di Mariella Prestante
Mi cade sott’occhio (io mi sono una che si legge cose così) il sonetto inaugurale delle Rime di Giovanni della Casa:
Poi ch’ogni esperta, ogni spedita mano,
qualunque mosse mai più pronto stile,
pigra in voi seguir fora, alma gentile,
pregio del mondo e mio sommo e sovrano;
né poria lingua, o intelletto umano
formar sua loda a voi par, né simile,
troppo ampio spazio il mio dir tardo umile
dietro al vostro valor verrà lontano.
e più mi fora onor volgerlo altrove;
se non che ‘l desir mio tutto sfavilla,
angel novo del ciel qua giù mirando.
O se cura di voi, figlie di Giove,
pur suol destarmi al primo suon di squilla,
date al mio stil costei seguir volando.
Capirete che, presa come sono da ‘sta faccenda delle lodi, quella mano esperta e spedita mi fa subito pensare. A cosa? A un tema a me caro, tanto che l’ho già trattato qui e qui.
Comincio dunque a pensarci (in autobus, tornando dall’ospedale – e perché fossi andata in ospedale, e perché in ospedale leggessi le Rime del Della casa, sono fatti miei).
Decido che prenderò spunto: dall’incipit senz’altro, forse anche dal resto. E decido che non voglio riprendere pari pari il sistema di rime (troppo facile). Non parlerò dunque della mano ma (poco cambia) delle dita.
Così comincio mentalmente a comporre:
Delle tue esperte e delicate dita
qualunque lode, ahimè, mi sembra vile…
Si tratta di riprendere il tema: di lodare dichiarando l’impossibilità di lodare, l’inarrivabilità dell’oggetto lodando. Però quel “vile” non solo riprende la rima del testo-miniera, ma tiene anche il linguaggio a una certa altezza. E io vorrei invece, visto di cosa si tratta, abbassare. Dunque:
Delle tue esperte e delicate dita
qualunque lode, ahimè, mi sembra scarsa…
E poi? Non mi viene niente. Forse si va meglio scambiando i versi:
Qualunque lode, ahimè, mi sembra scarsa
delle tue esperte e delicate dita:
Mah. Mi vengono dei versi sparsi o frammenti di versi, chissà come utilizzabili:
nessuna lingua umana lodar sa…
se la mia fica d’umidor cosparsa…
Ma cosa me ne faccio?
Scendo dall’autobus, attraverso, vado in banca. C’è da aspettare. Sul retro di un modulo scrivo:
Delle tue esperte e delicate dita
qualunque lode, ahimè, mi sembra scarsa;
mentre io giaccio, inumidita e arsa
in gola e in fica, provo un’infinita
felicità, e rinnovo della vita
la gioia, che anzitempo era scomparsa…
qualunque lode, ahimè, mi sembra vile..
né appassionato né leggiadro stile
a sufficienza vidi mai in vita…
esperta delicata lingua…
di lui, che quando in bramosia son arsa…
E’ il mio turno. Faccio quel che devo. “La lingua”, penso, “la lingua e non le dita”.
Dieci minuti sono a casa e comincio a scrivere:
Della tua esperta e delicata lingua
nata non è la lingua che lodar sa
la gran virtù: onde mi sembra scarsa
qualunque lode che i quaderni impingua.
Né v’è intelletto che i piacer distingua
e definisca, quando lei all’arsa
mia fica dona, di saliva sparsa,
sollievi e gioie giammai visti fin qua.
Riassumendo: riuso il Della Casa, e va bene; lodo dichiarando l’impossibilità di lodare, e va bene; ho il gioco di parole su “lingua”, e va bene; nella prima quartina parlo della lode “poetica”, nella seconda della comprensione razionale, e va bene. “Lodar sa” è una rima ardita ma permessa: il problema è che sono assai scarse sia le parole in -arsa sia quelle in -ingua. E così mi concedo una rima piuttosto assurda (“fin qua”, da pronunciarsi fìnqua), ma adeguata (si spera) al contesto giocoso.
Cercando qualcosa per le quartine mi viene in mente: cener spento. Che cosa è mai? Ho l’impressione che sia Dante. Cerco con un motore: no, non è Dante; ma è una formula che si trova qua e là, ad esempio in un sonetto di Nadasto Licoate. Chi fu costui? Mistero, né m’interessa. Mi basta sapere che è una formula accettata.
E quando il desiderio è un cener spento,
arriva lei e – tac! – in un momento
qual brace al vento rossa risfavilla…
Eh sì: almeno una, delle rime, dall’originale posso prenderla. E “sfavilla” è una parola troppo ad hoc, e troppo opportunamente rimabile (con un’altra rima difficile, il che sta bene):
e poi è un urlo; e poi è tutto un calmo
paradisiaco sopor; lei l’almo
dolce licor raccoglie stilla a stilla…
A questo punto c’è solo da sistemare la punteggiatura, o poco più. C’è da sistemare il terzo e quarto verso. Quell’onde mi pare un po’ troppo pesante, un po’ troppo antiquario. Proviamo:
Della tua esperta e delicata lingua
nata non è la lingua che lodar sa
la gran virtù (mi sembra infatti scarsa
qualunque lode che i quaderni impingua);
Non mi viene di meglio. E quell’infatti è letale. Meglio tornare indietro. Ecco dunque la lode finita:
Della tua esperta e delicata lingua
nata non è la lingua che lodar sa
la gran virtù, onde mi sembra scarsa
qualunque lode che i quaderni impingua;
né v’è intelletto che i piacer distingua
e definisca, quando lei all’arsa
mia fica dona, di saliva sparsa,
sollievi e gioie giammai visti fin qua.
E quando il desiderio è un cener spento,
arriva lei e – tac! – in un momento
qual brace al vento rossa risfavilla;
e poi è un urlo; e poi è tutto un calmo
paradisiaco sopor; lei l’almo
dolce licor raccoglie stilla a stilla…
Mmh. Forse nel penultimo verso è meglio un punto fermo:
e poi è un urlo; e poi è tutto un calmo
paradisiaco sopor. Lei l’almo
dolce licor raccoglie stilla a stilla…
Controlliamo, facendo la parafrasi, la “tenuta” del contenuto.
Non è ancora nato chi sia capace di lodare adeguatamente le qualità della tua lingua, esperta e delicata: e infatti tutti i tentativi di lode della lingua che ho finora trovati (che “impinguano”, cioè riempiono, i quaderni) mi sembrano scarsi. Né sembra ancora nato l’intelletto capace di distinguere e definire, ossia di analizzare, i piaceri che la lingua dà alla fica, umettandola quand’è asciutta, dandole sollievi e gioie.
Per di più la lingua, quando il desiderio è assente, è capace di svegliarlo; al suo tocco la fica brilla di rossore. E poi (saltando la mera descrizione degli atti) si arriva all’orgasmo (urlo) e alla calma paradisiaca (aggettivo dannunziano: e si ricorderanno i suoi sonetti osceni, dedicati – dal punto di vista machile – al sesso orale). Si conclude con l’immagine della lingua che raccoglie il nobile e nutriente liquido che cola dalla fica ormai soddisfatta.
Sì, direi che tiene. Ecco dunque il testo definitivo:
Lodi del corpo maschile / La lingua
Della tua esperta e delicata lingua
nata non è la lingua che lodar sa
la gran virtù, onde mi sembra scarsa
qualunque lode che i quaderni impingua;
né v’è intelletto che i piacer distingua
e definisca, quando lei all’arsa
mia fica dona, di saliva sparsa,
sollievi e gioie giammai visti fin qua.
E quando il desiderio è un cener spento,
arriva lei e – tac! – in un momento
qual brace al vento rossa risfavilla;
e poi è un urlo; e poi è tutto un calmo
paradisiaco sopor. Lei l’almo
dolce licor raccoglie stilla a stilla…
I posteri decideranno poi se questa roba è bella (ne dubito). Il desiderio era di farla divertente. Ci sono riuscita?
Tag: Mariella Prestante
24 settembre 2013 alle 08:15
inesattezza: ad una fica arsa di lingua, ohimé, non cale, per la contraddizion che no’ l consente… un dato meramente fisiologico che ogni donna femmina, ahimé, specie nella prima fase della menopausa, ben conosce…
24 settembre 2013 alle 08:50
Prima è “arsa”, poi interviene la lingua. Almeno così credo Mariella intendesse.
24 settembre 2013 alle 09:47
ma se essa é arsa vuol dire che non ha alcuna voglia che intervenga la lingua, a meno che essa lingua non abbia una tenuta muscolare eccezionale
24 settembre 2013 alle 09:53
Ma chi ha la gola arsa, a es., desidera bere.
24 settembre 2013 alle 10:03
chi ha la fica secca invece spera solo che il marito abbia mal di testa. Mariella, ma che donna sei?
24 settembre 2013 alle 10:06
Virtuale.
24 settembre 2013 alle 10:26
Il maschio è un animal molto imperfetto,
dal creatore in prima prova fatto
a imitazion di sé, tutto ad un tratto,
mischiando il fango e dandogli un buffetto.
Ma il principiante, ahimè, visto l’effetto,
pensò che non andava bene affatto:
la donna fece allor, col meglio estratto
dal maschio, e più giudizio e più intelletto.
A lui e lei poi disse: “Popolate
il mondo e dominatelo, ma non
v’insuperbite, che sennò vi secco”.
Insuperbirono in un amen: ecco
perché le nostre vite lacrimate
e dure e tristi ed agre e bieche son.
24 settembre 2013 alle 10:32
Per un momento ho temuto un malinteso virtuosa, una di quelle che affrontano stoicamente perfino il mal di testa, proprio e del marito. (Rosaria, non fare così, non è così arsa!)
Mariella, quei puntini di sospensione finali io li leverei, creano troppa vicendevole aspettativa.
24 settembre 2013 alle 10:39
Ho inviato il mio commento senza avere letto l’ultimo di Mariella; non ci credo che il sonetto l’abbia scritto lei, secondo me l’ha scritto il nostro amico Giulio! 😉
24 settembre 2013 alle 11:04
ragazzi, gli ormoni sendono e calano, cvalano e scendono e poi… spariscono. da qui la secchezza. non virtuale. poi si torna ad una sorta di normale umettatura. ma, a parte i dati fisiologici, la topa arsa, se é arsa al momento, vuol dir che non gradisce…
25 settembre 2013 alle 07:00
Il senso voleva essere, Rosaria: disseccata a causa del disuso (non per mancanza di desiderio). Secondo me, si capisce. I sensi connessi sono con: ardere di desiderio, ecc.
Ho il sospetto che questo sia un caso di incomprensione deliberata.
25 settembre 2013 alle 07:19
In effetti attendo con ardore il 30 settembre… Mi par che queste lodi, fra cui molto, troppo, ciarpame in poetese, siano un gioco un po’ morboso e fine a se stesso, non fatte, insomma, per aumentare nelle/egli scriventi virtute e conoscenza: e questo a me interessa della poesia, non l’estetica. l’estetica, senza l’etica, é inutile e/o dannosa (ai fini della virtute e conoscenza). Detto ció non regge comunque l’aggettivo alla prova dei fatti: che sia arsa dal disuso é un non senso. Se é naturalmente umettantesi, la vulva desiderante trova sistemi onanistici per soddisfare il proprio desiderio. Se invece il suo stato é di essere arsa (secca cioé, se arsa viene da arsura) vuol dire che , non foss’altro in quel momento, la vulva non é desiderante. L’aggettivo appropriato sarebbe casomai “ardente”, che non esclude l’umettatura, laddove arsa, secca, bruciata, la esclude.
Io mi credea che le lodi del corpo maschile fosse un lavoro di ricerca poetica e non una scuola di forme,e aprtecipai fiduciosa con MILF. Alcune poesia possono aver soddisfatto la mia speranza – anche attraverso le forme chiuse – ma la maggior parte sono giochini, spesso esteticamente molto brutti, fini a se stessi. Ma siccome neinte é neutrale, se si tratta il desiderio femminile come di un fatto fine a se stesso, come un oggetto dell’onanismo generico e generalizzante e spesso ocheggiante, ho il sospetto che questo sia uno dei tanti modi che la nostra subcultura patriarchista (e cattolica nel senso negativo del termine) – e gli operatori di tale subcultura ritardata e ritardataria – abbia escogitato per negare al desiderio femminile sue proprie modalitá di virtute e conoscenza…
25 settembre 2013 alle 12:48
Rosaria, le Lodi del corpo maschile sono ciò che sono riuscite a essere. Nella proposta si parla esplicitamente di “gioco”.
Intendi dire che io sono un operatore della ritardata e ritardataria subcultura petrarchista e cattolica nel senso negativo del termine, e che ho escogitato questo gioco per negare al desiderio femminile sue proprie modalità di virtute e conoscenza?
25 settembre 2013 alle 13:16
Il gioco puó essere arte nobile o meno. Qui mi sembra che spesso sia stato un gioco fine a se stesso. Non petrarchista, ma patriarchista, mio conio. In un mio saggio trattai semironicamente di stilnobbismo patriarchista. Ecco, diciamo che in questo contesto, da te diretto, stimato Giulio, credo ci sia troppo stinobbismo patriarchista. Spiegare cosa questo significhi sarebbe molto lungo, non mi resta che rimandare ai miei semi-introvabili saggi, dispersi in prestigiose riviste ed on line. Se ti va…
25 settembre 2013 alle 13:40
Rosaria, già da un po’ di tempo volevo domandartelo, e il contesto di questa conversazione (etica, estetica, virtute e canoscenza) mi pare appropriato: io trovo che l’acronimo MILF sia volgare e offensivo per le donne; tu come la pensi? come mai l’hai usato come titolo della tua bella poesia? cos’è che mi sfugge?
25 settembre 2013 alle 14:27
E rimanda, Rosaria, dunque.
25 settembre 2013 alle 16:46
Ho conosciuto il termine MILF da poco, e mi ha messo una gran tristezza. Lo usano i ragazzini per indicare donne adulte, per loro vecchie, che si mettono “volgari” per attrarli. Non ne so molto. Non sono MILF e non ne conosco. Quando Giulio mi ha invitata a partecipare al gioco delle lodi del corpo maschile sono stata molto contenta perché ho scritto due poemetti che piú o meno sono a tema e volevo inviare quelli: Controlli, uno dedicato al poeta persiano medioevale Hafez di Shiraz (tanto per mantenermi in stile, il Dante iraniano), l’altro al grande campione olimpionico di tuffo Klaus Di Biasi. Questi due poemetti non sono in forma chiusa; e volevo rispettare la regola della forma chiusa. non sono vere e proprie lodi, ma hanno per soggetto il corpo maschile. Dunque ne dovevo scrivere uno apposta. Ed ecco il sonetto sghembo MILF. Storia di una donna “vecchia” e di un ragazzino. Storia molto delicata, sia da parte di lui che da parte di lei. Dunque il punto di vista nel testo é molto lontano dall’acronimo volgare che bolla queste donne e questi amori, o amorazzi. Lo stacco radicale fra il titolo e il testo mi pare dare un punto di vista particolare a questo curioso intrattenimento sessuale. che forse é meno volgare di quanto si crede, che forse nasconde e rivela bisogni delicati a dispetto dell’aspetto mercenario, che forse, che forse… Ecco, credo che una poesia non debba spiattellare forme e contenuti ma suggerirli, alludervi. Credo che una poesia debba interrogare non asserire, anche se sembra asserire. Credo tante cose e sono in buona compagnia (Leopardi, Valery etc etc.: non che io mi ispiri a loro o sia al loro livello, diciamo che certe loro pagine sulla poesia evidentemente mi hanno influenzata).
Grazie per la domanda. Spero di avere risposto, e sono disponibile a rispondere ad altre questioni in merito.
25 settembre 2013 alle 17:20
Sì, comunque, anche secondo me di quell’arsa si può dare un’interpretazione non letterale.
Sono d’accordo invece sull’inefficacia di moltissimi testi pubblicati. Forse ha influito il clima poetico di vibrisse, dato dai testi pubblicati in precedenza. Purtroppo, se uno scrivente inesperto di testi poetici si cimenta col verso libero e ha qualche cosa d’urgente da dire, può essere che venga fuori qualcosa di sensato, di utile. Mentre se lo scrivente inesperto di testi poetici cade nel trappolone delle forme chiuse, ahimè, è la fine per lui. Con buona pace delle prerogative antiromantiche di Giulio. Ma è servito di sicuro per fare cultura, in senso anche didattico.
26 settembre 2013 alle 07:44
Ricordo le “regole del gioco”
Come si vede, per partecipare non era necessario produrre testi in forma chiusa.
26 settembre 2013 alle 12:41
Tuttavia l’ho fatto volentieri, sono obbediente ad ogni inizio, salvo ribellarmi poi, pessimo carattere.
Capisco ora soltranto, Giulio, il senso di rimanda! Sono microcefalicamente inetta al computer e non so fare link, inoltre poco di quel che ho scritti quanto a critica e saggistica é su internet, non mi resta che rimandare, per chi abbia voglia di conoscere la mia poetica e i miei studi al mio blog/archivio, fornito di una bibliografia quasi aggiornata, http://www.rosarialorusso.wordpress.com.
26 settembre 2013 alle 15:15
Sì, Rosaria: ma dovresti rimandare anche a qualche saggio nel quale si provi che (o dal quale si desuma che) iniziative come le Lodi del corpo maschile sono un frutto della ritardata e ritardataria subcultura petrarchista e cattolica nel senso negativo del termine; e che il senso di iniziative come questa è negare al desiderio femminile sue proprie modalità di virtute e conoscenza.
Perché è questo che tu hai sostenuto, no?
26 settembre 2013 alle 16:21
Non ho sostenuto niente, se sostenere significa dimostrare qualcosa. Ho riferito la sensazione piú volte provata leggendo testi e commenti di Lodi etc. che non abbiano portato i risultati (da me) sperati, ovvero una conoscenza del punto di vista (l’ho giá scritto da qualche parte in queste pagine) femminile del desiderio del corpo maschile (e non entro in merito del perché gli etero maschi no gli omo sí, regola che a pensarci é parecchio limitante e… perché gli etero no? perché gli etero possono diventare Mariella prestante e gli omo no? perché escludere chicchesia da questo territorio della conoscenza?). Un gioco é quanto di piú serio ci sia in arte. Io amo recitare e recitare é un gioco, difficilissimo peraltro. Scrivere in metrica o tradire la metrica poi é difficile. Scrivere in forme chiuse pu’po portare a forme di conoscenza linguistiche che la forma a perta non avrebbe permesso di scovare nella mente.
Impostando il gioco cosi come si é impostato, di fatto, il gioco si é svolto – chissá perché – in una dimensione ripetitivamente voyeuristica, e, date le scarse capacitá poetiche di molt* autrici/ autori, sterilmente, piattamente elencativa di dati di fatto banali. insomma, come sia che é andata cosí non lo so, ma sta di fatto che l’imitazione per forme, modi e modelli maschili non ha dato risultati interessanti, ovvero nuovi. É rimasto lo stesso gioco, per lo piú formale. Se una cosa in letteratura é inutile non ;é solo inutile, é dannosa: implicitamente suggerisce che la cosa di cui si sta parlando é inutile, é ripetitiva, piatta, voyeuristica: pornografica, nel senso etimologico del termine. Non sostengo nulla, ho solo delle sensazioni di disagio. La sensazione che voyeurismo e onanismo l’abbiano fatta da padrone. Con le solite piacevoli e interessanti eccezioni. Credo che siano state le regole del gioco a condurre a questo il gioco. Puó anche piacere e divertire. All’inizio mi ha incuriosito poi mi ha annoiato infine mi ha irritato per le suddette ragioni. Dipende certamente dal fatto che ho sempre dedicato le mie cure letterarie alla scrittura cosiddetta “femminile” e che quindi mi aspettavo rivelazioni di altra portata. Sul tema del desiderio femminile e della sua scrittura in Italia, come al solito, siamo rimasti indietro. Si legga la produzione anglosassone, che é meglio.
26 settembre 2013 alle 17:05
Giulio, non so se il commento scritto il 26 settembre alle 07:44 fosse riferito anche a me. Nel caso, io ho invece scritto:
Non ho scritto insomma che per partecipare “era necessario produrre testi in forma chiusa.”
26 settembre 2013 alle 18:04
@rosaria lo russo
“La sensazione che voyeurismo e onanismo l’abbiano fatta da padrone. Con le solite piacevoli e interessanti eccezioni. Credo che siano state le regole del gioco a condurre a questo il gioco”.
cosa impedisce ad un autore e/o autrice di produrre un lavoro interessante? le regole del gioco? io credo di no. io credo che l’impedimento sia esclusivamente riconducibile ai limiti di composizione o di immaginario di chi ha giocato.
“Lodi” del corpo maschile non significa (secondo me) unicamente desiderio del corpo maschile. forse in questo senso la scelta di escludere maschi etero può aver indotto a restringere il campo di osservazione tra chi ha giocato, ma mi dico che la libertà di azione c’era, eccome se c’era, e la scelta, con la possibilità di spaziare, rimane sempre a chi si cimenta.
così come penso che a nessun maschio etero che avesse voluto provarci sarebbe stato impedito di ‘mariellaprestantizzarsi’. perchè nessuno lo ha fatto?
dire che il gioco delle Lodi non ha dato risultati interessanti o nuovi, secondo me significa semplicemente dire che il campione di persone che hanno partecipato al gioco non era all’altezza di produrre nulla di interessante o di nuovo. non certo che ciò può essere dovuto a limiti imposti dalle regole.
insomma. la mediocrità esiste. ma qui, è la mediocrità di chi ha giocato. nulla si può dire di chi non ha giocato. le Lodi è un gioco lanciato da un blog. volendo riferirsi unicamente ad autrici, penso che l’insieme delle donne che scrivono comprende il sottoinsieme di ‘chi ha giocato’ alle Lodi. ma l’insieme comprende anche ‘chi non ha giocato’. dunque scrivere che “Sul tema del desiderio femminile e della sua scrittura in Italia, come al solito, siamo rimasti indietro” mi sembra un tantino esagerato.
tra l’altro io non sono in grado di stabilire chi ha prodotto quello che tu hai definito ‘ciarpame in poetese’ e chi ha innalzato il livello dei testi. riesco solo a sentire dove sembra non esserci alcuna fatica, e apprezzare qualche immagine, e gioire per qualche aggettivo in unione insolita, che mi fa pensare: questa riga vorrei averla scritta io. solo questo (e non faccio i nomi perchè dovrei andarmi a rileggere un po’ tutti i testi).
Detto questo, il tuo ‘disagio’ lo condivido, anche riferito ai commenti. Ma è troppo facile scaricare tutto sulle regole o su iniziative di questo tipo. Da parte mia non capisco nemmeno la necessità di dedicare sforzi alla cosiddetta ’scrittura femminile’. Esiste la scrittura, secondo me. Non riesco a pensare diversamente. Quello dello specifico femminile, davvero, mi sembra una nicchia di discussione creata, ma non necessaria.
26 settembre 2013 alle 18:23
Scusate, ma non capisco bene di cosa si sta parlando. È stato proposto un gioco, sono state stabilite le regole di questo gioco (regole non rigidissime, oltretutto), molte persone hanno deciso di partecipare a questo gioco. I risultati sono stati diversi, le Lodi che sono state pubblicate qui sono diversissime tra loro, alcune sono belle, altre no, alcune sono un gioco fine a se stesso, altre no. Ammettiamo pure che ci sia stato “molto, troppo, ciarpame in poetese”, come dice Rosaria, e pure che il desiderio femminile sia stato trattato come “un fatto fine a se stesso, come un oggetto dell’onanismo generico e generalizzante e spesso ocheggiante”. Ammesso tutto questo (e voglio aggiungere che mi lascia perplessa il fatto che una donna usi termini come “oche” e “onanismo ocheggiante” riferendosi ad altre donne, utilizzando un linguaggio secondo me maschile), ammesso tutto questo: cosa c’entra il modo in cui è stato impostato il gioco? Non è una domanda retorica, è che non ho capito proprio.
26 settembre 2013 alle 18:38
(ho scritto senza aver letto il commento di manu)
26 settembre 2013 alle 21:09
Alessandra Celano:
Gli altri non so, io ho parlato della cornice, del frame. Che è sicuramente un aspetto molto rilevante della produzione creativa. (E ho evidenziato anche i vantaggi.)
27 settembre 2013 alle 08:19
Rosaria, scrivi:
Ecco, il problema è questo. Bisognerebbe riuscire a parlare dei testi, o almeno di alcuni testi-campione, per cercar di concretizzare (e quindi eventualmente dimostrare) ciò di cui stiamo parlando in termini astratti – e quindi, temo, un po’ inutilmente.
27 settembre 2013 alle 08:20
Daniele: concordo, la “cornice” è “un aspetto molto rilevante”.
Bisogna capire in che modo ha influito.
27 settembre 2013 alle 16:30
É il difetto dei bolg, per me che non riesco a scrivere sistematicamente se non dedicando ore che adesso non ho alla scrittura critica. Perció ritiro quanto detto, in quanto effettivamente non dimostrabile se non mediante disamina testuale. Un blog é luogo di conversazione, e come tale l’ho preso, esprimendo impressioni, sensazioni, di una che lavora con la poesia da un trentennio. Quindi le impressioni restano quelle dette, ma sono, appunto impressioni di base, non affrontabili secondo filologia. Infatti ho sempre ribadito il generico concetto: punto di vista. dal mio punto di vista le cose nelle Lodi sono andate etc etc perché etc etc. il che non significa che non sia stato interessante parteciparvi. Tutt’altro! Considerato poi che non partecipo mai a conversazioni letterarie, ringrazio di cuore Giulio, Manu, Alessandra Celano, Morena Silingardi e altre e altri per aver tenuta desta la conversazione in piú momenti e piú luoghi. Trascorro molto del mio tempo a far la casalinga disperata e rispetto agli anni giovanili di letteratura mi occupo ormai poco, per cui sarebbe una fatica immane tentare di proseguire costruttivamente nella mia pungolatura.
W le oche a mollo e le fiche secche! Con quest’ultime ci faremo le crocette a Natale!
Passo e chiudo!
27 settembre 2013 alle 17:11
aaargh! le crocette no!
27 settembre 2013 alle 18:08
Giulio, credo che la cornice del blog possa aver influito sulla produzione delle lodi in due modi almeno.
Il primo si riduce a un’espressione comune che dice abbastanza, “ansia da prestazione”. Si sa, scientificamente, che il potenziale creativo si riduce in presenza di a) regole formali; b) giudizi critici imminenti. Dico “potenziale creativo” e intendo “capacità di rompere regole e schemi preconcetti”. In presenza di regole formali e di giudizi critici imminenti, sulla base ovviamente di quanto siano strette le prime e severi gli ultimi, si riducono novità originalità eccetera del prodotto creativo, il pensiero va in linea retta e si rifugia in schemi esistenti. E questa è quasi una banalità.
Il secondo. Si parla di sesso, certo di corpo ma di corpo desiderato. Il tuo è un blog “serio”, amichevole quanto vuoi ma se fosse un paio di calzature non direi infradito. Può aver contribuito a ingessare gli spiriti più caldi, diciamo. E cosa succede quando gli spiriti audaci si ingessano? Dipende, dalle competenze, dal momento, dal contesto. Michele Mari ricordo, in una intervista, disse o scrisse che lui, quando doveva scrivere di cose private e compromettenti, saliva istintivamente di tono e si trovava ad utilizzare un registro alto – per una sorta di difesa immagino… Credo che sia così per molti. Ma cosa accade ad uno scrivente di testi poetici non tanto pratico?… Be’, si impenna secondo me. Si impenna stilisticamente. E non fa una bella figura. Ma sempre meglio che dire qualcosa di vero. E questo è il punto…
28 settembre 2013 alle 09:23
Mi ero persa questa interessante conversazione, mi dispiace e tento di recuperare. Concordo su molte delle cose scritte da molti, sarà forse questo il mio limite, ma di solito non riesco mai a vedere spunti interessanti (non dico ragione, perché quella mi interessa assai poco) da una parte sola.
Ad esempio, la spiegazione che Rosaria da di MILF mi è tanto piaciuta, concordo con l’interpretazione dell “Lodi” da parte di Alessandra e Manu, ho scherzato con Giulio perché mi è parso che il sonetto di Mariella (quello in risposta alla disquisizione sulla secchezza) tradisse un punto di vista sulle donne troppo maschile, apprezzo la schiettezza con cui Rosaria/Manu/Alessandra parlano del loro intendere la poesia.
Inutile valutare ogni commento, aggiungo semplicemente il mio.
Come mai alcuni di voi sono in grado, seppure con sfumature diverse, di trarre conclusioni su questo esperimento/gioco? Non vi sembra di apparire a tutti quelli che a vario titolo hanno partecipato un briciolo assertivi o troppo frettolosi? Sembra solo a me, o già ne parlate come di un esperimento fallito?
Mi spiego meglio: da più parti è stato scritto e detto che quella che terminerà il 30 settembre era solo una prima fase di questo lavoro, perché poi si sarebbe valutato quale taglio dare a una eventuale raccolta.
Bene, io credo che ci siano stati approcci molto diversi a questa partecipazione, e credo anche che questa sia stata la valenza positiva dell’esperimento. Tuttavia, proprio questa diversità ha reso poco coerenti e difficili da tenere insieme i commenti e gli interventi dei partecipanti/critici/commentatori, perché, in questo caso, non c’era un regolamento a cui attenersi, ma solo la sensibilità, il carattere e l’approccio diverso di ognuno.
Potrei dilungarmi all’infinito discutendo e dimostrando (a modo mio, sia chiaro) quello che ho appena scritto, ma spero se ne capisca il senso.
Io ho imparato molto e mi sono anche molto divertita, per cui credo sia valsa assolutamente la pena di partecipare. Mi sono anche, in alcuni casi, risentita e/o annoiata e/o catapultata in un altro esperimento, ma questo spesso capita, nella vita come nel gioco.
28 settembre 2013 alle 15:35
Morena Silingardi:
Anch’io, pur non avendo partecipato. In questo senso il gioco è stato utile.
29 settembre 2013 alle 06:52
Daniele, scrivi:
Su (a) potrebbero aver da ridire tanti artisti, da Pascoli a Perec. Attendo un saggio nel quale si dimostri che Dante si è fregato da solo, nella commedia, autoimponendosi la contrainte delle terzine incatenate.
su (b) potrebbero aver da ridire tutti quelli che si sentono galvanizzati dal partecipare a una competizione.
Ovvero: ho l’impressione, Daniele, che quel “si sa, scientificamente” sia un tantino eccessivo; e che (a) e (b) siano forrmulati un po’ alla svelta.
Poi scrivi:
Potrebbe essere vero, Riscontri testuali? Un esempio? Due?
Morena, scrivi:
Rosaria, scrivi:
Dal 30 settembre in poi Alessandra Celano e io saremo impegnati (il cielo ce la mandi buona!) nel lavoro di selezione ed eventuale editing. Ci prenderemo dunque la responsabilità di scegliere. Emetteremo giudizi su singoli testi. E dovremo argomentarli, suppongo.
Per questo, perché può tornarci utile, sarei felice se chi qui esprime dei giudizi di valore (a occhio condivisibili) provasse ad argomentarli un pochino, fornendo anche qualche, non dico esaustivo, ma esemplare riscontro testuale.
29 settembre 2013 alle 06:54
Georges Perec e la formidabile contrainte del romanzo La disparition: vedi.
29 settembre 2013 alle 08:43
Dalla cui interessante visione si evince che la barba di Perec non può essere la stessa lodata qui.
Dirò di più: la barba di Perec non può essere lodata, e neppure i capelli.
29 settembre 2013 alle 11:07
Alessandra, le crocette di fichi (sic!) secchi, con noci dentro e ricoperte di zucchero, che si fanno in Calabria (mia mezza patria, anzi patria, chè matria e matrigna mi è la Toscana), sono una cosa SUBLIME. E per me il senso del Natale.
Giulio, se questa benedetta antologia si fa, anzi la fate, io dico evviva. Se credi sia utile un mio contributo serio e non blogghifero, io ci sto ma a posteriori. Mi spiego: non sono assolutamente in grado di analizzare tutti testi come meriterebbero (sia i buoni che i cattivi) in tempi umanamente tollerabili. Ma se fatta la selezione volete passarmela prima di stamparla, fuori blog, per email, per dire cosa ne penso costruttivamente, questo lo farei più che volentieri, con vivo interesse, perchè di solito me ne sto zitta e se qui ho straparlato è per il grande interesse che riveste questo tema nel mio farneticare trentennale ul direfarebaciare della poesia scritta da donne (o sedicenti tali, ma qui si complicano significativamente le cose, etc etc)……………………………………………!
29 settembre 2013 alle 11:10
In sostanza, Rosaria, non sei disponibile a dire pubblicamente: questo mi pare buono, questo no.
29 settembre 2013 alle 11:35
Rosaria, conosco bene e trovo anch’io sublimi quelle crocette
29 settembre 2013 alle 12:22
Giulio, secondo me non si può dire questo è buono e questo no se prima non si chiarisce che tipo di raccolta si intende cercare di mettere in cantiere.
Solo andando a memoria, senza nemmeno rileggere la grande quantità di prove pubblicate, individuo dei gruppi difficilmente accostabili tra loro.
C’è senz’altro chi ha scelto di utilizzare a larghe mani l’ironia, chi ha cercato di riprodurre forme chiuse nel modo più attento possibile, chi ha messo in campo le qualità di poeta “di professione”, chi ha giocato con le parole, chi ha cercato di stupire a ogni costo, chi ha dato un’interpretazione del tutto personale di componimento poetico. Difficile fare stare insieme tutto questo, anche se si potrebbero ipotizzare delle sezioni diverse. Come dicevo nel mio commento precedente, ancora di più sarebbe difficile armonizzare questa difficile composizione di approcci anche agli stessi commenti, a volte interessanti quanto i componimenti stessi, altre volte utilissimi alla riflessione, altre volte semplice scambio di simpatie/empatie tra i partecipanti.
Chiedo: tu e Alessandra avete già un’idea di quale proposta privilegiare rispetto ad altre? Mi sembrerebbe del tutto legittimo e certamente conoscerla di partenza aiuterebbe chi, come me e credo altri, sarebbe disponibile a esprimere la propria opinione e offrire la propria collaborazione nel caso di necessità.
29 settembre 2013 alle 12:23
(a proposito di Perec e della scrittura à contrainte, avevo scritto qualcosa in un commento qui)
29 settembre 2013 alle 12:40
Morena, rispondo per me: no.
29 settembre 2013 alle 14:15
Anch’io rispondo: per ora no.
Ho solo l’impressione che dovremmo fare un libro ricreativo. Non “divertente”: ma proprio ri-creativo. Un libro che dia a chi lo legge la sensazione di scoprire qualcosa che prima non conosceva (questa è la ri-creazione; che può anche essere divertente).
29 settembre 2013 alle 17:44
Giulio, che abbia scritto il commento di fretta è sicuramente vero. Hai giustamente frainteso. Provo a riaggiustare il tiro del commento: mi pareva evidente, ma scopro che non lo è, che il riferimento è alle regole imposte. Imposte dall’esterno e non certamente autoimposte, visto che l’autoimposizione non è certo un’imposizione. E le regole davvero imposte non sono regole precedentemente introiettate (come quelle che formalizzavano la metrica nel trecento). Le regole imposte, come corpo estraneo all’interno di un processo creativo, è naturale che ne limitino, non dal punto di vista strettamente estetico, ma per quanto riguarda l’innovazione l’originalità eccetera, gli esiti o i risultati parziali.
Quanto al punto b, dici
Il galvanismo non c’entra affatto con la “creatività” intesa come capacità di uscire dalla palude del già detto, del già fatto, oltretutto nel caso nostro sentirsi galvanizzati perché si sarà giudicati, insieme ad altri, sulla base di ciò che già esiste, codici modelli schemi esistenti, non è certo un buon preludio alla rottura di questi codici modelli schemi esistenti, è il buon senso a dirlo, prima ancora degli studi sulla creatività.
Mi chiedi poi riscontri testuali su quelle che ho chiamato “impennate stilistiche”, be’ no, non mi piace fare il chirurgo sui corpi altrui. So che a te piace vedere il sangue (testuale) sprizzare dai corpi (testuali) altrui e ritieni che sia utile, ma io non ho l’indole. Prendi tutto questo come una suggestione, che per essere tale appunto non può essere dimostrata.
29 settembre 2013 alle 17:57
(Ah: certo: un libro “ri-creativo” è ciò che serve al corpo)
29 settembre 2013 alle 19:05
Scusa, Giulio, ma hai scritto proprio una cosa che mi offende e mi riconferma i timori nei tuoi confronti. Chiunque mi conosca un minimo sa che sei completamente fuori strada. Se fosse solo a te alla tua frase risponderei con una parolaccia e chiuso ma siccome siamo in tanti qui dico che mi sono proposta per un parere successivo alla selezione:
a) per rispetto nei confronti tuoi e di Alessandra Celano, promotori di una iniziativa alla quale sono solo stata invitata a partecipare. Quindi non vorrei influenzare con una analisi non accurata il vostro parere di ben piú attenti curatori di questi testi, tuttavia non mi voglio neppure sottrarre ad una richiesta di analisi.
b) vorrei fare le cose di cui al punto a) una volta fatta la vostra antologia, quindi anche se i miei testi uno o piú, fossero esclusi.
quindi c) se volete faccio la mia selezione e ve la mando fra… tempo indeterminato.
Io non sono minimamente ambigua, sfuggente e ipocrita, Giulio.
Questa é la mia crocetta e la mia delizia.
29 settembre 2013 alle 19:08
Ri-creativo, nel senso in cui lo hai usato, Giulio é interessante, per me é sicuramente condivisibile.
29 settembre 2013 alle 19:34
Tu quoque, Daniele. Ma è così difficile dire cose del tipo: questo m’è sembrato bello, questo no? Questo mi pare avere un immaginario suo, questo no?, ecc.
29 settembre 2013 alle 19:54
dire questo sí questo no é facile, motivarlo é difficile, soprattutto laborioso su tanto materiale, mentre su un amteriale selezionato é piú fattibile. a meno che non si possa avere voce in capitolo nella selezione da pubblicare. ma non mi pare sia questo l’invito.
29 settembre 2013 alle 20:09
Ed è così difficile, nel momento in cui si dice a es. che alcuni testi risentono negativamente delle “costrizioni”, indicarne uno nel quale sembra che questo risentimento ci sia? Ovvero: è così difficile dire di che cosa si sta parlando?
E comunque ricordo che l’unica “costrizione” era quella del tema. L’ho già ricordato qui.
Peraltro ricordo che nessuna regola è “imposta”, se non è obbligatorio partecipare al gioco.
Non so, ho come l’impressione che manchi un po’ di considerazione per il libero gesto di chi ha liberamente deciso di partecipare a un gioco al quale poteva liberamente non partecipare; accettandone l’unica regola (il tema) e accogliendone, non sempre e non rigorosamente, il suggerimento delle forme chiuse.
Dov’è la costrizione?
29 settembre 2013 alle 20:17
Scusa, Rosaria, ma quali “timori” hai nei miei confronti?
29 settembre 2013 alle 21:35
Giulio, leggi questa poesia, l’ha scritta un certo Marius, bambino rom di nove anni ed fra le poesie raccolte da Chandra Livia Candiani che, leggo, da parecchio propone seminari di poesia alle scuole elementari. A quel link ce ne sono altre, e mi sembrano parecchio interessanti.
Non è proprio una risposta alla tua domanda (“le costrizioni”) ma lo può diventare se pensata lateralmente.
Quanto al fatto che non mi metto a fare il cerusico testuale (di questo si tratta, non potrei solo puntare il ditino sul corpus dicendo ecco sì, l’odore viene da lì) hai ragione da vendere, ma non mi piace il sangue e sono anche abbastanza impressionabile.
E poi, silensio.
Il silensio
Paura volio giocare ma o paura,
volio dire qualcosa ma o paura,
volio cantare ma ho paura,
tuti mi prendono in giro e o paura,
o paura di tuto e sono da solo.
Silensio.
Il silensio mi pasava tra le vene
sembra infinita il silensio.
29 settembre 2013 alle 22:48
vorrei ringraziare dm per questa segnalazione, e per avermi fatto leggere la poesia del silensio, bellissima.
29 settembre 2013 alle 23:06
Ce ne sono altre due notevoli, secondo me. Una è di Ramayana (9 anni) e sono sicura che piacerà anche a Rosaria Lo Russo:
Le mani che scrivono le poesie
sono le stesse mani
che fanno le pulizie.
L’altra è di Adela (10 anni):
Il mio piccolo autoritratto
Io ho un motore
per correre.
io
ho un suono
io
quando mi arrabbio
dentro di me c’è un motorino
che fa un incidente
e la macchina che scoppia
esce acqua e vento
e fa un sussulto
mi chiamo Adela
e vengo dalla Romania.
29 settembre 2013 alle 23:24
Alessandra Celano: credo che abbiamo gli stessi gusti, almeno per quanto riguarda le poesie scritte dai bambini. Il 24 in facebook inserendo quel link ho riportato proprio quelle due poesie.
29 settembre 2013 alle 23:29
dm, questa mi pare una bella cosa
30 settembre 2013 alle 15:05
Daniele, ti confesso: trovo bizzarro questo tuo parlare di sangue e di chirurgia.
Dire cosa si pensa di un testo (magari con formule cautelative del mi pare, mi sembra) non è un esercizio di crudeltà. E’ semplicemente un riportare la propria impressione.
E’ chiaro che ci sono diversi livelli di giudizio. C’è un livello tecnico, ad esempio: in quei testi che cercavano di realizzare le forme chiuse, aveva senso (e in qualche caso l’ho fatto) mostrare dove la realizzazione falliva e come (eventualmente) si poteva rimediare.
Non ha sempre senso mettere in moto il discorso tecnico: è evidente che dire a Marius: “Guarda che si scrive silenzio, non silensio” sarebbe sciocco.
Oppure, glielo si può dire in un secondo momento, dopo avere apprezzato per bene il suo lavoro; perché bisogna pur anche insegnargli, a questo bambino, la norma della lingua italiana.
Poi c’è il livello diciamo (impropriamente) “filologico”. Quello per cui mi domando da dove venga la frase “Il silensio mi pasava tra le vene”. Che potrebbe essere una pura invenzione di Marius, una suggestione che Marius ha trovato qua o là (dove?), una suggestione dell’insegnante, o semplicemente un modo di dire (una catacresi) della lingua materna che Marius ha tradotto in italiano letteralmente.
In quest’ultimo caso, noto che l’impressione di “poeticità” che quella frase dà va a farsi benedire.
Nel penultimo caso, bisognerebbe domandarsi quale sia il punto d’equilibrio nel lavoro dell’insegnante: è chiaro che è in linea di massima impossibile (e sarebbe anche insensato, credo) nascondere la propria sensibilità; ed è chiaro che la sensibilità dell’insegnante influenza (e non mi pare che si possa bollare questa influenza come strutturalmente negativa) i ragazzi; eccetera.
Eccetera.
Non è così complicato, a es., dire che il sonetto di Evelina Dietmann sulle Natiche (se in questo momento avessi un’internet veloce mettere il link) mi sembra decisamente vittima del tentativo di usare (e violare) una lingua “poetica”; mentre i sonetti di Stefano Serri mi sembrano del tutto esenti da questa difficoltà. Non credo che si sparga del sangue dicendo che la ballata sulla Testa calva di Valentina Simeoni dimostra una completa inesperienza (= mancanza di esperienza) del verso. Non si fa del male a nessuno, a es., dicendo che i testi proposti da Morena Silingardi hanno forse divertito lei mentre li componeva, ma risultano assai poco interessanti per chi li legge. Non si sparge del sangue dicendo che l’ode al Tocco di Mariella Prestante è molto meglio riuscito, nel suo movimento parodico (tenendo conto che “fare parodia” significa mettere un limite importante al valore di ciò che si fa), dell’esplicita sua Parodia dannunziana. Non servono grandi analisi e chirurgie per dire che i contributi di Francesca Genti e Andrea Breda Minello sono belli e basta. Eccetera. (Queste sono cose che io penso).
30 settembre 2013 alle 18:22
Giulio, dici che trovi bizzarra la metafora della chirurgia e sostieni:
Non penso che riportare il giudizio su un testo sia un esercizio di crudeltà, ma credo che in alcuni casi l’effetto sull’autore sia più o meno lo stesso. Trovo la forza di farlo solo nei casi in cui nel testo trovo tracce di supponenza da parte del suo autore. Credo di essere un lettore vile.
Ah e ho speso la metafora dalla parte dell’autore.
1 ottobre 2013 alle 05:30
Cioè, Daniele, se leggi a es. “I promessi sposi”, e li trovi bellissimi e del tutto privi di supponenza autoriale, non consigli a nessun amico di leggerli?
1 ottobre 2013 alle 16:46
Giulio, Alessandro Manzoni è morto.