Un’associazione professionale per la didattica della scrittura?

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di giuliomozzi

C’è stata una discussione non del tutto inutile ma neanche tanto fruttuosa qui, in Facebook, in calce a un mio ballon d’essai.
Qui vorrei formulare la cosa un po’ meglio.

1. Esiste una quantità di iniziative private nell’ambito dell’insegnamento della scrittura e della narrazione. (D’ora in poi userò sempre la parola “scrittura”, includendovi tutto ciò che viene presentato con vari nomi: scrittura creativa, tecniche di narrazione, scrittura narrativa, scrittura poetica ecc. ecc.). Alcune di queste iniziative hanno ormai vent’anni di storia alle spalle e sono consolidate; altre sono nuove; altre hanno l’aria un po’ improvvisate; eccetera. Alcune di queste iniziative sono molto qualificate (cioè: hanno qualifiche da esibire, a es. un parterre di docenti noti e stimati ecc.), altre non lo sono (ma ciò non comporta che siano iniziative di bassa qualità). La maggior parte di queste iniziative (per quel che ho capito girellando per la rete) si rivolgono a un pubblico di principianti, o comunque di persone che non sono intenzionate a fare della scrittura il centro della loro vita. Molte si rivolgono alla scuola (direttamente agli studenti, o agli insegnanti). Molte hanno l’aspetto di attività dopolavoristiche, e si svolgono a es. in sedi nelle quali si svolgono anche corsi di ceramica, di dizione, di acquarello e così via.

2. Mi pare che, tranne rarissime eccezioni, in queste iniziative vi sia una netta centralità del docente. Perfino la Scuola Holden di Torino, che mi pare sia l’iniziativa più cospicua e più articolata, ha bisogno del carisma del fondatore. A fare la differenza tra un’iniziativa e l’altra, appena ci si alza di solo una spanna al di sopra dell’attività dopolavoristica, è il docente: il suo nome, la sua notorietà, la controllabilità delle sue capacità, eccetera.
Con forse l’unica eccezione della Scuola Omero di Roma e dell’Università dell’autobiografia di Anghiari (per la quale è però sempre importante il fondatore), non mi pare che le diverse attività si differenzino per metodi didattici dichiarati e riconoscibili. Mi pare (sottolineo questi mi pare: questo articolo serve anche per controllo) che il più delle volte l’utente non scelga la tale o talaltra iniziativa “perché lì lavorano in un certo modo”, ma piuttosto “perché lì ci insegna il tale).
Questo mi pare, benché descritto approssimativamente, un dato di fatto.

3. Peraltro, ho la sensazione che abbondino le iniziative-fuffa. Corsi che costano un occhio, il cui programma è dichiarato in dieci parole generiche, né è dato di sapere chi sia o chi siano i docenti. Corsi che promettono cose del tipo “Faremo di te uno scrittore” (sto parodiando per dare l’idea). Corsi i cui contenuti, a quel che si capisce dai programmi proposti, non sono niente di più di ciò che si può trovare in un qualsiasi economicissimo manualetto. Magari sono cose onestissime (l’onestà si vede nel rapporto tra prezzo e offerta, nonché nella descrizione dell’offerta: più è altisonante, più io m’insospettisco), ma spesso non mi sembrano cose onestissime. Il guaio è che la diffusione delle iniziative-fuffa da una parte, e dall’altra la diffusione delle iniziative rivolte ai “principianti” (cosa, quest’ultima, di per sé tutt’altro che negativa) generino un po’ di confusione e finiscano col rendere più difficile da comunicare le iniziative serie e rivolte a un pubblico più “avanzato”.

4. Mi càpita abbastanza spesso che qualcuno mi telefoni o mi scriva chiedendomi di fare – presso un’associazione, una scuola, una biblioteca ecc. – un “corso di scrittura creativa”. Quasi sempre le mie domande sui contenuti specifici desiderati non trovano risposta. Spesso, man mano che parlo con la persona, mi rendo conto che sotto l’etichetta di “scrittura creativa” vengono messi, alla rinfusa, la narratologia e i giochi di parole, gli esercizi per l’autoespressività e e le scritture ludiche e così via. Mi vien da pensare che anche sul fronte della domanda vi sia assai poca chiarezza di idee (il che spiega il proliferare di iniziative generiche e il credito che trovano le iniziative-fuffa).

5. Va detto che l’espressione “scrittura creativa” mi pare ormai piuttosto screditata. Per un verso non me ne importa molto: neanche a me piace. Da altri versi è un problema: intitolare un corso “Teoria e tecnica della composizione del testo narrativo, argomentativo, drammatico e/o poetico”; o, peggio, come piacerebbe a me, “Retorica dell’argomentazione, della narrazione ecc.”; è – temo – un ottimo sistema per non riuscire a vendere il corso.

6. Dicevo (al punto 2) della centralità del docente. Peraltro, sembra non sia ancora chiaro come si possa distinguere preventivamente (cioè: prima di acquistare un corso) un insegnante di scrittura affidabile da uno non affidabile. Il fatto di aver pubblicato delle opere narrative o saggistiche ecc. potrebbe essere un elemento di qualificazione: ma io stesso ho presente ottimi scrittori che, messi alla prova, risultano essere pessimi insegnanti di scrittura (mentre sono, magari, ottimi insegnanti di storia della letteratura). Vero è che molti autori di opere letterarie interpretano spesso le comparsate in corsi di scrittura come dei momenti autopromozionali (forse basterebbe pagarli meglio). Sono pochissimi coloro che insegnano scrittura e che rendono pubblico il loro lavoro. Intendo: che pubblicano articoli di didattica della scrittura, che pubblicano manuali di scrittura o saggi sulla scrittura eccetera; oppure che mettono materiali a disposizione in rete (l’esempio positivo più luminoso è, mi pare quello di Luisa Carrada: il suo sito Il mestiere di scrivere è una miniera).

7. Considerate tutte queste cose, e presumento che se ne possano considerare anche molte altre, il sospetto che mi viene è questo: che forse avrebbe senso costituire una associazione tra persone che insegnano scrittura, allo scopo di valorizzare il lavoro di chi fa queste cose da più tempo, con maggiore professionalità, con maggiore trasparenza.
Immagino che l’associazione dovrebbe, così a occhio:
– essere ristretta. Non può essere una cosa per cui ci si paga un’iscrizione e si è dentro: devono essere ben chiari i requisiti necessari per farne parte;
– (al limite si potrebbero immaginare degli iscritti senior e degl iscritti junior, o qualcosa del genere);
– avere le caratteristiche di un network, con scambio di materiali e conoscenze tra gli iscritti;
– pubblicare in rete, gratuitamente o a pagamento (secondo i casi) materiali didattici;
– essere abbastanza seria da garantire che se una persona è dentro, è un insegnante affidabile;
– realizzare attività di formazione all’insegnamento della scrittura (rivolta a es. a insegnanti della scuola pubblica, ma anche agli stessi insegnanti di scrittura);
– avviare contatti e relazioni con l’ambiente accademico;
– ed eventualmente altro che ora mi sfugge.

8. Libero il campo da qualche equivoco già visto all’opera nella conversazione in Facebook citata all’inizio:
– un’associazione non è un ordine professionale;
– l’associazione non si dà lo scopo di distinguere i “buoni” dai “cattivi”, ma mettendo in mostra il lavoro degli associati permette al potenziale frequentatore di corsi di valutare l’affidabilità degli associati (e, per converso, di notare come chi non mette in mostra il proprio lavoro si sottragga alla valutazione);
– se nasceranno diverse associazioni, ben venga;
– alla domanda: “Chi vi credete di essere, voi che credete di essere i migliori insegnanti di scrittura della piazza”, et similia, si risponde: noi mettiamo in mostra il nostro lavoro, se siamo buoni insegnanti o no lo valuteranno altri.

9. Ovviamente ho voglia di fondare una simile associazione, e addirittura di farne parte (i requisiti per l’ammissione saranno appositamente studiati per fare di me il candidato ideale). Avevo già provato ad avviare qualcosa di simile, tempo addietro; molto in penombra; e la cosa non si è sostenuta per mancanza di energie o, più probabilmente, per non buona definizione di scopi e obiettivi.

10. Come tutte le associazioni, anche questa avrà bisogno di un nome (l’esperienza appena citata si chiamava -si sarebbe chiamata – Ar.ma.di., Archivio di materiali didattici). Il guaio è che “Associazione italiana per la didattica della scrittura” (in sigla: Aids) non mi sembra il massimo.

Per informazioni sull’immagine in testa all’articolo, vedi Wikipedia.

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74 Risposte to “Un’associazione professionale per la didattica della scrittura?”

  1. elinepal Says:

    Mi sembra che i tuoi scopi siano chiari e condivisibili. I criteri sono ancora un punto un po’ oscuro. Chiaramente saranno quelli a scatenare il putiferio tra i coloro che vorranno far parte di tale associazione.

  2. valenthinx Says:

    mi sembra che in questa parte di frase al punto 1 ci sia un refuso o manchi qualcosa:
    “altre hanno l’aria un po’ improvvisata”

  3. Giulio Mozzi Says:

    Grazie. Ho corretto.

  4. M.E. Says:

    L’articolo è molto interessante. Mi sono permessa di creare un link allo stesso nella seguente pagina. http://emilianadefortis.wordpress.com/la-nostra-biblioteca/
    Auguri per la vostra futura Associazione!

  5. enrico ernst Says:

    caro Giulio avevo partecipato agli Armadi (l’idea di una piattaforma di materiali didattici per la scrittura creativa, da te promossa), con contributi personali (un diario di bordo dei laboratori che tenevo giorno per giorno) e altri, scovati tra le pieghe di internet; avevo cercato di rianimarlo quando sembrava spacciato, sgonfiato. Continuo a credere con serietà e costanza (cioè senza disperare) che serva una rete di persone che si scambino esperienze, riflessioni pedagogiche e altro sui temi della scrittura creativa. Che si incontrino non solo tra le pallide acque della rete, ma anche (possibilmente e compatibilmente con gli impegni di ciascuno) in carne e ossa. Continuo a essere speranzoso. Continuo a credere, come docente di scrittura creativa, che non lavoro in un vuoto di iniziativa e di “legami”, che ho tanto da imparare da altri che fanno in modo diverso il mio stesso lavoro. Devo ancora ben capire che cosa non ha funzionato nella “piattaforma” su citata. Non so, ora che proponi un'”altra cosa” simile (ma è simile?), quale sia la tua riflessione in merito, Giulio. Pensavo di scrivere al riguardo: è ancora un lutto da rielaborare (ci credevo; ci credo), poi penso: è qualcosa su cui ragionare per guardare avanti…

  6. stefano Brugnolo Says:

    A me Giulio pare bene. Va naturalmente bene anche la dicitura ‘scrittura creativa’ per le ragioni da te dette. Va da sé che gli stili di lavoro possono essere e sono diversissimi e che insomma qui entra in campo il buon senso: ci sono iniziative affidabili e no. Vedo magari più difficile decidere chi farà parte del gruppo dei coordinatori, ma insomma ci si può arrivare. Penso sì che sia importante che esista un luogo dove depositare materiali. Anche audiovisivi se possibile, credo che ‘vedere’ pezzettini del lavoro che si fa in classe dia un’idea della cosa. Mi permetto di aggiungere che insomma sarebbe bello che una iniziative del genere servisse anche come luogo per capire come cambia il nostro rapporto con la lingua, con l’italiano. In altre parole può servire a capire come cambia il rapporto tra la lingua, l’italiano, e la realtà che la lingua prova a dire. Ma insomma a me sembra tutto molto sensato.

  7. Claudio Bagnasco Says:

    Gentile Giulio Mozzi,
    provo a illustrare i dubbi che la sua proposta mi suscita.
    Chi giudicherebbe, e secondo quali criteri, quali insegnanti possano o meno far parte di questa associazione?
    Trovo due vaghi accenni di risposta, uno al punto 7 (“devono essere ben chiari i requisiti necessari per farne parte”) e uno al punto 8 (“l’associazione non si dà lo scopo di distinguere i “buoni” dai “cattivi”, ma mettendo in mostra il lavoro degli associati permette al potenziale frequentatore di corsi di valutare l’affidabilità degli associati (e, per converso, di notare come chi non mette in mostra il proprio lavoro si sottragga alla valutazione).”
    Ecco: vorrei conoscere i requisiti del punto 7; perché, a leggere il punto 8, ci si può confondere, e intendere che il criterio guida sarà la trasparenza.
    (Peraltro, nella discussione su Facebook leggo che l’associazione dovrebbe “rendere riconoscibili nel mucchio quelli che hanno più esperienza e sono più affidabili”. Non è molto diverso dal dividere i buoni dai cattivi, o mi sbaglio? Se l’associazione dovrebbe avere questo scopo, significa che chi non si assocerà farà parte del mucchio degli inesperti e inaffidabili, o mi sbaglio?)
    Ancor più ci si può confondere se non c’è (come non c’è: confermo) un rapporto diretto tra il curriculum di un insegnante di scrittura creativa (chiamiamola così per far prima) e la qualità del suo insegnamento.
    Certo: un individuo di buon senso e buone letture dovrebbe impiegare cinque minuti a scovare in rete la bibliografia di Giulio Mozzi, a scoprire che ha insegnato in laboratori di scrittura creativa dai programmi chiari e dettagliati, assieme a eccellenti narratori (Michele Mari) e altrettanto eccellenti poeti (Umberto Fiori), e dunque, infine, a fidarsi della qualità del suo insegnamento.
    Il medesimo individuo dovrebbe impiegare ancor meno tempo a diffidare di un laboratorio dopolavoristico, dal programma espresso con vaghezza e fumosità, tenuto nella sala biliardo dell’oratorio salesiano dalla vedova Pinazzi, la quale ha pubblicato diciannove plaquette poetiche con le Officine del Torchio D’Argento.
    Ma ben sappiamo che esistono pure individui che (per ingenuità?, per incultura?, per disperazione?) frequenteranno i laboratori dopolavoristici della vedova Pinazzi.
    In definitiva: che male c’è?
    Che vantaggi porterebbe, e a chi, creare un’associazione dalla quale la vedova Pinazzi sarebbe inevitabilmente esclusa? Non rischierebbe di apparire solo come una narcisistica difesa di sé, delle proprie competenze?
    Tempo fa alcuni amici editori e autori hanno proposto di chiedere che ogni libro uscito presso editori a pagamento recasse un bollino che certificasse tale turpe origine. Mh, ho pensato io. Sarebbe come se, su youtube, prima di ogni video di Arturo Benedetti Michelangeli comparisse la scritta: “costui suonava da Dio”, e prima di ogni video di Giovanni Allevi comparisse la scritta: “costui suona di merda”.
    Non è più proficuo continuare a insegnare al massimo delle proprie capacità, accettando che ci sarà sempre chi si iscriverà ai laboratori della vedova Pinazzi, comprerà libri di editori a pagamento, e ascolterà con godimento le composizioni di Giovanni Allevi?
    Personalmente, preferisco l’idea che ciascuno (ciascuno dei più gagliardi insegnanti di scrittura creativa) dia il proprio contributo alla creazione di un archivio consultabile. O all’ampliamento di quello, già esistente e meritorio, curato da Luisa Carrada.
    (Con tante scuse alla vedova Pinazzi. E, per la lunghezza dell’intervento, ai lettori di Vibrisse).

  8. stefaniazan8 Says:

    … ma sarebbe contagiosa!

  9. enrico ernst Says:

    … sguardo veloce alla discussione su facebook: una certa, sottile, persistente depressione (mia)… c’è qualcosa di profondamente radicato, qui da noi, che non permette un discorso concreto e “utile” su questi temi. Un allargamento di prospettiva e una sintesi di orizzonti. Come se sfugga il tema culturale più generale. Si parla ancora e sempre delle… prospettive professionali, delle ambizioni, il più delle volte frustrate, del “far libri, far successo”, della inefficacia di, della inutilità delle scuole, delle associazioni, delle reti, dei collegamenti… che noia, che profondissima noia… non si è pronti? Bene, lo si dica e smettiamola lì… forse aggiungerei, Giulio, che un’associazione non può essere il “club dei migliori”, almeno la penso così… un’associazione dovrebbe essere un luogo di scambio e di crescita, di riflessione e di “produzione di materiale” utile, un collante di esperienze diverse e “virtuose”, uno strumento per svegliare le Belle Addormentate, perché no?: la scuola in genere, l’università in particolare, su questi temi… un’associazione propone momenti collettivi in cui “ci si conta” e “ci si racconta”. Una associazione non dà (non può dare a mio avviso) “bollini”. E, scusate se mi ripeto, ma la piattaforma di materiale per la didattica ecc. aveva obiettivi assolutamente chiari ed evidenti! E se non si parte da lì… mah!

  10. Carlo Capone Says:

    Caro Giulio ( e con questo commento ritorno su Vibrisse, una rivista che sai bene quanto mi sia cara rispetto alle altre; tanto da essere l’unica che leggo sul web),
    credo che in America il problema della mancanza di una associazione del genere sia stato risolto, visto che molte univeristà di quel paese tengono regolari corsi di creative writing.
    Anni fa acquistai in proposito un libriccino che riportava lezioni tenute da Carver in un loro ateneo, con testo delle sue lezioni, esercizi impartiti agli allievi e correzioni da lui apportate.
    Certo, anche in America si porrà la questione della scelta in base alla qualità e la rinomanza dell’offerta, ma è fuori discussione che la presenza di un college alle spalle dell’insegnante sia di per sè una garanzia.
    Carissimi saluti.

  11. enrico ernst Says:

    Eh già Carlo. Davvero una domanda vibra: ma l’Università italiana riuscirà mai ad “aprirsi” a nuove suggestioni? All’esterno? Riuscirà a discutere della esperienza nordamericana del creative writing? Riuscirà ad aprirsi a quello che succede nella società italiana e nel mondo della formazione? Cosa occorre perché ciò avvenga?… la “scrittura creativa”, o forse meglio “letteraria” (e per la scena: teatro, cinema, televisione; e poi poesia ecc.), è qualcosa che ha diritto di entrare nella Università italiana oppure no? Un “fisico nucleare” o un “filosofo”, entrambi formati dall’Università italiana, è un professionista più di un “autore”, impegnato nel mondo della letteratura e della scrittura “fictionally”? Quali le ragioni del no e quali dl sì? Questo è un discorso che apre porte, apre riflessioni… lavoratori dell’Università, parlatene, ve ne prego! Battete un colpo! la vostra assenza è semplicemente inquietante!

  12. Carlo Capone Says:

    Enrico, l’università italiana temo faccia molta fatica ad accettare gente che si occupi di scrittura. E’ difficile, ad esempio, che un insegnate accademico sia un bravo conoscitore di letteratura e critica e insieme pratichi con successo l’arte della retorica, per dirla alla Giulio.
    In soldoni e di converso, tra gli attuali scrittori affermati non ne conosco nessuno che occupi una carica universitaria.
    Per il passato abbiamo avuto forse il solo Carducci, ma non vi è traccia che nelle sue lezioni insegnasse scrittura letteraria.
    Pascoli era ordinario di latino e greco, scrisse componimenti in ambedue le lingue, vincendo numerosi certamines, però non saprei se abbia avvertito obblighi particolari di diffonderne i dettami tra gli allievi.
    In definitiva, quale diavolo di credito poteva riscuotere l’imprenditore industriale Svevo in seno al mondo dell’università italiana? aveva fatto la trafila di borsista, assistente, incaricato, eccetera, presso la tal cattedra? aveva pubblicato ahimè spesso inutili saggi di critica per accedere ai concorsi interni?
    E sarà un caso che il proprietario di questa Rivista ricordi asciuttamente nelle sue note biografiche di essersi impegato, dopo la licenza liceale, come addetto stampa alla confartigianato, di non aver conseguito una laurea e forse di non averci mai pensato? eppure, non sono certo un suo piaggiatore, è tra i maggiori scrittori italiani di ultimo scorcio del Novecento, ora anche tradotto in inglese, nonchè possessore di una cultura letteraria e di una pratica di retorica semplicemente mostruose. Come silenziosamente a sottolineare: visto che per diventare chi sono diventato non ci avevo mica bisogno della laurea?

    Per onestà di esposizione devo aggiungere che il fenomeno del rigetto nei confronti di uno specialista non certificato è prassi consolidata in qualunque attività.
    Personalmente ho conosciuto esperti in processi di chimica industriale o in statica dei corpi rigidi o in progettazione di grandi circuiti elettrici che a stento avevano un diploma e non certo una laurea da ingegnere. Eppure alcuni di essi sono a volte citati in congressi della specifica disciplina, cosa che ritengo accada spesso a Giulio Mozzi, ma appunto, citati e per il resto tenuti a distanza.

    L’unico campo, che io sappia, in cui aver espedito pratica su se stessi è condizione necessaria per esercitare il mestiere di terapeuta è la psicoanalisi. Nei primi tempi era anche condizione sufficiente, tanto che lo stesso Freud riservava una certa predilizione per gli adepti di provenienza non psichiatrica.
    Musatti, ad esempio, era laureato in matematica.

  13. Giulio Mozzi Says:

    Carlo, sei caduto vittima di un’illusione. Quel libricino non conteneva gli esercizi proposti da R. Carver, ma esercizi elaborati da altri “nello spirito di R. Carver”.

    Claudio: non vedo perché si dovrebbe diffidare di un’iniziativa dopolavoristica che si presenta onestamente come tale.

    Alla domanda

    Chi giudicherebbe, e secondo quali criteri, quali insegnanti possano o meno far parte di questa associazione?

    rispondo nell’unico modo possibile: i fondatori dell’associazione stessa, all’inizio; e, in seguito, i soci dell’associazione stessa.

    Scrivi poi che

    non c’è […] un rapporto diretto tra il curriculum di un insegnante di scrittura creativa […] e la qualità del suo insegnamento.

    Trovo bizzarra questa opinione. Secondo me un rapporto diretto c’è (naturalmente mi riferisco al curriculum di insegnamento, non alla lista delle opere letterarie pubblicate).

    Scrivi inoltre:

    Personalmente, preferisco l’idea che ciascuno (ciascuno dei più gagliardi insegnanti di scrittura creativa) dia il proprio contributo alla creazione di un archivio consultabile.

    E di che cosa ti pare che parli, quando parlo di “mettere in mostra il proprio lavoro”?

    Enrico: “certamen” è neutro, accidenti! E Michele Mari insegna alla Statale di Milano.

  14. Giulio Mozzi Says:

    Carlo, vedi a es. qui, qui, ecc.

  15. Carlo Capone Says:

    Giulio, non sapevo che associazioni quali tu preconizzi prosperassero in America già “in the mid-seventies, before the expansion of university creative writing programs”.
    Non c’è niente da fare, gli americani hanno una professionalità pazzesca in tutto ciò che fanno. Ne do un esempio prossimo al tema del post.
    Per puro caso mi venne tra le mani “I pilastri della terra”, quel tale best seller di Ken Follet . Ora io ‘sta roba la diserto, di autori che ti impaccano un libro da 500 pagine arrivo a provare un arrogante fastidio. Però apprendevo in quarta di copertina che trattavasi di un romanzo storico ambientato nell’alto medioevo, un particolare che in aggiunta alla mia fame cronica di storia di quel periodo e al fatto che questo scrittore è in fondo l’unico fra quelli del suo genere a non provocarmi l’orticaria, mi convinse a prenderlo.
    Il libro è un tomo di 1030 pagine, nel quale l’autore se ne sbatte allegramente di ritmo, di capitoli lunghissimi e del timore di appesantire la storia con lunghe ancorchè documentate descrizioni o con dialoghi non sempre brillanti. E tuttavia, santa pace, ti costruisce un affresco del medioevo che raramente mi è capitato di ammirare, dispiegando con calma una trama dal respiro ampio e solenne, accuratissima nei particolari, all’interno della quale si incrociano le vicende quarantennali di un gruppo di personaggi all’ombra di una cattedrale in costruzione. E tutto questo si inscena durante la guerra civile tra sassoni e normanni, non senza trascurare il conflitto per le investiture fra il Papa e i re Enrico I e II, anzi infarcendo la carne viva del romanzo di notizie sulla statica di una cattedrale del XII secolo, di come si giunse al vantaggio delle costolature ogivali dell’architettura gotica e infine, attraverso le tribolazioni di quei personaggi, raccontando il vivere quotidiano, le abitudini alimentari, gli ordinamenti civili dell’Inghilterra del millecento, il nascente capitalismo urbano e perfino i giochi con cui la gente comune si intratteneva nei rari giorni di festa.
    Come detto ne emerge l’imponente affresco di un’epoca, il quale non sarà questa grande opera letteraria ma pur sempre il prodotto di buona fattura di un valente artigianiale, capace di tenerti per mano lungo le mille e oltre paginacce.
    Cosa voglio dire, niente, domandarmi solo se qui da noi abbiamo scrittori che pratichino uno scrivere calmo e di sè sicuro, un incedere che debordi da ogni misura sapendo in anticipo che sarà ben accolto. Per capirci, gente andata a bottega da esperti ferrai, da bravi mastri inseriti in un tessuto di relazioni intra ed extra moenia, per restare in argomento medioevo. Ce ne sono? ma direi di no, perchè appunto manca quella idea che scrivere sia soprattutto un’attività di artigiani, di buoni artigiani che trasmettano un mestiere.

  16. Giulio Mozzi Says:

    Carlo: nemmeno io sapevo che, ecc.ecc.; ma quando ho vista la tua affermazione,

    …credo che in America il problema della mancanza di una associazione del genere sia stato risolto..

    ho speso qualche secondo per controllarne la verità. Ho messo le parole chiave “society creative writing” in un motore di ricerca, e ho guardato i risultati.
    Ho fatto, insomma, quello che avresti dovuto fare tu prima di affermare, sia pure in forma un po’ dubitativa, ciò che hai affermato.

    Quanto alle altre tue considerazini, èsulano dal tema.

  17. Lucio Angelini Says:

    Ormai si pubblicizzano corsi di ogni natura, dal cucito alla danza del ventre alla parassitologia politica. Personalmente ne sto seguendo uno in lagunologia, qui al Lido di Venezia. Che sorgano o meno comitati e associazioni professionali certificanti la qualità dei titolari di corsi, ciò non sposterebbe di una virgola il fatto che alla gente non interessa tanto domandarsi se un giornalista è iscritto o meno all’Albo professionale (molti ne chiedono l’abolizione) quanto verificare di persona il contenuto dei suoi articoli.

  18. Claudio Bagnasco Says:

    Giulio,
    se tu (vada per il “tu”) mi chiedi: “E di che cosa ti pare che parli, quando parlo di “mettere in mostra il proprio lavoro”?”, io non posso che risponderti: “Parli proprio di un archivio consultabile”.
    I miei dubbi, che ho espresso, riguardano altro.
    Seguirò con interesse gli sviluppi di questa tua proposta (siccome i dubbi, per propria natura, possono anche essere sciolti).

  19. Giulio Mozzi Says:

    Però, Claudio, non chiedermi i requisiti di cui al punto 7: visto che la discussione serve tra le altre cose a immaginare quali dovrebbero essere i requisiti di cui al punto 7.

    Domandi:

    Che vantaggi porterebbe, e a chi, creare un’associazione dalla quale la vedova Pinazzi sarebbe inevitabilmente esclusa? Non rischierebbe di apparire solo come una narcisistica difesa di sé, delle proprie competenze?

    La prima domanda è viziata: la vedova Pinazzi potrebbe essere pefettamente adeguata ad attività dopolavoristiche, sulle quali non ho nulla da ridire.
    La seconda domanda sembra presupporre che ogni difesa delle proprie competenze sia narcististica, e quindi patologica. Mi sembra un’idea piuttosto strana.
    Nella mia città esiste un’associazione di idraulici. Gli idraulici associati si impegnano a un certo livello di prestazioni e a certi prezzi. Non trovo la cosa narcististica: la trovo utile.

  20. Cos’altro c’è di basilare? | vibrisse, bollettino Says:

    […] [A proposito di Un'associazione professionale per la didattica della scrittura?] […]

  21. Claudio Bagnasco Says:

    Giulio, se scrivo che l’associazione rischierebbe di apparire solo come una narcisistica difesa eccetera, non presuppongo che tutte le difese siano narcisistiche.
    Non nego affatto, poi, che l’associazione possa avere un’utilità pari o maggiore di quella degli idraulici della tua città. Anzi, proprio per questo ho scritto che guarderò con interesse all’evoluzione della tua proposta.
    Sui requisiti hai ragione. Lì sta, credo, il centro della questione.

  22. Giulio Mozzi Says:

    Però, Claudio, potresti magari provare a contribuire positivamente. Ad esempio proponendo dei requisiti…

  23. Claudio Bagnasco Says:

    Seguirò lo sviluppo dell’iniziativa, Giulio, e se potrò (se l’iniziativa mi entusiasmerà, se riterrò di avere qualcosa di potenzialmente utile da dire) contribuirò volentieri.

  24. Andy Says:

    Io sono Sommelier. Da 14 anni. Quando ho frequentato i tre corsi, il vino era solo all’inizio della sua straordinaria parabola ascendente come argomento cool e l’AIS (Associazione Italiana Sommelier) stava solamente gettando le basi di una luminosa carriera alla quale sarebbero seguiti innumerevoli tenativi di imitazione. Perlopiu’ raffazzonati e malriusciti.

    La degustazione all’enoteca sotto casa con il contadino sabino come guest star inontra ben pochi bisogni del cliente, uno su tutti quello di poter affermare di aver “fatto corsi di degustazione”.

    Io sono diventato Sommelier per fini meramente culturali e senza aver mai esercitato professionalmente l’attivita’. Ciononostante, toccato con mano il massimo, non consiglierei niente di meno a chiunque coltivasse il pur minimo interesse per l’approfondimento. Tutto il resto si puo’ fare da soli, con l’aiuto di uno o piu’ buoni libri, della rete e di un bravo cameriere al proprio tavolo. Se poi lo scopo e’ semplicemente quello di passare il tempo, capisco che non tutti vogliano andare al cinema.

    Quindi per andare al punto 7, se e’ francamente improbabile che tutti coloro che frequentino un corso di scrittura certificato possano raggiungere la pubblicazione- e che comunque la promessa della tale non dovrebbe essere la motivazione centrale per frequentare tale corso, e sottolineo promessa- cos’e’ che dovrebbe distinguere una formazione professionale da una dilettantistica se non proprio- per definizione- un certificato?

    Per quanto assurdo possa sembrare, mi chiedo se il rilascio di un attestato che certifichi che il frequentqatore (lo studente?) del corso domina le tecniche di scrittura non sia la soluzione per dire che si’, alla fine, questi corsi se fatti bene a qualcosa servono- al di la’ del talento (che non si puo’ insegnare).

    La discussione a questo punto si dovrebbe spostare su come misurare le capacita’ tecniche e sulla possibilita’ di omogenizzare eventualmente tali metodi di misurazione, adeguandoli a standard nazionali.

    In fin dei conti e’ quello che fanno tutti i corsi.

    Sinceramente, non vedo altre vie d’uscita.

  25. Heiko Caimi Says:

    “Ho lavorato con”, ma questo non garantisce la qualità del mio insegnamento. La garantiscono l’impegno che profondo, i quattordici anni di esperienza, l’aver fatto parte di realtà editoriali, il continuo aggiornamento, l’approccio professionale, l’interazione continua con i partecipanti, il fatto che incentivo gli iscritti a scrivere (sembra ovvio, ma in troppi corsi “frontali” non lo è) e che metto mano singolarmente ai loro lavori dando consigli mirati e facendo editing, il fatto che li promuovo dove e come posso e così via. Ma il fatto che abbia lavorato con dei nomi non garantisce un bel niente, secondo me.

  26. Cristina Venneri Says:

    Giulio (e compagnia), mi chiedo se all’estero (almeno in Europa) esistano simili associazioni o alternative. Magari per confrontarne i requisiti. O per capire quanto siamo arretrati (non tanto a non averne, quanto a non riuscire a concepirne l’esistenza).

  27. Giulio Mozzi Says:

    Cristina, vedi sopra per gli Usa. In Francia c’è la rete degli Ateliers ispirati a Elizabeth Bing, che sono una cosa molto particolare (pensate a un’evoluzione per gli adulti delle pratiche di Mario Lodi).

  28. Giulio Mozzi Says:

    E’ sempre interessante leggere la pagina di Wikipedia sulla c.d. scrittura creativa. Contiene sciocchezze memorabili, a partire dall’incipit:

    La scrittura creativa è ogni genere di scrittura che vada al di là della normale scrittura professionale, giornalistica, accademica e tecnica. La scrittura creativa include romanzi, racconti, poesie e poemi. Nata in molti paesi come manifestazione spontanea di giovani scrittori, è diventata un fenomeno di costume, anche con buoni risultati editoriali e con il fiorire di scuole di Scrittura creativa. Anche la scrittura per il cinema e il teatro rientra nella scrittura creativa, ma viene generalmente insegnata in corsi a parte.

    Se questo è, per il senso comune, la “scrittura creativa” (faccio l’ipotesi che, lì dove non è meramente informativa, Wikipeida rifletta il senso comune), allora bisogna urgentemente trovare un altro termine… (e io penso sempre alla Retorica, magari la “Retorica della narrazione”…).

  29. Andy Says:

    Retorica non mi piace. Mi sa di clericale. Problema mio, non c’e’ dubbio. Narrazione invece ci sta bene, rende l’idea di cosa si sta parlando. Scrittura creativa e’ fuorviante, perche’ qualcosa di creativo e’ difficile da accettare che sia anche insegnabile. Si puo’ insegnare la tecnica, quella si.

    Teoria e pratica della narrazione renderebbe l’idea, ma e’ poco accattivante.

    Parole come fondamenti, istituzioni, sono state gia’ testate?

  30. Sergio Badino Says:

    Buongiorno Giulio. Mi pare ci sia un po’ di conflitto d’interesse in un’associazione in cui un insegnante di scrittura deve giudicare i requisiti che un altro insegnante di scrittura deve avere per far parte dell’associazione!

  31. Heiko Caimi Says:

    Scrittura narrativa?

  32. Giulio Mozzi Says:

    Andy, io propongo da tempo “Teoria e tecnica della composizione e redazione di testi narrativi, argomentivi, drammatici e poetici”. Così in burocratese. In italiano: retorica.

    Alla Holden parlavano di “tecniche della narrazione”. E va bene, ma non si sola narrazione si vive (esiste appunto anche l’argomentazione, eccetera).

    Non so perché la parola “retorica” ti sappia di clericale. E’ una disciplina assolutamente laica, inventata dai pagani, reinventata dagli umanisti, affossata dai romantici al grido di: “Basta metterci il cuore, ed è arte!”.

  33. Claudio Bagnasco Says:

    Per quanto riguarda i requisiti, mi è venuto in mente questo (e non sono sicuro che non sia una stupidaggine):
    dare la possibilità a qualunque insegnante di cosiddetta scrittura creativa di far parte dell’associazione.
    “Bel guazzabuglio!”, mi si obietterà.
    Ne dubito, se per associarsi occorresse esplicitare il proprio curriculum letterario, quello di insegnamento, le collaborazioni, mostrare i programmi, le eventuali dispense redatte eccetera.
    A quel punto, quale insegnante-fuffa si iscriverebbe?
    Ho detto una stupidaggine?

    Per quanto riguarda il termine, la scelta non è davvero facile. Perché mi pare che debba rispettare contemporaneamente due requisiti: quello dell’esattezza semantica e quello dell’appeal. Al volo (e quindi con tutte le imprecisioni del caso) mi viene: “Teorie e pratiche della testualità” (o “Teorie e pratiche della redazione testuale”).

  34. Giulio Mozzi Says:

    Sergio Badino: non vedo nessun conflitto d’interesse. Se un gruppo di persone fonda un’associazione, avrà pure il diritto di ammettervi come socio gli cavolo gli pare, no? E se a qualcuno la cosa non gli sta bene, che ne fondi un’altra.

    Per dire: in Italia esisteva da un pezzo l’Associazione italiana di psicologia giuridica. Nel 2008 alcune persone ne sono uscite – per divergenze – e hanno fondato la Società di psicologia giuridica. Ciascuna fa quel che ha da fare (compresi i propri business, immagino), e buonanotte al secchio.

    Più l’attività dell’associazione è resa pubblica (mi ripeto…), più facilmente chi le visita il sito o ne segue le attività o le pubblicazioni ecc. può rendersi conto della serietà o non serietà della faccenda.

    In altre parole: a me questo tipo di obiezioni sembrano delle sciocchezze e basta.

  35. Giulio Mozzi Says:

    No, Claudio, non hai detto una sciocchezza. Hai dette le stesse cose che ho dette io, con altre parole: come potrei non essere d’accordo?

    Eviterei la parola “testualità”, che mi sembra dotata più o meno dello stesso appeal della parola “incombenza”.

    😉

  36. Sergio Badino Says:

    Ammetterai che se tutti iniziano a fondare associazioni, allora altro che guazzabuglio. Sono d’accordo con quanto detto da Claudio e, perdonami, da come tu hai argomentato la cosa, era tutt’altro che chiaro, almeno a me. Forse non vorresti far parte di un club che accettasse tra i suoi membri uno come te! 😉

  37. Andy Says:

    Retorica mi sa di clericale perchè penso a un predicozzo e mi figuro un prete. Come detto, problema (e pregiudizio) mio.

  38. Giulio Mozzi Says:

    Oh, no, Sergio: se tutti iniziassero a fondare associazioni, sarebbe la libertà di associazione prevista dalla Costituzione italiana.

    Che cosa era tutt’altro che chiaro?

    Andy, associare la parola “retorica” alla parola “predicozzo” è come associare la parola “gastronomia” alla friggitoria qui sotto.

  39. Giulio Mozzi Says:

    Mi stupisce, comunque, e mi stupisce davvero molto, un pensiero che mi pare sottostia ad alcuni interventi di questa discussione: il pensiero che associarsi nei modi previsti dalla legge per tutelare i propri interessi sia una cosa brutta.

    Io penso che sia una cosa bella.

  40. Heiko Caimi Says:

    Anzi: sarebbe bello creare un’associazione degli scrittori, anche. Che magari aiuti a tutelarci dai troppi editori truffaldini. Per esempio.

  41. Cristina Venneri Says:

    Tutto ciò mi produce un deja vu delle Riviste del Novecento. Saranno forse le pronipoti, queste associazioni? Certo, la questione dei requisiti nel caso degli scrittori provocherebbe ancora più polemiche. Ma i Manifesti (adorabili i Manifesti!) servono proprio a questo.

  42. Giulio Mozzi Says:

    Heiko, vedi qui.

    Cristina: un’associazione per la didattica mi pare una cosa un tantinello diversa da una società letteraria. Se l’associazione producesse una rivista, m’immagino che sarebbe qualcosa di più simile a “La vita scolastica” che a “La fiera letteraria”.

  43. Heiko Caimi Says:

    Grazie, Giulio!
    Un sito interessantissimo, e utilissimo.

  44. Giulio Mozzi Says:

    E per l’ennesima volta dico: prima di dire che una cosa non c’è, provare a vedere se c’è.

  45. Heiko Caimi Says:

    Beh beh, non trattasi di vera e propria associazione di scrittori, come l’immaginavo io, ma piuttosto di servizio volontariamente messo a disposizione di scrittori ed in particolare esordienti. In Italia a presunta protezione abbiamo solo la SIAE, sulla quale stenderei pietoso velo e lancerei ingiurioso anatema. Un’associazione di scrittori potrebbe anche dare il “la” a iniziative che non si vedono da decenni, creare comunicazione, dare il via a progetti. Per esempio.

  46. Cristina Venneri Says:

    Heiko, per dirla con Giulio: si tratterebbe di “rendere riconoscibili nel mucchio” quelli che corrispondono a un certo profilo? Quali dovrebbero essere i criteri?

  47. stefano brugnolo Says:

    ogni tanto mi collego e leggo. Magari non sono molto addentro alla cosa, ma ecco a me pare che un criterio importante sia, tanto per cominciare, un po’ d’esperienza, insomma, aver condotto un po’ di gruppi di scrittura, essersi fatti un po’ di ossa. Lo so magari uno è bravissimo come ‘maestro di scrittura’ e però ha lavorato pochissimo, oppure ha lavorato molto ed è un trombone. Però insomma resto dell’avviso che avere dell’esperienza è qualcosa e vale la pena tenerne conto. Anche perché se ti chiamano un po’ di volte a tenere un gruppo vuol dire che insomma un po’ di riscontro c’è. Lo so è molto empirico come criterio, ma era per dire la mia…

  48. Cristina Venneri Says:

    Stefano, si parlava della possibilità di fondare un’associazione di scrittori.

  49. stefano brugnolo Says:

    chiedo scusa credevo che fosse ancora in ballo l’idea di una associazione di insegnanti di scrittura e invece siete passati a quest’altro tema. Pardon allora, non c’entro…

  50. Heiko Caimi Says:

    No, trattasi di semplice digressione, che forse necessiterebbe di discussione a parte. Comunque, Cristina, se ne parlerebbe. Uno potrebbe essere: l’aver pubblicato, e non a spese proprie. Stefano, siamo in Italia: non tieni conto delle raccomandazioni. N degl’ignobili corsi tenuti da persone autorevoli.

  51. Cristina Venneri Says:

    Eh no, non ci appropriamo di discussioni altrui. Il tema iniziale e principale resta quello.

  52. Cristina Venneri Says:

    Allora, Heiko, se avvio un dibattito a tema sul mio blog t’invito a prenderne parte.

  53. Sergio Badino Says:

    Allora credo di aver capito male quali sono i tuoi intenti, Giulio, forse sopravvalutandoti sulla base di quel che di professionale conosco di te. D’istinto ho pensato che ti stesse a cuore fondare un’associazione che provasse a unire, tendendo mani, un mondo già molto frammentato. In realtà ho capito che t’interessa coltivare il tuo orticello e ammettere probabilmente, nella tua associazione, tutti i tuoi amici e stop. E’ questo mondo – il mondo della didattica della scrittura – bisognoso di ulteriori divisioni? Tu dici che non vuoi far la lista di buoni e cattivi, ma è inevitabile che nella tua associazione finirebbero quelli che per te sono i buoni e nella – ipotizziamo – mia, quelli che lo sono per me. Non prendiamoci in giro: non posso credere che, fondando un’associazione di questo tipo, una persona che insegna scrittura non pensi prima di tutto ad ammettere nel club le strutture con cui collabora, oltre che se stesso. Benissimo. So bene che la Costituzione prevede libertà d’associazione. Non credo che tutelare i propri interessi sia una cosa brutta, ma il modo che tu proponi – e perdonami se uso questa parola: tu per primo l’hai usata con me – è sì una vera sciocchezza, dal momento che tutela gli interessi tuoi e delle persone che deciderai di ammettere. Se altri non dovessero risultare degni di tanto privilegio dovranno, se vorranno, fondare la loro associazione, che tutelerà i propri interessi. Queste sono iniziative che dividono, e continuano a dividere contribuendo a creare ulteriori divisioni in un ambiente già molto frammentato, come ho scritto sopra. C’è bisogno di questo? O meglio, c’è bisogno di questo proposto in questo modo? C’è bisogno che Giulio Mozzi dia il placet sul programma di questa o di quella scuola? Facciamo le squadre! Ma Mozzi arbitro no, per favore.

  54. Pensieri Oziosi Says:

    Io sono attiva in tutt’altro campo professionale, ma la mia esperienza può esser comunque d’interesse, visto che sono iscritta a quattro distinte associazioni professionali che hanno diversi intenti e criteri d’ammissione diversi.

    Diciamo che le quattro associazioni sono l’Associazione Europea di Fuffologia (AEF), la Società di Fuffologia (SdF), l’Organizzazione dei Fuffologi Professionisti (OFP), l’Associazione di Metafuffologia (AM).

    Alcune cose sono comuni a tutte (o quasi tutte) le quattro associazioni:

    1. I criteri di ammissioni sono stabiliti dai fuffologi che fanno parte dell’associazione (chi altro dovrebbe stabilirli?), inizialmente dai fondatori dell’associazione. I criteri non sono arbitrari per i singoli individui, nel senso che sono codificati, e non si tratta quindi di una semplice cooptazione (che mi sembra essere la preoccupazione di Badino).

    2. L’iscrizione ad un’associazione è opzionale: in nessun caso l’esercizio della fuffologia necessita dell’iscrizione ad un’associazione di categoria.

    3. Le tre delle quattro società prevedono la possibilità di iscriversi come membro associato se i criteri per l’ammissione come membro ordinario non sono pienamente soddisfatti.

    4. Sono associazioni internazionali, che quindi possono contare su un grosso numero di iscritti: i membri della SdF, la più grande delle quattro, sono mezzo milione.

    Altre cose sono invece diverse:

    L’unico criterio da soddisfare per iscriversi all’AEF è pagare la tassa annuale di 75€. A dispetto del nome non ci sono limitazioni geografiche per l’ammissione. L’associazione produce una pubblicazione trimestrale dominata da articoli di stampo accademico e organizza un importante congresso annuale (che si tiene in una locazione sempre diversa, questa sì in Europa) ristretto ai soli membri. La partecipazione al congresso è per molti — me inclusa — l’unico motivo per cui iscriversi all’AEF.

    Per essere iscritti alla SdF bisogna avere almeno una laurea triennale in fuffologia o esperienza equivalente. La SdF pubblica la lista degli atenei e dei corsi di laurea ammissibili, stabilisce come esperienza equivalente un’esperienza professionale di sei anni, attestata dal datore di lavoro (se dipendente) o dal registro delle imprese (se autonomo). La SdF produce pubblicazioni di altissimo livello in tutti i campi della fuffologia, cura i processi di standardizzazione fuffologica, sponsorizza convegni. Lo scopo dell’associazione è la promozione della fuffologia, non dei fuffologi. Uno diventa membro della società per contribuire, per concorrere nei processi decisionali e per avere accesso alle pubblicazioni della società, per usufruire delle possibilità di aggiornamento professionale. La tassa annuale varia a seconda di quante pubblicazioni si vogliono leggere. Tipicamente siamo tra i 150 – 200€.

    L’OFP ha tre criteri di ammissione che vanno soddisfatti. Il primo si basa su di un sistema di crediti: se hai la laurea triennale ottieni tot crediti, se hai la magistrale ne ottieni il doppio, se hai un dottorato ne ottieni il triplo; ogni anno di esperienza professionale ti dà crediti; ogni pubblicazione fuffologica ti dà crediti in misura stabilita da una tabella pubblicata dall’OFP; per essere ammessi la somma dei crediti deve almeno raggiungere una soglia specificata dall’OFP. Il secondo criterio di ammissione è, semplicemente, un esame scritto. Lo scopo dell’esame è quello di assicurare che vi sia un corpo minimo di conoscenze fuffologiche che accomuni tutti i membri, a prescindere dal loro diverso percorso formativo e professionale. L’esame è unanimemente considerato molto difficile, io sono riuscita a prepararmi in tempi relativamente brevi solo grazie al fatto che ero a casa in maternità. Il terzo criterio è dato dalla necessità di presentare due lettere di raccomandazione, di cui almeno una deve essere di un membro dell’OFP.
    L’OFP ha un codice deontologico ed una commissione disciplinare. Le sanzioni attualmente in esecuzione sono visibili sul sito web dell’OFP. Lo scopo dell’OFP è chiaramente quello di promuovere la professionalità del fuffologo: il periodico dell’organizzazione è orientato alla pratica della fuffologia, così come lo sono le presentazioni ai convegni. L’organizzazione ha delle sedi in molte città, dove vengono organizzate conferenze ed eventi sociali.
    La tassa annuale è a cavallo dei 150€, ma vi è una tassa d’immatricolazione che è abbastanza significativa, ca. 2000€.

    L’AM è una associazione a metà strada tra l’OFP e la SdF. Ha praticamente gli stessi criteri dell’OFP (ma l’esame è, per esperienza diretta, molto più facile), con scopi più vicini alla SdF, anche se in piccolo e su tematiche più ristrette — si occupa infatti soltanto di metafuffologia, ma non di protofuffologia né di parafuffologia. La tassa annuale è di ~100€ e l’immatricolazione è di ~500€.

  55. Heiko Caimi Says:

    Volentieri, Cristina.

  56. Giulio Mozzi Says:

    Sergio, scrivi:

    In realtà ho capito che t’interessa coltivare il tuo orticello e ammettere probabilmente, nella tua associazione, tutti i tuoi amici e stop.

    Da cosa l’hai capito?

    Scrivi anche:

    Tu dici che non vuoi far la lista di buoni e cattivi, ma è inevitabile che nella tua associazione finirebbero quelli che per te sono i buoni e nella – ipotizziamo – mia, quelli che lo sono per me.

    No, nell’associazione io farei entrare (se gli altri soci ci stanno: perché un’associazione non è mica di uno solo) esclusivamente persone delle quali non ho stima; e soprattutto persone sulla cui onestà ho dei dubbi.
    Va bene così?

    Scrivi ancora:

    non posso credere che, fondando un’associazione di questo tipo, una persona che insegna scrittura non pensi prima di tutto ad ammettere nel club le strutture con cui collabora, oltre che se stesso.

    Be’, ammetto che fondare un’associazione ed escludere me stesso sarebbe un gesto, come dire?, bizzarro.
    Comunque: io ho proposto un’associazione tra persone, non tra “strutture”.

    E continui:

    Non credo che tutelare i propri interessi sia una cosa brutta, ma il modo che tu proponi – e perdonami se uso questa parola: tu per primo l’hai usata con me – è sì una vera sciocchezza, dal momento che tutela gli interessi tuoi e delle persone che deciderai di ammettere.

    Ti prego di rileggere questa frase. Nella quale, alla lettera, mi dici che tutelare i propri interessi non è una cosa brutta, ma è una cosa brutta farlo tutelando i propri interessi.
    Io non ho certo voglia di fare un’associazione che tuteli gli interessi di chi lavora male.

    Infine scrivi:

    Queste sono iniziative che dividono, e continuano a dividere contribuendo a creare ulteriori divisioni in un ambiente già molto frammentato, come ho scritto sopra.

    Ne ho parlato nell’articolo, al punto 7: dove dico che secondo me l’associazione dovrebbe essere “ristretta”.

    Approfitto per segnalarti due inesattezze nel sito di StudioStorie. Leggo qui:

    … [StudioStorie è] la prima scuola che svela l’esistenza di alcuni princìpi comuni alla base dei diversi generi narrativi.

    La prima inesattezza è nel verbo “svelare”. Che ci siano “alcuni principi comuni alla base dei diversi generi narrativi” è cosa che sanno tutti, si legge in tutti i manuali (anche scolastici), si insegna in tutte le scuole. Questo almeno dai primi anni Sessanta: volendo fissare una data, almeno dalla pubblicazione di Opera aperta di Eco in poi. Il verbo “svelare” è quindi improprio.
    La seconda inesattezza (conseguente alla prima), è che StudioStorie sia “la prima” scuola che svela eccetera.

    Stando alle promesse di Amazon, Professione sceneggiatore dovrebbe arrivarmi oggi.

  57. Giulio Mozzi Says:

    P.O., sono sbalordito. Per anni ti ho creduta puffologa, e scopro solo ora che sei fuffologa.

    schtroumpfette

    Grazie per l’intervento che spiega pazientemente alcune cose che io credevo generalmente note (ma che tali evidentemente non sono, vista la discussione). La differenza sostanziale tra le associazioni di fuffologia e quella che io propongo mi pare stia in due cose:
    – nell’inesistenza (in Italia) di percorsi accademici e professionali definiti e formalmente riconosciuti per l’accesso alla professione di “insegnante di scrittura”;
    – nella dimensione: un’associazione nazionale è tutt’altra cosa (per quel che posso vedere) da un’associazione continentale o mondiale.

    Probabilmente sarebbe sensato costituire un’associazione come sezione di una associazione di livello sopranazionale. Però finora (sto cercando da alcuni giorni) non ho ancora trovato un’associazione di livello sopranazionale che mi sembri adatta.

  58. Sergio Badino Says:

    Nessuno ti ha chiesto di ergerti a giudice o arbitro dii nulla, né di “svelare” presunte inesattezze di alcunché. Capisco che le mie osservazioni possano aver ferito la tua smania di onnipotenza in questo campo, ma, beh, mi spiace dirti – ben svegliato! – che non sei l’unica, indiscussa autorità sul campo, nonostante l’alta considerazione che hai di te. Quindi, per favore, non permetterti mai più di interferire in questo modo con il mio lavoro – dato che io ci mantengo una famiglia – in questa né in altre sedi. Quello che hai fatto è parecchio meschino, e non ha nulla a che fare con il dibattito che si possa avere sulla proposta che lanci su un blog che, per sua stessa natura, è soggetto a interventi e repliche. Non so, forse sei abituato al fatto che tutti siano d’accordo con te? Beh, è normale trovare anche voci di dissenso, mi pare.

  59. Giulio Mozzi Says:

    Sergio, mi pare che esprimere pubblicamente un’opinione su (un dettaglio di) un testo pubblicato sia permesso dalla legge italiana.

  60. Heiko Caimi Says:

    Non vedo in che cosa l’intervento di Giulio possa essere considerato meschino. L’ho letto e riletto, ma continuo a trovarlo estremamente corretto.

  61. Un incontro tra “scuole di scrittura” | vibrisse, bollettino Says:

    […] Il tema della discussione non è definito. Se sarà possibile, cercherò di accennare (ovviamente) a questa mia proposta. […]

  62. Luigi Says:

    Caro Mozzi, ho letto velocemente. Quando leggo, anzi quando scorro con gli occhi, queste lunghe discussioni, mi viene da pensare: Beati i cittadini di Atene.
    Buon lavoro!
    Luigi

  63. massimocassani Says:

    Associazione Nazionale dei Liberi Addetti all’Insegnamento di Scrittura Creativa e Narrativa Riuniti nell’Associazione Nazionale dei Liberi Addetti all’Insegnamento di Scrittura Creativa e Narrativa.

    Verrebbe ANLAISCNRANLAISCN

    Facile da dire e facile da ricordare. Lo propongo. Poi serve un numero di telefono con almeno 18 cifre, meglio se estero. E serve una sede in una via tipo Śródmieście Południowe. Di tutto ciò mi occupo io.

    Fatto questo, il resto è tutto in discesa.

  64. Heiko Caimi Says:

    Associazione italiana docenti di scrittura

  65. Giulio Mozzi Says:

    Aids, appunto.

  66. Heiko Caimi Says:

    Non si è obbligati ad usare una sigla, comunque anche Docenti di Scrittura Associati non è male, visto che si fa riferimento, nella sigla, ai disturbi specifici di apprendimento!

  67. Claudio Bagnasco Says:

    Credo che buona parte delle critiche e dei dubbi (alcuni, secondo me, davvero ingenui) suscitati dalla proposta di Giulio, derivino proprio dalla natura dialettica della proposta.
    Voglio dire che se Giulio avesse scritto: “Ben trovati. Domattina, dopo aver fatto colazione e letto il quotidiano, fonderò un’associazione. Si chiamerà così, questi saranno gli scopi, questi i criteri di ammissione, questa la quota associativa, questo l’Iban su cui versarla. A risentirci”, i commenti sarebbero stati molto diversi: molti di meno, e molto meno dispersivi.
    Credo anche che le critiche e i dubbi più pertinenti derivino invece dai confini molli della disciplina di cui stiamo discutendo. Che discenderà pure dalla retorica classica, ma che oggi, almeno in Italia, mi sembra poco codificata. Si veda la difficoltà, nei commenti, di trovarvi una definizione precisa. O quella di individuare chiari criteri di ammissione degli associati (anche un fior di docente come Stefano Brugnolo propone quel “po’ di esperienza” che, se è condivisibile a lume di naso, a pensarci meglio è ben ben vago).
    Vedo due possibili soluzioni.
    La prima: mantenere questo dialogo così com’è, cioè massimamente aperto (col rischio però di impiegare un’infinità di tempo senza magari arrivare a niente, tra proposte balzane, voli pindarici, incomprensioni, scaramucce, eccetera).
    La seconda: Giulio, restringi l’ambito di azione, indica dei criteri. “Fissa dei paletti!”, scriverebbe la vedova Pinazzi.

    p.s.
    Andando a qualche commento più su: mica vero, Giulio, che ho ridetto le cose dette da te con parole diverse. Se non ho perso qualche passaggio, non mi sembra che tu abbia mai proposto di affidare la selezione degli associati unicamente al buon senso – e al senso di (in)adeguatezza – dei potenziali associati stessi.
    Tra l’altro è un criterio che, pur espresso da me, oggi mi convince già meno di ieri.

  68. massimocassani Says:

    ANLAISCNRANLAISCN.
    Mi permetto di insistere.

  69. Giulio Mozzi Says:

    Claudio, quando hai scritto:

    …se per associarsi occorresse esplicitare il proprio curriculum letterario, quello di insegnamento, le collaborazioni, mostrare i programmi, le eventuali dispense redatte eccetera. […] quale insegnante-fuffa si iscriverebbe?

    hai scritto quella che secondo me è la cosa più importante. Un’associazione sensata, secondo me, dovrebbe appunto scommettere molto sulla “messa in mostra” (v. il mio punto 8) del lavoro degli associati – e, quindi, accogliere al proprio interno in primis coloro che non hanno esistazioni a “mettere in mostra” il proprio lavoro.
    Sono convinto (e anche tu, mi sembra) che la pura e semplice richiesta di un curriculum provochi un’autoselezione.
    Poi (e in questo forse sta la divergenza) credo che una selezione degli autoselezionati ci voglia.

    In questo senso volevo dire che abbiamo detto le stesse cose, o cose molto simili, con parole diverse.

    Ora scrivi:

    Credo che buona parte delle critiche e dei dubbi (alcuni, secondo me, davvero ingenui) suscitati dalla proposta di Giulio, derivino proprio dalla natura dialettica della proposta.

    Ovviamente sì. Avrei potuto agire diversamente. Avrei potuto, ad esempio, costituire l’associazione insieme a tre o quattro persone il cui lavoro conosco e stimo; allestire un sito anche provvisorio per dare un’idea; e poi pubblicizzare la cosa fatta.

    Ma penso sia meglio spendere un po’ di tempo in discussioni prima, che dover rimediare ai passi falsi poi.

    Penso che andrò a costituire entro poche settimane. Non voglio tempi lunghissimi.

  70. Claudio Bagnasco Says:

    Tutto chiaro e condivisibile.
    Grazie, Giulio.

  71. Giulio Mozzi Says:

    Ora vedo che l’url jourdain.wordpress.com è occupato (da un lazzarone che ha registrato il nome nel 2006, e non ne ha fatto nulla). Però è libero monsieurjourdain.wordpress.com.

    Checché ne dica Massimo Cassani, io continuo a vagheggiare il nome Jourdain, o Monsieur Jourdain, per l’associazione.

    Guardate qui, dal minuto 26, e capirete il perché.

  72. stefano Brugnolo Says:

    vedo adesso questa cosa e insomma va da sé che io mi associerei ad una associazione che associasse tra i suoi associati uno come Monsieur Jourdain… No, va bene, era per dire che davvero quelle sue battute mi paiono straordinarie

  73. Così, tanto per dare un’idea…. | vibrisse, bollettino Says:

    […] Il discorso è cominciato qui. […]

  74. Dieci cose che Giulio Mozzi intende fare nel corso del 2015 | vibrisse, bollettino Says:

    […] Dar vita all’associazione degl insegnanti di scrittura […]

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