di Claudio Salvi
[Claudio Salvi frequenta la Bottega di narrazione, ma è un narratore ben strano. Abbiamo pensato che, forse, per capire esattamente che tipo di narratore è, e come funzionano esattamente (se funzionano) le sue narrazioni, aveva senso proporle a qualche lettore. Se vorrete dunque intervenire nei commenti dicendo che impressione vi fanno questi testi (uso il plurale perché ne pubblicheremo altri dopo di questo), Claudio e io ve ne saremo grati. Il titolo “Tagebuch” (e non chiedete a me perché Claudio ha scelta una parola tedesca) significa semplicemente: “Diario”. Per leggere gli altri Tagebuch di Claudio Salvi, clicca qui. gm]
prende la bottiglia di brut mentre il panino gli scappa fuori dai denti.
è un magro che beve. piace all’inquilino che non saluta.
alle finestre le donne lavorano le tende tirandole con larghi gesti.
la luce ronza come un surgelatore. per i morti, scrivo.
la doccia è tanto sporca che ci rinuncio. il liquido scivola giù per il buco.
e non è una bella strada, ti guardano storto.
vi scorre acqua nera. in cielo solo un colore rimasto.
II.
finisco. il dottor felletti fa i complimenti ma alla sorella dice una cosa che le rimane dentro.
dette dal dottore non scivolano via tanto presto.
a me prescrive così e così. il soggetto qui non lo prende sul serio.
dice – incompetente – che è una bella parola.
III.
giù un albero nella neve e impronte di ruote. la luce verde sui rami.
nel centro circa del terreno un tale coperto guarda da questa parte.
fanno il sentiero nel ghiaccio le scarpe di questi che abitano le catapecchie.
la sera viene su un fumo che puzza.
IV.
ride e i denti sbattono (a natale).
il figlio ha rotto un calice versandovi il ghiaccio secco.
io vedo la mamma che grida.
nel grembiule sbatte le mani. poi chiude la porta.
26 dicembre 2012 alle 08:23
È una scrittura, ovviamente, tutte evocazione e molto vicina all’oscurità di certa poesia. A me non è dispiaciuta affatto. Può avere il suo pubblico, affascinato e coinvolto, forse solo se riesce a fare di questo diario, comunque, un racconto. Se la serie di immagini apparentemente incoerenti tra loro, a fine lettura si comporranno in un quadro sorprendente (fosse anche la lunga e tortuosa descrizione di un’abluzione mattutina). Vediamo le prossime prove, dai.
26 dicembre 2012 alle 09:08
Concordo: è una scrittura che, soprattutto per le scelte e gli accostamenti lessicali, mi fa vibrare qualcosa dentro, ma il taglio da Tagebuch non basta a tenere insieme i pezzi…anch’io spero quindi che le immagini si vadano avviluppando in un filamento narrativo di qualche tipo.
26 dicembre 2012 alle 09:18
ti prende per il bavero della giacca e ti tira giù a vedere da vicino toccandolo con il naso il buco della doccia. a sentire l’odore dell’acqua nera che esce e va per la strada dove tutto è sùbito, è presente e chiama. lo spazio è partecipazione attiva anche quando è ricordo. chi legge non sta fuori. scrivo di tutto. scrivo dappertutto.
sarà il titolo, ma lo associo ad “Abrsurdes Berliner Tagebuch ’64” – i taccuini per i plurimi di Emilio Vedova, dove scriveva la sua pittura (cose bellissime!)
26 dicembre 2012 alle 09:29
Non mi prende. Un bell’esercizio, ma non aggancia.
26 dicembre 2012 alle 09:29
I testi di Claudio mi sono sembrati piacevoli.
Ho sentito il desiderio, leggendoli, di chiedergli di riscriverli e riscriverli ancora, in altri modi, alla Queneau.
Qualcuno lo fa, in Vibrisse, di commentare un testo di altri con un completamento o, appunto, con una riscrittura.
A me sembra una cosa divertente e utile.
Più dei “mi piace”.
26 dicembre 2012 alle 10:09
per me è stupefacente.
26 dicembre 2012 alle 10:44
Perché, Münchhausen?
26 dicembre 2012 alle 10:52
Sono cose che piacciono e che è difficile dire perché. Perché piace la pesca? Perché mi piace. Poi credo ci voglia un po’ di preparazione sia da degustatore sia lessicale per saperlo definire.
Quando uno legge, capisce quello che capisce, e poi è difficile spiegarlo. E ognuno, poi, legge anche cose che possono discostarsi dal dettato. Io, a leggere una cosa così, sento che si scrive nel modo in cui mi pare che io stesso penso. Un modo quasi nevrotico, zigzagante, fatto di lampi che, se non vengono fissati, poi si perdono. È una prosa che, anche se può essere confusa con la poesia, secondo me della poesia ha poco, perché io ci leggo più che altro qualcosa come il suono delle unghie sulla lavagna. Se sono io a strisciare le dita sulla lavagna, sento il fastidio sulle dita, sulla mano e un brivido sulla schiena. Se a strisciarle sono altri, all’inizio mi infastidisco, poi penso “Beh, se l’ha fatto, si vede che c’era troppo rumore e quello era l’unico modo per far star zitti tutti”.
Non so se si capisce.
26 dicembre 2012 alle 10:59
Caro Claudio, esci allo scoperto e caccia le palle. La tua scrittura è originale ma ho l’impressione che stia giocando a nascondino.
26 dicembre 2012 alle 11:06
Frammenti colti da fuori, come se chi racconta volesse rimanere distante, non coinvolto, autistico perché troppo coinvolto e ferito. Come se anche la stessa aria che avvolge gli eventi potesse lasciare ustioni sulla pelle.
Forse non c’è una trama, ma gli ambienti e i personaggi sono descritti. Una storia c’è .
26 dicembre 2012 alle 11:27
a me piacciono molto (o piace molto, meglio), ma non so (ancora) perché
26 dicembre 2012 alle 12:08
Somiglia agli esercizi di lettura critica delle immagini dove viene chiesto di spiegare – ad alta voce – ciò che accade e ciò che l’immagine suggerisce per comprendere le motivazioni intrinseche di quel particolare scatto. Esercizio finalizzato quindi al raggiungimento di una consapevolezza. Non può esistere da solo, a mio parere. Non può continuare all’infinito. Se questo è un passaggio di un racconto che poi conduce altrove, allora sì mi piace perché mi obbliga a “guardare”.
26 dicembre 2012 alle 12:15
Mi piace l’immagine della doccia. Tutto il resto troppo vago. Evocativo come lo sono le canzoni degli U2: credo che funzionerebbe con una musica di sottofondo e Califano che legge. Così, è solo un abile esercizio. Vediamo il seguito.
26 dicembre 2012 alle 12:43
Mi piace molto!
Bravo Claudio!
26 dicembre 2012 alle 14:48
A me la scrittura di Claudio piace molto: è evocativa e affascinante. Ed è capace di accarezzare le cose che descrive. Non so, però, vedere una struttura che alla lunga reggerebbe. Ma questo forse è il lavoro di un editor o un editore. Claudiopienodigrazia, continua e affina!
26 dicembre 2012 alle 15:21
anche a me evoca canzoni. dei nirvana. il IV
26 dicembre 2012 alle 17:48
Funziona, nel senso che l’inconscio ci lavora e chi legge lo avverte. Non ho mai capito, al di fuori della teoria, sulla pelle la differenza tra un testo poetico e uno in prosa. Perciò penso di non essere in grado di dire come funzioni. La cosa certa, per me è che per funzionare come narrazione, il titolo “Diario”, in una lingua qualsiasi non importa, è indispensabile.
26 dicembre 2012 alle 17:52
per me è soltanto un diario di una giornata amara……
non mi prende granchè
ma io leggo sempre tutto….
26 dicembre 2012 alle 19:31
La scrittura di Claudio a mio parere è preziosa. Riporta a certe giornate di nebbia in pianura padana, bianche. Magari poter leggerne pagine e pagine.
27 dicembre 2012 alle 09:18
L’ho letto 5 volte e non di seguito. Il primo impatto è stato mi piace, strano stile ma devo averlo già incontrato chissà quando è chissà in quale libro, quasi oserei dire che trattasse poesie. Dalla seconda alla quarta lettura mi son chiesta che cosa questo testo mi comunica, mi evoca. Curiosità. La quinta lettura di cinque minuti fa mi ha fatto pensare in parte a qualche sceneggiatura teatrale. Parere finale: mi piace a mo’ di diario e leggerei un racconto molto volentieri. Complimenti Claudio e in bocca al lupo.
27 dicembre 2012 alle 10:29
ma claudio salvi, che dice?
27 dicembre 2012 alle 11:10
Prima impressione, fastidio per l’assenza delle maiuscole.
Pensavo: un libro intero così … non so, non credo che lo leggerei.
Però questa scrittura mi ha costretta a uno sforzo di messa a fuoco. Interessante. E la voce narrante mi è rimasta in testa. Ho la fissa della voce narrante: quando c’è un io (“per i morti scrivo”), ho voglia di capire chi è oltre che cosa dice.
Questa voce mi ricordava qualcosa ma non capivo cosa. Poi mi sono venuti in mente i pensieri al computer di Andrea Antonello, protagonista (reale) del libro di Ervas, Se ti abbraccio non avere paura.
Allora anche questo narratore ha avuto una fisionomia ipotetica.
La curiosità è aumentata. Magari posso superare il problema delle maiuscole.
27 dicembre 2012 alle 12:33
Manu, io sono grato alle persone che hanno letto e commentato il mio lavoro.
27 dicembre 2012 alle 12:53
Originalità ad ogni costo?
A scapito della leggibilità, però.
27 dicembre 2012 alle 15:25
brutalone! è una scrittura che cela e tiene a freno una incazzatura galattica! rabbia, o astio, o forse persino uno strano odio, voglia di menare le mani… anch’io mi chiedo, come altri con la “storia” e il “narrato”: uscirà e prenderà fuoco questa pirite?
27 dicembre 2012 alle 15:59
anch’io credo che sotto ci sia una incazzatura galattica. è una scrittura molto cruda. a me piace anche se penso che non sia facile leggere e scrivere un libro così. una storia forse però rovinerebbe l’insieme forse va letto proprio così come è scritto: pensieri fuori dai denti.
27 dicembre 2012 alle 16:51
Soprattutto leggere. Per scrivere, ad occhio si può fare con un generatore automatico tipo Eliza.
27 dicembre 2012 alle 17:55
Mi permetto di osservare che anche di un quadro di Pollock o di una poesia di Chlebnikov si potrebbe dire che sono originali, ma incomprensibili, ovvero che sono d’effetto, ma alla portata di tutti, ovvero ancora che sono evocativi, ma confusi. Ma non ci si può mica fermare alle lettere in fila che formano le frasi quando si legge! (Così come non ci si può fermare agli schizzi di vernice quando si guarda un dipinto).
firmato: l’ermeneuta.
27 dicembre 2012 alle 20:02
Epoché.
28 dicembre 2012 alle 08:29
@claudiosalvi
ma a parte essere grato, cosa pensi di quello che scrivi? ti senti dentro, scrivi questo perchè non potresti davvero scrivere altro, rimani dentro al processo senza interesse per quanto ne esce o che? qual è la molla? quanto ipotizzato nei commenti corrisponde a chi li scrive. ma a te, che ti corrisponde? (scusami, faccio sempre fatica ad accontentarmi, e poi la nebbia, le feste, tutto il resto)
28 dicembre 2012 alle 09:33
avevo lasciato un commento ieri, ma non lo vedo, credo wordpress mi abbia fatto uno scherzetto. scrivevo: mi si permetta un’osservazione ulteriore.
anche dei quadri di pollock o delle poesie di chlebnikov si può dire che la loro produzione è alla portata di tutti, ovvero che sono originali ma confusi, ovvero che sono d’effetto ma inaccessibili alla fruizione, ovvero ancora che sono emotivamente forti ma inintelligibili. ma non ci si può mica fermare alle lettere in fila che formano una frase quando si legge. (Così come, nel caso di un quadro, non ci si può fermare agli schizzi di vernice sulla tela).
28 dicembre 2012 alle 11:06
Manu, scrivo di cose viste, nel modo in cui le ho viste, come posso. chi legge rileva nessi, relazioni, una narrazione. un lettore completa il mio lavoro. (interessante il paragone con ELIZA).
28 dicembre 2012 alle 12:38
grazie claudio
7 gennaio 2013 alle 22:49
mi ricorda L’ambulante di Peter Handke