Valter Binaghi, Venite e vedrete: il mondo si rinnova
Siam venuti su così, con l’idea che conoscere è sollevarsi dalla vischiosa appartenenza alla palude dei corpi, e planare dalle altezze della teoria sulla cartina geografica, dove il mondo è un’arlecchinata di profili bizzarri, l’Italia uno stivale, l’India una tetta pendula di vecchia, il sudamerica un cono gelato già leccato a nordest.
Questo perchè i greci, che in politica han combinato poco ma nelle scienze erano qualcuno, ci hanno impartito la lezione che conoscere è vedere: theoria è veduta, spettacolo della forma, e per ciò stesso, distanza.
Così, pian piano, il mondo è diventato lo scenario indifferente di cui l’uomo occidentale dis-pone, come se non fosse casa sua, come se non fosse corpo proprio: ne ha fatto l’agenda dei suoi successi, la mappa dei suoi averi, il Risiko del potere.
Quest’oggi cari miei, ho preso una decisione: versato nelle scienze e nell’arte di dividere e comporre, che ha fatto di me un uomo singolarmente triste e rispettato, straccio il diploma e siedo come un Giobbe felicemente povero a grattarmi le piaghe con un coccio avendo realizzato che niente al mondo è più sicuro della carnale identità di essere e sentire.
Se l’albero della conoscenza svetta in alto, è dai sensi che trae le sue radici, ed è questo che vi voglio ricordare, prima che sia tardi: l’occhio vuole la sua parte e l’ha avuta, direi, da esso abbiamo tratto l’evidenza della forma, la sequenza lineare dell’argomentare, e l’astratta separatezza dell’oggettivo. Ma considerate quanta usurpazione si nasconde dietro questo primato che indica nel vedere la metafora principale della conoscenza! Non l’occhio di Narciso che rispecchia un simulacro, ma lo sguardo che accoglie la perspicuità del contatto umano,è quello che vi farà percepire ciò che la mistica medioevale Hildeggarda di Bingen chiamava “viriditas”, cioè la vitalità e la generosità di spirito di cui la creatura è veicolo grazie a Dio.
Andiamo piuttosto a scuola dall’udito, come già fecero gli Ebrei (popolo della Parola): sapremo che conoscere non è di primo acchito, ma avvicinando distinguere, e memorando comprendere, perchè il senso si dipana lentamente, nell’ordine del tempo, come la musica che ne è l’incedere regale.
Dopodi che vi consiglio la sottile lezione dell’olfatto: il fiuto vi aprirà sentieri che la visione non scorge e la parola non definisce, fiutate amici di buon naso, e rifiutate ciò che di fuori appare intatto e splendente e nell’intimo già imputridisce.
Del tatto, che dire? E’ l’unico dei sensi che trasmette il palpito della vita, la fratellanza carnale che vi accoglie o la metallica indifferenza della macchina. Voi che sganciate bombe “intelligenti”, e maneggiate strumenti precisi che uccidono a distanza, uccidereste a mani nude, spegnendo al presunto nemico in gola l’ultimo gorgoglio?
Infine, una lancia spezzerei per il primato del gusto. “Nec scire sed sapere cupio” dice il saggio, e finalmente sapienza non si dà senza sapore. Basta con le verità indifferenti dell’algida visione: buono o cattivo governino il discernimento del vero e del falso, come quando Adamo diede i nomi ai frutti del giardino, ma non prima di averli assaggiati.
4 luglio 2013 alle 09:22
Un sensibile problema del web, come scrive Jonah Lynch, è che si fonda su due sensi soltanto: vista e udito (se ti va bene). Niente olfatto, niente gusto, niente tatto. Illusione di conoscenza totale tarata da principio.
4 luglio 2013 alle 14:38
Si, è così. Il punto è che vale per tutti i media elettronici (TV compresa) che in trent’anni ci hanno sostituito la natura con il suo spettacolo (Baudrillard lo chiamava “Il delitto perfetto”): la società del simulacro. Urgente uscire, abbracciare alberi e persone, rivedere i colori che calano dal sole e la musica che è le ali del tempo. Ricordarsi che le parole stesse sono simulacri d’esperienza.