di Stefano Serri
[Il gioco è finito. Questo testo – quasi riassuntivo – di Stefano Serri ci pare buono per chiudere].
Ecco sessanta distici
Dai toni gravi o comici:
Lodando il corpo maschile
Voglio spiegarvi il mio stile.
(Per l’ardua mia impresa, o Musa
Mi chiudo un po’ in bagno. Scusa.)
Avvio il mio canto dal basso
Dal piede, che dal suo spasso
Dischiude un profumo spesso
Misto di cuoio e di lesso.
Del tuo polposo polpaccio
Troppo ho già detto e ne taccio.
Vado al ginocchio proteso
Quasi una rocca che ha reso
La mia mano assalitrice
Persa su una cicatrice.
Poi c’è il cosciotto peloso
Che dentro il bluejeans ben teso
Mi ricorda – forse è brutto
A dirlo – proprio un prosciutto.
Nella patta dei calzoni
C’è un trofeo che non esponi
Ma celandolo trionfi
Con i tuoi coglioni gonfi.
Dal pube tricotrofico
Il viottolo anatomico
Del tuo sesso bulimico:
Si gonfia, ma poi stitico
Non dà che poche gocce
Delle decantate docce.
Come con folte vibrisse
Nelle tue chiappe prolisse
Rinvengo e tosto m’affosso
Nell’ano selvoso e rosso.
Qui mi perdo e perdo il verso…
Tosto parto verso il dorso.
Le vertebre candiscono
E scandiscono all’unisono
L’ampio circumnavigarti
Dal sedere fino agli arti.
Speculari le scapole,
Le spalle quasi isole
Il petto è una Batmobile
Dotata di due aureole.
È una bocca il tuo ombelico:
Canta quello che non dico
Della tua pancia protesa
(Piazza, casa, prato e chiesa).
E c’è un borbottio lontano.
Se vi appoggio la mia mano
Non è più soltanto un suono
Nel tuo ventre vuoto sono
Lamenti e moti, parecchi
Lai (è ora ch’apparecchi).
Tu, oltre il varco tiroideo,
Sternocleiodomastoideo,
Giusto al lobo dell’orecchio
Mi conduci verso il teschio
Sorpassando dell’Adamo
Quella mela che reclamo
E che resta sopra il ramo
Del tuo collo, esca e amo.
È quasi il mento un secondo
Sesso, più duro e rotondo;
La mascella è come un’anca
Che mangiando non si stanca;
Pure trovo nella guancia
La mollezza della pancia:
È per questo che nel viso
Tutto il corpo vi è conciso.
Giungo, a dorso del tuo naso,
Al rugoso lago roso
Del frontone pensieroso
Del tuo tempio (o pur Parnaso).
Un orecchio è labirinto:
Quello che dentro vi è spinto
In cunicoli si perde:
E una nota sembra verde
E una voce prende accento
E un rumore si fa vento.
Dalla bocca come stiva
Un tesoro di saliva
Con un bacio mi conquisto
(Senza Giuda, solo Cristo).
Chissà quali sentimenti
Si dipartono dai denti:
So che ad ogni tuo sorriso
Il mio amore è già reciso
Perché un po’ di smalto netto
Vale più del mio poemetto.
Poi si complica parecchio
Ogni rima nel tuo occhio
Perché in quel pertugio aperto
C’è un mosaico di concerto:
La pupilla è la solista
Che fa dardo d’ogni vista
E l’archetto dell’iride
Rende le occhiate vivide.
Poi la sclera, bianco manto
Che fiorisce per il pianto,
E pieghettate palpebre
Sipario delle tenebre.
Tutt’intorno, infine, ciglia
Quasi un vello che bisbiglia.
Basta, è inutile che smanio:
Oramai si è giunti al cranio
E a quest’ampia mia canzone
Sopra il corpo e le sue zone
Ho da tentare un termine
(Corona, corna o cercine)
Che sul capo stia ben fissa
Nel ricordo resti impressa.
C’è, giusto sopra i capelli
Un tal quid, di cui novelli:
Forse è solo una fisima
Ma la chiamano “anima”.
Al di sopra della testa
Oltre i versi, questo resta:
Oltre distici o quartine
Il tuo corpo non ha fine.
Tag: Stefano Serri
2 ottobre 2013 alle 06:11
“Oltre distici o quartine / il tuo corpo non ha fine”, che degna conclusione del gioco delle lodi del corpo maschile! Di Stefano ho già detto, ma il piacere di rifargli i miei complimenti me lo riprendo!
2 ottobre 2013 alle 10:03
mi unisco a morena nei complimenti. bella! stefano, ora esci dal bagno, è finita!
2 ottobre 2013 alle 11:16
Questa è veramente bella, degna di concludere la serie nutrita di lodi che abbiamo scritto.Complimenti a Stefano per l’ironia e l’autoironia. Un interrogativo: ma è ammesso dalle regole delle lodi che la chiusa di tutto il percorso sia opera di un maschio?
2 ottobre 2013 alle 12:40
Se rileggi le regole, Maria Rosa, vedi che sì.