di giuliomozzi
Per chi si fosse fatto un po’ di vacanze, ricordo che il gioco (scopertissimo, peraltro) di Mariella Prestante è stato svelato qui.
Ma da questo gioco – o scherzo, o birichinata che sia – potremmo prendere spunto per una riflessione seria, e forse addirittura utile. E’ una questione che mi assilla da un bel po’ di tempo. Si parla tanto, e da anni, del cosiddetto “specifico femminile” in letteratura. Ora: se esiste uno “specifico femminile” (e, per analogia, uno “specifico omossessuale maschile”, uno “specifico omosessuale femminile”, uno “specifico queer”, eccetera), dovrà esistere da qualche parte uno “specifico maschile” (etero). Altrimenti non si capisce di che cosa si parla.
Non senza ragioni Daniele Muriano osservava, nella discussione attorno alla tenzone:
Molte delle autrici delle lodi stanno adoperando tutto un arsenale amoroso secolare, tradizionalmente scomodato per le donne o per la Donna, per lodare il corpo di un uomo, oggi, al tempo delle Femen e delle fimmine ribelli e delle “meteorine trombate“. Non avvertite una dissonanza cognitiva? Non è necessario solo ribaltare i piani, bisogna pure camminare a testa in giù! (vedi)
In altre parole (che spero gli vadano bene), Daniele diceva che nei testi scritti dalle nostre poetiche ragazze gli pareva di non ritrovare tanto uno “specifico femminile”, quanto un riuso non inventivo di un linguaggio (e di un immaginario, e di forme, ecc.) specificamente maschili. Alessandra Celano gli rispondeva:
Quell’arsenale, quell’armamentario,
caro Di-Emme, qui lo sbeffeggiamo.
Per me era chiaro, e a lei pare il contrario (vedi).
Rosaria Lo Russo – sottolineando il paradosso di un gioco di Lodi del corpo maschile riservato alle donne eterosessuali e ai maschi omosessuali, ma avviato e gestito da un maschio eterosessuale (quale sono io), peraltro infiltratosi nel gioco en travesti – indicava il rischio di
Un aderir di femmine al narcissico
superlui che sorveglia lei che scrive (vedi).
Io osserverei che il lavoro d’ironia è sì lavoro critico, ma spesso di critica interna al paradigma. Come ha scritto Mariella Prestante:
“Lasciàtela sfogare!”: un recintato
spazio perché giochi la bambina.
“Lasciàtela sfogare”: poverina,
dopo lo sfogo tornerà al dettato.
“Lasciatela sfogare”, e poi il creato
ritroverà la forma sua pristìna (vedi).
E dunque? Vi propongo un lavoretto. Visto e assodato che Mariella Prestante, lungi dall’essere una donna in carne e ossa, non è altro che un’identità prodotta da me; è possibile rinvenire nei suoi testi qualcosa che potremmo definire come “specifico maschile etero”? E nei testi delle donne partecipanti, è possibile rinvenire qualcosa che potremmo definire come “specifico femminile etero”? E nei testi dei maschi omosessuali partecipanti, è possibile rinvenire qualcosa che potremmo definire come “specifico maschile omosessuale”?
Può darsi che no, eh.
L’immagine in alto viene da qui.
Tag: Alessandra Celano, Mariella Prestante, Rosaria Lo Russo
19 agosto 2013 alle 13:18
Credo che abbia ragione Daniele quando parla di dissonanza cognitiva nel riuso di forme appartenenti alla tradizione letteraria, il cosiddetto canone, che fu maschile, eccetto uno sparuto drappello di poetesse petrarchiste nel Cinquecento, dal Medioevo al Novecento, secolo alla metá del quale comincia a formarsi un nutrito corpus di poesia scritta da autrici. Una delle quali, Amelia Rosselli, pur prendendo le distanze dal femminismo, accennava all’esistenza di un misterioso specifico femminile di tipo ritmico, parlando di diversitá quasi biologica della scrittura femminile rispetto a quella maschile. Considerando che Maria Zambrano, in Poesia e filosofia, esordisce con una frase che suona piú o meno: “la poesia é sempre stata un fatto della carne”, penso che Rosselli avesse fondamentalmente ragione, e i suoi spazi metrici, la sua rivoluzione metrica, e la sua rivoluzione sintattico-lessicale stanno a dimostrare la validitá del suo misterioso accenno.
Non credo che esistano gli specifici poetici femminile maschile omo e eterosessuale, essendo ben solida e tuttora valida la definizione di specifico poetico del linguista Roman Jakobson: lo specifico poetico é il ritmo fonosintattico (detto in estrema sintesi), che é poi esperito non tanto nel cogito umano quanto nel corpo umano atto a produrlo: la voce/lingua, o la lingua/voce, a seconda che il/la poetante sia piú o meno portato per la funzione fática, insomma in base al tasso di sonoritá di un testo poetico.
I testi di Mariella, una e bino, basati come sono sull’imitazione del canone, presentano i tratti di specificitá del canone. Tutta l’operazione veterometrica delle Lodi sono un gioco neutrale e neutralizzante, arcadico, un gioco appunto, che rischia peró di frastornaere e, frastornando allegramente fra abilitá rocambolesche e rocaboliche disabilitá, rischia di occultare quanto di innovativo potrebbe esserci nel trattare questo tema, Lodi del corpo maschile, dal punto di vista femminile. Eccoci al dunque: il gioco si farebbe ricerca poetica autentica se, invece che essere un esercizio di imitazione del canone, fosse un esercizio di ricerca dei punti di vista femminili (o omosessuali, o, perché no? maschili) sul corpo maschile, oggetto (??? eh no, e qui casca l’asino, sempre SOGGETTO, Soggettone, Superego, SuperLUI) mai cantato, o raramente cantato, nella poesia italiana.
Secondo me ne varrebbe la pena, dico varrebbe la pena tentare una ricerca poetica in cui il corpo maschile sia non piú il soggetto dello sguardo ma l’oggetto dello sguardo. Ma poiché in poeisa non esiste contenuto senza forma né viceversa, come é possibile aprire lo sguardo se la forma é chiusa? Come é possibile ampliare il dettato se i modelli auspicati sono i maschi della tradizione?
Dunque concordo con Daniele. Mettersi a testa in giú, rovesciare tutta la frittata é necessario, non basta il contenuto anche la forma deve cambiare punto di vista, altrimenti si finisce per imbambolarsi in un gioco un po’ onanistico di ripetizione del giá detto e giá dato, ulteriormente neutralizzato dal castratorio motto di spirito continuo e dilagare in paginate e paginate di versi piú o meno azzeccati senza dire nulla del corpo maschile dal punto di vista femminile, o maschile, o omosessuale con ció implicitamente negando che il corpo maschile esista qual oggetto da cantare.
19 agosto 2013 alle 18:54
Giulio, che
è proprio vero.
E credo sia vero (Rosaria Lo Russo) che, riguardo al gioco, il rischio di usare regole già scritte sia “dire nulla del corpo maschile”.
Ehm, provo ad annusare i testi.
19 agosto 2013 alle 20:52
Rieccoci:
Complice l’estate vuota e irrimediabilmente casalinga, ho fatto un piccolo lavoretto. Ho copiato la prime composizioni poetiche dei partecipanti al gioco delle Lodi, e le ho incollate in documenti diversi sulla base del genere: di qua i maschietti, di là le femminucce. Ho considerato solo la prima composizione pubblicata in vibrisse dal momento che la partecipazione femminile è più numerosa rispetto alla controparte (ammesso che di controparte si tratti, ma comunque.)
Poi ho fatto una nuvola di etichette o “tag cloud” a partire dalle composizioni femminili e un’altra per quelle maschili (scusate per la semplificazione…)
Eccole.
Femmine.
Maschi.
Come è ovvio, la dimensione del carattere usato per ciascuna parola è proporzionale alla ricorrenza di detta parola nei testi presi in esame. Ad esempio nelle (poche) composizioni scritte dai maschietti il termine più ricorrente è “sogno” (grazie alla bella composizione di Andrea Breda Minello; e qui si capisce che il campione maschile è lungi dall’essere, anche solo minimamente, rappresentativo).
Quanto alle lodanti. Tralasciamo i termini che denotano parti del corpo, visto che le lodi si sono distribuite anatomicamente in modo diseguale. Partiamo dagli avverbi “ogni” e “sempre”. Possono essere significativi quanto alla ricerca proposta da Giulio di uno “specifico femminile”?
Nelle composizioni in esame “ogni” è spesso seguito da un nome (dama, statua, desider, amplesso, etc) e quasi mai da un riferimento temporale. “Sempre” occorre invece sempre – bisticcio, pardon – in enunciati che hanno specifico valore temporale allargato (“e sarò sempre il tuo servo cadetto”, “sempre lo nascondi”, etc).
Per quanto il campione maschile non sembri rappresentativo, bisogna dire che “ogni” e “sempre” non compaiono mai.
Passiamo al termine in assoluto più ricorrente nelle composizioni femminili: “te”. E’ un pronome personale. Proprio come “me” (il terzo termine più ricorrente, lo batte solo “ogni”).
Ora, cosa sono “te”, e “me”?
Cerco rapidamente in un vecchio libretto di pragmatica del linguaggio, leggo
Aggiungo di mio che i termini “te” e “me” non sono presenti in quelle che ho chiamato composizioni maschili. E’ sensato dire che l’uso di “te” e “me” sia da ascrivere in qualche modo all’adozione di una distanza ridotta tra (semplifichiamo) chi scrive e l’oggetto amoroso? Secondo me, sì.
Resta ovviamente un’analisi molto abbozzata. Bisognerebbe (e sarebbe forse anche interessante) verificare e ampliare queste intuizioni di getto con un lavoro approfondito su un numero maggiore di testi per ciascun campione.
19 agosto 2013 alle 22:41
Mi scuso per la brevità del commento ma, nello specifico vissuto femminile, mi trovo a cavallo di un discreto numero di mansioni famigliari :-D… Sulle rime di questa collezione ragionerò quindi meglio quando avrò più tempo.
Qui tenevo solo a dire che mi ha un po’ messo in imbarazzo (a me -ah!-, la valchiria della prosa sboccacciata!) proprio il fatto di elogiare espressamente il corpo maschile, al quale amo però dedicare, nel mio intimo o tutt’al più sussurate alla virile compagnia, lodi più di sostanza che di forma. Quei piacevoli altri doni, di natura tutt’altro che vocale (fatta eccezione per alcuni tipi di vocalizzi, è ovvio).
Credo che, generalmente, sia una specifica attitudine maschile quella della lode a un’esponente dell’altro sesso, espressa ad alta voce e meglio ancora se in “branco”.
Il mio imbarazzo è lo stesso che provo durante certe serate tra amiche, quando per un bicchiere di troppo si alza troppo anche il volume delle conversazioni. Quando emerge il gusto di rivendicare, in modo forse anche velatamente rabbioso, l’esistenza in ciascuna di una componente mascolina a lungo trascurata. Mi verrebbe voglia di dire “vado in bagno” e defilarmi dalla compagnia alla chetichella.
Sulla questione che assilla Giulio ora non posso che esprimermi sinteticamente così: noto che esiste una sorta di “specifico maschile” e consiste in un giocarsi in maniera rilassata e credibile temi comuni a donne e uomini, temi che alle donne risulta piuttosto proibitivo affrontare. E mi dispiace, perchè credo che se è vero che la maggioranza dei libri che amo sono scritti da uomini, ciò accade perché le scrittrici non sono ancora abbastanza a loro agio con la propria componente maschile. Ci tornerò su volentieri, buonanotte.
20 agosto 2013 alle 02:19
Uhm, credo che il tentativo di analisi sui testi abbozzato nel mio commento qui sopra, in fin dei conti, non sia tanto utile. Se anche avessimo molti più testi e qualcuno ad analizzarli ben più preparato di me (ci vuol poco) non salterebbe fuori nulla di specifico, non con un lavoro testuale, me ne sono convinto dopo aver letto il commento di icalamari:
Insomma, è molto più complicato. Qui ci vuole un semiologo, sociologo, critico letterario e poeta, che conosca i gender studies, possibilmente bisessuale e di ampie vedute, amplissime! Purtroppo credo di non essere nessuna di queste cose. Torno alle mie faccende : – )
20 agosto 2013 alle 07:16
Ma, Daniele, io ho l’impressione che il lavoro umilmente filologico da te suggerito sia invece la strada maestra.
Rosaria, ho una perplessità. Quando tu scrivi
sembri dimenticare che per qualche secolo poeti e poete hanno poetato usando le forme chiuse, e aprendo un sacco lo sguardo (oppure ho capito male io).
Ricordo peraltro che l’invito a usare le forme chiuse è stato, fin dall’inizio, nient’altro che un invito. Non un obbligo del gioco.
20 agosto 2013 alle 08:20
le nuvole di dm
Le parole sulla nuvola maschile fano massa, sono tante, sono di più, fanno corpo robusto e fermo, e restano aperte a possibilità
Le parole sulla nuvola femminile sono anarchiche, vorrebbero andar via, arrivano in modo disordinato ma presto s’arrestano, tutte in linea
20 agosto 2013 alle 08:23
sí Giulio, la strada maestra é quella di Daniele e della serietá (veridicitá) del gioco. Non per autocitarmi a vanvera, ma i miei libri di poesia degli anni 90 sono fondati sulla parodia del canone, quindi sull’ironia, talvolta persino usando (mooolto maldestramente, non sono abile) le forme chiuse. Non dimentico che le forme chiuse sono state la strada maestra della ricerca poetica per secoli, ma credo fermamente che non lo siano piú: non amo infatti la poesia neometrica. Con le forme chiuse oggi si puó solamente giocare. E talvolta il gioco… fa parte del gioco! Il mio pseudosenetto un po’ storniano che ho inviato a Lodi del corpo maschile, intitolato MILF, si é giovato della camicia un po’ slabbrata della forma chiusa in virtú del soggetto, o contenuto principale, del testo stesso. É una signora di mezza etá attratta da un molto piú spigliato di lei ragazzino: chiaro che la forma del suo dire sia un po’… chiusa: ad aprirla spetta a lui (forma uguale contenuto in poesia e viceversa).
Tutto questo gioco/dibattito é per me molto importante e serio e denso di riflessioni proprio perché é da qualche anno che sto lavorando ad un progetto poesia (voce e testo miei)/musica/video sullo corpo maschile dal punto di vista femminile, omosessuale, maschile contemporaneamente. I due soggetti di Controlli – questo il titolo del lavoro che dovrebbe concretizzarsi in un mediometraggio – un dittico poematico, sono il poeta persiano Hafez e l’ex campiobne olimpionico Klaus Dibiasi.
Figuratevi come abbia accolto questa iniziativa delle Lodi con entusiasmo! E come segua con vero interesse le sue evoluzioni.
Un saluto a Giulio, a tutte e a tutti!
20 agosto 2013 alle 09:02
Cara Rosaria, ti sto seguendo e rifletto sulle tue affermazioni senza ancora riuscire, probabilmente, a coglierne tutte le sfumature, ma questa tua spiegazione di MILF la trovo illuminante. Ti ringrazio per la ulteriore (fondamentale?) chiave di lettura.
20 agosto 2013 alle 16:34
Cara Morena, Caro Giulio/Mariella e cari/e tutte/i,
mi interessa, in queste Lodi, il punto di vista femminile sul corpo femminile, ovvero cercare di mettere in parole e ritmo (e poi voce) l’espressione femminile del pensiero, del desiderio, delle modalitá di approccio femminile al corpo maschile. E non solo. Chiaramente parto da questo, ovvero dall’esperienza , transpersonale, della donna, peró non credo esista uno specifico femminile o maschile della metrica, della sintassi e del lessico poetico. Il linguaggio é oltre il genere (come Dio) – grazie a Dio – ma per secoli il soggetto poetante é stato maschio e dunque la tradizione letteraria é stata fatta da maschi, oppure, ma ripeto, in minima misura, da femmine grandiosamente imitanti. Si pensi al genio di Gaspara Stampa. Ecco, Gaspara, in certi ritmi franti dei suoi sonetti mirabili, é riuscita nell’arduo compito di immettere uno specifico punto di vista ritmico di un’emotivitá scossa femminile: ma anche questa é, ahmé, solo suggestione, dovuta alla leggenda che la vede vittima degli abbandoni reiteratii da parte di Collaltino di Collalto (che smantellamento del mito, addirittura rilkiano, dell’Abbandonata Gaspara nellé dizione critica da poco completata a cura di un baldo giovine di nome Federico Scaramuccia!)
Insomma, niente da fare, se si cerca uno specifico femminile mitopietico lo si potrá trovare nei temi trattati, bene che vada.
Dunque, s eil tema dell’amore, del desiderio, del corpo, delle attrazioni e repulsioni, é cosí viscerale, per avere una poesia nuova bisognerá sforzarsi non tanto di infilarsi nella panciera delle forme chiuse quanto infilare gli ochhiali rosa, ovvero mettere in versi il punto di vista delle donne. Omosessuali o eterosessuali maschi non stanno sullo stesso piano, perché spesso i grandi della tradizione furono omosessuali e cantarono i loro amori maschili sotto pseudonimo femminile, oppure apertamente maschile come nel caso di Shakespeare, quindi la loro storia della letyteratura , che parlerá per sempre, ha comunque giá abbondantemente parlato. Anzi scritto. Ora dovremmo scrivere noi femmine, rinnovando la tradizione cambiando il punto di vista e , da qui, le regole del gioco, che ne saranno di necessitá rinnovate.
Spero di aver chiarito. un esempio: é bello iol verso libero di Antonia Pozzi, bello anche perché reso originale dal suo punto di vista, che annette al corpus poetico la prima poesia, a mia conoscenza, sulle mestruazioni: Sgorgo. Si parla molto e giustamente di femminicidi. ebbene il femminicidio é stato fino a pochi anni fa il modo di morire di quasi tutte le poetesse. Molto ci sarebbe da dire sul fatto che quasi tutte le poetesse del Novecento si siano suicidate. Ad esempio Antonia pozzi si é suicidata a 26 anni perché: i colleghi degli studi filosofici la dissuadevano a scrivere “quelle poesie” che la distoglievano, degradandola, dalla serietá degli studi filosofici – isolandola – e la famiglia che tanto la amava non le permise di sposare il suo professore di filosofia perché molto piú anziano di lei. Antonia pensava diversamente dalle donne del suo tempo e diversamente da loro scriveva poesia. Suicidio o femminicidio culturale? ANCORA SI HA PAURA DEL PUNTO DI VISTA FEMMINILE SUL DESIDERIO, QUESTO É IL PROBLEMA.
20 agosto 2013 alle 17:21
Manu : – )
In effetti nella nuvola “femminile” le scritte più grandi sono ai margini, e l’impressione è quella di una fuga impedita.
20 agosto 2013 alle 17:45
La poesia di Antonia Pozzi citata da Rosaria:
Sgorgo
Per troppa vita che ho nel sangue
tremo
nel vasto inverno.
E all’improvviso,
come per una fonte che si scioglie
nella steppa,
una ferita che nel sonno
si riapre,
perdutamente nascono pensieri
nel deserto castello della notte.
Creatura di fiaba, per le mute
stanze, dove si struggono le lampade
dimenticate,
lieve trascorre una parola bianca:
si levano colombe sull’altana
come alla vista del mare.
Bontà, tu mi ritorni:
si stempera l’inverno nello sgorgo
del mio più puro sangue,
ancora il pianto ha dolcemente nome
perdono.
12 gennaio 1935
21 agosto 2013 alle 13:50
Segnalo come assai rilevante alle domande poste qui la scrittura di Cristina Annino, un poeta che nei suoi testi (e fin dal primo testo del suop primo libro nel 1969!) usa un io maschile: leggasi cosa ci dice Annino a questo riguardo in:
http://antoniobux.wordpress.com/2012/11/19/poesie-di-cristina-annino-da-magnificat-poesie-1969-2009-ed-puntoacapo/
21 agosto 2013 alle 14:35
Commento endecasillabo, perplesso e impensierito
Credevo fosse un gioco, e invece (ca**o!)
a questo no, non ero preparata:
le Lodi han preso tutt’un altro andazzo,
io quasi quasi batto in ritirata.
Maschile, femminile, lo specifico
letterario: mi gira un po’ la testa,
e mi sto domandando cosa resta
del poetico gioco e immaginifico.
Se per le lodi esiste un arsenale
amoroso già usato in modo scaltro,
non va bene, è maschile! no, non vale!
Bisogna subito trovarne un altro.
E dunque per le donne è sempre quella
la strada: occorre faticare il doppio
e perciò, se in poetica favella
(tra una fitta alle tube di Falloppio,
il lavoro e un bucato steso al vento)
vogliamo dire il desiderio: avanti!
a testa in giù! con triplo avvitamento
carpiato! su, stupiamo tutti quanti!
Mie/i care/i, io ci devo un po’ pensare:
mica lo so se ce la posso fare.
21 agosto 2013 alle 16:07
Alessandra! Il tuo punto di vista é indubbiamente femminile!!!! Brava
21 agosto 2013 alle 16:24
grazie!
21 agosto 2013 alle 19:52
D’accordo con Rosaria!