Creazioni, 18

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arciere

Valter Binaghi, A cosa può servire una freccia

Quando il veccchio Re morì, popolo e cortigiani lo piansero entrambi: nelle sale damascate e nei tuguri, nelle osterie rissose e sotto le lugubri arcate del mausoleo. I volti di tutti, però, rivelavano qualcosa più che semplice dolore (ah, potersi abbandonare come bambini al momentaneo sconforto della perdita, e indossare senza incertezze gli abiti listati a lutto!). Ciò che infatti angustiava i più non era la scomparsa del benigno sovrano (negli ultimi tempi, in verità, si era chiuso in uno strano mutismo, e le sue movenze nelle rare apparizioni pubbliche parevano ispirate a una distratta lontananza), ma il destino stesso del regno. Il Re, infatti, non aveva lasciato alcun testamento scritto che esplicitasse le sue ultime volontà, nè un erede designato: cosa questa ancor più singolare, se si pensa che i tre figli maschi erano perfettamente coetanei, nati dall’unico parto trigemino della compianta regina madre, spirata nel darli alla luce.Appena ultimate le esequie, una voce si diffuse dal castello, e immediatamente corse di bocca in bocca: testamento scritto non c’era, tuttavia il defunto sovrano aveva lasciato tre cofani sigillati, chiaramente indirizzati ai figli i cui nomi erano incisi sul prezioso legno di mogano. Nelle intenzioni di quel grande (ultimamente fin troppo silenzioso), quei sigilli dovevano contenere certamente messaggi o doni, che avrebbero permesso di svelare i suoi disegni sulla prole e, con essi, i destini immediati del Regno.
Furono dunque aperti i cofani, in grande solennità, sul palco delle adunanze e alla presenza dei sacerdoti, dei capi dell’esercito e dei tribuni del popolo.

Il primo dei figli estrasse dal suo cofano una freccia dalla punta insanguinata: null’altro oggetto nè pergamena scritta vi si trovava, e quell’unico reperto assunse subito agli occhi di tutti l’aura inquietante dell’enigma. Che significava?
Finalmente uno dei cortigiani, un vecchio dalla barba lunga fino ai piedi (era di tutti il più anziano, l’unico superstite tra i pedagoghi e i maestri d’arme del sovrano scomparso), si avvicinò e chiese di vedere il reperto. Osservatolo per un istante, eccolo mettersi a strillare: “La riconosco!” disse: “E’ proprio lei!” E spiegò: “Questa è la freccia con cui il nostro Re (allora era solo un giovane principe) uccise il terribile drago dei Monti della Luna, conquistandosi tra gli altri nobili del Regno onore e gloria, che gli valsero da parte di quelli l’offerta unanime della Corona” A quelle parole il Ciambellano sorrise, e con lui gli alti dignitari trassero un sospiro di sollievo. Quale indicazione più chiara, da parte del sovrano, per designare l’erede al trono, che il dono di un simbolo così trasparente? “La volontà di tuo padre”, disse, “E’ che tu sia la Guida del Regno”.

Ache il secondo figlio aprì il suo cofano. Conteneva una freccia perfettamente uguale alla prima, ma pulitissima. In compenso, la freccia era spezzata in due segmenti disuguali. Quando gli fu mostrata, il popolo rumoreggiò per l’eccitazione. Quale altra rivelazione era in serbo per la prole regale e per il Regno? Questa volta fu il primo fra i dotti del paese, a farsi avanti. Osservata la freccia spezzata, prese carta e penna ed eseguì pochi rapidi calcoli. Quindi proclamò trionfante: “La misura aurea!” E prevenendo le domande che salivano alle labbra degli astanti, spiegò: “La freccia è spezzata ad arte, secondo il rapporto aureo scoperto per primo da Pitagora, il sommo tra i Filosofi. La lunghezza dell’intera freccia sta al segmento maggiore come il maggiore al minore. Che importanza può avere, chiedete? Dovete sapere che questo rapporto è l’eredità segreta di Costruttori e Demiurghi, e prima ancora è la misteriosa cifra secondo cui molte cose avvengono in natura, dai vasti movimenti delle stelle alle pazienti volute delle conchiglie marine. Dunque la volontà del nostro compianto sovrano anche in questo caso è chiara: il destinatario del dono, che simboleggia la chiave di ogni sapienza umana e divina, sarà l’Architetto: Ministro delle Scienze e Pontefice massimo del culto”.

Mentre il mormorio di approvazione della folla sottolineava l’ineccepibile evidenza del verdetto, anche il terzo dei figli del Re aprì il suo cofano.
Manco a dirlo, anche questo conteneva una freccia identica alle precedenti, ma stavolta la freccia era linda e intatta, come se non fosse mai stata nemmeno incoccata. Qui il brusio durò parecchi minuti, perchè nessun dignitario e nemmeno qualche temerario tribuno del popolo provò ad azzardare un giudizio. Così il giovane, che aveva atteso con pazienza fino ad allora, ebbe un brusco scarto e chiese ad una delle guardie che gli porgesse il suo arco. Nel silenzio di tomba che si era fatto improvvisamente, incoccò la freccia, tese l’arco al massimo puntando verso il cielo, e tirò. Quando la freccia ricadde, ben oltre i i tetti delle case e i confini della città, il giovane si mosse alla sua ricerca e tutti lo seguirono.
Dopo molte ore d’infruttuose perlustrazioni, finalmente il dardo fu trovato: era infilzato alla gola di uno straniero, già cadavere ai piedi di un albero. La foggia degli abiti, le molte armi che aveva indosso e il binocolo che giaceva a poca distanza dal corpo non lasciavano dubbi: si trattava di una spia nemica, probabilmente mandata ad osservare quanto accadeva nella capitale, e fortuitamente (ma provvidenzialmente!) colpito dalla freccia scoccata dal principe.
Il Comandante in capo dell’esercito si fece avanti, e rivolto al principe disse: “Se la volontà di tuo padre nei tuoi riguardi non ci è parsa subito chiara, è perchè serviva ad essa un segno del Cielo per compiersi. Dunque, quale miglior segno della volontà degli Dei che una tale miracolosa coincidenza? Propongo che tu sia insignito del terzo fra i maggiori titoli del Regno: tu sarai il Conservatore, Ministro dei Confini e della Rivoluzione permanente!”
Ma il principe non parve dargli retta. Con un movimento pulito e deciso, sfilò la freccia dal cadavere, nuovamente pose mano all’arco, incoccò il dardo e tirò, ancora contro il cielo. La freccia saettò ben oltre la macchia boscosa, oltre lo stesso fiumiciattolo che in quel punto segnava i confini del regno. Dopo averla vista scendere, il giovane principe si mosse in quella direzione, senza nemmeno voltarsi per vedere se qualcuno dei presenti volesse accompagnarlo.E, infatti, stavolta nessuno lo seguì.
Perchè egli era, indubitabilmente, il Creatore, e nessuno poteva precedere i suoi passi nè seguirli come per imitazione. Il Creatore è una freccia scagliata verso il tutto e non smette mai di creare finchè tutto sarà compiuto, ma solo lui sa quando.
Ecco perchè, se sai guardare, ogni giorno il mondo ti appare del tutto nuovo.

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2 Risposte to “Creazioni, 18”

  1. Maria Luisa Mozzi Says:

    La Creazione è uno slancio, non ha tempo ma non è ferma, è un andare avanti ma non ha un percorso, è sempre nuova ma è un tutto. E’ così?

    Questo racconto mi ha fatto ricordare Kim, il romanzo di Kipling, in cui il monaco tibetano cercava il luogo in cui era caduta l’ultima freccia lanciata dal Buddha.

  2. valter binaghi Says:

    Ecco, vedi?
    Siamo quasi fratelli. Non lo ricordavo ma è così.
    Il limite della creazione è il Figlio dell’Uomo, ma il lama tibetano questo ancora non o sa.

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