Stanlio e Ollio, ovvero dell’impossibilità di applicare le istruzioni per essere normali

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[Le edizioni il Mulino hanno appena mandato in libreria un saggio di Stefano Brugnolo intitolato: Le strane coppie. Antagonismo e parodia dell’uomo qualunque. Brugnolo è autore, con me, del famigerato Ricettario di scrittura creativa (Zanichelli). Con piacere pubblico qui parte del capitolo del saggio dedicato a Stanlio e Ollio. gm]

di Stefano Brugnolo

24666I due personaggi cinematografici che forse incarnano il caso più popolare di strana coppia novecentesca sono Stan Laurel e Oliver Hardy. Si tratta di una coppia emblematica per il mio studio perché i due assommano in sé le caratteristiche tipiche di tante altre strane coppie che troviamo nel cinema, nei fumetti, nel cabaret, nella televisione. Il copione di base che, tra gli anni ’20 e ’50, i due attori mettono in scena è il tentativo sempre frustrato di integrarsi onorevolmente nella società americana. Non sono trasgressivi, come i fratelli Marx, sono piuttosto due piccolo-borghesi mancati che vengono immancabilmente messi alla porta dai rappresentanti ‘per bene’ della società. Soprattutto Ollie, che è il leader della coppia e svolge dunque la parte del clown bianco, tiene a dare buona prova di sé, a fare e essere come gli altri. Ogni volta si mette d’impegno per riuscire, garantendo anche per Stan, di cui pure non si fida, e a cui chiede di stare ai suoi ordini senza prendere iniziative. Il sottointeso è il seguente: “tu Stan non ci capisci niente di come è fatto il mondo, perciò fai come ti dico io!”. Stan è l’Augusto della coppia e apparentemente accetta quel suo ruolo subalterno e sembra voler eseguire gli ordini, ma quasi sempre li capisce o applica male, sia a causa della sua stupidità ma anche di un suo perverso gusto a fare e capire le cose alla rovescia, nonché di sabotare le velleità piccolo-borghesi del compagno. Comunque sia i loro sforzi di integrazione finiscono ogni volta in una catastrofe. Ollie incolpa sempre Stan, ma di fatto non è meno inadatto e stupido del compagno.

Resta comunque vero che dei due il più normale è lui, che si dà le arie di un gentleman decaduto ed esperto del mondo. Ad essere davvero strano è Stan. Barr ha scritto di lui: «Stan è come un bambino che sta ancora imparando attraverso l’imitazione e non può afferrare le astrazioni o fare salti nel ragionamento. […] non può operare sintesi, e la sua memoria non è molto più di un insieme di riflessi condizionati: […] ha una mente letterale e non capisce le metafore, o le complessità nascoste» (Ch. Barr, Laurel & Hardy, London, Studio Vista, 1967, pp. 60-61. Per certi aspetti Stan è un puro idiota, qualcuno che non è consapevole della sua identità, o che comunque non è in grado di coordinarsi tra sé e sé e con il mondo. La sua capacità di attenzione e concentrazione è minima e gli basta poco per distrarsi o farsi incantare da dettagli e impressioni casuali. Ci sono molte scene in cui traspare il suo carattere marziano: in Any Old Port (1932: la scena è al minuto 2) i due devono firmare il registro dell’albergo. Stan fa per firmare ma Ollie lo ferma con un gesto autoritario: tocca prima a lui! Dopo di che si toglie la bombetta e con movimento vezzoso firma con uno svolazzo e poi ripone soddisfatto la penna nel calamaio. Solo adesso può rimettersi il cappello e cedere il posto a Stan. Non prima però di averlo costretto a togliersi anche lui la bombetta. Stan però non riesce a disincastrare la penna dal calamaio se non con un gesto brusco che provoca un versamento di inchiostro che cancella la firma di Ollie. Non solo, quando vedremo la firma di Stan, ci accorgeremo che è una X, che insieme al suo analfabetismo ci dice la sua mancanza di identità. In Beau Hunks (1931, dal minuto 7) Stan legge una lettera a Ollie che contiene cattive notizie. Ollie reagisce preoccupandosi, allora Stan gli chiede cosa c’è che non va. Ollie risponde: «Bé, hai letto, no?». E la risposta è «Sì, ma non ho ascoltato». Stan fa sì la figura dello stupido, ma la sua stupidità ci sorprende e cattura ogni volta. Grazie a lui diventiamo consapevoli che tutta una serie di operazioni di sintesi fisica e psichica – per esempio ascoltarsi-mentre-si-legge – non sono affatto scontate, ma dipendono da un precedente e complesso training. E d’altra parte ci rendiamo conto che magari altre conessioni sarebbero state possibili. E direi che in queste sue reazioni ritardate e sconnesse si esprime quasi sempre una protesta di fondo, un rifiuto di essere normale, responsabile della propria identità. Insomma, è come se Stan non sapesse bene di esistere, come dimostra un’altra scena dello stesso film: dopo una marcia i due sono esausti e Ollie prende per errore il piede di Stan e lo massaggia. E’ Ollie che sbaglia ma ci colpisce ancor più la perfetta impassibilità di Stan. Commenta Marco Giusti: «Stan e il suo corpo sono cose separate: le numerose scene di scambio di giacche e confusione di corpi con Ollie rivelano questa abilità di burattino slegato (come quando Pinocchio si brucia i piedi col fuoco)» (M. Giusti, Stan Laurel e Oliver Hardy, Il Castoro, Milano, 1978, p. 83). In fondo non siamo lontani da quel transitivismo di cui ha parlato Jacques Lacan a proposito di coppie di bambini impegnati a studiarsi e imitarsi: «Il bambino che picchia dice di essere picchiato, quello che vede cadere piange» (J. Lacan, Scritti, vol. I, Torino, Einaudi, 1974 (1966), p. 106). Come sappiamo nei suoi primissimi anni di vita il bambino non sa e non può ancora distinguersi compiutamente dall’altro, e Stan spesso mostra di confondersi ma anche di confondere il suo compagno e noi con questi suoi imprevedibili errori. Questi naturalmente non sono quasi mai privi di malizia e arguzia. Prendo un esempio da Their First Mistake (1932). La moglie di Ollie è adirata con lui perché le pare che preferisca Stan a lei. Allora Stan gli dà un consiglio: alla moglie ci vuole un bambino, perché così lascerà libero il marito di coltivare la sua amicizia con lui. Ollie è stupito poi però approva:

HARDY. Lo sai, penso che sia proprio una buona idea.
LAUREL. Ci puoi scommettere che è una buona idea. Sai, è un fatto risaputo che… che tutta la felicità in una casa… quando hai un bambino … e c’è una moglie, e tu, e il bambino…è un fatto risaputo. Sai, io ho letto qualcosa su questo.
HARDY. Sto cominciando a pensare che hai ragione.
LAUREL. Ci puoi scommettere che è una buona idea. Lo sai, io non sono mica così stupido come tu sembri. HARDY. Ci puoi scommettere che non lo sei. Chiunque lo pensasse… Cosa vuoi dire, che tu non sei così stupido come io sembro?
LAUREL. Bé, ecco…—

Stan si gioca benissimo la sua idiozia, la sua identità labile. Questo suo carattere ‘autistico’, la sua perfetta indifferenza a omologarsi o a competere, lo rendono unico e irresistibile. Non solo, pare che sia proprio questo suo carattere marziano a renderlo capace di azioni soprannaturali, che senza esserne consapevole. In Way Out West (1937) dopo che Ollie ha preteso che mangiasse il suo cappello (vedi), Stan si mette a piangere, ma poi lo fa, e anzi lo trova proprio gustoso. Ollie allora, che è invidioso ed emulo degli strani poteri del compagno, lo imita, ma dopo un morso sputa tutto disgustato. [1] Insomma, Ollie si sente sì superiore a Stan, ma poi è anche lui stupito e affascinato dalla personalità misteriosa del suo socio.

D’altra parte, se Ollie non sa e non può staccarsi da lui, è anche perché nessun altro gli riconosce un primato. Solo con l’amico può comandare e sentirsi importante. Questa sensazione in realtà è apparente e Ollie non ha nessun vero potere e influenza su Stan; sa benissimo che «mai l’amico imparerà, eppure ripete il rituale dell’educazione del primitivo come per non venire meno ai suoi doveri» (Ch. Barr, op. cit., p. 85). In molti film Ollie, dopo aver subito qualche umiliazione, quasi sempre procuratagli da Stan, se ne sta lì immobile e incredulo quasi a gustare perversamente questo ennesimo disastro che gli conferma l’irrecuperabilità del suo amico. Quelle volte che per qualche errore di Stan gli cade addosso una pioggia di mattoni non si muove, ma rimane lì stoicamente a guardare in camera fino a che non è sicuro che gli è caduto in testa anche l’ultimo. In questi casi si può dire che «si comporta come un maestro di scuola pedante che ricava una perversa soddisfazione dal numero di spropositi che il suo allievo commette» (ivi, p. 76). Sembra quasi che quanti più torti e fastidi Ollie subisce da Stan, tanto più gli si leghi. In Block-Heads (1938) un Ollie felicemente sposato e integrato porta a casa il vecchio amico casualmente ritrovato, che nel frattempo gli ha già creato mille problemi (per esempio gli ha distrutto l’automobile). La moglie lo accoglie così: «Quante volte devo dirti di non portarmi a casa i tuoi amici vagabondi?». E Ollie contrito e dispiaciutissimo risponde così: «Ma Toots – Stan è diverso». Da questo punto di vista la dinamica che caratterizza il rapporto tra Stan e Ollie è quella di una vera coppia che pur con tutti i suoi tira-e-molla si basa su un legame misterioso e profondo. Non c’entra niente l’omosessualità che è stata inevitabilmente tirata in ballo, ma qualcosa di più universale: «l’idea di un’amicizia fondata sulla franchezza e il conflitto» (ivi, p. 114).

Ma se sono così legati l’uno all’altro è perché i due personaggi rappresentano due parti di un unico ideale Sé. In Ollie ritroviamo una caricatura del nostro Ego, dei suoi tentativi di vedersi riconosciuto, delle sue presunzioni e goffaggini. Ollie si crede un adulto, ed è in effetti un bambino, di cui gli stessi bambini possono ridere. Il suo conformismo piccolo-borghese è così smaccato da essere innocente. Molto umana è anche la sua tendenza a fare di Stan il capro espiatorio di tutti i suoi fallimenti. Stan corrisponde alla parte recalcitrante, dispettosa che sabota l’Io. Ma Stan è anche la parte più vera di Ollie, la parte che gli impedisce di diventare quel pallone gonfiato che vorrebbe tanto essere. Insomma, a salvarlo da un’integrazione o resa totale è proprio il legame con Stan. Il quale vive solo nel presente, è amorale, insensibile ai riconoscimenti mondani, al denaro. E’ per questo che ci appare misterioso, che ci sfugge. Le nostre parti coscienti non possono perciò che identificarsi con il normale Ollie; tutti i suoi camera-looks valgono come appelli familiari allo spettatore con cui ci chiede se anche noi abbiamo visto. Come a dire: “ma è mai possibile che esista uno come quello!?” Stan invece non guarda mai in camera, immerso com’è nel suo mondo. Ciò che in definitiva li unisce di più è proprio la comune disdetta.

A questi due va sempre storta, così che dopo ogni tentativo si ritrovano di nuovo soli e senza mezzi, e devono ricominciare da capo, non avendo altra risorsa al mondo se non il compagno [2], in una sorta di eterno canovaccio. Proprio la loro reiterata e ostinata incapacità di apprendere e applicare le istruzioni per l’uso della normalità ce li rende tanto simpatici. E si direbbe che anche per loro i momenti in cui il sogno di integrazione si spezza siano liberatori. Tali momenti corrispondono a scene di resa dei conti con i rappresentanti della normalità, nelle quali attraverso una escalation di rappresaglie si distruggono oggetti e ambienti, quasi sempre status symbol (è il meccanismo delle torte in faccia portato all’ennesima potenza). I loro errori, le goffaggini, corrispondono quasi sempre ad atti mancati, ad automatismi che interrompono i tentativi di rendersi rispettabili. Vale per loro quello che vale per i sensali dei motti analizzati da Freud; anche questi sensali attraverso un lapsus si lasciano infatti scappare una verità che invece dovrebbero nascondere, e proprio questo ci fa ridere di loro. Ma in realtà la loro goffaggine è solo una facciata, infatti scrive Freud, «come deve’essere contento quest’uomo di poter finalmente liberarsi del peso della finzione» (S. Freud, Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio, in Opere complete, Bollati Boringhieri, 1989, vol. V, p. 95). Così noi diremo di Stan e Ollie «come devono essere contenti» di poter rompere, disfare l’illusione d’essere normali a cui s’erano fino ad allora applicati. Accade spesso che un loro piccolo gesto provochi «un massiccio e contagioso caos sociale» (Ch. Barr, op. cit., p. 31), e si tratta di momenti di euforica liberazione. In Leave ‘em Laughing (1928) Stan e Ollie escono da una seduta dal dentista sotto l’effetto del gas esilarante e scesi in strada (dal minuto 13 circa) creano un enorme ingorgo automobilistico dove tutti se la prendono con tutti mentre loro due continuano a ridere sgangheratamente. A quanto pare, la società (la folla) può essere sì contagiata dalla loro violenza, ma mai dal loro riso. In questi momenti la coppia si ricompone: anche se i due sono perfettamente consapevoli che si stanno giocando la loro immagine sociale, non possono rinunciare a prendersi quella soddisfazione infantile, puramente ludica.

Ripeto, tutto quello che hanno è il loro rapporto. Questo sentimento insinua nelle loro storie un lieve retrogusto malinconico. Esso proviene proprio da questo senso di un legame che niente può rompere: la condanna a essere e fare coppia. Ecco una scena tratta da Laughing Gravy (1931, dal minuto 18 circa). Ollie si sta lamentando con il compagno: «Tu sei la causa della mia condizione deplorevole. Mi hai frenato per anni e ora sono stufo». Qualcuno però bussa alla porta e consegna una lettera a Stan in cui si dice che lui è «l’unico erede della fortuna del tuo defunto zio a patto che tronchi tutti i rapporti con OLIVER HARDY, che tuo zio ha ritenuto responsabile della tua condizione deplorevole» (le citazioni dalla sceneggiatura sono tratte da S. Louvish, Stan and Ollie. Rhe Roots of Comedy, London, Faber and Faber, 2001, pp. 277-288). Ollie gli chiede preoccupato di che si tratta e Stan tergiversa:

OLLIE. Mi stai facendo perdere la pazienza. Fammi vedere la lettera.
STAN. E’ personale.
OLLIE. (Frigge di rabbia e mette il muso) Bè, se è personale è personale… Grazie al cielo non sono una persona che nasconde le cose agli amici… Una volta che uno è amico, lo è per sempre. Con un Hardy si fa sempre metà di tutto. Ma d’altronde il mondo è bello perché è vario. Va bene. Non ti preoccupare, non mi lamenterò. (Si gira, mette via i colletti delle camice e canta:) Troppo tardi ti pentirai, e la nostra amicizia sarà già odio ormai, la nostra amicizia sarà già odio ormai, troppo tardi ti pentirai… Stan, esasperato e innervosito, si gira e consegna la lettera a Ollie. Che cosa? Io che leggo la tua lettera? Dovrei rifiutarmi! Un Hardy non leggerebbe mai la corrispondenza privata di un altro…(Girandosi) Oh, dammi quella lettera! (Inizia a leggere, vede l’assegno. […] Continua a leggere, guarda la telecamera con occhi colpevoli. La sua espressione si fa dolce quando si gira verso Stan). Ora so perché non volevi che la leggessi. Mi dispiace di aver detto tutte quelle cose. Per tutto il tempo ho pensato che fossi tu a frenarmi. Non è curioso? Non ci vediamo mai come ci vedono gli altri. Bé, è meglio che tu vada.

Si salutano e fanno per separarsi. Stan esce dall’inquadratura, prende la valigia e il cane, Laughing Gravy. Ma Ollie si avvicina e si riprende il cane: «Non mi prenderai tutto, vero? Sarò già abbastanza solo senza che ti porti via anche il cane. Ciao». A quel punto Ollie, con il cane, ci guarda con aria di grande dignità. Stan posa la valigia, si gira, straccia la lettera e l’assegno. I due si riappacificano, ma: «OLLIE. (Raggiante) Amico mio! E pensare che stai rinunciando a tutto per me! STAN. (Annuisce, poi doppia ripresa) Per te? Non volevo lasciare Laughing Gravy». Stan toglie il cane dalle mani di Ollie e quest’ultimo perde completamente il controllo e inizia a rompere tutto quello che gli capita a tiro. Non siamo lontani da certi dialoghi tra il Vladimir e l’Estragon. La formula che Skrevedt ha adoperato per Stanlio e Ollio, «l’altro è l’unica cosa che potranno mai avere», vale anche per i due personaggi di Beckett che come vedremo vorrebbero sempre staccarsi e però non lo fanno e non lo possono fare mai. Cambierà il tono, ma il copione sarà proprio lo stesso.

[1] Willson Disher nota che tutti gli scherzi dei clown hanno in comune la presenza di «sforzi senza risultato e risultato senza sforzi, o, più in generale, essi oscillano tra grandi sforzi che producono piccoli risultati, e piccoli sforzi che producono grandi risultati»: M. Willson Disher, Clowns and Pantomimes, Boston, Houghton Mifflin and Company, 1925, p. 22. Si noti quanto questa descrizione si applichi bene a certe gag dei due: là dove Ollie con molto sforzo non ottiene nulla, Stan può ottenere un risultato sorprendente con uno sforzo piccolissimo.

[2] «Il loro posto di lavoro è appeso ad un filo sempre pronto a spezzarsi; tutto quello che possiedono si sgretola sotto i loro occhi; […]. A volte non riescono proprio a stare insieme ma non saranno mai capaci di vivere l’uno senza l’altro. L’altro è l’unica cosa che potranno mai avere. Insieme alla speranza di un giorno migliore»: R. Skrevedt, Laurel and Hardy: The Magic behind the Movies, Past Times Publishing, Beverly Hills, California 1996, p. 7.

L’immagine in cima al post viene da qui.

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8 Risposte to “Stanlio e Ollio, ovvero dell’impossibilità di applicare le istruzioni per essere normali”

  1. Carlo Capone Says:

    Una delle cose più belle e interessanti che abbia letto in Vibrisse ( e sono tante). Grazie, Giulio, e grazie a Brugnolo, ovviamente.

    Ah, il famigerato ricettario campeggia, da anni, nell’apposita sezione di una mia libreria.

  2. Federico Platania Says:

    Perfetto il riferimento a Beckett nell’ultimo paragrafo. Le comiche in generale, e quelle di Laurel & Hardy in particolare, sono tra i modelli più evidenti per il Beckett degli anni ’40-’50. Non solo Godot, ma anche il romanzo Mercier e Camier (che è quasi una prova d’orchestra per Godot) sono modellati sui due comici statunitensi.
    Ricordo che qualche anno fa Lorenzo Loris mise in scena “Aspettando Godot” facendo parlare i due attori proprio come Stanlio e Ollio. Non tutti in sala colsero la finezza ma era un riferimento filologicamente ineccepibile.
    Bello questo saggio di Brugnolo. Sarei curioso di sapere se Beckett torna anche in altre sue pagine, perché lo schema della coppia è centrale in quasi tutto il teatro beckettiano.

  3. RobySan Says:

    Un’occhiata anche qui.

  4. indicedilettura Says:

    Mi associo al commento di Carlo Capone. Lo prenderò: Ammirevole attitudine analitica e interpretativa.

  5. indicedilettura Says:

    Nel commento precedente c’è una maiuscola di troppo. Scusate!

  6. dm Says:

    Notevole, riesce a dare conto della fascinazione che da bambino provavo per questi personaggi e anche della malinconia – come tutti o quasi i bambini spettatori di quelle comiche, forse. Grazie!

  7. testimongarli Says:

    Il mio primo direttore creativo diceva sempre che al cinema ci sono due categorie: Indiana Jones e Stanlio e Ollio. Ora so che aveva più ragione di quello che pensassi!

  8. Appunti sulla trilogia di Claudio Vergnani _2 | indice di lettura Says:

    […] Leggo la trilogia vampirica di Claudio Vergnani e in contemporanea il saggio Strane coppie. Antagonismo e parodia dell’uomo qualunque di Stefano Brugnolo (ed. Il Mulino; scoperto qui). […]

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