[…] La prima cosa che posso dedurre scorrendo quest’arida lista di parole affiancate dalla frequenza con la quale compaiono è che il centro della storia, il fulcro, l’elemento più rilevante, è un certo “Christian”, che compare 892 volte in un libro che, nella mia edizione, ha poco più di 600 pagine; e ho il sospetto che il pronome “lui”, che compare 973 volte, faccia riferimento proprio a questo tizio. La presenza di 652 occorrenze del pronome personale “mia”, e 540 “mio”, mi spinge a pensare che che la storia sia raccontata in prima persona; come indizio ulteriore, noto che “io” compare 538 volte (stiamo parlando di numeri molto alti: per capirci, la preposizione “da” compare 766 volte, meno spesso dell’onnipresente lui-Christian). “Grey”, 548 volte, è un cognome o un altro uomo della storia? […]
Paolo Zardi recensisce qui un romanzo, e io giuro: per me, questa è la recensione ideale. (Non la recensione ideale di quel romanzo lì: la recensione ideale in generale). gm
27 giugno 2013 alle 07:34
Ciao Giulio, ho letto tutta la recensione di Zardi; esilarante e impietosa. Condivido la tua definizione di “recensione ideale”.
Giuseppe
27 giugno 2013 alle 08:57
A me non è sembrata né esilarante né impietosa, ma semplicemente materialistica. Sarebbe interessante applicare il metodo ad altri tipi di testi, ad esempio i casi clinici…
27 giugno 2013 alle 09:20
Vi ricordate l’attimo fuggente? “La poesia non va misurata, ma vissuta, assaporata”. Ora, non pretendo che il libro della James abbia il valore letterario di una poesia, ehm, oh, mmh, ;), ma è un’opera dell’ingegno umano, un’opera d’arte, e come tale va assaporata, non misurata. Sforzatevi di leggerlo prima di giudicare, ma leggetelo senza pregiudizi, valutatelo senza ritenere che voi fareste meglio, che qualcuno scrive meglio di lei, liberate la mente, e forze riuscirete a divertirvi.
Se non ne siete in grado, mi dispiace per voi. Sarete condannati all’infelicictà. Studiare, conoscere, essere in grado di apprezzare cose complesse, la cultura insomma, può far diventare snob, può farci perdere il gusto per le cose semplici.
La James non è Nabokov (che adoro!), ne Roth, ma arriva al cuore della gente.
Intendiamoci, sono convinto che quello dello Zardi sia un divertente giochino, e mi ha fatto ridere, ma non penso sia la migliore recensione possibile, penso sia una delle possibili.
Saluti, e oh! Ehm, mmh!
Anticonformista retorico.
27 giugno 2013 alle 09:28
No, no, Maurizio: bisogna prima giudicare, poi leggere.
Altrimenti toccherebbe leggere tutto indistintamente.
Ti pare?
27 giugno 2013 alle 09:45
Maurizio credo che la recensione di Paolo non sia per nulla una recensione “aritmetica” (a latere credo che i danni provocati dall’Attimo fuggente come idea di poesia come idea di scrittura siano tali rendere quel film orrendo), ma una analisi del testo molto pregnante e che proprio perché parla del testo e fa emergere i temi fondanti dal testo ha una sua forza pervasiva. Questo modo di operare la critica si chiama filologia, che è l’analisi delle concordanze, dei rimandi, delle parole all’interno di un testo (in alcuni casi serve per datarlo o per stabilire quale che sia il manoscritto più antico e in altri come in questo serve per fare un discorso critico su di un testo).
27 giugno 2013 alle 10:23
Che bello! Mi sembra di essere tornato a scuola quando mi scontravo contro gli Accademici Cattedratici Filologi.
Demetrio se leggi attentamente quello che ho scritto, non sostengo che quella dello Zardi non sia un’analisi filologicamente efficace, ne che non sia necessaria ad una valutazione del testo in se. Dico solo che un’opera letteraria non può essere valutata, secondo me, “solo” con quelle metodologie, “solo” con quei canoni. Prendiamo “Il giovane Holden”, di Salinger, per citare un libro universalmente accettato come molto importante per la letteratura moderna. Se lo valuti “solo” con i canoni di Zardi (parzialmente Filologici), si potrebbe arrivare secondo me a conclusioni non molto lontane da quelle espresse per il libro della James. Siete o non siete d’accordo che andrebbe anche letto un libro prima di essere giudicato? Siete o non siete d’accordo che per giudicare un’opera d’arte bisogna lasciar da parte pregiudizi (come per giudicare qualsiasi altra cosa)? Io trovo Zardi pregiudiziale e parziale come ogni analisi del testo che prescinda dalla lettura completa dell’opera. Vi faccio io una domanda: i libri di narrativa sono scritti per essere letti ed intrattenere o per essere analizzati nelle parole dai critici?
Ergo secondo me una recensione non può prescindere dalla lettura (mi sto ripetendo?).
Per Mozzi. Se mi soffermassi nei dettagli di opere come quelle di Ligabue ad esempio (il pittore), senza mai osservarle nell’insieme, non credo che le riterrei di valore.
P.S.: non datemi retta sto facendo pura retorica, forse.
😉
27 giugno 2013 alle 12:13
Qualcuno qui sostiene che una recensione può prescindere dalla lettura?
Qualcuno qui sostiene che un’opera letteraria può essere valutata solo contando le ricorrenze di certe parole?
A me pare che qui nessuno sia così sciocco da sostenere cose del genere.
Io sono un po’ stufo di leggere in giro recensioni di opere letterarie che non mi danno un’idea precisa della materialità di un testo. Per questo – non del tutto seriamente, e speravo fosse evidente – ho salutato l’articolo di Paolo Zardi come “recensione ideale”.
(L’altro giorno mi sono imbufalito leggendo la recensione di una nuova edizione di un’opera classica. L’articolo sciorinava un tot di bignamismi sull’autore, e non dava l’informazione fondamentale: se questa nuova edizione è buona o no, in cosa differisce dalle altre in commercio, eccetera).
27 giugno 2013 alle 13:07
La mia regola personale è: se leggo la recensione di un libro (o film, disco etc.) e ne so meno di prima, vuol dire che al recensore non è piaciuto ma non lo può dire. Se la recensione è di chi sta proponendo il libro/film/etc (quarta di copertina, catalogo dell’editore, programma del cinema d’essai etc), vuol dire che il prodotto fa schifo.
27 giugno 2013 alle 14:41
Interessante. L’inchiesta mi pare significativa, come mostra la scansione di sintesi dei dati statistici, che di fatto è già interpretazione.
In generale però la statistica da sola non basta ed è rischiosa. Possono esserci parole rarissime in un autore (addirittura hapax legomenon, espressioni a una sola occorrenza) tuttavia densissime dal punto di vista della sua poetica. Ci sono poeti straordinari dal lessico contenutissimo. Per interpretare i numeri occorrerebbe essere fini conoscitori/lettori dell’autore dell’opera e del contesto culturale e linguistico in cui è nata.
Sforzo un po’ eccessivo per il best seller dell’estate scorsa.
Mi sono chiesta se non fosse un po’ fuori misura impiegare le occorrenze lessicali per spiegare una banalità compositiva che è sotto gli occhi di tutti. Ho pensato a certe merendine che si acquistano nei distributori di scuole, palestre, stazioni. Sulla confezione c’è una tabellina quasi illeggibile che ne conta le componenti e le calorie. In effetti credo che nessuno la legga. Tutti sanno che, anche se la merendina imita la Sacher, con la Sacher non c’entra nulla.
E’ un esempio che forse ho già fatto altrove (o volevo farlo): ogni giorno c’è chi infila, poniamo, 1 euro nel distributore per avere il surrogato di una buona torta al cioccolato.
Io non mi chiedo perché lo faccia, ma spero e immagino che sappia cogliere la differenza rispetto all’originale.
Se così non fosse, se la sensibilità è persa e se il palato preferisce l’aroma di fragola o prezzemolo alla fragola e al prezzemolo (capita), gioverebbe al titolare del palato atrofizzato conoscere la percentuale di carbonato d’ammonio? Giova conoscerla a chi ha un buon palato e pretende vere fragole, vero prezzemolo e vero cioccolato?
So di essere fuori tema, ma mi sono chiesta se esiste un modo efficace per convincere chi sa leggere (tutti) e ha voglia di aprire un libro (molti meno ma non pochi, di certo più dei frequentatori dei blog letterari) che esiste un diritto a vivere con la lettura non semplicemente un passatempo, ma un’esperienza unica, magari anche un po’ faticosa, ma imperdibile.
27 giugno 2013 alle 14:51
molto bella l’analisi di zardi, sebbene questo approccio lessicografico sarebbe meglio esercitarlo non su un’opera tradotta.
27 giugno 2013 alle 19:04
Giulio, non riesco ad essere così entusiasta del metodo con cui è stata scritta la recensione: assomiglia molto alle analisi di mercato fatte nel web (come dicono, analisi di web reputation). Ne so qualcosa perché non molto tempo fa scrissi l’algoritmo di funzionamento per una piattaforma informatica che faceva cose simili ma cercando connessioni e campi semantici a partire dalle parole; suppongo che con la stessa piattaforma, secondo chi condivide il tuo entusiasmo per questo metodo, si sarebbero potute scrivere ottime recensioni. A me invece – mettendo da parte lo stile in cui la recensione è scritta, che me la rende divertente; cioè dico: prendendola sul serio – sembra il prodotto dell’ennesima intrusione tecnica in campo culturale. Il solito binario morto, insomma. Mi vedo già le recensioni ai libri, se ci saranno ancora i libri, nell’anno 3013, come delle compute e delle analisi scientifiche del testo, pubblicate in forma divulgativa sulle riviste stracce dal solito critico straccio, trasferito nel futuro, alla…
Poi un conto è la filologia, un altro la recensione, certo…
27 giugno 2013 alle 20:10
Di fondo sono d’accordo con le argomentazioni di Maurizio, un’opera dovrebbe essere letta, registrata ed eventualmente “espulsa” prima di stabilirne la valenza. Anche l’esempio de “Il giovane Holden” è calzante riguardo all’articolo di Zardi. Nel romanzo di Salinger, ho letto da qualche parte, l’esclamazione “dannazione!” ricorre più di duecento volte. Anche termini come “Gesù Cristo”, “amico”, “falso/fasullo”, “nervoso” ecc. sono piuttosto ripetuti. Quella di Salinger è stata una scelta stilistica chiara con la doppia funzione e quindi il doppio merito di reggere l’impalcatura del romanzo e di tratteggiare il mondo (e il disagio) degli adolescenti dell’epoca. Forse la cosa dovrebbe essere consequenziale ma non sempre accade. Per esempio in “50 sfumature di grigio” il linguaggio usato, a mio modesto parere, ha solo la funzione di caratterizzare i personaggi non certo quello di svelarne l’essenza. Poi potrebbe essere anche una scelta, quella della james, di puntare sulla ripetitività dei termini e sulla scontatezza di certe pratiche proprio per dare l’idea e di far germogliare nel lettore durante la lettura, quel senso di aridità, banalità e vuoto che un certo tipo di sesso, alla fine, ti lascia. La differenza però tra “Il giovane Holden” (ma potrebbero benissimo essere presi in esame innumerevoli altri classici o universalmente riconosciuti come validi nonostante un uso del linguaggio non ricercatissimo) e “50 sfumature di grigio” è che nei primi il linguaggio non ha funzione primaria, non fagocita tutto il resto, nè la trama, nè il pensiero dell’autore, nè quel “sentire qualcosa” alla fine della lettura, mentre nel secondo caso è quasi tutto giocato su alcune espressioni che dovrebbero rappresentare immagini forti tali da compensarne la pochezza contenutistica. Potrebbe darsi che l’analisi lessicale di Zardi possa rappresentare, in prospettiva, un modo per stabilire le “capacità” di un testo. Onestamente non so in quali percentuali e non credo che valga per tutti i tipi di letteratura.
28 giugno 2013 alle 07:10
Be’, gli spogli lessicali si fanno sistematicamente da un paio di centinaia d’anni, direi. Zardi non ha fatto niente di nuovo, se non applicare a un testo generalmente ritenuto di poco conto un metodo generalmente riservato ai testi di grande valore (o di grande rilevanza storica). Chi volesse farsi un’infarinatura di “informatica umanistica” può dare un’occhiata qui (è un pdf; per leggere i capitoli successivi basta aumentare nell’url il numero della lezione), chi fosse interessato solo agli spogli lessicali può andare direttamente qui. Chi volesse esercitarsi a imitare Zardi, ma su un testo un po’ più nobile, può guardare qui: troverà tutto quel che serve per fare a pezzi la Commedia di Alighieri.
28 giugno 2013 alle 10:31
Difatti giulio, io possiedo un’edizione rara della Divina Commedia stampata con un plotter negli anni settanta divisa in due sezioni: la prima col testo classico e la seconda con una specie di indice analitco-numerico. In questa seconda sessione sono riportate in ordine alfabetico tutte le parole presenti nel testo e accanto ad esse c’e’ un numeretto corrispondente alla frequenza con cui quella detta parola ricorre in tutto il testo.
Poi, ricordo una domanda a Trivial Pursuit (Arte&letteratura-primissima edizione) in cui veniva chiesto quale fosse la parola che ricorresse piu’ di frequente nella Bibbia.
La risposta era “e”.
28 giugno 2013 alle 14:26
ieri notte leggevo la pelle di malaparte e giurerei che il termine più ricorrente è “tugurio”.
28 giugno 2013 alle 20:10
Giulio, l’obiezione è un’altra. So che questo tipo di lavoro sul testo (con o senza l’ausilio di una macchina) non nasce con l’analisi di Zardi. So anche quali sono i limiti e le potenzialità di un’analisi di questo tipo, avendoci lavorato (su testi ancor meno nobili, o forse ignobili) per qualche anno, come scrivevo nel commento, dalla parte di chi la macchina la realizza (uso macchina, ma intendo software) e subito dopo come chi-queste-analisi-le-fa, e ti risparmio la parolaccia che sta a indicare la funzione all’interno di un’azienda. Il punto è l’oggetto d’analisi. Qui non stiam parlando dello studio di un’opera letteriaria di valore, di cui si sa praticamente tutto e ch’è stata oggetto, da parte di più soggetti, di lavori testuali e critici d’ogni tipo. Qui stiamo valutando, mi par di capire, la possibilità di scrivere una recensione anche partendo dai risultati di un’analisi del lessico fatta con strumenti informatici. Ecco, a me sembra velleitario (e in un modo che fa sorridere, in questo senso la “recensione” di Zardi è riuscitissima). Perché. Di solito una recensione letteraria viene fatta da un tizio che ha letto (o dice di aver letto) un libro di cui non si sa molto e su cui non è stato fatto ancora un lavoro testuale esteso. Il problema: porre in relazione poche informazioni “umane”, molto fallibili perché frutto di una lettura singola, senza che sia data una conoscenza approfondita dell’oggetto, con le invece molte e infallibili informazioni “software” non può che portare a un bel pasticcio, almeno è questo che mi dice l’esperienza, anche se la mia esperienza non ha niente a che fare coi testi letterari, in questo campo. Forse così è più chiaro.
28 giugno 2013 alle 23:26
Daniele (dm), scrivi tra l’altro:
Questa è la tua tesi, che per te è vera perché te lo dice l’esperienza tua. Si può sostenere che questa tesi è vera anche per altri?
29 giugno 2013 alle 03:02
Giulio, è sensato dire che la conoscenza di un’opera data da una lettura non è sufficiente per un’interpretazione affidabile delle informazioni estratte in quel modo là? Io credo di sì, ma è, certo, un’affermazione che non possiamo verificare. Così come non possiamo verificare, ad esempio, che la conoscenza data dalla lettura di una riga sola di un’opera non sia sufficiente alla scrittura di una recensione affidabile. O tu, forse, puoi verificarlo?
1 luglio 2013 alle 05:22
No, non saprei come verificare. (Notavo solo come tu, nella stessa frase, dichiarassi una tua affermazione “necessaria” e “basata su una esperienza limitata e non pertinente” – virgolette e parole mie).
2 luglio 2013 alle 00:57
Giulio, un momento: il senso della necessarietà di “non può che portare a” incontra il senso di quell'”almeno”, per cui ci sono tutte le condizioni per interpretare correttamente quell’affermazione. E’ evidente che “almeno” sia lì proprio per segnalare che si tratta, come dici tu, di una “esperienza limitata e non pertinente”.
2 luglio 2013 alle 17:21
Non sapevo venisse usata tale tecnica addirittura da duecento anni. Grazie per la precisazione.
26 luglio 2013 alle 23:53
Due articoli che ho letto di recente (uno ieri, uno qualche giorno fa) mi hanno fatto ritornare in mente questo post. Nel primo [1], Anakana Schofield tra tutto il resto scrive:
«Perché i media si interessano così dell’autore (che penna adopera, a che ora si alza al mattino) quando dovrebbero concentrarsi sul romanzo?»
Capisco quindi come la recensione di Zardi sia da questo punto di vista “ideale”: la recensione si basa esclusivamente sul testo, l’autrice del romanzo non viene nemmeno nominata. Quando ho letto però la recensione con tutto il lavoro lessico-statistico sottostante mi è rimasta l’impressione che ci fosse qualcosa di profondamente sbagliato.
Il motivo di questa impressione mi si è chiarito dopo aver letto il secondo articolo [2], nel quale Patrick Juola applica tecniche simili ad una situazione diversa: verificare se Robert Galbraith fosse J.K. Rowling. La formulazione precisa del problema la si trova nell’articolo, insieme a tecniche e risultati. A differenza della recensione di Zardi dopo aver letto l’articolo di Juola non mi è rimasta alcuna impressione negativa. Perché? La differenza fondamentale tra i due resoconti è il loro diverso obiettivo, la diversa domanda cui ciascuno dei due vuol dare una risposta.
Mutatis mutandis, se io studio ed annoto le posizione degli astri nel cielo per capire se la stella del mattino è la stella della sera, faccio astronomia; se lo scopo è capire il carattere di una persona faccio astrologia. Quando Zardi scrive «[…] credo che ci siano abbastanza informazioni per poter tentare un abbozzo di giudizio: Cinquanta sfumature di grigio è un romanzo scritto con una lingua semplice, spesso banale […]», ebbene, Zardi sta facendo astrologia.
[1] http://www.guardian.co.uk/books/2013/jul/25/anakana-schofield-how-to-write
[2] http://languagelog.ldc.upenn.edu/nll/?p=5315
27 luglio 2013 alle 22:41
Basta applicare simili procedimenti all’inseime della poesia petrarchista (cioè di quasi tutta la poesia lirica del cinque-seicento in europa) per scoprire che il più probabile autore dell’opera di Petrarca è il più scarso (d’immaginazione) e il più bravo (tecnicamente) dei suoi innumerevoli imitatori.
Dico “basta” e non “basterebbe”, perché so che questa operazione è stata compiuta. Ma me l’hanno raccontata, e non so fornire indicazioni bibliografiche.
21 novembre 2013 alle 14:17
[…] recensione vuole essere un omaggio a quella che Giulio Mozzi ha definito “La recensione ideale”, ma anche al modo unico di Paolo di stupire autori e […]