifiuti, a quanto pare addirittura una trentina tra il 1967 e il 1974, quando riuscì a pubblicare Carrie presso la DoubleDay. Per il libro ricevette un misero anticipo di 2.500 dollari, già qualcosa, comunque, considerate le reazioni fino a quel momento. A proposito del romanzo, un funzionario editoriale avrebbe commentato, rimandandolo al mittente: «Non ci interessano i racconti di fantascienza con utopie negative. Non vendono». Grazie al cielo non sappiamo il nome dello sfortunato, ma immaginiamo che abbia cambiato idea abbastanza in fretta.
3 febbraio 2014 alle 11:37
Penso che sia molto difficile valutare in modo del tutto lucido ciò che si è scritto: forse ci vorrebbe il distacco di almeno un anno. Sulle opere degli altri, se non si ha un’adeguata preparazione, si sbaglia, ma lo fanno anche i professionisti: penso a Gide che boccia la Recherche o a tanti autori finiti nel nulla dopo uno o due libri senza che i loro romanzi lasciassero tracce durature nel tempo (nell’immaginario collettivo, nelle giornate di nuovi lettori che vogliano ancora ascoltarli).
Alla fine per se stessi e per ciò che esce in libreria c’è sempre il confronto con i grandi del passato, il confine fra ciò che trova spazio e ciò che è necessario. Se dovessi (ma è un’opinione del tutto personale) definire l’ambizione con un verbo non
sceglierei “pubblicare” ma “rimanere”: molto meglio essere Tomasi di Lampedusa che un autore di bestseller.
3 febbraio 2014 alle 12:02
La mia riflessione su quanto scrive Andrea è la seguente: il nodo pericoloso di questi ragionamenti che ci propongono non è tanto che sia “normale” ricevere rifiuti etc, quanto il fatto di pensare (e far pensare) che, siccome anche Proust ha avuto le sue porte in faccia e ha “contribuito” alla pubblicazione di un suo lavoro, allora anche io sconosciuta etc etc. Il che, a mio avviso, equivale a paragonarsi a Proust.
Questo si lega anche, sempre a mio avviso, ad un’errata percezione di democrazia letteraria. Democrazia (scusate se mi esprimo un po’ “terra terra”, ma scrivo al volo) non significa che siamo tutti uguali, ma che a pari condizioni tutti abbiamo le stesse opportunità. Il che non corrisponde sempre alla realtà, è vero – ma trovo davvero pericoloso far circolare l’idea che qualunque scritto (il mio compreso) abbia il diritto di essere pubblicato.
3 febbraio 2014 alle 12:12
Al commento di Tuileries aggiungo: (mi pare fosse) Aragon si vantava di scrivere le sue autorevoli recensioni leggendo solo la prima e l’ultima riga di un romanzo… Ecco, da un lato c’è la competenza, dall’altro lo spazio che occupiamo… da un lato la tecnica, dall’altro il gusto… Che cos’è la letteratura? E chi lo sa? La letteratura non esiste in senso univoco e uni-versale, ma chiederselo rimane una delle attività più importanti per gli scrittori e per i lettori. Io adoro Perec, a qualcuno fa schifo. Per gli stessi motivi adoro Foer, ma fino a qualche tempo fa non l’avevo mai sentito nominare… Sto leggendo Cognetti, e mi piace… così si delinea la “mia” letteratura, quella che parla a me e in cui mi riconosco. I bestseller, è proprio vero, sono un’altra cosa.
3 febbraio 2014 alle 14:26
Non posso che concordare con tema e trattazione, ne ho già scritto qualche mese fa… http://enricogiammarco.com/2013/08/31/paese-soggiogato-dalla-mediocrita/
3 febbraio 2014 alle 14:29
Io direi anche in letteratura: no al “voto di protesta” (superficiale e rischiosissimo) sì al tentativo di setacciare la sabbia alla ricerca delle pagliuzze d’oro… con nel cuore l’idea, che anche la sabbia è – da qualche punto di vista – incantevole…
3 febbraio 2014 alle 14:44
Antonella, da questo punto di vista hai ragione: Proust può diventare un alibi puerile. Il mio accento non era sull’autore della “Recherche” ma su Gide: se ha sbagliato lui può capitare, si abbia o meno a che fare con un capolavoro.
Per il resto no, non credo che – con un modo di ragionare molto simile a quello per il quale chiunque può pubblicare – possiamo essere sempre e solo noi a ridefinire il mondo ogni volta, il passato e il presente: le cose, e anche la letteratura, esistono e hanno un valore al di fuori di noi.
Sto leggendo con grande piacere “La città della tremenda notte” di Kipling (un premio Nobel, oltretutto) ma non posso metterlo sullo stesso piano di Gadda, che è un autore che detesto. E in questo sono con te: riconosciuto un valore oggettivo, secondo me è sempre giusto seguire i nostri gusti, ciò che ci dà emozione o fa pensare, i libri e le voci di cui amiamo la compagnia. Con questo chiudo, un saluto a tutti.
3 febbraio 2014 alle 18:48
Discorso complesso. Essere esperti non vuole dire essere infallibili. Anni fa mi lesionai la cuffia dei rotatori, praticamente non potevo più alzare il braccio destro. Dopo mesi di fisioterapia che in qualche modo mi fecero recuperare un movimento minimo, andai da un famoso medico sportivo che curava gli atleti professionisti. Un mago nel suo campo. Oltre alla parcella, anche quella magica, arrivò il responso inappellabile: non avrei mai recuperato più dell’70% del movimento. Non sarei mai più stato quello di prima. Mentre ascoltavo la sentenza senza appello dentro di me una voce disse: questo lo dici tu. Chiesi allora all’esperto di mostrarmi tutti gli esercizi possibili per allungare i tendini e farli tornare flessibili, delle vere torture cinesi. Lui li mimò svogliatamente lasciando intendere che nel mio caso non sarebbero serviti a niente. A partire da quel giorno e per i successivi sei mesi mi costrinsi a eseguirli più volte al giorno. E recuperai al 100%. È molto probabile che se fossi stato un atleta con un nome spendibile, l’esperto mi avrebbe dedicato molto più tempo. Mi avrebbe seguito, incoraggiato, coccolato, ma essendo io un signor nessuno pensò bene che non ne valesse la pena. Per lui naturalmente, non per me.
Questo per dire che in certi casi si deve essere pronti ad andare contro il parere degli esperti. Credo che ciò valga anche per la scrittura.
3 febbraio 2014 alle 20:05
“Un Artista può riconoscere come autorità solo un altro Artista” (Bob Dylan). Questa frase è una vita che mi tormenta! No, a parte gli scherzi, è bellissima: non senti come evoca quel mondo imprendibile, indomabile, ingestibile dell’artista? Questa frase apre le porte al libero arbitrio, all’emancipazione e all’espansione della coscienza. (risata). Comunque: l’ho citata perchè oggi in Masterpiece Fb si legge che Elisabetta Sgarbi ha consigliato di essere come la nonna della Tamaro, la quale ha portato il manoscritto della nipote agli scrittori, direttamente agli scrittori che poi hanno fatto da ponte agli editori. E allora? Cosa dobbiamo fare? Andremo anche noi dove ci porta il cuore! No dai, i rifiuti certamente non devono essere un alibi per sentirsi Artisti o per autocommiserarsi, per carità. Al contrario: i rifiuti devono spronare per vedere il proprio piccolo misero trascorso ed essere autoironici sui propri miseri limiti! Devono spronare per riconoscere i capolavori e considerare sempre povero il proprio lavoro, in modo da migliorarlo sempre! Ciò non toglie che i rifiuti clamorosi degli addetti ai lavori “riconosciuti ed autorizzati” sono clamorosi. (Sto pensando di appostarmi sotto casa di Paolo Nori……)
“Un Artista può riconoscere come autorità solo un altro Artista” (Bob Dylan).
3 febbraio 2014 alle 20:35
“Io direi anche in letteratura: no al “voto di protesta” (superficiale e rischiosissimo) sì al tentativo di setacciare la sabbia alla ricerca delle pagliuzze d’oro… con nel cuore l’idea, che anche la sabbia è – da qualche punto di vista – incantevole…”
Questa mi piace.
4 febbraio 2014 alle 09:58
Andrea Monini ricorda alcuni rifiuti celebri. Dimentica però di far notare che i suoi sono tutti esempi di romanzi decisamente abnormi: di quelli che, così a occhio, forse anche un incompetente (per quanto intelligente, colto, di buone letture, a sua volta autore, eccetera) avrebbe fatto fatica ad accettare per la pubblicazione.
Peraltro: basta prendersi la briga di leggere il mio appunto per accorgersi che
– da nessuna parte scrivo che un “incompetente” non possa fare scelte giuste,
– da nessuna parte scrivo che chi non sa giudicare il proprio lavoro necessariamente non sa giudicare quello degli altri,
eccetera.
v.f., ad esempio, qui, mi dice:
Sono d’accordo: è opinabile. Tuttavia, io non ho posto quell’ “assunto”. Basta, appunto, leggere ciò che ho scritto. (E si potrebbe sostenere, forse – materia opinabilissima, per carità -, che chi non sa leggere fa fatica a discutere..).
A me è capitato di non proporre all’editore per il quale volta a volta lavoravo opere poi pubblicate da altri editori con risultati buoni (o addirittura ottimi). Confesso però che, anche dopo la pubblicazione presso altri editori, quelle opere hanno continuato a sembrarmi mediocri.
I patti con gli editori con i quali lavoro sono chiari: io cerco opere che mi sembrino belle; alle vendite ci penserà l’editore – appunto.
E mi è capitato di proporre opere abnormi: in qualche caso sono riuscito a convincere l’editore; in qualche caso no. In qualche caso, una volta pubblicate, l’editore è riuscito anche a venderle; in qualche caso no. In qualche caso la Repubblica delle lettere ha accolto gli autori, benché magari scarsamente venduti; in qualche caso no.
4 febbraio 2014 alle 13:29
“Nove su dieci dei giudizi espressi in Io scrittore sono espressi da persone che scrivono opere brutte e non sono capaci di accorgersene”: persone che scrivono opere brutte e non sono capaci di accorgersi che scrivono opere brutte, cioè leggendo le proprie opere non sono capaci di accorgersi che sono brutte perché evidentemente non sanno evincerlo leggendole e rileggendole (forse se fossero in grado di leggersi e giudicarsi correttamente, si accorgerebbero che la propria opera è brutta o non è all’altezza?). “In un concorso come Io scrittore si viene giudicati dai propri pari”: cioè da persone che non sanno giudicarsi e tanto meno giudicare. Come la valutazione di un brano musicale dall’ascolto o quella di un quadro dall’osservazione, il giudizio di un’opera letteraria deriva dalla lettura (penso!): o giudicare le opere proprie e altrui dipende da una scienza infusa? È l’esito di una lettura approfondita, dall’analisi stilistica, dalla capacità di cogliere i personaggi, gli avvenimenti, eccetera. O no? Mi dica Lei allora da cosa dipenderebbe la valutazione di un’opera letteraria se non dalla capacità e dalla sensibilità di una attenta lettura. Mi dispiace che mi dica che non so leggere e non so discutere… Pensi un po’, io partecipo a ioscrittore e nonostante ciò, leggendo ciò che scrivo, mi rendo conto benissimo che ciò che scrivo ha delle mancanze: partecipo a questo torneo proprio per sentire i pareri degli altri (se non è questa apertura alla discussione…) e le dirò che ho tratto molti consigli utili e insegnamenti e ho cercato di farne tesoro per migliorarmi, sia nella scrittura che nella lettura. E alcune delle opere abnormi che Lei ha proposto purtroppo le ho lette anch’io… Un cordiale saluto.
4 febbraio 2014 alle 14:59
Seguo la discussione. Molto alla buona, per comparare i propri scritti (spesso brutti) si usano quelli (belli) degli scrittori canonizzati e degli scrittori contemporanei (più o meno belli ed in via di canonizzazione). Dunque, l’unico modo sensato per distinguere bello da brutto è farne un paragone: più scritti -ed opere artistiche, in generale- belli si conoscono, migliore e più accurato sarà il giudizio comparativo. Se io non conosco niente perché non ho mai letto niente oppure ho letto / visto / conosciuto solo opere brutte, qualsiasi cosa scritta mi apparirà bella o peggio mi apparirà brutta perché non ho mai conosciuto il bello canonizzato. Distinguere il bello canonico dal brutto è quindi necessario per scrivere. Il corto circuito odierno, sia letterario che politico, è che tutti sono “homo novus” per il solo fatto di poter avere un pubblico. Il tentativo di prendere la scena è legittimo, ma non è automatico né che ci sia talento né che si debba avere il riconoscimento dei pari, a fronte di quel che si produce. Il grande problema del tempo presente,e di ogni tempo presente, è che a tutti gli effetti i “pari” appaiono essi stessi impostori per diverse ragioni (senza talento e/o facitori di opere brutte e/o guitti di scena), il che manda a ramengo la logica storica di questa filiera. E’ il motivo per cui tante persone cercano maniere alternative per esprimere comunque una voce e vedere dove si può arrivare. L’importanza di professionisti come Giulio Mozzi sta nella congiunzione di conoscenza (estetiche, retoriche, scritture contemporanee), talento (testimoniato da alcune sue opere belle) e capacità di stare in scena (testimoniato dalla sua attività professionale). Il brutto per lui è che egli stesso, in questo stato di mondo nel tempo presente, è a mal partito e fattura 1/10 di quanto fatturerebbe se vivesse ad esempio in UK o negli USA, dove di sicuro farebbe il lecturer di creative writing e vincerebbe premi a mani basse come accade a tanta *gente comune* che fa questo lavoro in ambienti anglofoni e ne vive più che dignitosamente, senza valere granché a livello canonico. Scusate la lunghezza. Saluti.
4 febbraio 2014 alle 15:19
Non parlerei di comparazione, ma di educazione al Bello (o si chiami come si vuole quel processo di sensibilizzazione del corpo e della mente…)
L’assaggiatore, per esempio, sente la bontà e le qualità di un vino mica perché lo ha comparato ai buoni vini assaggiati in precedenza, ma in virtù della propria sensibilità, acquisita anche grazie ai buoni vini precedentemente assaggiati…
4 febbraio 2014 alle 15:45
v.f., quando scrivi:
la seconda conclusione (“e tanto meno giudicare”) è tutta tua. Io non l’ho tratta e non l’ho scritta.
Capisci che è difficile discutere con uno che ti attribuisce opinioni che non hai.
Scrivi anche:
Eh: dipende appunto dalla capacità e dalla sensibilità di una attenta lettura (prima fase). E (seconda fase) dipende dalla capacità di prendere una decisione: “Questo sì! E questo no!”.
Peraltro, stiamo attenti a non confondere il puro e semplice giudizio di bellezza/bruttezza (che chiunque può legittimamente compiere) e il giudizio “Si pubblica/non si pubblica”: che tiene conto anche del giudizio di bellezza/bruttezza, ma anche d’altro.
Chi partecipa a “Io scrittore”, determinando la vittoria di questo o di quello, compie un giudizio prettamente editoriale.
4 febbraio 2014 alle 16:04
@dm – quello che descrive lei è un grado successivo del giudizio, che riconosce e misura la vitalità (alla Steiner) dell’opera bella. Qui si entra nel vero discorso canonico ma, come scrive GM sotto di lei, c’è un discorso commerciale che va comunque tenuto d’occhio e che fa altra voce in capitolo. Diciamo allora quattro fette di torta, per rimanere all’approccio “onesto”? 25% al talento e allo studio, 25% al riconoscimento dei pari, 25% alla capacità di stare in scena, 25% alla commerciabilità. Saluti.
4 febbraio 2014 alle 16:28
Il problema è, presumo, che si compia “di fatto” un giudizio prettamente editoriale, ma ci si illuda di avere dato un ponderato giudizio estetico (il motto è: “Se l’hai scritto va valutato!”).
@dm: co’ ‘sta faccenda dell’assaggio dei vini, preparati a un altro scontro, a dito di ferro, con Andy!
4 febbraio 2014 alle 16:34
Mi sono persa l’inizio del discorso sulle fette di torta, scusate…
Comunque solo il 25% alla commerciabilità mi pare poco.
Il giudizio editoriale portato su un testo si basa quasi esclusivamente, credo, sulla possibilità/probabilità che esso raggiunga un numero x di lettori, e questo, ancora, sulla stima del settore di lettori che si intende raggiungere.
Quindi, ecco il perché, secondo me, di libri straordinari e libri francamente brutti pubblicati dalla stessa casa editrice. Io non lo trovo neanche strano in sé e per sé. Non è che tutti riescano a tenere il filo di Proust, per dire (io no, ma sopporto bene mattoni d’altro tipo).
Il problema che si delinea in questo contesto è piuttosto quello del livellamento, credo. Ma lì è davvero un problema di letture, forse un problema di formazione…
4 febbraio 2014 alle 16:41
GiusCo, scrivi:
“Editoriale” non significa solo “commerciale”.
4 febbraio 2014 alle 16:43
Ah Robysan, io sui vini sono preparato niente… So riconoscere però, come tanti, i vini ottimi. Pur avendone bevuti relativamente pochi finora.
Sono perdente dal principio…
Mi riconosco una sola vera abilità. So valutare la dolcezza delle mele gialle, guardandole da fuori; la verità è che conosco il segreto delle mele gialle, privilegio questo di cui mi sono vantato ampiamente tra i miei amici di facebook, lunedì scorso.
Ormai però è un segreto che vado dicendo a parecchi.
E’ diventato un segreto di Pulcimela…
4 febbraio 2014 alle 17:08
“La seconda conclusione (“e tanto meno giudicare”) è tutta tua. Io non l’ho tratta e non l’ho scritta”: quindi Lei non pensa che i partecipanti a Ioscrittore non sappiano giudicare. E allora perché ha parlato in questo articolo a proposito di Ioscrittore e di altre esperienze, editoriali e non, di “incompetenza”?? Durante la mia partecipazione a Ioscrittore non ho mai espresso giudizi sulla base del mio personale gradimento, sul “mi piace” o “non mi piace”. Ho attribuito valutazioni buone a testi che non mi piacevano e che non comprerei (perché appartenenti a un genere che non amo, o perché affrontavano un tema che non è di mio interesse, ecc), ma che erano scritti bene: ho dato sempre le mie valutazioni sulla base di requisiti oggettivi, se la struttura era ben costruita, se la storia era credibile, se erano verosimili i dialoghi, se i personaggi erano vivi e ben caratterizzati, eccetera eccetera. Il buon giudice di Iosrittore deve fare questo: leggere un testo, analizzarlo e cercare (secondo la propria personale competenza e sensibilità, che sarà a seconda dei casi molto variegata…) di individuare i punti deboli e i punti di forza. È chiaro che il suo punto di vista è differente: Lei cerca cose da pubblicare, che possano interessare a un pubblico e quindi a un editore. I giudici/partecipanti a Ioscrittore fanno un lavoro che è svincolato da questo fine: è la prima fase del torneo. Nella seconda fase intervengono gli editor di Gems che sulla base della lettura e delle valutazioni dei giudici/partecipanti prendono le loro decisioni appunto, quello che Lei dice “questo sì, questo no”, cioè questo è pubblicabile e può avere un pubblico e questo no: la “seconda fase” spetta per fortuna ai professionisti, in questo torneo e anche altrove, per fortuna (lo sottolineo). Noi lettori non possiamo sapere ciò che può interessare a una casa editrice, quali sono le sue scelte editoriali e di pubblico, né ovviamente ci viene richiesto. Io stessa ho assaporato il gusto dell’incompetenza, ricevendo critiche (positive e negative) che purtroppo non erano basate su una lettura obiettiva: una valutazione positiva, ma non supportata da argomentazioni non mi serve a nulla e non la considero neanche, né ovviamente un “non mi piace” non motivato. Io dai miei lettori di Ioscrittore voglio sapere PERCHÉ una cosa, un personaggio, una descrizione, un dialogo vanno o non vanno. Ho avuto però anche giudici bravi, molto bravi e competenti, che mi hanno stroncato spiegandomi che cosa non andava e su quelle critiche ho cercato di lavorare. Ribadisco quindi il concetto che mi ha spinto a intervenire qui la prima volta: certo, nel torneo (come in tutto il resto della vita, no?) ci sono ANCHE degli incompetenti, ma ci sono anche persone molto competenti, per formazione culturale (professori, giornalisti, artisti, e in Ioscrittore ce ne sono stati parecchi, alcuni dei quali poi sono diventati scrittori professionisti) o per esperienza, diciamo, “sul campo” (lettori cosiddetti “forti”, da 50 o 100 libri all’anno). Nel mucchio, è ovvio, c’è di tutto: poi bisogna solo saper selezionare ciò che è utile e ciò che non lo è. Io da Ioscrittore cerco quello che non posso trovare da nessun’altra parte: qualcuno che mi sappia dare una valutazione, che mi sappia dire dove sbaglio, dove devo lavorare, cosa c’è che non va in quello che scrivo. Non c’è nessun altro al di fuori di Ioscrittore che mi possa dare una cosa del genere. Mi scuso per la lunghezza delle mie risposte e per lo spazio che ho occupato nel suo blog.
4 febbraio 2014 alle 17:49
(Requisiti oggettivi, brrr, nel naviglio dell’oggettività… Chiedo scusa, non ho resistito.)
4 febbraio 2014 alle 18:32
…l’oggettività è soggettiva… …sì, ma la soggettività è oggettiva…
(W. Allen, Amore e guerra)
4 febbraio 2014 alle 20:01
Il problema – con la lettura prima e con la scrittura poi – è che bisogna averci orecchio.
Mica tanti ce l’hanno. Voi ce l’avete?
4 febbraio 2014 alle 22:44
“Un Artista può riconoscere come autorità solo un altro Artista” (Bob Dylan). Questa frase è una vita che mi tormenta! No, a parte gli scherzi, è bellissima: non senti come evoca quel mondo imprendibile, indomabile, ingestibile dell’artista? Questa frase apre le porte al libero arbitrio, all’emancipazione e all’espansione della coscienza. (risata). Comunque: l’ho citata perchè oggi in Masterpiece Fb si legge che Elisabetta Sgarbi ha consigliato di essere come la nonna della Tamaro, la quale ha portato il manoscritto della nipote agli scrittori, direttamente agli scrittori che poi hanno fatto da ponte agli editori. E allora? Cosa dobbiamo fare? Andremo anche noi dove ci porta il cuore! No dai, i rifiuti certamente non devono essere un alibi per sentirsi Artisti o per autocommiserarsi, per carità. Al contrario: i rifiuti devono spronare per vedere il proprio piccolo misero trascorso ed essere autoironici sui propri miseri limiti! Devono spronare per riconoscere i capolavori e considerare sempre povero il proprio lavoro, in modo da migliorarlo sempre! Ciò non toglie che i rifiuti clamorosi degli addetti ai lavori “riconosciuti ed autorizzati” sono clamorosi. (Sto pensando di appostarmi sotto casa di Paolo Nori……in quanto Artista.)
“Un Artista può riconoscere come autorità solo un altro Artista” (Bob Dylan).
p.s. “bisogna averci orecchio” dice Gian Marco!
4 febbraio 2014 alle 23:39
Io non ho capito niente però.
5 febbraio 2014 alle 07:18
v.f., scrivi, cominciando col citarmi:
Perché si può essere capaci di approfonditi e argomentati giudizi critici, e nel contempo essere incompetenti in materia editoriale. E’ così difficile? Tra essere dei buongustai e saper fare la spesa per un ristorante da quaranta tavoli c’è – mi pare evidente – una bella differenza.
v.f., non si è mai “competenti” in astratto. Si è sempre “competenti in qualcosa”. E se uno è “competente nella cosa A”, ciò non comporta che sia anche “competente nella cosa B”.
Ah: tutte le frasi nelle quali dici che tu hai fatto così o che hai fatto cosà, che ti è andata così o che ti è andata cosà (“… Ho avuto però anche giudici bravi, molto bravi..”, ecc.) sono prive di qualunque forza. Una persona che non offra il proprio nome può argomentare con efficacia, ma la sua testimonianza è senza fondamento.
5 febbraio 2014 alle 11:04
“Si può essere capaci di approfonditi e argomentati giudizi critici, e nel contempo essere incompetenti in materia editoriale” è quello che intendevo dire io: quando ho affermato che non tutti si possono definire incompetenti, mi riferivo esclusivamente all’aspetto letterario (dare un giudizio critico argomentato), non certo all’ambito editoriale (vale a dire conoscenza del mercato e di tutti gli aspetti a esso correlati). Possiamo tranquillamente dire che nel suo mondo io non sono “nessuno” e suppongo che annoierei Lei e i suoi lettori se le parlassi di me: mi limito a dire che io faccio tutt’altro lavoro, anche se ho una formazione letteraria molto specifica e in un certo senso lavoro proprio con le parole e i testi scritti ma non nel settore librario, e quindi non conosco il mondo dell’editoria se non come semplice lettrice. Per il resto ho fatto l’unica cosa che potevo fare qui: ho portato la mia esperienza e la mia testimonianza. Sono venuta a leggere il suo blog perché consigliata da una partecipante a Ioscrittore che la stima e la conosce da tempo. Le testimonianze non possono essere prive di fondamento: sono solo esperienze personali, che non hanno lo scopo di convincere nessuno, ma solo di esprimere se stesse. Lei in ogni caso è stato molto gentile a rispondermi puntualmente.
5 febbraio 2014 alle 11:29
v.f.: ma una testimonianza data anonimamente limita moltissimo la priopria forza.
5 febbraio 2014 alle 11:42
Sono una “anonima per caso”! Non mi va di scrivere in un blog pubblico il mio nome e cognome per esteso per varie ragioni che non le sto a spiegare (sebbene la sigla con cui mi firmo è composta dalle mie vere iniziali), che peraltro le assicuro non le direbbe assolutamente niente. Non ho una pagina facebook o un blog a cui rinviarla per “presentarmi”: ho solo la mail che ho lasciato qui per poter intervenire. Ho solamente voluto esprimere in maniera semplice e sincera ciò che penso. Mi ha fatto piacere parlare con Lei.
5 febbraio 2014 alle 12:00
> Perché si può essere capaci di approfonditi e argomentati giudizi critici, e nel contempo essere incompetenti in materia editoriale.
Presente! Ma a mia parziale discolpa porto l’occuparmi di sola poesia e immediati dintorni, senza averne fatto un mestiere. In qualche post su vibrisse avevi accennato al funzionamento del mercato editoriale, ce lo ri-linki dall’archivio? Grazie mille e buona giornata.
5 febbraio 2014 alle 12:28
v.f., non discuto le tue ragioni. Ma ci sono cose che anonimamente non si possono fare (es.: testimoniare, affittare un appartamento, garantire una competenza, sposarsi ecc.).
5 febbraio 2014 alle 15:06
Ok, viva l’help yourself, ecco introdotto il segreto ed affascinante mondo editoriale, come da archivio del blog del padrone di casa:
https://vibrisse.wordpress.com/2011/08/22/dieci-verita-nascoste-sull-editoria/
Saluti.
5 febbraio 2014 alle 15:07
Molto divertente! Lei, che è così abile con le parole, non può far finta di mettere sullo stesso piano una testimonianza di carattere personale e una testimonianza in senso tecnico… Gli esempi che Lei porta sono correttissimi e non sa quanto alcuni di essi siano vicini alle mie suddette “ragioni”, ma su un blog, per fortuna, gli interventi non costituiscono un atto ufficiale e non bisogna prestare giuramento o mostrare i documenti! In privato le potrei dire il mio nome, studi e professione, ma non servirebbe a dare maggiore forza alla mia testimonianza di fronte ai suoi lettori. Inoltre, ho uno spiccato senso della misura e, a differenza degli aspiranti scrittori, che, come sa sicuramente meglio di me, parlano costantemente di vicende autobiografiche, dubito che Lei o chiunque altro possa trovare di qualche interesse la mia vita!
5 febbraio 2014 alle 15:28
v.f., una testimonianza anonima è inverificabile. Tutto qui. Non ci è possibile nemmeno sapere se è vero che parli di “Io scrittore” avendovi partecipato.
Io non sono “abile” con le parole.
5 febbraio 2014 alle 15:43
Se, per ipotesi, tra cinque minuti le scrivessi una mail dicendole il mio nome, non potrebbe in ogni caso verificare che ho veramente partecipato a Ioscrittore e al blog di Gems, che vi ho partecipato per più anni, eccetera, come non lo può verificare di tutti gli altri che qui, firmandosi con un nick name o con il proprio vero nome, hanno affermato di avervi partecipato e hanno raccontato le proprie esperienze al riguardo. Io sto intervenendo qui in totale buona fede: chi legge (Lei compreso) può solo, a scelta, fidarsi o non fidarsi delle mie parole. I rapporti umani (veri o virtuali) si basano necessariamente sulla fiducia.
5 febbraio 2014 alle 16:58
Sul rapporto tra la scrittura e la lettura di narrazioni, questione affacciatasi alcuni commenti fa.
Io credo che scrittura e lettura di narrazioni siano, per chi non si cimenta con intenzione nella prima, due cose ovviamente molto distinte e scollegate. Il lettore che non scrive in narrazione, per lo meno non con un’intenzione assimilabile a quella che muove gli scrittori, il lettore puro, per intenderci, e con puro sottointendo tutta una serie di qualità assimilabili alla purezza ingenua che è il sogno di qualunque scrittore che si rispetti, il lettore puro legge e basta. Il funzionamento dell’immaginazione non rispecchia né riflette l’attività e la pratica di chi scrive, l’immaginazione funziona per sé. Le lettura è chiusa in se stessa, è una camera di specchi; a volte non è persino comunicabile agli altri lettori. E’ privata, in tutto e per tutto.
Chi invece scrive e con l’intenzione da scrittore – intenzione non necessariamente denota in questo discorso una formulazione pienamente cosciente di un desiderio… – ha innescato un processo di avvicinamento del congegno mentale della scrittura a quello separato della lettura; avvicinamento lento che termina, credo, con una fusione per cui, raggiunto un certo livello, i congegni funzionano in parallelo in entrambi i casi: lo scrittore leggente non può fare a meno, mentre legge, di richiamare al funzionamento i circuiti mentali che adopera scrivendo; lo scrittore scrivente non può fare a meno, mentre scrive, di richiamare al funzionamento i meccanismi che presiedono all’attività di lettura.
Per questo io credo, il lettore puro è sostanzialmente un lettore autonomo, indipendente dagli altri lettori; legge in sé e per sé. Il lettore-scrittore è, in qualche misura, dipendente dalle proprie intenzioni di scrittore e, perciò, non solo dal proprio modo e dalle proprie abilità di scrivente, ma anche dagli altri lettori che, potenzialmente, sono anche i suoi.
Per semplificare, altrimenti non ci si raccapezza: lo scrittore leggente interpreta il testo quale suo potenziale autore. Il lettore puro non ha di questi problemi, legge e chi se ne frega.
L’aspirante scrittore non ancora formato, naturalmente, legge un testo quale suo potenziale autore, ma i congegni di lettura e di scrittura non sono ancora in grado di lavorare insieme in modo soddisfacente. L’aspirante scrittore non ancora formato legge il testo nei limiti della propria autorialità. In parte conserva inevitabilmente le ingenuità del puro lettore ma queste mal si sposano con le intenzioni dello scrittore. Insomma. Legge il testo quale suo potenziale autore e però non detiene ancora l’habitus perché tutto fili. Legge a metà, per dirlo in tre parole.
Per queste ragioni non è un lettore completamente affidabile. E’ certo meno affidabile del lettore puro (a parità di letture, naturalmente).
5 febbraio 2014 alle 17:01
Caso speciale, ovviamente, il critico.
5 febbraio 2014 alle 18:11
Non credo di essere tanto d’accordo con te, dm. Intanto esiste una vasta gamma di sfumature tra le categorie di “lettore puro” e “lettore che è anche aspirante scrittore”. Ci sono anche dei lettori che, pur non essendo né scrittori né aspiranti tali, mentre leggono mettono in moto strumenti di analisi o di smontaggio del testo: perché sono curiosi di capire “come funziona”, perché l’hanno imparato a scuola (nelle scuole si pratica l’analisi del testo letterario, narrativo o poetico che sia) o perché insegnano. Non sono critici letterari ma possiedono una certa (poca o molta, secondo i casi) capacità di analizzare un testo.
Oltre a questo, mi trovo soprattutto in disaccordo sul fatto che uno “scrittore non ancora formato” non possa essere un lettore adeguato. Mi domando: non ancora formato da chi? Quali documenti occorrono? E poi: chi dice che, in quanto scrittore, sia pure “aspirante”, legga qualunque opera ponendosi “quale suo potenziale autore”? O che addirittura “legga a metà”? Sinceramente, non capisco da dove escano fuori tutti questi assiomi…
5 febbraio 2014 alle 18:17
Sì, vero, lo scrittore scrivente quando scrive ha in mente il “lettore modello” e si trasforma in qualche modo in esso quando legge un testo altrui. Però non so se davvero lo scrittore “aspirante” sia meno affidabile del lettore puro, perché in teoria dovrebbe essere più competente. Almeno da un punto di vista tecnico, perché il resto (le storie, le emozioni etc) è ovviamente a disposizione di tutti. È un aspetto che noto all’interno del gruppo di lettura che frequento, ad esempio.
Poi, sempre parlando di letture competenti, ho visto anche lettori sorprendersi positivamente per delle “novità” che non lo erano affatto – voglio dire, la competenza è relativa, e questo è un bene. Bisogna forse capire meglio da che parte andare.
5 febbraio 2014 alle 18:25
Ho letto il commento di marisasalabelle dopo aver scritto il mio, vorrei aggiungere: verissimo, ci sono tanti lettori puri in grado di analizzare un testo e di “vederne” i meccanismi di scrittura – ma questo in una maniera direi “ingenua” (in senso linguistico, voglio dire quasi istintiva). Io da scrittrice in formazione (un giorno di questi lo trovo, un sinonimo per aspirante!) cerco di essere tecnica, anche, ma proprio perché mi serve essere competente. Non so se mi sono più spiegata o attorcigliata…
5 febbraio 2014 alle 19:23
Marisa, ci sono lettori che “mentre leggono mettono in moto strumenti di analisi o di smontaggio del testo: perché sono curiosi di capire ‘come funziona’, perché l’hanno imparato a scuola. E questi son lettori più puri dei puri.
Di “formato”, prendi l’accezione più utile (la formazione è anche un processo di indipendente formarsi al di là del conformarsi e evidentemente del confermarsi).
Non prenderlo come un assioma. E’ semplicemente un’idea: due congegni in avvicinamento, il funzionamento congiunto eccetera. Vedi, se ti sembra utile per capire determinate cose, usala. Altrimenti buttala via.
Antonella, è proprio la prospettiva “tecnica” (malintesa rispetto alla pratica) a rendere a volte una lettura meno affidabile. Proprio stare dentro alla prospettiva “tecnica”…
Ma è difficile spiegarsi bene. Non tutto è condivisibile con una nominazione precisa.
6 febbraio 2014 alle 06:26
Certo, v.f.: e ci sono diversi modi per conquistarsi o per negarsi la fiducia altrui.
No, posso.
E non lo farei, naturalmente, perché nella vita ho un sacco di cose da fare. Ma la differenza è, appunto, tra chi propone un rapporto simmetrico e chi propone un rapporto asimmetrico.
Resta il fatto che, purtroppo, chi non permette il controllo delle informazioni che fornisce non può pretendere che le informazioni che fornisce siano prese per buone. Non è questione di fiducia o non fiducia. E’ che una cattiva informazione rimane tale anche se la persona ispira fiducia.
(Mentre un ragionamento che tiene è un ragionamento che tiene, a prescindere dalla riconoscibilità di chi lo esegue – e dalla fiducia che si ritiene di avere in lui).
Se tu fornissi le tue generalità a me, in privato, v.f., questo non cambierebbe nulla: perché qui non stai “parlando con me”, stai “parlando in pubblico”.
Questa discussione, spero lo si capisca, non è oziosa. E ha una relazione con il tema dell’incompetenza. La competenza di una persona viene riconosciuta, di solito, sulla base del curriculum. E per avere un curriculum (una storia personale, una carriera, un percorso riconoscibile, ecc.: chiamàtelo come volete) è necessario avere un nome (eventualmente uno pseudonimo stabile, e che non cancelli del tutto il nome autentico) al quale tutte le cose fatte possano essere ricondotte.
6 febbraio 2014 alle 06:35
Ma io voglio che tu abbi per indubitato chea conoscere perfettamente i pregi di un opera perfetta o vicina alla perfezione, e capace veramente dell’immortalità, non basta essere assuefatto a scrivere ma bisogna saperlo fare quasi come lo scrittore medesimo che hassi a giudicare. Perciocchè l’esperienza ti mostrerà che a proporzione che tu verrai conoscendo più intrinsecamente quelle virtù nelle quali consiste il perfetto scrivere, e le difficoltà infinite che si provano in procacciarle, imparerai meglio il modo di superare le une e conseguire le altre; in tal guisa che niuno intervallo e niuna differenza sarà dal conoscerle, all’imparare e possedere il detto modo; anzi saranno l’una e l’altra una cosa sola. Di maniera che l’uomo non giunge a poter discernere e gustare compiutamente l’eccellenza degli scrittori ottimi, prima che egli acquisti la facoltà di poterla rappresentare negli scritti suoi: perchè quell’eccellenza non si conosce né gustasi totalmente se non per mezzo e per l’uso dell’esercizio proprio, e quasi, per così dire, trasferita in se stesso. E innanzi a quel tempo, niuno per verità intende, che e quale sia propriamente il perfetto scrivere. Ma non intendendo questo, non può né anche avere la debita ammirazione agli scrittori sommi..
6 febbraio 2014 alle 11:23
Sì, comprendo benissimo il suo ragionamento e lo trovo condivisibile. Credevo (erroneamente) che su questo blog di potesse intervenire con un nick, senza doversi necessariamente firmare con nome e cognome (l’ho dedotto dal fatto che su questa e altre pagine diverse persone si sono firmate con il solo nome di battesimo o con un nome di fantasia). Naturalmente se lei controllasse la partecipazione a Ioscrittore, non avrei nulla in contrario (sia l’organizzazione sia molti partecipanti mi conoscono). Ogni tanto la seguirò, anche perché ho girato qui e ho trovato alcuni articoli interessanti. Saluti e buona continuazione.
6 febbraio 2014 alle 11:47
v.f., credo che bisognerebbe dare qualche credito alla realtà.
In vibrisse si può intervenire anche con nomignoli, con nomi senza cognome, con sigle. Lo dimostra il fatto che tanti (anche tu) lo fanno. Quindi quando scrivi
sei in errore. Ma un errore così evidente, e così evidente a te stessa (che sei intervenuta appunto con una sigla), che io mi domando: fai apposta?
Così pure quando scrivi:
immagino che tu ti renda conto che mi stai benevolmente concedendo di fare qualcosa che nel contempo non mi stai permettendo di fare (e che a me, come ho già detto, non interessa fare). Così come immagino che tu ti renda conto che, come ti ho già detto, la questione della tua attendibilità pubblica come testimone inidentificabile non c’entra nulla con l’eventuale elargizione di qualche informazione in via privata. E il fatto che altre persone ti conoscano – be’, di nuovo: che c’entra? Non c’entra.
Da tutto questo inferisco che tu non sei intervenuta qui per discutere ma per altri motivi; oppure – come avevo già sospettato – che non sei capace di discutere. Pazienza.
6 febbraio 2014 alle 12:02
Sono intevenuta qui per dire la mia opinione, certo, su un argomento che conosco. Il ragionamento che ha fatto sull’attendibilità e sulla credibilità che mi ha fatto prima (lo ripeto) è giusto. Io preferisco firmarmi in questo modo, piuttosto che con il nome per esteso, e preferisco non dare informazioni sulla mia vita in pubblico. E, come dice lei, non fornendo elementi per rafforzare e dare credito a ciò che dico, le mie parole non sono verificabili e non permetto che le informazioni che do siano verificabili. Quindi? Quindi ci sono due possibilità: o do qui a chi legge tali informazioni o non le do. Siccome preferisco di no per varie ragioni, mi sembra più corretto astenermi dall’intervenire, proprio per non cadere nei pericoli della mancanza di attendibilità pubblica che ha spiegato lei. A cosa serve che io continui a esprimere le mie opinioni se non possono essere credute o prese in considerazione?
6 febbraio 2014 alle 14:27
Giacomo Leopardi: spero che continuerà a scrivere libri, per quanto può servire io la seguo.
6 febbraio 2014 alle 15:10
No, ma provaci, dm, per favore, non abbandonarmi nell’incomunicabilità (e poi sai che non si può): in che senso una lettura anche tecnica sarebbe addirittura meno affidabile? io la vedo come più consapevole… a che pro, allora, dare i testi in lettura a qualcuno che possa darti consigli editoriali e non solo ad un lettore “di pancia” (anche se, ovviamente, il lettore “di pancia”, più o meno esperto, più o meno forte, per quanto mi riguarda è quello che conta di più nel rapporto scrittore/lettore)?
ps: ma perché lo sfondo di vibrisse mi è diventato nero?
6 febbraio 2014 alle 15:27
v.f., scrivi:
Di nuovo domando: ma fai apposta?
Un’opinione bene argomentata è interessante e utile a prescindere da chi la emette e dalla conoscenza dell’identità di chi la emette (l’ho già detto esplicitamente qui).
Un’informazione con fonti riconoscibili è interessante e utile a prescindere da chi la dà e dalla conoscenza dell’identità di chi la dà.
Ciò che anonimamente non si può fare è, ho detto e ridetto, testimoniare, ossia garantire la qualità di informazioni delle quali si è la fonte.
6 febbraio 2014 alle 15:50
Antonella, lo sfondo di vibrisse è diventato nero per colpa del virus della relatività umana. Scherzi a parte (li metto di là), la questione è:
Lo scrittore in formazione (siamo addivenuti a questa definizione, più gradevole di “aspirante scrittore”) sta cercando di mettere in relazione Pancia, Tecnica, Eventuale Talento, Idea Di Letteratura e altri signori.
Non è ancora riuscito a metterli bene d’accordo, non sono ancora un team. Per cui, si sa come vanno queste cose, il più stentoreo rigido e autoritario prevale sugli altri. Spesso è Tecnica.
Una scrittura tecnica – in cui prevale la rigidità dovuta alla mancata assimilazione, – è altrettanto sfavorevole al Bello d’una lettura tecnica.
La premessa resta: da che un lettore sceglie (oppure viene scelto) e sa che diventerà uno scrivente accorto di storie – non a corto… – o uno scrittore addirittura, connette il congegno mentale della scrittura a quello della lettura e le due attività restano inevitabilmente connesse (finché morte non le separi; anche in senso figurato ovviamente…)
Ciao.
6 febbraio 2014 alle 16:26
Grazie, dm, ci rifletterò. Mi piace eviscerarle, le mie proiezioni.
Lo sfondo nero mi pareva degli anonimi, ma è divertente.
6 febbraio 2014 alle 18:52
Macellaia!
17 aprile 2014 alle 09:08
A me pare che si è compiuto un salto di livello. Dal dominio alla celebrazione dell’incompetenza. Si esibisce il livellamento a zero, come uno spettacolo, esempio vivente e trionfante, del valore della mediocrità. Lo diceva già Umberto Eco: “L’inferiorità rappresenta un ideale che nessuno deve sforzarsi di raggiungere perché chiunque si trova già al suo livello. Nessuna religione è mai stata così indulgente coi suoi fedeli.”
6 settembre 2015 alle 12:18
Alcune considerazioni (forse in ritardo, e di questo mi scuso) sul concorso “Io scrittore” e il gruppo editoriale GEMS. In quanto partecipante sono stato anche lettore; come tale ho notato che sia stato bocciato un romanzo giudicato, a mio parere, ottimo sia per la ricchezza della lingua, sia per l’intreccio della vicenda e la caratterizzazione dei personaggi; mentre un testo dalla storia scontata e “furba” scritto con linguaggio banale, abbia passato il turno. Scelte legittime sebbene frutto di “giurie” incompetenti (composte come lei ha già rilevato, da lettori mediamente mediocri) ma il problema non è questo. Tutto ciò, mi ha suscitato il sospetto che il fine, occulto e geniale, della GEMS non fosse tanto di selezionare e scoprire dei buoni testi letterari, quanto di procurarsi dei lettori medi (mediocri) che svolgessero gratuitamente il lavoro di editor (tra i compiti dei lettori c’era anche quello di suggerire correzioni e miglioramenti ai testi) al fine di individuare un prodotto medio (mediocre) su misura per il mercato librario italiano; infine, last but not least, di assicurarsi una base di pubblico (grandissima parte dei lettori, ovvero dei partecipanti al concorso – qualche migliaio, se non sbaglio – che su un blog dibattono sul concorso medesimo) pronto a “consumare” il prodotto che ha contribuito a realizzare. Tutto gratis, ricerca, selezione mirata e campagna promozionale.
Interessante è anche dare un’occhiata al blog, dove si legge di aspiranti “Io scrittori” che si iscrivono al concorso, mandano un incipit e poi pensano a scriverlo il romanzo ancora inesistente; d’altri che cercano di capire quale sia “le physique du role” del perfetto “Io scrittore” per adeguarvisi, d’altri ancora che cercano di individuare l’algoritmo utilizzato da GEMS per le valutazioni, ecc.)
7 settembre 2015 alle 08:14
Claudio: i tuoi sospetti sono per me certezze.
7 settembre 2015 alle 11:24
Pero’ riconsideriamo le competenze necessarie per valutare i salami e soprattutto i formaggi, che non e’ giusto vengano sempre utilizzati come indicatori di incompetenza.
8 settembre 2015 alle 10:27
Giulio: non avevo dubbi, però è sconfortante.
8 settembre 2015 alle 17:12
E se provassimo ad andare controtendenza?
“E’ almeno un ventennio che questo disco suona e suona sempre la stessa canzone: così che, ormai, nel senso comune, la cosa è diventata ovvia.”
Se il disco cominciasse a suonare una canzone positiva e propositiva, forse una correzione al senso comune si potrebbe anche fare.
9 settembre 2015 alle 05:59
Ma la moneta cattiva scaccia sempre quella buona, Monica.
9 settembre 2015 alle 15:17
Non so, faccio ancora fatica a rassegnarmi, nonostante tutto. Continuo a credere che si possa correggere l’incompetenza (la mia senza dubbio) e sono certa che ci crede anche lei sig. Mozzi, altrimenti avrebbe già cambiato mestiere.
9 settembre 2015 alle 21:40
Si può sempre studiare.