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Muscolo sternocleidomastoideo,
maschio pilastro del collo tornito,
a te va questo canto un po’ euclideo,
di geometrie mirabili nutrito.
Per te si va verso il lobo adorato,
per te, sfiorato, all’agile mandibola,
per te le labbra vanno alla clavicola,
o battistrada verso il corpo amato.
Muscolo sternocleidomastoideo,
pura sostanza michelangiolesca,
a te va questo canto un po’ esiodeo
dal quale, infine, occorre che io esca:
per te m’infiammo, per te ardo e bollo
se non t’infiammi tu, pel torcicollo.
Tag: Alessandra Celano
24 luglio 2013 alle 16:25
La rima con euclideo è proprio una gran trovata, brava.
24 luglio 2013 alle 16:29
il tipo di chiusa che mi piace: uno sfiammar di fiamma
24 luglio 2013 alle 16:35
Grazie, Lidia e manu!
24 luglio 2013 alle 16:43
Fantastica la chiusura: dopo tutta quella passione poetica, il malanno, molto più prosaico!
24 luglio 2013 alle 17:10
Impagabile! Brava!
24 luglio 2013 alle 17:46
Bello. Complimenti.
24 luglio 2013 alle 17:53
Nei commenti a “Le vene delle braccia”, bella lode del corpo maschile di Antonella Fontana, ho cercato di spiegare cosa, secondo me, sta entusiasmando tanto di questa iniziativa: avrei forse potuto evitarlo, con questo sonetto Alessandra lo spiega benissimo! Quell’ultima terzina, in particolare, testimonia in modo esauriente l’ironia di cui ho tentato di parlare. @enrico ernst, questo io intendo per “rinvigorente per l’intelletto”, mi sembra sia chiaro! 🙂 Grande Alessandra, con la quartina dantesca e tutto il resto! 🙂
24 luglio 2013 alle 19:43
Bella la chiusa, ardite le rime, non saprei scegliere la preferita tra questa e Le vene del collo… 🙂
24 luglio 2013 alle 19:44
Scusate… le vene delle braccia!!!!
24 luglio 2013 alle 21:51
Morena, rispondo qui ma avrei potuto farlo anche nei commenti alle vene delle braccia: io non riesco proprio a cimentarmi con una scrittura che non sia à contrainte (come dicono i maestri dell’Oulipo), che non sia ingabbiata in regole più o meno strette, dall’acrostico all’anagramma alla rima stessa, e considero la poesia una cosa troppo seria per poterci fare altro che giocare (parlo per me, naturalmente). Mi diverto, ma senza esludere che a volte mi si riempiano gli occhi di lacrime (per citare enrico ernst).
Mi viene in mente, da una parte, Patrizia Valduga e ciò che scrive a proposito della forma chiusa in una postfazione alla sua seconda centuria (si può leggere anche qui: http://www.rable.it/?p=2402) e dall’altra George Perec, che, in un’intervista a proposito della contrainte, dice: «L’intensa difficoltà che richiede questo tipo di produzione, e la pazienza necessaria, ad esempio, per riuscire ad allineare undici ‘versi’ di undici lettere l’uno, non mi sembrano nulla se paragonate al terrore che proverei nello scrivere ‘poesia’ liberamente.» (Ho trovato la citazione in “Nero sonetto solubile” di Valerio Magrelli http://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788842081241 )
Ecco, sottoscrivo ogni parola della dichiarazione di Perec, e quasi tutta la nota di Patrizia Valduga.
Vi ringrazio molto dei complimenti, sono contenta. E, soprattutto, sono immensamente grata a Giulio Mozzi per avermi convolta in questa bella avventura.
24 luglio 2013 alle 23:57
Molto interessanti le tue argomentazioni, Alessandra, condivisibili in massima parte. Anche la tua premessa, il riferimento all’Oulipo, e, soprattutto, alla poesia vissuta necessariamente come gioco da chi da una parte non ha nessuna capacità di esser poeta, dall’altra considera il gioco materia serissima (sto parlando esclusivamente di me, ovviamente),.
Ciò che invece fatico a focalizzare del tutto è il richiamo alla “maschera” di @enrico ernst, ma vedrò di approfondire la mia interpretazione.
25 luglio 2013 alle 00:37
(Chiedo scusa per gli errori di battitura, ho scritto un po’ in fretta. Comunque, “convolta” ci può stare, essendo la volta una parte della strofa di una ballata. In effetti sono stata anche un po’ con volta).
Volevo anche dire che la parola battistrada, che non trovo per niente poetica, l’ho usata nel sonetto perché ha molto a che vedere con la mia vita privata e sentimentale.
Morena, la maschera non l’ho capita nemmeno io.