di Cristina Venneri
[Le regole del gioco. Tutti i testi. Informazioni sul personaggio].
Per una vita intera mi trascinai
alle spalle il peso della toga
per essere nato nobile e tale
dover morire senza rischiare
di farmi maledire dalla massa,
come accadde allo sventurato vicario
che andai a salvare quando
quei recalcitranti, pusillanimi abboccatori,
erano pronti a crocifiggerlo con le loro mani.
Bastò drizzarmi sul predellino e promettere
“pane e giustizia” sorridendo a ognuno
a fargli credere di esser diventati amici
per aggraziarmeli ancora.
Strisciando tra la moltitudine
strinsi lo strascico a me, mia armatura.
Andai a ritirare le grazie profuse
dal mio debitore e passando tra file
di michetti mi sovvenne un ricordo
dei miei studi classici.
La toga si rivelò un vello d’oro
e con la riverenza di uno schiavo
fino alla morte mai me ne separai.
7 ottobre 2013 alle 08:47
che bella
7 ottobre 2013 alle 10:38
Brava Cristina! La toga come vello d’oro è un’intuizione veramente felice. E la “metafora del potere” è resa con grande efficacia.