di Giovanni Accardo
Oggi, domenica 2 settembre alle 18.30, nella piazzetta del Municipio di Laives (Bz), si parlerà del romanzo di Alessandra Sarchi Violazione. Giovanni Accardo converserà con l’autrice. Suoneranno dal vivo Francesca Schir (chitarra e voce) e Michele Parigino (chitarra e voce). Una versione più breve di questa intervista di Accardo a Sarchi è apparsa nel quotidiano L’Alto Adige. [gm]
Tema centrale del romanzo mi pare il rapporto, ma forse sarebbe meglio dire il conflitto, che c’è tra l’uomo e la Natura: la ricerca di uno spazio naturale a misura d’uomo, senza la preoccupazione di piegare la Natura ai bisogni umani, magari violandola, come recita il titolo. È così?
Il tema della natura è uno di quelli di lungo corso nella cultura occidentale. Dall’equilibrio instabile e presidiato da infinite divinità del mondo pagano, quando la sopravvivenza umana era fortemente minata dagli agenti di natura, all’antropocentrismo rinascimentale in cui il creato pare fatto per la centralità dell’agire umano, fino alla correzione della natura che l’illuminista Voltaire auspicava per rendere migliore il mondo, scorre una dinamica dialettica e oppositiva fra uomo e natura, come se si trattasse di entità distinguibili e spesso nemiche. La realtà che viviamo oggi sul pianeta sembra essersi ribaltata, come testimonia il fiorire di una riflessione sui temi ecologisti e globali. L’agire umano è in grado di provocare cambiamenti perfino più grandi e irreversibili di quelli causati dai fenomeni atmosferici o tellurici. Da ciò dovrebbe conseguire una grande responsabilità nel pensare il mondo e gestirne le risorse. Il dominio sulla natura così tenacemente perseguito dall’uomo ha lati oscuri e in larga misura ingovernabili, e singolarmente l’idea di natura ha preso lo spazio che un tempo occupava l’idea di Dio. Basti pensare alla quantità di occasioni in cui la parola ‘natura’ o l’aggettivo ‘naturale’ vengono invocati per comprendere come si tratti di un orizzonte concettuale che riassume un’aspirazione di integrità e salvezza (rispetto alla capacità distruttiva umana). Nel mio romanzo ogni personaggio rappresenta una diversa e possibile declinazione del rapporto con ciò che chiamiamo naturale. La conflittualità dei rapporti fra i personaggi e l’impossibilità di distinguere con una linea netta è in realtà metafora di una più originaria dialettica: il confine fra ciò che è natura e ciò che non lo è, per l’animale uomo, si sposta di continuo. La violazione, come superamento del confine, del pezzo di terreno assegnato, dei diritti ad esso connessi, è d’altronde alla base dei miti fondativi di molte civiltà (si pensi alla fondazione di Roma, ad esempio) dunque a ben vedere anche questa è una dialettica di lungo corso.
Tra le violazioni di cui narra il romanzo c’è quella contro un immigrato diciannovenne clandestino e perciò particolarmente vulnerabile.
Jon è il moldavo che da clandestino raggiunge la madre in Italia, senza documenti è praticamente ‘inesistente’ per Primo Draghi che ne tollera la presenza nella tenuta i Cinque Pini, salvo poi non esitare a infierire su di lui non appena Jon rivendica una logica di rispetto delle regole che Primo Draghi invece con protervia vìola regolarmente. Il personaggio di Jon è un Davide contro Golia che esce sconfitto dallo scontro, ma è anche l’unico del romanzo, a parte gli altri ragazzini, che non viene mai meno ai propri ideali, a un integrità che non si colloca in un altrove storico o geografico, ma dentro di sé. Per questa ragione è anche l’unico che mantiene con gli animali, gli alberi e il mondo intorno un rapporto equilibrato, né strumentale né idealizzante. Pur non avendo un posto nella comunità civile, Jon è colui che sa bene qual’è il suo posto nell’universo.
Ci sono poi i traffici tra la politica e gli amministratori che dovrebbero tutelare il territorio, salvaguardandolo dalla distruzione ed evitando tragedie, come le frane che spesso causano morti, e proprio La frana s’intitola l’ultima parte del libro.
Nel mio romanzo ho esplorato una dimensione in cui responsabilità pubbliche e private si intrecciano. Lo sfruttamento del territorio in Italia è frutto di diverse cause convergenti. C’è un problema irrisolto di rapporto con la cultura contadina e agreste di cui il paese con furia e scarsa lungimiranza ha voluto liberarsi nel dopoguerra nella fase del boom economico. C’è un’idea di sviluppo che guida i governi e gli amministratori che si potrebbe giudicare irrazionale, perché basata sull’assunto che territorio e risorse siano infiniti e infinitamente rinnovabili. Manca il senso del limite e l’attenzione che ne dovrebbe conseguire. L’abbandono programmatico in cui l’agricoltura viene lasciata ne è eloquente testimonianza. Tuttavia la frana dell’ultimo capitolo non è solo la vendetta di una terra troppo abusata, è anche una metafora della caduta etica che questa sottende. La novità, triste novità, è l’ambientazione di questa vicenda nel nord progressista e simbolo di buon governo rappresentato dall’Emilia Romagna, in cui si svolge la vicenda. Il cliché nazionale vorrebbe relegare degrado umano e paesaggistico nel sud mafioso e povero, mentre ci è stato da più parti dimostrato che il nord è tutt’altro che indenne rispetto a queste vicende.
Nessuno è innocente, neppure il funzionario regionale Alberto Donelli, che parrebbe avere un animo da ecologista e una sensibilità politica, ma che finge di non vedere gli abusi edilizi che lo riguardano.
Alberto Donelli è un personaggio tipico del nostro tempo: sa, perché ha i mezzi per vedere e informarsi, ma gli mancano il coraggio e la determinazione per agire. Lungo tutto il romanzo rimane il perfetto spettatore di un disastro di cui comunque ha avuto avvisaglie e sentori. E quando potrebbe, in extremis, intervenire si lascia distrarre dalla sua questione privata: il trasloco nella nuova agognata casa nel verde. Il compromesso etico è la sua divisa, ci rappresenta nel profondo anche per la sua incapacità a riconoscersi in una comunità allargata, ostinandosi a considerare le sue scelte da una prospettiva individualista.
Due dei protagonisti del romanzo, l’imprenditore Primo Draghi e il moldavo Jon, entrano in scena attraverso un incubo notturno legato alla loro identità e alla percezione della realtà circostante: come mai?
Si tratta dei due personaggi opposti del romanzo, uniti da un nascere al mondo che li differenzia ma li unisce anche: entrambi devono costruire una loro identità, plasmare il loro essere e il loro agire. Simbolicamente rappresentano la responsabilità di ogni uomo che viene al mondo. Risvegliarsi è infatti un po’ venire al mondo. Ho scelto di rappresentare la loro vita onirica perché è un punto di osservazione privilegiato, nel sonno e nel dormiveglia emerge la contiguità fra il nostro essere e il mondo in forme molto più imprevedibili e forse veritiere di quanto il regime diurno lasci apparire. Primo Draghi attraversa una notte tormentata dopo la morte del padre, figura chiave per capire la sua volontà di ascesi sociale e di dominio; potrebbe essere una liberazione e da un punto di vista pratico lo è, poiché dopo la morte potrà ancora più di prima disporre di terre e progetti edilizi, tuttavia è anche il trauma che lo mette a nudo con se stesso. Il suo svegliarsi, ‘senza nome, come corpo nel corpo del mondo’ corrisponde a una perdita di sé momentanea ma violenta. L’ambiziosa costruzione di un’identità che è frutto di rivalsa sociale, di affrancamento rispetto alla cultura contadina del padre, lo abbandonano lasciandolo in quella specie di vuoto primordiale in cui è la materia a vivere, e non la coscienza con le sue proiezioni sul reale. Il contatto con questa nudità dell’essere produce smarrimento; il personaggio per il resto del romanzo connotato da forti volizioni e appetiti ci appare qui come inerme, in un atto di nascita che lo consegna al lettore da una prospettiva iper-ravvicinata, qual è quella della pura fisicità e di una coscienza svuotata. Speculare al risveglio di Primo Draghi è quello che occupa il secondo capitolo dedicato a Jon, il giovane moldavo, che per raggiungere la madre finisce a lavorare nella tenuta Draghi. Jon è l’antagonista e il contrario in positivo di Primo, le loro due ‘nascite al mondo’ preludono all’intreccio dei loro destini e costituiscono l’unico momento in cui le loro esistenze, così diverse, vengono accomunate nella dimensione intima della paura e della perdita di sé.
Primo Draghi è anche un finto contadino biologico, l’inganno è la sua morale. Volevi denunciare qualcosa dell’Italia di oggi?
Più che denunciare, volevo costruire un personaggio che incarnasse le contraddizioni di un sistema in cui ‘biologico’ è diventato un’etichetta per sciaquarsi la coscienza, e il coltivare la terra viene propagandato mediaticamente come un’attività idilliaca, quando è fatica e rischio e dedizione. Primo Draghi è figlio di contadini e ha sperimentato sulla propria pelle questa fatica, ma ha capito che oggi basta vendere il marchio, l’idea estetizzante di ritorno alla natura, per fare i soldi e prosperare, magari sulle spalle altrui; è anche l’unico personaggio che aspiri a una dimensione epica, perché è stato in grado di compiere come egli stesso dice di sé: trapassi definitivi, da contadino a speculatore edilizio.
Altro tema importante del romanzo è il rapporto con il corpo: i personaggi sono fortemente caratterizzati fisicamente.
Dei personaggi di Violazione ho voluto rendere gli aspetti corporei perché la nostra vita quotidiana è fatta di corpi, il nostro e quelli altrui, che ancora prima di esprimersi verbalmente mandano significati nelle pose, nell’apparire, nell’interazione con lo spazio circostante. La nostra cultura per molto tempo ha sminuito la profonda connessione fra sviluppo psichico e corporeità. Oggi che una sensibilità e una consapevolezza rinnovate ci spingono a porre molta – forse troppa – enfasi sui corpi, siamo in realtà sprovveduti nell’interpretarli, così capita che l’immanenza dei gesti tradisca o sopravanzi l’espressione verbale. Inoltre apprezzo molto dal punto di vista letterario le opere in cui i personaggi sono fisicamente presenti, con tutto il loro portato di esperienze sensoriali.
E a proposito di corpo: in copertina di Violazione c’è un San Sebastiano con il corpo di uomo e la testa di cervo, immagino non sia stata una scelta casuale.
San Sebastiano è l’icona del martirio ingiusto, tanto più intollerabile in quanto di solito viene raffigurato come un giovane bello, nel pieno delle forze e della vita, trafitto da frecce. L’illustrazione usata per la copertina è un’elaborazione realizzata da Marco Cazzato del celebre dipinto di Antonello da Messina, ora conservato a Dresda. Lo sfondo non è più quello di una città ideale, come nel dipinto di Antonello, bensì un bosco con gli alberi color blu elettrico, in risalto su un fondo rosso che suggerisce un incendio, o un cielo infuocato. La testa del santo è quella di un cervo. Siamo quindi davanti a un’immagine antropomorfa, o a un ibrido tra uomo e animale. Poiché il tema del rapporto con la dimensione animale è al centro del romanzo, quest’immagine mi sembrava emblematica. La scrittrice Laura Pugno, recensendo il romanzo, ha colto con finezza anche l’aspetto rituale dell’immagine, molto simile a quelle graffite o dipinte nelle grotte preistoriche. A lungo infatti la vicinanza con l’animale, l’indossarne le pelli o assumerne le sembianze, è stato un modo per acquisirne i poteri, per carpire il segreto di un equilibrio con l’ambiente in cui gli animali si muovono. Inoltre il romanzo si chiude con un’inutile sacrificio, che la copertina anticipa visivamente.
2 settembre 2012 alle 10:12
Nella nota iniziale forse ti è sfuggito un “Alto” prima di “Adige”.
2 settembre 2012 alle 10:56
Grazie. Ho corretto.
2 settembre 2012 alle 10:58
Grazie Giulio.
Solo una piccola precisazione: una versione, purtroppo molto ridotta, dell’intervista si trova oggi non sull’Adige (quotidiano di Trento) ma sull’Alto Adige (quotidiano di Bolzano). Chi vive da queste parti sa che bisogna stare attenti a non confondere il Trentino con l’Alto Adige.
2 settembre 2012 alle 10:59
Come non detto, sei stato più veloce di me…
2 settembre 2012 alle 11:26
Veramente io confondevo “L’Adige” (quotidiano di Trento) con “L’Alto Adige” (quotidiano di Bolzano). E vabbè.
3 settembre 2012 alle 15:11
Grazie, ottima intervista.