Front large et hault, front patent et ouvert,
Plat et uny, des beaux cheveulx couvert:
Front qui est cler et serain firmament
Du petit Monde, et par son mouvement
Est gouverné le demeurant du corps:
Et à son vueil sont les membres concors:
Lequel je voy estre troublé par nues,
Multipliant ses rides tresmenues,
Et du costé qui se presente à l’oeil
Semble que la se lieve le soleil.
Front élevé sur cette sphère ronde,
Où tout engin et tout sçavoir abonde.
Front reveré, Front qui le corps surmonte
Comme celuy qui ne craint rien fors honte.
Front apparent, affin qu’on peult mieulx lire
Les loix qu’amour voulut en luy escrire,
O front, tu es une table d’attente
Où ma vie est, et ma mort trespatente.
Traduzione di servizio
Alta ed ampia fronte, aperta e chiara,
piana e distesa, di bei capelli ombrata;
fronte che è lucido e sereno firmamento
del piccol Mondo, e dal suo movimento
è tutto il corpo governato,
e al suo volere ogni membro è affidato;
che io vedo talvolta turbata da nubi
che moltiplicano le minutissime rughe,
e là dove s’affaccia all’occhio
sembra che si levi il sole.
Fronte elevata sulla sfera tonda
laddove ingegno e ogni sapere abbonda.
Fronte riverita, fronte che sormonta il corpo
come colui che nulla teme, fuorché il disonore.
Fronte esibita, perché vi siano leggibili
le leggi che amore volle inscrivervi,
o fronte, tu sei uno scudo vergine
dove mia vita è, e mia morte traspare.
Dopo tanti esercizi, cominciamo a guardare un po’ la fonte della nostra ispirazione: la raccolta dei Blasons anatomiques du corps féminin, risultato di un gioco proposto dal poeta francese Clément Marot, pubblicata nel 1536. gm
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Tag: Maurice Scève
10 agosto 2013 alle 08:07
splendida!
ti libero la fronte dai ghiaccioli
che raccogliesti traversando l’alte nebulose
10 agosto 2013 alle 17:18
Occhio alla penna! Metto in evidenza due parole importanti e un numero: “pubblicata nel 1536”. Ora, mi pare evidente che per lodare il corpo maschile nel 2013, non sia strettamente necessario servirsi di stilemi linguistici e lessicali, manierismi e modi d’affettazione del Cinquecento. Lo faccio notare non tanto come critica preventiva quanto per la sorpresa dovuta alla lettura di Lodi del corpo femminile che paiono pre-novecentesche come se la Storia avesse subito una parziale lobotomia. Va bene sì la parodia, il pastiche (a cui è largamente preferibile il Pastis) ma la cocciutaggine di scrivere poesia seria e con serietà in questo modo prima dell’invenzione della macchina del tempo è diabolica!
10 agosto 2013 alle 17:25
fretta, refuso: “Lodi del corpo maschile” alla sesta riga
10 agosto 2013 alle 18:14
Mi trova parzialmente d’accordo questa opinione di dm.Certo non si possono continuare a scrivere in forme chiuse versi di contenuto serio. Viceversa ritengo che la forma chiusa si adatti molto bene a creare versi giocosi, così come divertissement per amanti del verso e sperimentatori irriverenti. Mi sembra che la maggior parte di noi così abbia inteso l’invito di G. Mozzi. Infatti una buona parte delle poesie finora scritte sono giocose. Certo altre invece…mah!
10 agosto 2013 alle 18:34
Però io da nessuna parte ho scritto che “non si possono continuare a scrivere in forme chiuse versi di contenuto serio”.
10 agosto 2013 alle 22:18
E, aggiungo, secondo me non è vero che non si possono continuare a scrivere in forme chiuse versi di contenuto serio.
Lo testimoniano, che so?, le opere di Patrizia Valduga; l’Ipersonetto di Andrea Zanzotto, ecc.
10 agosto 2013 alle 22:54
Vero. Dipende da quel che metti nei versi. Non da quel che metti nelle forme chiuse. Nel dubbio è bene guardare il calendario.
10 agosto 2013 alle 22:59
(Credo sia evidente che nel commento le forme chiuse non c’entrano, credo…)
11 agosto 2013 alle 00:28
Ho qualche riserva sulla traduzione. Capisco che è di servizio, ma
“Et à son vueil sont les membres concors” varrebbe “e al suo volere ogni membro è affidato”? non piuttosto: “E al suo volere si accordano tutte le membra (del corpo)”?
Sulle forme chiuse: L’effetto scimmiottamento non si deve alla forma. Per comporre versi (in metrica) non è necessario “fare il verso”.
Un (bellissimo, a mio avviso) esempio serio:
Il tuo nome che debole rossore
fu sulla terra! Dal vetro che già
brucia al dicembre e s’appanna al vapore
timido del mio fiato che non sa
rassegnarsi a tacerti, io che città
vedo,fioca di nebbie, cui un ardore
ultimo di cavalli e foglie dà
la parvenza del sangue?…Nell’albore
umido cui si sfanno anche le mura
dure di Roma, già altra paura
ora è nel petto – già altro,mio amore,
è lo schianto se all’improvviso d’una
voce che chiama,soltanto il rossore
d’una sciarpa carpisco nella bruma.
(Giorgio Caproni)
Uno faceto (ma anche no):
Ho aperto una palestra di vocali
e consonanti dieci anni fa;
ho investito tempo e capitali
in questa avvilente attività.
Non ho neppure l’autorizzazione
(nel mio settore non ce n’è bisogno):
un po’ di malattia, d’ispirazione
dovrebbero bastare. Poi, con sogno
d’imperitura fama ricordarsi
di chiudere il negozio, fino a quando
l’odore di cadavere, catarsi
finale di chi sta transumando,
trapasserà alle antologie. Spararsi
nell’aldilà le pose, sogghignando.
(Aldo Nove, da Fuoco su Babilonia!)
11 agosto 2013 alle 06:31
Dove val la pena di ricordare, peraltro, che il sonetto di Aldo Nove usa ironicamente la forma, quello di Giorgio Caproni no. E che quello di Caproni è rispettoso della forma metrica (mentre il movimento sintattico va tutto per conto suo), mentre quello di Nove è meno rispettoso della forma metrica (non tutti i versi sono endecasillabi, nelle due quartine le rime sono diverse ecc.) ma ha un movimento sintattico più “da sonetto”.
Quanto alla traduzione, chiedo scusa: l’ho fatta al volo, e non volevo comunque perdere del tutto le rime baciate (questa cosa così imperdonabile della poesia francese).
11 agosto 2013 alle 17:18
Contento di aver innescato questa piccola discussione. Quando entro in una camera d’albergo, non c’è sorpresa peggiore di trovarmi davanti mobiliame antico fatto l’altro ieri. E la poesia, come dice Elena, che “fa il verso” non contribuisce neppure ad ammobiliare bene la mente. Se ne leggi un po’ diventi cognitivamente kitsch.
11 agosto 2013 alle 22:45
(Sulla traduzione) A stare troppe ore con gli adolescenti si guadagna un gran fiuto per i doppi sensi: la reazione scomposta dei membri (ogni, quindi tutti?) al corrugar della fronte mi aveva fatto molto sorridere.
Vero Giulio, la poesia di Caproni trae la sua intensità proprio dalla forzatura della gabbia metrica, che permette al significante di significare (scusate il bisticcio) con folgorante precisione l’irrinunciabile attaccamento a un amore perduto per sempre: la fidanzata Olga, prematuramente scomparsa.
Il poeta sussurra il nome dell’amata e il vetro s’appanna, consentendo una labile ma sensibile traccia del sopravvivere di quel nome; ma è solo un istante, poi s’intravede la città fuori dalla finestra, colta anch’essa nel suo disfarsi.
Proprio grazie agli enjambement si scoprono in posizione forte (a inizio o fine verso) le note fondamentali di questo sentimento di dissoluzione: in consonanza talvolta, come nel bellissimo mura/dure, che sembra dire che nulla è eterno neppure quelle mura antiche, resistenti, per definizione e per prova del tempo durevoli. Ma mi colpisce anche la pausa che, pochi versi prima, per metrica si impone al sintagma vapore/timido, col quale si offre, condensata in poche sillabe, la tenerezza di una speranza precaria, destinata come ogni cosa a dileguarsi.
11 agosto 2013 alle 22:49
In generale, e senza voler rubare il verbo a chi sa, mi pare di sentire che la definizione “verso libero” generi a volte l’equivoca convinzione che la libertà della poesia abbia a che fare con l’assenza di forma, mentre mi pare che lo specifico del poeta sia, al contrario, la capacità di dare forma, anche quando poi egli, scientemente, si affida a forme non tradizionali.
Ciò detto, l’esercizio di scrivere sonetti, per chi non ha vocazione a poetare, è un buon metodo per apprendere come si struttura il verso, come si computano le sillabe, come si gioca con dieresi, sineresi, dialefe e sinalefe, come si distinguono rime, assonanze e consonanze. Insomma una bella palestra di vocali e consonanti, per stare ad Aldo Nove, che ironicamente gioca a prendere le distanza dalle sue nugae (come da tradizione), ma un po’ dice il vero: in fondo si tratta pur sempre di lettere, sillabe, parole … meglio non prenderle/prendersi troppo sul serio. La verità, in fondo, vi ci piove solo accidentalmente.
11 agosto 2013 alle 23:14
Daniele,
Forse anche l’attaccamento all’amore per le forme chiuse…
Elena: sono d’accordo.
12 agosto 2013 alle 06:40
“Fronte elevata sulla sfera tonda
laddove ingegno e ogni sapere abbonda.”, mi colpisce molto che nel 1536 si lodasse anche questo di una donna, non può che farmi piacere.
Interessante il dibattito e molto chiaro l’intervento di Elena che convince con ottime argomentazioni.
Anche il motivo per il quale l’abbaglio nella traduzione non le possa sfuggire è molto credibile, uno spaccato certo di vita quotidiana.