di giuliomozzi
Il ricordi d’infanzia raccolti, dall’invito del 12 luglio in qua, hanno in questo momento (ore 09.51 del 2 agosto 2012) superato il numero di 400. Grazie a tutte e tutti.
Nel frattempo sono successe alcune cose interessanti:
– il 28 agosto sarò – su invito di Vittorio Macioce – al Festival delle storie, dove non farò altro che leggere in pubblico una sequenza di ricordi d’infanzia;
– mi ha scritto una persona che fa parte del progetto Codance – Abitare corpi, abitare luoghi dell’Università di Torino; il suo gruppo sta per cominciare a lavorare a una coreografia sul tema del ricordo: e mi ha chiesto di dare una sbirciata a quelli che mi sono stati mandati. Se son rose, fioriranno.
– ho segnalato l’iniziativa ad alcuni editori, piccoli e grandi, per piccoli e per grandi. Ho ricevuto delle risposte interessanti e interessate. Non certo delle proposte vere e proprie – quelle, eventualmente, arriveranno quando ci sarà un testo dotato di una certa forma. Ma, insomma, ho l’impressione che non ci sarà il problema di trovare un editore: ci sarà semmai il problema di scegliere (il che, ovviamente, è tutto fuorché un problema). A me piacerebbe fare un’edizione almeno doppia, se non addirittura tripla o quadrupla: un’edizione “per grandi”, con un’ampia scelta di ricordi; una “per piccoli”, con una scelta molto più ridota e debitamente illustrata; una “d’artista”, con un ricordo sulla pagina sinistra e un’illustrazione sulla pagina destra, magari in pochissime copie; una “unica”, con i ricordi scritti di proprio pugno dai titolari dei ricordi stessi… Eccetera.
– sto cominciando a pormi seriamente il problema della riscrittura. Non che prima non ci avessi pensato: ma è solo con una certa quantità di materiale davanti che posso cominciare a ragionare concretamente. La mia idea iniziale (vedi) era di comporre un testo con tanti ricordi scritti tutti nello stesso modo, “come se, insomma, questi ricordi d’infanzia fossero (fossero leggibili come) i ricordi di una sola persona dall’infanzia enorme, smisurata, infinita”. Il lavoro di riscrittura – che non potrà essere, come speravo, un semplice lavoro di “aggiustamento” – dovrà riuscire a ottenere due effetti: una sorta di “spersonalizzazione” o “sprivatizzazione” dei ricordi, eventualmente accettando anche una certa monotonia (= unicità di tono); e, proprio attraverso questa via, una sorta di “universalizzazione” o “pubblicazione” (= far diventare di tutti) dei ricordi stessi. Non sarà facile; e sarà non poco lavoro.
A questo punto, però, vorrei fare un appello alla gente di teatro. Ho come la sensazione che da tutti questi ricordi si potrebbe ricavare uno lavoro teatrale: piccolo, leggero, maneggevole, facile da portare in giro. A qualcuno interessa?
2 agosto 2012 alle 10:28
Davvero meraviglioso! Trovo stupendo anche l’eventuale coté teatrale. Oggi ti mando il mio ricordo. Un caro saluto, Bettina
2 agosto 2012 alle 10:48
Certo tutti, suppongo, abbiamo cercato di usare un linguaggio semplice che, comunque, non sarà facile omogenizzare.
Ma mi chiedo, anche pensando al teatro, dovrebbero essere due voci: bambine e bambini. O no?
2 agosto 2012 alle 10:51
Ciao, Giulio. Bello sentire tanto entusiasmo. L’infanzia accomuna tutti gli uomini di questa terra, e ridimensiona e mette a fuoco e chiarisce, addolcendo e facendo vibrare, e fa ripartire dal giusto punto. Complimenti, il successo dell’iniziativa sta sempre nella possibilità di condivisione.
2 agosto 2012 alle 12:05
E da qui a settembre ne succederanno altre, di cose, me lo sento. Agosto sembra un mese fermo, in realtà le persone pensano, riflettono, si fanno fiorire le idee…
2 agosto 2012 alle 12:08
Sull’omogeneizzazione non avrei problemi, anche se un ulteriore punto di vista interessante potrebbe essere quello della molteplicità di voci ovvero la percezione che un ricordo sia “in compagnia”, non so se rendo l’idea. Senza contare che la differenza, nella voce e nello stile, potrebbe conferire ritmo e vivacizzare. Ad ogni modo, qualora fosse scelto anche il mio ricordo, potrei spersonalizzarlo. Ribadisco il mio entusiasmo sull’idea.
Un saluto a tutti.
2 agosto 2012 alle 13:02
Pensavo pure all’entrata nella parola. All’etimo.
Ricordo, ricordare, recŏrdari, re- (cor) cordis, ricordanza, riaccordare…
Sicuramente c’è dentro la musica, il tempo.
Una volta gli orologi erano a corda.
Ops, sono uscita fuori tema…
2 agosto 2012 alle 13:16
Ma sì, Valentina, una specie di concerto… Pure, sarebbe possibile.
D’altronde la memoria quando fa suonare una evocazione può benissimo passare ad un’altra con cambio di tono, di “umore”, per così dire…
Bisognerà vedere cosa deciderà l’autore.
2 agosto 2012 alle 14:44
Ottimi aggiornamenti e ottime proposte per il futuro.
Complimenti!
P.S.: mi accodo a quanti si erano proposti di dare una mano per l’editing o quant’altro. Se serve basta un fischio (in questo caso, una mail).
Grazie.
2 agosto 2012 alle 15:01
Molto interessante. Metto a disposizione le forze del mio piccolissimo teatrino imbucato in una foresta tra il lago d’Orta e il lago Maggiore (se volete sbirciare http://www.teatrodelleselve.it).
2 agosto 2012 alle 16:31
mi viene in mente la rotativa di christian boltanski nell’installazione ‘chance’ alla biennale d’arte cont. di venezia l’anno scorso – padiglione francese
2 agosto 2012 alle 16:37
ma anche ‘rayuela’ – j.cortazar – con le tre opzioni di lettura (e il gioco nella sua variante argentina, dalla terra al cielo)
2 agosto 2012 alle 19:14
a me piace cosa ha scritto Sabrina, cambia qualcosa da un ricordo all’altro, anche l’umore, o l’attenzione, e l’oggetto dell’attenzione, così può cambiare la voce. Rimane però qualcosa di uguale, io che guardo me stessa o l’oggetto che, io, guardavo (ascoltavo, sentivo, pensavo, sognavo ecc.). Questo non so come si possa fare, se sia possibile come lo immagino (per esempio, tanti film che vogliono mostrare cose impossibili ci riescono molto bene, si avvicinano a mostrarci qualcosa di impossibile, ma non ci convincono del tutto, o sbaglio?) (pensavo al film dell’uomo che si fa i tatuaggi sul corpo per non perdere le informazioni che la sua memoria non tiene, oppure altri).
ciao, monica
2 agosto 2012 alle 19:53
ho lavorato in teatro, ho studiato drammaturgia, e per me il mondo del teatro ha sempre avuto una fascinazione particolare… la gente di teatro (che ho incontrato io) è lievemente… tribale, se così posso esprimermi. Ma quanti straordinari artisti ha oggi il teatro italiano! Sento già l’occhio di bue scaldare la scena…
2 agosto 2012 alle 22:54
Un lavoro teatrale sui Ricordi d’infanzia è pericoloso, rischia di vanificare l’aspetto corale del testo scritto, che appartiene a tutti e a nessuno in particolare (come è sempre nel caso dell’inconscio collettivo). Immagino che non si possano far venire duemila bambini a recitare ciascuno uno dei testi, e forse, nell’ipotesi fantascientifica di una possibilità del genere, sarebbe più interessante se a farlo fossero duemila vecchi o per lo meno adulti (che poi in fondo ne sono proprio gli estensori). Forse non ho abbastanza amore per il teatro da sposare l’idea che il mio testo venga “recitato” (come spesso succede, vista la giggioneria del teatro odierno) da un attore professionista. La questione è complicata, caro Giulio Mozzi, e ci vorrebbe un grande artista per la regia di una simile impresa. Io non sono quel d’esso. Tu si?
Più interessante invece mi sembra l’idea di un’edizione che accosti a una scelta di ricordi illustrazioni di mano degli stessi che li hanno mandati, ma sai le difficoltà? non sempre l’alfabetismo letterario è accompagnato da alfabetismo visivo e allora l’eventuale cambio di cavallo può risultare disastroso. Anche in questo caso ci vuole una regia visiva con compiti veramente colossali. La vedo dura. Infatti le difficoltà sorgono proprio dal fatto che i ricordi sono infantili, ma a sfrucugliare nel “tempo perduto” sono degli adulti. Il cortocircuito è interessante, ma per me non si adatta al teatro e forse solo un po’ di più all’illustrazione visiva.
Niente, butto giù queste riflessioni su quanto si è prospettato ultimamente, perché l’idea del libro mi piace molto e io ne sarò senz’altro un acquirente. Non voglio essere invadente o indelicato, ma spesso una buona idea deve rimanere nei propri confini. Nel caso del libro, mi sembra che un tuo diritto-dovere sia quello di un’introduzione. Qui si parrà la tua nobilitate, ma io non ho dubbi che le premesse di una buona cosa ci siano tutte. Buon lavoro.
3 agosto 2012 alle 07:50
e carlo? carlo dalcielo, in tutto ciò? si farà sentire, spero. l’occasione sembra ghiotta
3 agosto 2012 alle 10:30
“L’amore ha sempre fame”, Manu. Ho già pronto l'”allor”.:-)
3 agosto 2012 alle 11:05
Federico, scrivi:
L’immagino anch’io. Per questo non mi sono nemmeno sognato di pensare, e tantomeno di proporre, una cosa del genere.
Questo forse, magari non con tutti presenti, si potrebbe fare in occasione di una festa di presentazione del libro. Ma, Federico, queste tue due ipotesi partono da un presupposto: ossia che i ricordi d’infanzia vengano inseriti nel libro tali e quali, senza nessun lavoro di riscrittura.
Non è di operazioni “gigionesche” che vado in cerca. Non mi sembra di aver dato àdito a timori del genere.
Puntualizzo che questa è un’idea tua: io non ho ipotizzato questo.
Ma ti faccio notare, ancora, che le tue riflessioni non sono su “quanto si è prospettato”, ma su ipotesi che non sono state – sicuramente non da me – prospettate.
Sì. Si tratta però di capire, facendo degli assaggi, quali e dove sono questi confini.
No: il mio “diritto-dovere” consiste nel produrre un testo che che sia leggibile come se “questi ricordi d’infanzia fossero i ricordi di una sola persona dall’infanzia enorme, smisurata, infinita”. Questo scrivevo (vedi) nella prima proposta.
3 agosto 2012 alle 11:25
L’idea di un libro di illustrazioni (potrebbero esserci addirittura due libri, uno narrativo e l’altro solo di illustrazioni da pensare con calma, come un insieme di tavole) non è affatto male. Potrebbe essere utilizzato persino in futuro a scopi didattici nelle scuole elementari o in altre sedi.
Il discorso teatrale è difficile e da valutare con attenzione, son d’accordo con Federico de Leonardis, anche per la mole del materiale che non può essere riducibile senza la perdita del senso di dilatazione temporale che l’autore vuol dare. Penso invece che le illustrazioni non debbano necessariamente essere fatte dagli autori delle memorie. Alcune di esse, prodotte da artisti, potrebbero invece essere incluse nel libro.
In effetti, Giulio Mozzi vuol creare un’opera, non una mera raccolta di ricordi scritti da altri. Lui dice, semplicemente, datemi la materia.
3 agosto 2012 alle 11:46
Ti vedo tra gli ospiti, in quel di S. Donato Val di Comino. Non è lontano dalla mia zona, ci faccio un pensierino.
3 agosto 2012 alle 12:00
A parte narrativa e arte visiva, l’altra forma espressiva che riesco a immaginare con quella materia è un’opera musicale strumentale. Stop.
3 agosto 2012 alle 13:51
Come appassionata di danza e dopo aver mandato anch’io un ricordo d’infanzia, non posso che essere contenta e curiosa! Aspetto sviluppi.
3 agosto 2012 alle 16:07
Secondo il mio modesto parere per dare unicità bisogna usare lo stesso tempo dei verbi, perché così non ci sono interruzioni di continuità, ovvero, dove ci dovranno essero, saranno nel punto giusto (come tra un tempo e l’altro – teatralmente parlando). Vibrissime congratulazioni.
3 agosto 2012 alle 16:32
Mi fa molto piacere che l’iniziativa abbia così tanto seguito e che tu la porti avanti con così grande entusiasmo. L’idea del libro con testo e illustrazioni è un’idea che accarezzo anch’io da tempo con una mia amica pittrice. Abbiamo già fatto una cosa piccola piccola insieme (racconto + quadro ad olio) che mi sembra anche di aver postato su fb qualche tempo fa.
Il lavoro di riscrittura non lo vedo facilissimo. Potrebbe essere carino fare una cosa in ordine cronologico (tipo dal ricordo dei più piccoli a quelli dei più grandicelli). Ad ogni modo grazie del lavoro che stai facendo e facci sapere
3 agosto 2012 alle 17:02
Pic: e infatti ho chiesto a tutti di usare il presente. Comunque interverrò: mi sono accorto che più aumenta il passaparola, meno – e ne intuisco le ragioni – i testi rispettano le indicazioni che ho fornite.
Maria Rosaria: quella dell’ordine “cronologico” è la prima ipotesi di lavoro. Poi vedremo come viene.
3 agosto 2012 alle 21:53
(Una curiosità, Giulio. Ma i papallini come pallano senza la bocca, eh?:-)
4 agosto 2012 alle 09:09
Una narrazioni teatrale penso sia in parte facile e in parte difficile facile perchè basta prendere il palinsesto di un classico per ragazzi (Huck Finn, Gianburrasca, Pel di Carota…) e riempirlo con i ricordi ricevuti. Difficile perchè questi ricordi devono essere incollati con “l’anima” del compilatore
4 agosto 2012 alle 09:39
Il piano dell’opera prende forma, almeno ai miei occhi. In un primo tempo avevo (si era) capito che il libro a farsi sarebbe stato uno sorta di zibaldone dei ricordi di molti. Perciò rimanevo perplesso quando Giulio si proponeva di dar forma, attraverso gli amarcord di tanti, “ai ricordi di una sola persona dall’infanzia enorme, smisurata, infinita”. Insomma pensavo che troppe voci, troppi modi, troppe diversità, si opponessero all’attuazione di un progetto unitario, di un qualcosa che camminasse coi piedi suoi. Stamattina leggo di riscrittura, e allora il piano acquista senso e peso specifico.
Fondere quelle voci e quei modi in un’unica mente è impresa che affascina, è una sfida che sa di epica Dickiana: dar luogo all’androide perfetto, colui che “avrà visto cose che voi umani eccetera” ma non possiede alcun ricordo tutto suo.
Buon lavoro, Giulio Tyrell.
4 agosto 2012 alle 09:46
Caro Mozzi, mi piace segnalare una iniziativa analoga che è n rete da qualche anno e che ha già prodotto due libri. Si tratta di un gruppo facebook “Quando io ero piccolo” nato per caso e su iniziativa di un papà che ha raccolto oltre 2000 iscritti che hanno depositato e condiviso centinaia di racconti e aneddoti. Il primo libro, prodotto e in vendita su ilmiolibro.it, è stato un piccolo successo editoriale: per molto tempo primo in classifica. I proventi vanno alla onlus annulliamo la distanza.
Se vuole saperne di più:
https://www.facebook.com/groups/quandoieropiccolo/
http://www.annulliamoladistanza.org/regali-solidali/quando-io-ero-piccolo-vol2-storie-da-condividere
Sarebbe bello organizzare una presentazione o un momento di condivsione dei due progetti.
Grazie
Augusto Montaruli
4 agosto 2012 alle 10:03
se penso a ‘il ricordo d’infanzia’ messo in teatro penso al testo come pre-testo per una trasfigurazione, per una nuova sintesi. chessò. un dettaglio ripetuto all’infinito, ingigantito, amplificato da suoni, da immagini. il trapianto di una direzione emotiva recintata e coltivata con innesti di (?). un coro di voci bianche che canti l’illusione di unicità decapitata dalla banalità della ripetizione del ricordo.
insomma. fuga dalle/delle idee, agitazione, insonnia, energia. stato maniacale per un’espressione – altra. alla fine. chissenefrega dei ricordi d’infanzia. ecco. li lascerei ai blocchi di partenza. fine
4 agosto 2012 alle 15:26
ops. avevo postato un commento ma non è passato. devo aver sbagliato quacchecossa digitando l’indirizzo
4 agosto 2012 alle 16:26
Carlo, a livello di immaginario qualcosa stride.
Da una parte i ricordi di infanzia, dall’altra l’androide.
Tutta questa attuale passione che sento per il robot, questi desideri aborti di una combinazione malata e delirante dell’umano divino col processore di laboratorio, di cui esser fieri come piccoli dei da applaudire piano, questo rifiuto sprezzante dell’umanità e delle sue infinite gioie, il rabbrividente senso di incompletezza colmato col prevedibile programmato che asseconda, mi fa venir voglia di andarmene nella landa di Luneburgo, con il sole dirimpetto, un violino e un gelato al limone.
Viva Dio, Giulio è un uomo.
4 agosto 2012 alle 18:37
Sabrina, ma l’androide di Blade Runner è un uomo, non un robot. E’ un uomo in quanto rielabora ricordi non suoi e li restituisce con un’intensità di sentimenti che a Dekhart manca del tutto. Sta qui il gioco sottile.
4 agosto 2012 alle 22:41
Lasciami Harrison Ford. Prendi pure il resto.
Quanto al romanzo, lasciami pensare che Blade Runner sia solo un libro.
Non ho la mente malata di certi scienziatini ridicoli e imbecilli.
Un lavoro come quello che farà Giulio è una umanissima operazione letteraria di uno scrittore che crede che Dio non abbia dimenticato nulla.
4 agosto 2012 alle 23:01
P.S. Due gelati sotto la luna, un concerto come una improvvisazione. I gelati freddissimi, natürlich, con menta fresca. E del vino. Apollo 11. Tra qualche giorno parto, Carlo. L’umanità mi piace da morire.
Questo è il vero gioco.
4 agosto 2012 alle 23:23
Grande rispetto per tutte le persone che hanno dato il loro contributo. Direi di più; direi non tradire tutti costoro. Emmica i testi sono dell’antologista: lui fare solo il lavoro d’insieme! I testi sono dei loro autori!
5 agosto 2012 alle 04:17
Ottima osservazione, Pic.
Le persone stanno inviando i testi, che sono piccoli preziosi racconti di vita, al fine dichiarato esplicitamente dall’autore, che è serio professionista. A me non andrebbe, per esempio, che il mio splendido ricordo d’infanzia finisca in pasto (se dovesse essere scelto a comporre) di un androide, pur solo personaggio letterario.
5 agosto 2012 alle 10:41
Manu, leggo ora il tuo commento. Non mi piacerebbe affatto una rappresentazione teatrale di questo tipo! Sembra il portare in scena un incubo, non un ricordo. E’ così, almeno, che immagino gli incubi (nella mia vita ne ho fatto pochissimi). La ripetizione del ricordo sembra patologica, almeno detta in quel modo. L’unicità è reale, anche se, per assurdo, dovesse essere scenicamente ripetuta a fini artistici. A quel punto si rappresenterebbe non il ricordo ma la situazione psicologica, chissà perché decisa alterata in un contesto onirico degenerante. Lo stato maniacale per un’espressione non lo capisco. (Paura?) Come mai ti è venuto in mente?
Io immagino invece qualcosa di estremamente sereno e gioioso, pur se non tutti hanno deciso o decideranno di raccontare un bellissimo ricordo. D’altronde non potrebbe così non essere visto che volontariamente le persone affidano alla maestria di Giulio Mozzi un ricordo della loro infanzia per farne un libro di respiro corale, con certo entusiasmo e desiderio di partecipazione dimostrati.
E poi si perderebbero, in questo modo, tutti gli elementi caratterizzanti l’opera che ha voluto dare in fase di partenza l’autore. Amo la precisione linguistica, la comunicazione, la scelta di un concetto piuttosto che non un altro, l’approvazione e la contestazione.
Simpliciter. Per questo, cara Manu, mi sono permessa, pardon.
5 agosto 2012 alle 11:48
@ Sabrina Greco
giusto per chiarire una volta per tutte: Tyrell è quello che li fabbrica, gli androidi, rendendoli, alla riprova dei fatti, meglio degli umani. Era questo il senso del mio primo post.
5 agosto 2012 alle 12:21
Carlo Capone!:-)
Nel mio immaginario fantascientifico ci sono umani che possono fare cose straordinarie, ma non creature ibride umano-artificiali concepibili come migliori degli umani.
A questo ci pensa la scienza, a quanto pare.
5 agosto 2012 alle 15:48
L’autore è Giulo Mozzi. OK. Nel mio commento ho scritto antologista forse usando il termine sbagliato. Mi rimane però la perplessità sul trattamento riservato ai ricordi, e in particolare sul limite cui questi ricordi possono essere adattati per i fini che l’autore s’è prefissi.
Mi capacito però di un suggerimento in ordine all’organizzazione spazio-temporale del progetto, là dove non si ricorra alla sequenza temporale, provare con quella geografica, al fine di dare una mappa dei ricordi. Fosse inoltre possibile senza il consenso dei “ricordisti”, sarebbe pratico creare un blog apposito e inviare a mo’ d’articolo ogni e-mail ricevuta, aggiungendo poi l’etichetta del luogo, dell’età, della regione, etc., così di poter vedere il risultato dei ricordi impaginati secondo una specifica etichetta (per esempio: etichetta Puglia – vedere l’ordine dei ricordi stilato in base alla regione; oppure scuola elementare – e così vedere com’è la resa dei ricordi in base a quest’ordine. Una scelta mista, può anche essere apprezzata: ricordi ordinati secondo l’età in un determnato contento o in quel luogo specifico. E così via…
Saluti.
5 agosto 2012 alle 17:14
Vabbè, ma tui mettiti nei panni di un androide che prova amore, affetto, passioni in generale, esattamente come un uomo. Un brutto giorno viene a sapere che sta per scadere e si incazza. Beh, al posto suo mi incazzerei pure io.
5 agosto 2012 alle 17:21
permettiti pure, sabrina, ci mancherebbe.
sereno, gioioso, meraviglia, entusiasmo, partecipazione, rispetto, piccoli preziosi racconti, splendido ricordo d’infanzia, struggente, struggente, struggente, struggente.
queste parole non mi suggeriscono nulla che vada oltre l’oratorio.
l’ho inviato, si, il mio ricordo d’infanzia, ma non lo considero così importante da considerare violato il rispetto in caso di stravolgimento, di qualsiasi tipo esso sia. sono solo curiosa.
quello che mi interessa è lo spostamento. se non avviene spostamento in me per qualcosa che leggo, che ascolto, che guardo in arte, significa che quella cosa non mi attraversa. tempo perso. tutto qua.
così per manu. non pretendo per altri.
5 agosto 2012 alle 18:18
Struggente è una parola che non ho usato.
Ci sono delle aspettative, Manu, che vengono generate facendo una proposta.
Non so, io non ho bisogno di chissà cosa per sentirmi coinvolta o meravigliata o turbata. Ritengo estremamente interessante, nel caso, proprio l’oggetto e la materia che si sta raccontando, il ricordo d’infanzia, la preziosità della coralità nella partecipazione e della valorizzazione di un periodo di vita che necessariamente fa pensare ad un serbatoio di emozioni e di sonorità fortunatamente non perduto.
Se tu rifletti, persino i bambini sono affascinati dai ricordi d’infanzia dei loro nonni.
5 agosto 2012 alle 18:27
Carlo, fa bene l’androide a reagire male.
La data di scadenza io la leggo sui prodotti che acquisto al supermercato o al mercato.
5 agosto 2012 alle 18:36
sabrina, non ho scritto che sono parole solo tue
‘persino i bambini sono affascinati dai ricordi d’infanzia dei loro nonni’.
embè?
non ho scritto che il ricordo d’infanzia in sè non sia interessante. ho voluto semplicemente comunicare la mia idea di creazione. per me trasporre ‘il ricordo d’infanzia’-libro in teatro è creare una cosa differente, nuova, pur senza prescindere da ciò che la origina. ho voluto provare a spingere il pensiero oltre. mica potrò scaldare la stessa minestra.
poi sai, certe cose mi vengono solo se le scrivo. dunque non credo di far paura a nessuno. ne tantomeno ho paura io. claro?
5 agosto 2012 alle 19:07
“Embè”?
Questo per dire, cara Manu, che al bambino (che tra l’altro è molto più esigente ed ha un’immaginazione molto più “fertile” e forse più sana rispetto all’adulto), basta un racconto d’infanzia (lui che l’infanzia la sta vivendo) per tenerlo immobile con gli occhi persi nel fantastico e le labbra socchiuse.
Riesce ad affascinarlo pure trovare l’elemento comune tra lui e l’adulto.
“E questo, é ancora cosí.”
Sono d’accordo con te nel creare anche una cosa differente, ma quella cosa deve essere felice o almeno serena, deve contenere un messaggio di fiducia e di speranza, non di sofferenza continuata e rappresentata, in sintonia, tra l’altro, con lo spirito gioioso e giocoso con cui si sta partecipando, e, permettimi ancora, con la vita.
5 agosto 2012 alle 19:36
Pic, la tua proposta è interessante. Ti invito a metterla in atto.
(Quanto a me, volevo fare un’altra cosa).
5 agosto 2012 alle 19:43
@sabrina (poi basta)
sul ‘deve’ ‘deve’…
amen
5 agosto 2012 alle 19:55
Eh… lo so…:-)
Forse perché non mi faccio trascinare. Volo, e “Volo ut sis”.
5 agosto 2012 alle 20:27
Giulio. La bocca al papallino? Dai, dimmi di sì. 🙂
6 agosto 2012 alle 00:29
Grazie Giulio, mi fa piacere, ma il mio era solo un suggerimento perché trovo che il ricordo d’infanzia sia una buona idea. La cosa più semplice forse è scrivere i ricordi come sono arrivati, e così non c’è nemmeno da complicarsi troppo la vita, perché poi, le cose troppo complicate, chi le va a vedere? Il mio suggerimento in effetti è complicato, e se ci penso, io farei un lavoro del genere come canovaccio, ma se anch’io avessi in mente già l’dea del lavoro che andassi a fare, non avrei bisogno di fare alcuna prova.
Grazie ancora.
6 agosto 2012 alle 05:59
Pic, scrivi:
Ma non corrisponderebbe allo scopo della cosa.
E non confondiamo la difficoltà (più che “complicatezza”) di realizzazione di un testo con la difficoltà di lettura. Il mio intendo è produrre qualcosa di facilissimo da leggere.
6 agosto 2012 alle 15:51
Oh, be’! Penso che una volta che uno ha in mente cosa fare e come fare, al di là del grande lavoro di messa a punto di un progetto quello che segue è la lenta o veloce realizzazione, il susseguirsi armonico della stesura dei materiali. La cosa che a me viene in mente è che la tenuta va collaudata prima di posare i mattoni perché il cambio in corso d’opera si fa più difficile. Era forse questo che volevo, più che altro, significare.
Buona continuazione.
7 agosto 2012 alle 02:10
Credo che tra testo da mandare in stampa e testo per il teatro ci possano essere differenze. Riguardo quello a stampa, non so, ma a teatro credo dovrebbe esserci una cornice entro cui collocare i ricordi. Immagino, così, un cappello di ricordi che passa tra il pubblico.Qualcuno infila una mano e tira fuori un biglietto (tra i tanti). C’è un numero, che viene letto. Al numero è associato un ricordo. Una voce. La voce dice il ricordo. Ricordo che può essere unione di vari ricordi, chi sa (non lo so, ma può darsi che nei ricordi ci siano situazioni simili, o semplicemente ricordi legati ad una stessa particolare età, tipo 4 anni, e quindi legarli tramite questa). Forse per uno spettacolo 400 e passa testi sono tanti, se organizzati in questo modo. Potrebbe essere organizzati altrimenti. Potrebbe essere il viaggio di un qualcuno in un paese di ricordi infanti. Potrebbe essere molte cose. Spero venga fuori qualcosa di interessante.
7 agosto 2012 alle 13:48
Pic, scrivi: “La tenuta va collaudata prima di posare i mattoni”. Mi pare ovvio.
Scrivi anche: “Penso che una volta che uno ha in mente cosa fare e come fare, al di là del grande lavoro di messa a punto di un progetto quello che segue è la lenta o veloce realizzazione”. Analogamente, solo un istante prima di esser morto, il signor De La Palice era vivo.
Ndr: scrivi: “tra testo da mandare in stampa e testo per il teatro ci possono essere differenze”. Mi pare ovvio.
La realizzazione che qui immagini, sinceramente, mi pare un po’ macchinosa. Mi par che se ne andrebbe più tempo a far girare il cappello, a estrarre bigliettini e a proclamar numeri, che ad ascoltare il racconto dei ricordi.
7 agosto 2012 alle 15:08
Sì, forse un po’ macchinosa per un luogo di teatro diciamo classico, ma per uno spazio piccolo non tanto. Avevo pensato ad uno spazio più piccolo per via del fatto che doveva essere maneggevole e facilmente portabile, e legando più ricordi insieme le estrazioni sarebbero comunque limitate (rimane comunque macchinoso? ok). Tutto ciò dipende anche dal numero di ricordi che si vogliono utilizzare, dal fatto se questi possano essere accorpati, dai luoghi in cui si vuole portare lo spettacolo, e cose simili. Dal luogo della rappresentazione dipendono vari fattori a mio avviso. Se si pensa ad un luogo teatrale con un palco sopraelevato e di fronte una platea, o se ad un altro in cui attori e spettatori siano sullo stesso piano, e così via, la rappresentazione può essere fatta in modo diverso. Se si vuole uno spettacolo da un’ora, o uno da mezz’ora, o uno da tre ore (per dire, esagerando), non si potrà certo scriverlo con le stesse modalità, ma adattarlo. Ho visto spettacoli da una platea, ho camminato in mezzo a scenografie coi personaggi che interagivano con lo spettatore (ogni spettatore “partiva” ad intervalli di cinque minuti e si attraversavano più stanze), ho assistito ad un lavoro teatrale agito sotto un tavolo (4 o 5 spettatori per volta). Il materiale narrativo di questi ricordi, così frammentato, mi sembra possa essere organizzato in tanti modi, l’importante è capire che tipo di spettacolo si ha in mente. Uno spettacolo “maneggevole e facile da portare in giro”… ma per una compagnia di più persone è maneggevole quello che per una sola persona è improponibile, magari. La materia di partenza mi sembra molto interessante, e son proprio curioso di vedere come sarà adattata.
7 agosto 2012 alle 17:57
Ndr, non ho dubbi che uno spettacolo da un’ora o uno da mezz’ora o uno da tre ore non possono essere scritti “con le stesse modalità”. Mi pare, come dire?, ovvio.
Uno spettacolo, per essere “maneggevole e facile da portare in giro” deve essere fatto in modo da poter essere realizzato anche in luoghi molto diversi; quindi non deve essere previsto per uno spazio definito o con caratteristiche particolari. Credo.
Scrivi:
Ma c’è una cosa che tende a essere piuttosto proporzionale al numero delle persone coinvolte (non solo sulla scena): il costo.
E anche questo mi pare, ndr, splendidamente ovvio.
7 agosto 2012 alle 21:52
E’ ovvio. E’ bella anche l’idea che Il ricordo d’ifanzia diventi uno spettacolo itinerante che si ricostruisce di volta in volta, e dove magari gli spettatori portano a teatro il loro ricordo e su questi ricordi si costruisce lo spettacolo; questo Ricordo d’infanzia però diventa sempre di più! Sono previste repliche su Marte?
8 agosto 2012 alle 10:22
altro che repliche su marte, ci sarà pure una rubrica televisiva! L’ALMANACCO (del giorno dopo) DEL RICORDO D’INFANZIA
sigla di apertura: boh (su responsabilità di mozzi)
inizia con l’indicazione dell’ora in cui il sole sorgerà e tramonterà e l’ora in cui la luna si leverà e calerà il giorno successivo alla messa in onda.
a seguire breve storia del ricordo del giorno con immagini tratte dall’edizione illustrata.
successivamente ‘domani avvenne’ con la messa in onda di uno spaccato dell’opera teatrale dedicato al ricordo del giorno.
poi la rubrica nella rubrica, ovvero, ‘conosciamo l’italiano?’ (di marchiana memoria) in cui giuliomozzi cita a memoria il sabatini coletti su parole di volta in volta selezionate all’interno del ricordo del giorno.
in chiusura a scelta:
* un consiglio su lettura o scrittura di giuliomozzi
* una citazione famosa
* un silenzio di un secondo il primo giorno, di due secondi il secondo giorno, e via così fino al 365quesimo giorno dell’anno, con collage di immagini prodotte per ‘il ricordo d’infanzia’ che passano sullo schermo come in una rotativa e di giorno in giorno aumentano, di un secondo.
sigla di chiusura: brian eno (su responsabilità di mozzi)
la conduzione la farei fare a lucia annunziata
8 agosto 2012 alle 13:15
Bella idea! Il ricordo d’infanzia una trasmissione quotidiana della durata di un 72simo di giorno, con interviste di strada alla persona qualunque. Provare con Satelite 2000.
8 agosto 2012 alle 15:34
a me l’iniziativa piace moltissimo. I libri collettivi sono sicuramente una grande storia e bravo a chi vorrà raccoglierla. Ho appena inviato il file del mio “ricordo”, un’immagine che da tempo mi girava in testa. Forse aveva bisogno di uscire per una boccata d’aria con amici!
9 agosto 2012 alle 15:43
Non trascurerei la Radio perché è una bella cassa di risonanza per Il ricordo d’infanzia Network. Una trasmissione di quindici minuti intitolata Il ricordo d’Italia: 150 ricordi per 150 puntate e un ricordo per ogni puntata.
Ci vuole un’intera squadra per stare dietro a tutto ‘sto po’ po’ di lavoro.
Buon lavoro!
10 agosto 2012 alle 22:48
Questa mia è una replica alla risposta tua al mio precedente commento sulle proposte che ho visto in questa rubrica circa l’estensione della tua idea puramente letteraria al teatro e all’illustrazione.
Proprio non ci siamo capiti: dicevo che non mi piace l’idea di assistere alla recitazione da parte di un attore di tutti i testi che tu raccogli e selezioni e “per assurdo” (perché impossibile da realizzarsi) avevo ipotizzato una recitazione infantile o degli stessi estensori dei testi. Quanto a un libro illustrato, ma forse ho capito male, dicevo che ci voleva un grande artista o meglio più grandi artisti per realizzarlo, cosa francamente impossibile.
Quanto ai confini, concordo pienamente, meno però sull’unità della “voce”, che inevitabilmente ne sortirebbe se tu correggi troppo i testi che ti arrivano: una correzione forse, in certi casi, è necessaria, ma minore possibile: A mio avviso l’interesse della tua idea viene proprio dalla pluralità delle voci e dei loro stili. E’ tutto. Ripeto: buon lavoro
11 agosto 2012 alle 06:08
Federico, scrivi:
No, Federico: fai prima a scrivere che la mia idea non ti sembra interessante. Perché la mia idea, come ho scritto fin dall’inizio, va proprio nella direzione opposta:
Puoi dire che la mia idea non ti sembra interessante; puoi dire che secondo te è un errore immaginare tutti i ricordi “scritti tutti nello stesso modo”; ma non puoi dire che la mia idea ti sembra interessante “proprio per la pluralità delle voci e dei loro stili”. Perché quella non è la mia idea, ma l’esatto contrario.