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Quando la mano tua si posa sulla
mia chiappa destra io mi sento nella
medesima una scossa, e la basculla
dell’osso sacro ha un’incertezza, della
quale non so spiegarmi il senso. Dillo,
se sei capace, tu. Quella bavella
che dal mio corpo porta al tuo gingillo
di me una marionetta nelle belle
tue mani fa. Mettesti tu un sigillo
nascosto in me? Ti fui, ti son ribelle
se non mi tocchi; se mi tocchi a galla
dal fondo oscuro di me stessa (nelle
mie parti oscure chi comanda? Dalla
mia volontà son governata? Fuffa
è quella storia dell’inconscio, balla
in pro’ degli analisti se non truffa
ben combinata, e chi ci arraffa arraffa
e porta a casa i soldi? Molto buffa
cosa sarebbe…) emerge non un vaffa
ma un desiderio, un cedimento… Goffa
sarò pur io, ma di riffa o di raffa
padrona di me stessa: no, non stoffa
da farci tonache, ma neanche bleffo:
non sono quella che sta sempre in coffa
spiando intorno, vedi qualche ceffo
scopabile pervenga… Torno a bomba:
il “Grande Muratore” (Claudio Chieffo)
ci fece maschi e femmine; si tromba
perché si deve, a conservar la schiatta
fin quando il suon della divina tromba
ci chiamerà in giudizio. Autodidatta
fu Adamo in questo, autodidatta Eva:
fu quel che fu, né lei rimase intatta.
Le piacque? Fu dolore? La primeva
delle primeve non lasciò poscritti.
E Adamo, lui, nel mentre la prendeva,
cosa provò o pensò? Già vide iscritti
nei secoli futuri d’arroganza
e di violenza quei maschili editti
o fu lui stesso a imporli alla sua ganza?
O è la natura che ci dà gli istinti,
che guida nostro gioco e nostra danza,
per cui già calvi e con i denti finti,
le vene varicose e il ventre molle,
ancora i maschi seguono un imprinting
ineludibile, e finché le ampolle
non vuotano in un vaso qualsisia
tristi gli fremon tutte le midolle?
E sentono un bisogno, una mania
di dominare, di sentirsi forti:
quasi gli viene la cremnofobia
se vittima non c’è che li conforti
con sua sottomissione in quello stato:
e senza questa cosa sono morti.
Sarà così? Natura ha loro dato
d’essere tali senza scampo? O il maschio
nasce innocente, e viene poi educato
alla violenza, al desiderio e all’astio
mischiati insieme verso di noi femmine,
e alla centralità del suo bel mastio?
È natura? È cultura? Non di lemmi
si fa questione qui. E noi donne, siamo
a nostra volta spinte come lemming
misterïosamente a dire “T’amo”
a chi ci pensa solo come oggetti?
Noi donne, quanto e come consentiamo
alla violenza, ai desideri abbietti,
alla sottomissione impunemente
imposta, noi che spesso in lazzaretti
dell’anima dobbiamo e della mente
tener rinchiusi sia il disio sia il velle,
e se vuoi libertà tremendamente
vieni punita? È forse nelle stelle
inscritto tutto questo? O nella carne?
Non so, non so, non credo. Alle bretelle
Münchhausen si aggrappò per trarsi fuori
dalla palude. Natura e cultura
in noi sono una cosa, e se agli afrori
feromonali nostra mente abiura,
purtuttavia c’è un corpo e quel che vuole
il corpo fa, o almen sogna, e la censura
è rimozione che, siccome suole,
appresta il suo ritorno, e sì da mane
a sera, sera a mane, finché il sole
risplenderà sulle miserie umane
resta in agguato. Sola una speranza
ci resta: che in un tempo (se non vane
credi certe storie), in tempo futuro
(ma in un futuro smisuratamente
futuro, quando il mondo avrà il futuro
annïentato da quello stess’Ente
che glielo diede) questo nostro corpo,
identico a sé stesso e differente,
con l’anima un tutt’uno, senza scorporo,
sarà, e sarà per sempre, senza fine.
Ma tu sei stufo di ascoltarmi ed “Orpo!”
mi dici, “mia Mariella, senza fine
è il tuo discorso. Il fatto è chiaro e semplice:
io sono uomo, tu sei donna. Fine”.
E poi mi guardi con lo sguardo complice;
e poi carezzi ancor di più la chiappa
(da cui partì il discorso) ed io son duplice:
m’insegue una me, la sfuggo, m’acchiappa;
ma tu m’insegui, ti sfuggo, m’acchiappi;
ma mi rinchiudo come una calappa;
ma poi t’inseguo, mi sfuggi, mi scappi;
ma poi ti prendo, mi prendi, in viluppi
stringiamo i corpi: mi baci, mi lappi…
…e siamo madidi, fradici, zuppi…
(…finché, quel benedetto cavatappi…)
Nota dell’autrice. Il testo va intesto, ovviamente, come gioco combinatorio di luoghi comuni. – “Basculla”: più comunemente bascula, ma c’era da fare la rima. – “Non stoffa / da farci tonache”: variante del più diffuso “farina da ostie”. – “Il Grande Muratore”: Claudio Chieffo, Canzone di Benedetto: “Il Grande Muratore / ha costruito una casa per te”. – “La primeva / delle primeve non lasciò poscritti”: il Diario di Eva pubblicato da Mark Twain è notoriamente un falso. – La cremnofobia è la paura del vuoto. – Il “suon della divina tromba”: Torquato Tasso, Gerusalemme liberata, IV, 3: “Chiama gli abitator dell’ombre eterne / Il rauco suon della tartarea tromba”. – Il suicidio collettivo dei lemming è, come noto, una leggenda disneyana. – In realtà, nel romanzo di Raspe, Münchhausen si tira fuori dalla palude tirandosi per il codino. – “Sia il disio sia il velle”: Dante, Commedia, Paradiso, XXXIII, versi finali: “A l’alta fantasia qui mancò possa; / ma già volgeva il mio disio e ‘l velle, / sì come rota ch’igualmente è mossa, / l’amor che move il sole e l’altre stelle”. – “Siccome suole / appresta”: Giacomo Leopardi, Il sabato del villaggio: “La donzelletta vien dalla campagna / in sul calar del sole, / col suo fascio dell’erba; e reca in mano / un mazzolin di rose e viole, / onde, siccome suole, / ornare ella si appresta / dimani, al dí di festa, il petto e il crine”. – “Finché il sole / risplenderà sulle miserie umane”: Ugo Foscolo, I sepolcri, versi finali: “E tu onore di pianti, Ettore, avrai, / ove fia santo e lagrimato il sangue / per la patria versato, e finché il Sole / risplenderà su le sciagure umane”. – Ho fatto rimare “speranza” con “futuro”: rima di concetto. – La calappa è un granchio. – “Questo nostro corpo / identico a sé stesso e differente”: Paolo, 1 Cor., 15 36-44: “Ciò che tu semini non prende vita, se prima non muore; e quello che semini non è il corpo che nascerà, ma un semplice chicco, di grano per esempio o di altro genere. […] Così anche la risurrezione dei morti: si semina corruttibile e risorge incorruttibile; si semina ignobile e risorge glorioso, si semina debole e risorge pieno di forza; si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale”. – Quanto al cavatappi…
25 agosto 2013 alle 05:39
Sto imparando moltissimo dai vostri scritti e commenti. Vi seguo con passione
25 agosto 2013 alle 08:26
Ah, saperlo, saperlo, Mariella nostra, com’è veramente questa storia! Mi diverte e plaudo alla capacità di aver creato una situazione perfettamente credibile, arricchita dal gioco delle citazioni e dalla ricostruzione di divagazioni perlopiù femminili. Puntualmente, il maschio di turno, fingendo di voler accordarsi con le rime in doppia effe, nei fatti risponde alla sua bella: “Di quel che dici, me ne faccio un baffo!”.
Il cavatappi non può che nascere da un’aberrazione creativa maschile.
25 agosto 2013 alle 09:35
Io l’ho sempre pensato che il corpo è una condanna nonostante tutti (molti?) ne magnifichino godimenti e prestazioni. Con questa convinzione me ne torno alla mia postazione di stilita, a compiacermi degli esiti poetici di Mariella che gioca con l’eterna antinomia natura-cultura, e ammicca e provoca e allude e cita e propende per l’ineludibilità del cavatappi e gioca e confonde come la Maga Circe e come la Maga Armida che sul cavatappi hanno costruito le loro fortune e la loro infelicità, mentre Didone, sciagurata, finirà in cenere, e così via così via… Vanitas Vanitatum… Fenomenologia del cavatappi… Divertimento sapiente della bina Mariella. Vi saluto dalla mia impossibile postazione incerta tra il pianto e il riso.
25 agosto 2013 alle 19:51
Bellissima composizione, colta, intelligente, creativa nell’accostamento dei diversi tòpoi letterari. Tematica intrigante dell’opposizione femminino / mascolino, con chiusa ahimé ripetitiva: mi dici, “mia Mariella, senza fine / è il tuo discorso. Il fatto è chiaro e semplice: / io sono uomo, tu sei donna. Fine”.
Andiamo cercando i cieli e ci ritroviamo sempre raso terra e con “l’ineluttabilità del cavatappi” come dice Nadia.
Ma almeno nella pratica letteraria, dài, ci salviamo.
26 agosto 2013 alle 19:31
Non riesco a finirlo…ma fin dove arrivo non è male.
Forse ho un deficit dell’attenzione, ma dopo un po’ mi stanca…;)
27 agosto 2013 alle 16:53
Corpo identico a se stesso e differente!
Finalmente!
Natura cultura letteratura:
tortura! tortura! tortura!
25 settembre 2013 alle 12:54
Elegantissimo gioco, molto sbilanciato dalla parte della cultura, nell’uso molto sapiente delle rime, fatte addirittura (!) con le preposizioni articolate, il che risulta essere il massimo della difficoltà e della sciccheria…!