E, lo vedi, è la vita:

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di Nicola D’Attilio

[Questo è un estratto dal romanzo in corso d’opera con cui partecipo alla Bottega di narrazione 2012-2013. I protagonisti sono Clelia e Diego, due trentenni che dopo essersi conosciuti casualmente (lui le investe il cane, uccidendolo), hanno un rapporto occasionale durante il quale concepiscono un bambino. Nessuno di loro vuole questa gravidanza o tantomeno una relazione, al contrario dei rispettivi amici e parenti che, per motivi differenti e più o meno egoistici, tentano di convincerli a portare avanti la gravidanza e comporre una famiglia “tradizionale”. Nel capitolo proposto, Clelia, convinta dalla sorella (Margherita) incontra Diego per comunicargli la notizia della gravidanza e l’intenzione di interromperla. Al solito, osservazioni, opinioni e consigli sono bene accetti. nd]

«Clelia!»
Clelia fu sorpresa da una voce alle spalle; la riconobbe senza fatica nonostante fosse ormai lontana settimane. Si voltò e lo vide: il padre biologico era lì, a pochi metri, ignaro di tutto. Avanzava con passo disinvolto, stretto in una giacca di pelle nera con collo alla coreana, jeans slavati e scarpe da passeggio che lasciavano intravvedere, con studiata noncuranza, un prezioso baffo rosso sulla linguetta.
Un nodo le aggrovigliò lo stomaco. Gli andò incontro.
«Scusa per il ritardo. È tanto che aspetti?» disse Diego, sfiorandole la guancia con un bacio. Il profumo dell’uomo le solleticò le narici.
«No, figurati».
In realtà, colta dal solito timore di arrivare tardi, Clelia aveva raggiunto con abbondante anticipo Piazza delle Erbe, nel cuore del centro storico. Non si era però dispiaciuta dell’attesa, sia perché l’idea di ogni secondo sottratto all’incontro la tranquillizzava, sia perché quel tempo da sola le aveva permesso di apprezzare i vicoli al tramonto, quando il via vai frenetico delle persone è ovattato dalla penombra rosata e passando davanti ai locali si è coinvolti dagli odori di farinata e focaccia per l’ora dell’aperitivo. Le piaceva girare per i vicoli, nonostante non ci andasse mai e quella presa di coscienza le gettò addosso una sensazione di panico, di definitivo rimpianto. Fissò l’orologio posto sulla facciata del palazzo antistante: erano quasi le sei e mezza e si sentì già stanca.
«L’aspetto è invitante» disse Diego, e con un cenno della testa indicò un locale i cui tavoli occupavano una parte della piazza «se però ti va di fare due passi, ne ho in mente uno un po’ più carino».
Clelia annuì con un sorriso. Sentì la mano sinistra di Diego posarsi con grazia sul suo braccio destro. Superarono Palazzo Ducale e Piazza Matteotti, pronti a gettarsi in quel dedalo di vicoli alle spalle della Cattedrale che Clelia non avrebbe mai saputo dipanare da sola.
«Sei silenziosa» disse Diego.

«Scusa. Hai ragione».
Diego sorrise. «Sembra quasi tu abbia visto la vecchietta».
«Quale vecchietta?». Si voltò verso di lui.
«Quella di Vico dei Librai. Non conosci la storia?»
Clelia arrossì. Diego aggiunse: «Dovresti conoscere quella della tua città, in fondo sei un’insegnante».
Se non lo avesse detto sorridendo, Clelia avrebbe desiderato sprofondare sotto uno dei leoni della Cattedrale.
«La conosco la storia di Genova» disse, ma dopo una breve pausa ammise «anche se in effetti i vicoli li frequento poco».
«Dovresti venirci più spesso, allora. Comunque: c’è questa vecchina, o meglio il suo fantasma, che si aggira sperduto per i vicoli chiedendo ai passanti la strada per raggiungere la propria casa in Vico dei Librai».
Diego fece una pausa da navigato oratore. Clelia lo fissò, indecisa se abbandonarsi a una precoce ammirazione.
«E dov’è esattamente?»
«È stato distrutto in un bombardamento durante l’ultima guerra; non esiste più».
«Quindi vaga inutilmente in eterno?»
«Triste, vero? E ce ne sono centinaia di storie così, di fantasmi che si aggirano per questi vicoli. Se vorrai, ti organizzo un giro guidato, uno di questi giorni».
«Con piacere. Ho fatto proprio una figuraccia». Prima che riuscisse a impedirselo Clelia si strinse al braccio di Diego.

Tagliarono verso Campetto, poi Clelia perse l’orientamento e giunsero in una piazzetta che valutò non più grande del proprio salotto, per metà occupata da un gazebo chiuso ai lati da pareti in plastica trasparente. Ospitava una gioventù all’apparenza soddisfatta dal solo fatto di gustarsi panissa e negroni nel cuore del centro storico.
Clelia ebbe un sussulto appena messo piede nel locale: luci rossastre; tavolini dal design ricercato; pareti arancioni e rosa; decine di suppellettili finto orientali rastrellate in chissà quale centro commerciale; ma la cosa peggiore era la musica lounge che le ricordava le devastanti sedute yoga di Margherita.
Sorrise con tutto l’autocontrollo di cui fu capace. Diego sembrava a proprio agio come un piranha in un acquario, salutò i gestori e poi si diresse con sicurezza verso un tavolino nell’angolo più remoto e meno affollato del locale. Clelia si domandò quante facce avesse l’uomo che la invitava a sedersi.
«Qui staremo comodi» disse Diego, indicandole la panca foderata con cuscini rosa shocking. Da perfetto gentiluomo, attese che l’ospite si fosse seduta per accomodarsi a sua volta, scegliendo una sedia bombata in plastica nera dall’aspetto non troppo comodo.
Clelia si tolse la giacca e l’accartocciò accanto a sé mentre Diego sistemò con cura la propria sullo schienale della sedia. Tutta la magia della passeggiata nei vicoli sembrava dissolta e solo l’arrivo della cameriera per le ordinazioni attenuò il crescente senso di prigionia: un Americano e un succo di frutta, dissero in rapida sequenza, come non avessero pensato ad altro sin dalla mattina.
«Un analcolico?»
Clelia non seppe se cogliere nella domanda di Diego il tentativo di ricostruire una conversazione o piuttosto una reale curiosità sulla sua astensione all’alcool – a differenza del loro primo e unico incontro dove si era dimostrata ben disposta verso la bottiglia. Si limitò ad annuire sorridendo.
«Il locale è di tuo gradimento? Forse un po’ troppo fashion, che dici?»
Clelia si sporse in avanti. «Posso essere sincera?»
«Devi!» disse Diego e si mise comodo, allargando il petto. Il gesto le ricordò un prigioniero in attesa del plotone.
«Non è proprio il mio genere» disse, appoggiando i palmi delle mani sul tavolino, «intendiamoci: è carino, ma la cosa che mi lascia maggiormente perplessa, è che non mi aspettavo fosse il tuo, di genere».
«Wow! Quando si dice la sincerità».
«Ecco vedi, non dovevo».
Diego si tirò su e le sfiorò la mano.
«Viva la sincerità, ok?» si frugò le tasche della giacca e posò sul piano uno smartphone che probabilmente i negozi specializzati non avevano ancora visto e il mazzo di chiavi della Mercedes. «Ecco qua: locale; cellulare; chiavi della macchina. Di solito le ragazze ne vanno pazze».
Clelia si guardò intorno. L’eccesso di sincerità, specie nei primi appuntamenti e specie in quelli con maternità a sorpresa, non era un elemento da rincorrere a tutti i costi. Ma aveva iniziato lei, quindi doveva stare al gioco. Diego dovette leggere l’apprensione nel suo sguardo e aggiunse: «un target femminile che non apprezzo, ovviamente».
Clelia sorrise. «Quindi sarebbe un test?»
Diego accavallò le gambe.
«Diciamo di sì. Un test. E tu lo stai passando a pieni voti».
«Ti stai arrampicando sugli specchi».
«Un po’, certo. Ma in qualche modo devo rimediare. In fondo sono bravo a rimediare, no?»
Il riferimento a Patty era palese e Clelia si rese conto che stavano flirtando. Avesse continuato per quella china, sarebbe nuovamente finita a letto con lui. Una opzione da evitare, anche se in quel momento non del tutto detestabile.
«Fin troppo. Sei bravo in un sacco di cose».
Diego sorrise, sornione.
«Mi piace stare con te Clelia, dico davvero».
«Potevi chiamarmi, allora».
Diego allargò le braccia.
«Touché. Fortuna che hai chiamato tu».
La cameriera portò le consumazioni accompagnate da un paio di piatti con stuzzichini di vario genere.
«Allora» disse Diego alzando il proprio bicchiere, «a cosa dobbiamo brindare?»
Clelia avvampò e abbassò lo sguardo. Come se ne intuisse le difficoltà, Diego sorrise e fece tintinnare il suo bicchiere contro l’altro.
«Ti aiuto io: il mio amico Primo Maggio scommette che tu voglia un altro cane. Buffo vero?»
Erano arrivati al dunque e nonostante sino al quel momento era stato tutto perfetto o quasi, il rischio di rovinare la serata era più che mai concreto.
«Buffo vero?» ripeté Diego. Forse iniziava a preoccuparsi.
Clelia sorrise, ma riuscì solo a stirare un po’ le labbra, come fossero imbottite di botulino.
«Buffo. Non voglio un altro cane, non ti ho chiamato per questo. Il tuo amico ha perso la scommessa». Rise nervosamente: «Beviamo senza troppi brindisi, ok?»
«Alla tua» disse Diego, alzando il bicchiere. Ne bevve giusto un sorso, poi lo posò e afferrò un minuscolo quadrato di focaccia alle olive. Prima di mangiarlo, si sporse in avanti e disse: «Sono comunque curioso».
«Anche a me piace stare con te» disse Clelia, bevendo a sua volta.
«Grazie».
«Ma quello che devo dirti rovinerà tutto e volevo aspettare ancora un po’».
Diego ostentò un’espressione preoccupata che poi aprì in un sorriso.
«Ormai lo hai detto. E poi, se non è per un altro cane, che sarà mai? Coraggio, non mordo».
Clelia chiuse gli occhi e prese un profondo respiro come si preparasse per una apnea infinita.
«Sono incinta» soffiò fuori, senza aprire gli occhi.
Diego non rispose e Clelia fu costretta a riaprirli, quantomeno per assicurarsi che il padre biologico fosse ancora lì.
«Hai capito cosa ho detto?»
Diego aveva mantenuto il sorriso pre rivelazione, ma era teso, stentato, più simile a quello di una paresi temporanea.
«Incinta?» biascicò dopo un lungo sorso di Americano.
Clelia annuì, cercando di non incrociare il suo sguardo.
«Incinta» ripeté Diego, e dopo un altro sorso aggiunse: «nel senso che aspetti un bambino e tutto quanto?»
«Conosci altri significati?»
Il padre biologico allontanò da sé i piatti di stuzzichini come ci avesse trovato dentro un verme: «Cazzo».
«Ti avevo avvertito» mormorò Clelia. Teneva il bicchiere con entrambe le mani, nonostante fosse ben appoggiato sul tavolino.
«Non mi avevi avvertito per niente, invece».
«Non credere che per me sia facile».
«Hai solo detto che non volevi un altro cane. Anche se sarebbe stato decisamente meglio».
«Sei ingiusto».
«Insomma, sarebbe stato meglio per tutti, no? Ce la saremmo cavata in un paio d’ore. Invece sei incinta e a prima vista la situazione richiederà un tempo e un coinvolgimento decisamente maggiori».
Clelia fu presa da un senso di nausea crescente che non sapeva se attribuire alla gravidanza o all’uomo davanti a lei.
«Ma quanto sei stronzo?»
Diego fece oscillare il residuo di liquido nel proprio bicchiere, poi lo finì in un unico sorso.
«Mi inviti a un aperitivo; fai la splendida; mandi chiari segnali sessuali e lo stronzo sono io, certo».
Clelia strinse i pugni: non gli avrebbe dato la soddisfazione di vederla piangere, nonostante gli ormoni rendessero tutto più difficile.
«Avrei dovuto dirtelo per messaggio?»
«Per esempio. O appena ci siamo visti».
«È vero: che stupida».
Diego annuì.
«Bastava poco».
«Bastava poco un corno!»
Diego si guardò in giro, come cercasse di valutare quanto i tavoli vicini fossero interessati alla discussione. Si passò una mano sulla faccia.
«Avremmo evitato inutili cazzeggi».
«Inutili cazzeggi?»
Diego sembrò pensarci su: «Non ho detto questo».
Clelia cercò di vincere il senso di vertigine: era peggio delle discussioni con Margherita. «Lo hai appena detto».
«Un conto è pensare di uscire con una bella ragazza, un altro è scoprire di averla messa incinta: non è un fatto propriamente di routine, no?»
«E con questo?»
«Voglio dire: avevo altre aspettative per la serata».
«E io avevo altre aspettative per la mia vita».
Diego sbuffò, si mise comodo sulla sedia e posò le braccia sul tavolo.
«Un fatto del genere necessita di un preavviso, un avvertimento», disse, con il tono di chi spiegava una lezione, «altrimenti il rischio è ricevere una notizia devastante in un locale dichiaratamente inadeguato a tutto ciò che non abbia pretese frivole con la conseguenza di sentirsi un coglione, come quelli che vomitano non appena posano il piede a terra da una giostra. Ora è più chiara la situazione?»
Clelia capì quanto il senso di nausea dovesse essere comune, ma non ne provò sollievo.
«E poi non abbiamo usato tutte le precauzioni del caso? Voglio dire: magari non sono io il padre, no?»
Clelia lo fissò per un tempo che Diego dovette giudicare interminabile perché cambiò posizione sulla sedia non meno di cinque volte.
«Come ho fatto a venire a letto con te?»
Diego scosse la testa, fissando il vuoto dentro al proprio bicchiere: «È solo che…»
«Credi forse che ti voglia incastrare? Che non sappia esattamente con chi vado a letto e quando?»
«Non volevo insinuare questo» sussurrò Diego. Ora i tavoli vicini erano chiaramente interessati.
Clelia lo fissò, combattendo la tentazione di gettargli addosso il contenuto del proprio bicchiere.
«Invece volevi, eccome. Come tante altre cattiverie e fesserie che hai tirato fuori da quando siamo qui. Spiegami come funziona: appena realizzi che non puoi portarti a letto qualcuna diventi spregevole?»
Diego scrollò le spalle.
«La sincerità è l’arma migliore per sbarazzarsi di qualcuno» disse, senza alzare lo sguardo dal vassoio di stuzzichini.
«Sei un brutta persona» disse Clelia. Si alzò, ma l’altro la bloccò con un gesto della mano.
«Per favore: siediti. Mi conoscono tutti qui dentro».
«Credi che me ne importi qualcosa?»
«Tu no, ma io ci tornerò. Per favore».
Clelia lo squadrò dall’altro verso il basso.
«Non lo voglio questo bambino. Non lo volevo prima e Dio solo sa quanto non lo voglia ora».
Diego la fissò con una espressione confusa.
«Scusa?»
Clelia afferrò la giacca dalla panca.
«Non voglio un figlio in generale e non voglio un figlio tuo in particolare».
Attraversò la sala diretta all’uscita, incurante degli sguardi curiosi che le si appiccicavano addosso: era stata una stupida e quasi non riusciva a credere di essersi spinta con un timido ottimismo a quell’incontro. Non si sarebbe mai perdonata quell’umiliazione gratuita.
Una volta fuori, le quattro strade che si dipanavano dalla piazzetta rappresentavano vie d’uscita equamente credibili e avvolte dal buio; si maledì: non avrebbe mai saputo scegliere quella giusta.
«Clelia, aspetta, per favore».
Diego la affiancò.
«Dimmi solo qual è quella giusta» disse Clelia, fissando le proprie scarpe bianche affiancate da un paio costoso. Non voleva piangere e, soprattutto, che Diego se ne accorgesse.
«Perché non lo hai detto subito?»
«Non mi hai lasciato il tempo».
Rimasero in silenzio per un po’. Alle loro spalle, il brusio del locale li sorprendeva ogni volta che qualcuno apriva la porta.
«C’è una cosa che però non capisco: perché dirmelo?»
Clelia si strinse nelle spalle. Bella domanda. Poteva rispondere che era tutta colpa di Margherita, ma non sarebbe servito granché.
«Volevi la mia approvazione?» aggiunse Diego.
«No, nessuna approvazione. Mi sembrava giusto così, tutto qua».
«Non siamo pronti per fare i genitori. Io di sicuro».
«Non ho più voglia di parlarne. Non serve più: domani ho la visita al consultorio».
«Siamo d’accordo, no? Al diavolo: non voglio che tu pensi che io sia un uomo spregevole».
«Ti capisco più di quanto tu non creda, per questo mi detesto. Ma se adesso non me lo dici tu, come tornare in centro, lo chiedo a qualcun altro».
Il padre biologico sembrò arrendersi, si ficcò le mani in tasca e imboccò la prima strada a sinistra. Clelia lo seguì, lasciandosi inghiottire dal reticolo scuro dei vicoli.

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26 Risposte to “E, lo vedi, è la vita:”

  1. Bettina Says:

    Ciao Nicola, il tuo pezzo coinvolge, è scorrevole e assolutamente credibile. Bella anche l’ambientazione. A una prima lettura non ho nè consigli nè suggerimenti da darti…

  2. Francesco Marrapodi. Says:

    A mio modesto parere – parere di lettore, ovviamente – quando si riesce a coinvolgere il lettore, impegnandogli tutti i cinque sensi, oltre che usando una buona tecnica di scorrevolezza del testo, si è già a un risultato apprezzabile. Mi piace. Bravo Nicola.

  3. Andy Says:

    Dico subito che mi piace. Ho molto apprezzato la cura nel descrivere gli oggetti, troppo spesso trascurati. La focaccia alle olive poi, dovrebbe essere sempre presente.

    Difetti evidenti non ce ne sono, si tratta di un lavoro ben fatto, un pezzo avanti- non me ne vogliano- rispetto a quanto la bottega ci aveva fin qui proposto.

    Piccole aree di miglioramento: alcuni passaggi li ho trovati leggermente ampollosi- tipo il riferimento al botulino e al sorriso tirato, che per inciso ha l’effetto opposto: quello che conferisce un sorriso tirato e’ la tossina tetanica (da li’ il termine risus sardonicus) responsabile di una paralisi spastica. Il botulino causa una paralisi flaccida. E’ lo stesso che avviene con i curari e la stricnina, secondo un effeto uguale e contrario (Ying&Yang). In effetti sia Tetano che Botulino sono dei Clostrydii, batteri anaerobi.

    Un’altra cosa: tutti quei punti e virgola disseminati sapientemente mi dicono una cosa sull’autore. Mi dicono che sta frequentando un corso di scrittura creativa 😉

    Sul tema: arduo cimentarvisi, praticamente la letteratura e il cinema negli ultimi 100 anni non si sono occupati d’altro.

    In ogni caso, complimenti e buon lavoro.

  4. daniela Says:

    Per me è ottimo. Complimenti

  5. Carlo Capone Says:

    Certo, Nicola, per scorrere scorre. Mi sembra però una scena già vista, che so, tipo fiction di Rai 1. Se questo è il tuo obiettivo, cioè di raccontare una storia e basta, secondo me l’hai centrato. Ma se vuoi fare anche della narrativa di un certo livello bisogna che ci si intenda. Il dialogo io lo asciugherei, tagliando e ritagliando, ecco tutto. Come esercizio di apprendimento ti suggerisco il capitolo del romanzo neverending di Giulio, apparso giorni fa su FB. E’ secco ma bastevole, fin troppo. Capisco che vuoi creare nel lettore l’effetto suspense (perchè l’hai detto tu, nelle note di apertura, che nessuno ancora sa della gravidanza) e direi che questa è un’abitudine di un non profesisonista, di fronte a una imminente rivelazione allunga un po’ il brodo, perchè stesso lui si crogiola nell’attesa e nell’effetto che fa. Ma bisogna stare attenti, il brodo lo puoi allungare se hai messo parecchio estratto di carne, non mi sembra che sia il caso di questo brano.
    Poi per la carità, io appartengo a quel pensare secondo cui l’arte sia levar piuttosto che mettere. Ne sono giunto a tale convinzione da acconsentire al contrario solo quando fai la pasta al forno. Dove, assicurava mia mamma, ‘più ci metti e più trovi’.
    Ma a proposito del mettere e togliere mi ha colpito, vedi frequenti citazioni di monumenti e luoghi, che tu voglia raccontare una storia in cui Genova faccia da sfondo incombente. E allora: o racconti la storia, lasciando sfumare il circostante, oppure decidi che descrivere Genova sia necesseraio ai tuoi scopi. Ma ci risiamo, ti sono chiari questi scopi?
    Auguri e cordiali saluti.

  6. davide Says:

    cit andy:

    “””Difetti evidenti non ce ne sono, si tratta di un lavoro ben fatto, un pezzo avanti- non me ne vogliano- rispetto a quanto la bottega ci aveva fin qui proposto.”””

    …SEI SICURO?

    “”Sul tema: arduo cimentarvisi, praticamente la letteratura e il cinema negli ultimi 100 anni non si sono occupati d’altro.””

    NON PROPRIO così,ma diciamo che si,è un tema un tantino usurato….

  7. davide Says:

    non capisco come faccia qualcuno a entusiasmarsi per un pezzo simile,alcuni dialoghi sopra nel pezzo ,li avete letti?

    “No, nessuna approvazione. Mi sembrava giusto così, tutto qua».
    «Non siamo pronti per fare i genitori. Io di sicuro».
    «Non ho più voglia di parlarne. Non serve più: domani ho la visita al consultorio».
    «Siamo d’accordo, no? Al diavolo: non voglio che tu pensi che io sia un uomo spregevole».
    «Ti capisco più di quanto tu non creda, per questo mi detesto. Ma se adesso non me lo dici tu, come tornare in centro, lo chiedo a qualcun altro».

    ..sembran i dialoghi di quella serie melò/soap (di produzione tedesca!!!!)che passa sulla rai subito dopo il peraltro buon programma di Corrado Augias……

  8. Andy Says:

    @Davide : se l’ho detto, vuol dire che si’, sono sicuro. Di quelli comparsi su Vibrisse, tra i testi della bottega, e’ quello che- a mio modestissimo parere- ha meno difetti. Per difetti intendo ingenuita’, inverosimiglianze, smisurate ambizioni. Spiegare e non mostrare. Approssimazione.Vaghezza. Cose cosi’.

    Sul tema, siamo d’accordo: un po’ usurato. Per gridare alla fiction Rai pero’ attenderei. A me personalmente ha ricordato piu’ un film di Muccino, che non e’ Kubrick ma non e’ nemmeno Moccia.

    Le soap di produzione tedesca possono essere dei capolavori: HEIMAT ti dice qualcosa?

    Per non parlare di quelle svedesi.

  9. ?tefano Says:

    I dialoghi mi sembrano un po’ ingenui, un esempio a caso: “a prima vista la situazione richiederà un tempo e un coinvolgimento decisamente maggiori” mi sembra una frase piuttosto improbabile di fronte ad una notizia simile, ed è così per quasi tutto il testo, le reazioni sono artificiose. L’appellativo “padre biologico” più che fare effetto dà un certo fastidio, ma questa magari è una cosa personalissima. Tutto qui.

  10. Nicola D'Attilio Says:

    Per prima cosa vi ringrazio per la lettura e i commenti.
    Cerco di rispondere con ordine:

    @Andy: grazie per la correzione sul botulino, ignoranza mia e superficialità che rivedrò senz’altro.
    Per quanto riguarda l’argomento trattato concordo con quanto sostieni e so bene quanto non sia certo l’originalità il gancio possibile per questa proposta narrativa. Credo di aver valutato i rischi che ci sono e cerco di ricordarmeli spesso, poi si va avanti comunque e si vede dove si va a finire. 😉

    @Carlo: gli autori a cui mi ispiro sono Hornby, Roddy Doyle, Kinsella e di conseguenza è il lettore di questa tipologia di romanzi che “inseguo”, senza sapere se queste letture appartengano a narrativa di un certo livello. Io provo piacere a leggerli e il mio obiettivo (forse al di sopra delle mie possibilità, non lo so) è ottenere un simile risultato.
    Per gli altri tuoi dubbi: il capitolo in questione è l’ottavo. La gravidanza di Clelia si scopre al primo e nei successivi capitoli vengono introdotti sia i personaggi protagonisti che quelli a contorno. In questo capitolo, il lettore sa della gravidanza, è solo Diego a non saperlo e la parte precedente la notizia mi serve per chiarire/introdurre il rapporto tra i due personaggi, visto che è il primo capitolo in cui compaiono insieme. Questo è l’effetto che cercavo, più che quello di suspense. Che l’abbia ottenuto o meno è un altro discorso…
    Infine su Genova: anche qui il fatto di pubblicare un estratto può essere fuorviante. Genova in questo caso è solo funzionale a quanto detto sopra e negli altri capitoli appare poco o niente (forse troppo poco). Non è quindi un romanzo su Genova.

    @Davide: ti riferisci forse a Tempesta d’Amore? A me non dispiace! 😛
    Scherzi a parte, i dialoghi sono senz’altro migliorabili. Certo se per te sono tutti di quel livello e a ruota i personaggi, allora l’esperimento è fallito…

    Grazie ancora a tutti!
    n.

  11. Bettina Says:

    @Stefano: questione di gusti personali. Padre biologico, e non padre, a me piace perchè crea quel distacco, quella incredulità a diventare padre, quella cesura fra lei e lui che la situazione e i dialoghi rendono bene. Padre biologico è un dato oggettivo, un fatto, piaccia o non piaccia al possibile futuro genitore. Padre, invece, mi sembrerebbe sottindere una maggiore accoglienza all’idea di diventarlo.

  12. Giulio Mozzi Says:

    Ieri ho fatto due chiacchiere al telefono con Nicola. E ci siamo detti più o meno queste cose qui:

    A. che i dialoghi possono essere resi un pochino più spigliati.
    Qui ci troviamo tutti d’accordo, credo. Anche se (dico a Davide) terrei conto, per quel che riguarda questo pezzo del testo, della situazione. Che non è esattamente una situazione nella quale i personaggi possano comportarsi con naturalezza. Un certo grado di “ingolfamento” della loro lingua, in questa scena (ripeto: in questa scena) ci sta.

    B. che al momento la storia (Nicola è più o meno a metà del romanzo, secondo la sua stima) è un po’ troppo concentrata su ciò che avviene tra i personaggi, e un po’ troppo poco concentrata su altre cose banali: ad esempio, di che cosa i personaggi campino (tutti hanno un sacco di tempo libero, fanno mestieri vaghi o se ne liberano senza problemi ecc.). Preso dall’intessere la storia e dal posizionare i personaggi l’uno rispetto all’altro, Nicola è andato giù un po’ schematicamente. Ma la “farcitura” dei personaggi, oltre che fornire qualche spunto interessante alla storia stessa, sarà un lavoro abbastanza semplice.

    C. analogamente, e come ha notato Carlo, è un po’ vaga ancora la collocazione nella città. Ma io non vorrei che Nicola si fermasse su queste cose ora: vorrei che marciasse speditamente verso la fine della storia; per poi ripigliarla daccapo e dare più sostanza ai personaggi e ai luoghi.

    D. ci sono poi alcune possibilità narrative inesplorate: connessioni tra personaggi apparentemente non connessi, eccetera. Non illustro la cosa qui perché dovrei raccontare tutta la storia per filo e per segno; dico solo che, a seconda di come vengono, certe cose possono essere molto divertenti o “pesare” un po’, come l’eccesso di coincidenze nei romanzi del Settecento (però un sms di Nicola, poco fa, mi diceva che per il super-extra-mega-cali-fragilistic-colpo-di-scena che ci eravamo sommariamente immaginati c’è qualche problema) (il solito tipo di problema: l’idea che il personaggio X, senza saperlo, sia figlio del personaggio Y, è affascinante: disgraziatamente Y è più giovane di X, eccetera).

    E. Nicola sta scrivendo una commedia. Il riferimento a Doyle, Kinsella eccetera è chiaro. Nicola ha voglia di offrire a lettrici e lettori un divertimento intelligente e spiritoso. Il problema, nel fare una commedia, è sempre doppio: c’è da un lato il rischio di eccedere in intreccio (vedi D), dall’altro quello di fare non dei “personaggi” ma dei “caratteri” (vedi B). Su questo bisognerà lavorare.

    F. una cosa che mi piace molto di questo romanzo in fieri, e che purtroppo da questo frammento si vede solo un po’, è che Diego è un personaggio interessante. Ha una sua moralità, una sua serietà. Non è un cazzone, anche se ne ha una certa apparenza.

    G. Poi c’era dell’altro, mi pare, ma io adesso devo andare a Rovigo.

  13. davide Says:

    ok giulio (e nicola),però almeno questo:

    “””«Ti capisco più di quanto tu non creda, per questo mi detesto. Ma se adesso non me lo dici tu, come tornare in centro, lo chiedo a qualcun altro».”

    è da cassare :),troppo aggrovigliato

  14. Elena Says:

    Premessa: credo che la leggerezza della commedia sia difficilissima. Per chi scrive l’impresa mi pare quasi più ardua della tragedia, perché la leggerezza, a mio avviso, non esclude l’elemento patetico (peraltro, sempre a mio avviso, neppure troppo difficile a prodursi), ma lo sublima.

    Io in effetti qui mi sono divertita, però ho sentito qualche sbavatura che non rinuncio a segnalare.

    1) L’arrivo di Diego mi pare un po’ stereotipato (mi ha fatto venire in mente un libro molto molto venduto e quasi innominabile su questo blog).
    “Avanzava con passo disinvolto, stretto in una giacca di pelle nera con collo alla coreana, jeans slavati e scarpe da passeggio che lasciavano intravvedere, con studiata noncuranza, un prezioso baffo rosso sulla linguetta.”
    – c’è un altro modo per raccontare quel passo? Deve proprio essere disinvolto (come ci si aspetterebbe da uno stretto in quel giubbotto, con quella linguetta alla scarpe)?
    – le scarpe devono proprio essere “da passeggio”?
    – (poco dopo): possibile che lei senta un banalissimo “nodo che aggroviglia lo stomaco”? Mi piacerebbe che la descrizione del suo stato emotivo fosse, per così dire, meno smaccata. Magari lei potrebbe avere dei dubbi sulle proprie sensazioni, non rendersi del tutto conto della propria sensibilità alla presenza di lui. Capire e non capire.
    – poi. il profumo di lui che invade le narici è poco interessante. Magari vorrei sapere che profumo è, immaginare che lei sia quasi sorpresa dall’essere distratta dal suo profumo, in un momento in cui le pareva di essere molto più concentrata su ben altro.

    2) Clelia. Non so se vale per tutte, ma io, donna inopinatamente incinta, senza un compagno e senza un padre che sappia/voglia esser tale, forse non riuscirei a flirtare come in effetti fa la protagonista, che sembra più alle prese con un problemino che con un problemone. E non conta che sia commedia questa: il personaggio della commedia non sa d’essere in una commedia, se ha un problema, ha un problema.
    Per dire: Clelia è “indecisa se sprofondare” per una banale battuta di Diego che evidenzia una sua veniale ignoranza, poi, sentita la storiella della vecchia, lo fissa, “indecisa se abbandonarsi a una precoce (?) ammirazione.” e infine, dopo essersi lasciata prendere dal racconto e aver chiesto dettagli, arriva persino a scusarsi della “figuraccia” (non è eccessiva la sua paranoia?)
    Ecco, secondo me, se Clelia fosse vera, fissandolo come in effetti fa, si chiederebbe quando “sputare il rospo” e forse pure penserebbe: ma come ci sono finita qui, a sentire cose di cui non mi importa un’accidente? e poi proprio con questo vanesio dovevo fare un figlio?

    inoltre, senti, “sei bravo in un sacco di cose” dopo che sono stati a letto non si può sentire/leggere: è terribile, imbarazzante. Ne esce un personaggio femminile da 49 sfumature, nemmeno 50. (appunto il libro innominabile).

    Prendila come un’opinione soggettiva, Nicola, ma secondo me lo sguardo che attribuisci a Clelia è un po’ condizionato da quanto in fondo (mi pare) ti sta simpatico Diego. Ti direi di approfondire meglio il punto di vista di Clelia: non si è proprio rotta un tacco o macchiata la camicetta!

    3) Una curiosità: c’è una ragione narrativa (qualcosa che hai raccontato prima) per cui la seduta yoga che lei ricorda è “devastante”?

    Concludo con un dubbio: è un diritto di chi legge pretendere che la trama o i personaggi abbiano caratteristiche di proprio gradimento? Non so e per questo mi incuriosisce questa “bottega narrativa” quasi “in streaming”.
    Comunque sta a te, Nicola, decidere cosa fare di quel che ti dicono i lettori.

  15. Elena Says:

    A proposito, un accidente non si apostrofa.

  16. davide Says:

    interessanti piu di una considerazione,fra quelle di elena

    Ma,se posso aggiungere, ancora:

    in alto Nicola nella sinossi,scrive :

    “”I protagonisti sono Clelia e Diego, due trentenni che dopo essersi conosciuti casualmente (lui le investe il cane, uccidendolo),”

    allora ,io conosco l’ambienti propietari/e ed appassionati di cani (io peraltro ho un piccolo allevamento amatoriale di cani di razza)anche appassionati di cani non di razza:

    ordunque, alcuni/e (anzi,piu che altro alcune ,le donne son davvero le piu esagerate )sfiorano la missione divina,nell avere un cane,sono noiose al limite della sopportabilità quando decantano le virtù dei loro amici a 4 zampe,antropomorfizzandoli moltissimo

    E sinceramente nella realtà,nessuna donna che avesse avuto il suo cagnolo stecchito da un automobilista,avrebbe voglia di conoscere quest ‘ultimo piu di tanto,al di la del disbrigo di eventuali pratiche burocratiche post incidente

    certo poi al cinema e in letteratura le cose non devono essere per forza vere,molto spesso si pretende siano al massimo… verosimili…

  17. Andy Says:

    @Elena: ” caracollava con incedere maldestro, avvolto da una blusa di felpa e pile con cappuccio di tre taglie più grande, pantaloni marroni di velluto a coste e mocassini intrecciati che lasciavano intravedere, con inconsapevole sciatteria, un paio di calzini bianchi di spugna “tipo sport”.

  18. Giulio Mozzi Says:

    Davide, la tua affermazione

    E sinceramente nella realtà,nessuna donna che avesse avuto il suo cagnolo stecchito da un automobilista,avrebbe voglia di conoscere quest ‘ultimo piu di tanto

    è un’opinione – lo dici tu – sulla realtà. Ma qui stiamo parlando di un romanzo – lo dici tu, anche questo -: nel quale possono esserci incastri e concatenazioni di eventi che rendono credibile ciò che nella realtà sembrerebbe poco credibile. Ribadisco: “credibile”: non “verosimile”, che è un’altra faccenda.

    Elena: al punto 3 posso rispondere io. Sì, c’è.

  19. Federica Says:

    Da donna, trovo le osservazioni di Elena – yoga a parte – condivisibili. Credo anche, qualcuno lo ha già detto, che la descrizione di Diego è un po’ caricaturale in questo brano.
    Se i modelli di riferimento sono Hornby e Kinsella (accostamento che trovo curioso), mi sembra che il tono non sia troppo greve. Forse un’azione “dimagrante” sul testo – già suggerita da qualcuno – potrebbe aiutare.

    Federica

  20. Nicola D'Attilio Says:

    @Elena: ciao Elena, grazie per la lettura e le segnalazioni.

    Per quanto il punto 1 e il punto 3 in realtà, nei capitoli precedenti, avevo inserito quel che ti domandi: i dubbi di Clelia sulla riuscita e la pertinenza dell’incontro, le sue emozioni; anche riguardo al profumo, che lei nota al primo loro incontro. In questo capitolo quindi mi servono come richiami. Poi che siano riusciti o meno, è sempre un altro discorso.
    Nell’arrivo di Diego volevo far passare l’idea di un uomo che ama i vestiti che indossa e che lo ostenta, questo almeno agli occhi di Clelia (il punto di vista è il suo). Non ho letto il libro a cui ti riferisci e non c’era nessun richiamo più o meno voluto.

    Per il punto 2 la questione è più ostica e forse si estende anche al tuo dubbio finale. Sul personaggio di Clelia c’è molto da lavorare, sono d’accordo con te. In teoria Clelia è più simile a come la immagini tu, ma in questo capitolo almeno, dovrebbe inizialmente mettersi in gioco, provare a vedere come va (come da suggerimenti della sorella), esplorare la possibile esistenza di una opportunità che contempli la presenza di Diego.
    Infine: no, lo scopo di questa pubblicazione non è inseguire il gradimento del lettore. Come ha spiegato meglio di me Giulio in una risposta di qualche giorno fa, è piuttosto il tentativo di confronto con con i lettori e le reazioni che hanno di fronte a ciò che scrivo. Insomma è un buon esperimento!

    @Davide: ciao Davide, Giulio ha risposto alla tua domanda molto meglio di quanto potrei fare io.

  21. davide Says:

    curiosità,Nicola,sul nome della protagonista femminile:

    come mai proprio il nome “Clelia”,che almeno qui a bologna ,è un nome che si sente rarissimamente in giro,e solo per donne sopra una certa età?

    chiedo perchè magari in altre aree,è piu diffuso,ma fino a ieri pensavo fosse uno di quei nomi “localistici” diffuso solo in qualche campagna del nord (magari mi sbaglio,eh! son cmq sinceramente curioso)

    grazie.

  22. Giulio Mozzi Says:

    Sulla diffusione del nome “Clelia”, vedi qui: lo porta lo 0,0541% della popolazione italiana (tanto per fare un paragone, porta “Davide” lo 0,1380%: ovvero, ci sono due Davidi e mezzo per ogni Clelia (anche contando lo 0,0169% di David, senza la “e” finale).
    Guardando i dati sulla distribuzione, effettivamente nelle “campagne del Nord” Clelia è ben presente (il 16,9% delle Clelie è in Lombardia, l’11,9% in Piemonte); ma anche in Campania (13,9%).

    Sempre che il servizio dal quale ho tratti i dati sia affidabile, cosa che non so come verificare.

  23. Elena Says:

    Grazie Nicola e buon lavoro.

  24. dm Says:

    Scrive Giulio, di Nomix:

    Sempre che il servizio dal quale ho tratti i dati sia affidabile, cosa che non so come verificare.

    Nel sito di Nomix, a proposito della classifica dei nomi più diffusi , leggo “La classifica, che riporta dati nazionali, è stata ripresa da un Elenco Telefonico italiano di parecchi anni fa”. Mi risulta poi che l’unico database di nomi ordinabili per regione e città pubblicamente disponibile sia proprio l’elenco telefonico. Oltretutto, poiché per la classifica sono stati usati dati di un “Elenco Telefonico italiano di parecchi anni fa” è molto probabile che per il tool di ricerca dei nomi sul territorio la fonte sia la medesima. Se Nomix disponesse di un database diverso più recente, avrebbe utilizzato quest’ultimo per elaborare la “classifica”. Anche perché l’operazione sul database per ottenere la classifica è piuttosto semplice.
    Un “Elenco Telefonico italiano di parecchi anni fa”, di là dall’autorità conferita dalle maiuscole, non è una fonte affidabile. Nell’elenco telefonico figurano i nomi e i cognomi degli intestatari delle linee telefoniche. Il numero di componenti di ciascun nucleo familiare è, in media, secondo l’ISTAT, superiore al due. Dal momento che essere intestatari di una linea telefonica non è una condizione significativa in senso statistico per il campione, i risultati di ricerca forniti da Nomix sono rappresentativi per meno della metà della popolazione. Poi, bisogna considerare il cambiamento anagrafico successivo all’acquisizione dei dati. I nuovi nati, i morti e i nuovi nomi. Ultimi (i tutt’e due i sensi) quelli che non vantavano il telefono fisso quando i dati sono stati acquisiti.

  25. blogdibarbara Says:

    C’è un errore di grammatica (o forse semplicemente di distrazione):
    nonostante sino al quel momento era stato tutto perfetto
    Poi, il bombardamento durante l’ultima guerra: non è che l’Italia abbia avuto qualche dozzina di guerre
    Qualche altra sbavatura qua e là (un perfetto gentiluomo che parla di target femminile…) ma nell’insieme direi che il racconto scorre.

  26. Francesca Says:

    Bravo Nicola mi piace, aspetto i nuovi capitoli!

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