Come si fa un sondaggio

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Marte, 2008. La sonda Phoenix.

Marte, 2008. La sonda Phoenix. Ma l’articolo parla d’altro

di giuliomozzi

Il quotidiano Il Giornale ha avviato un sondaggio tra i lettori. Questo è il testo che lo introduce:

Dentro o fuori dall’euro. La moneta unica sembra avere i giorni contati. In Grecia è tutt’altro che un’ipotesi peregrina. In molti Paesi d’Europa si moltiplicano i partiti estremisti che sono disposti a portare in parlamento la battaglia per dire addio a quell’Unione europea che non è stata in grado di fronteggiare tempestivamente la crisi economica.
D’altra parte un numero sempre maggiore di europei è fermamente convinto che l’Ue è un’istituzione inutile e, ancor peggio, che l’operazione euro debba essere considerata come “fallimentare”.
I sacerdoti della moneta unica prospettano catastrofi per chi la lascia ma la Francia non si è fatta spaventare. Eppure più la crisi economica miete vittime tra gli Stati del Vecchio Continente e più la speculazione brucia euro di capitalizzazione sui mercati finanziari, più l’addio all’unione monetaria si prospetta come una strada percorribile. Insomma, non è più una bestemmia. D’altra parte anche la numero uno del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde, ha dato non più di tre mesi di vita all’euro. Secondo un sondaggio condotto dall’Istituto Swg in esclusiva per Agorà, la fiducia degli italiani nell’Unione Europa è letteralmente crollata: nel 2012 si è attestata al 32% registrando una perdita di più di 20 punti percentuali (-22%) rispetto a soltanto due anni fa. Nel 2010 viaggiava, infatti, intorno al 54%. Non è solo l’Europa dei tecnocrati a non piacere più agli italiani. Anche i mal di pancia nei confronti dell’euro hanno raggiunto livelli preoccupanti: la fiducia degli italiani nella moneta unica è calato al 35%. Tanto che un numero sempre maggiore di intervistati è favorevole a un’eventuale uscita dell’Italia dall’Unione europea perché dall’ingresso nell’Eurotower il Belpaese ha tratto più svantaggi che vantaggi.
E voi cosa ne pensate? Votate il nostro sondaggio

Alcune noterelle:

Dentro o fuori dall’euro. La moneta unica sembra avere i giorni contati. In Grecia è tutt’altro che un’ipotesi peregrina. In molti Paesi d’Europa si moltiplicano i partiti estremisti che sono disposti a portare in parlamento la battaglia per dire addio a quell’Unione europea che non è stata in grado di fronteggiare tempestivamente la crisi economica.

I singoli stati sarebbero stati più in grado di fronteggiare tempestivamente la crisi economica? I singoli stati sono e saranno più in grado di fronteggiare la crisi economica?
Vi sono previsioni su ciò che potrebbe accadere in Grecia col ritorno alla dracma?

D’altra parte un numero sempre maggiore di europei è fermamente convinto che l’Ue è un’istituzione inutile e, ancor peggio, che l’operazione euro debba essere considerata come “fallimentare”.

Se ieri un europeo era fermamente convinto ecc., e oggi due europei sono fermamente convinti ecc., posso dire che oggi gli europei fermamente convinti ecc. sono il doppio di ieri.
Questo per dire come espressioni del tipo “un numero sempre maggiore” hanno la divertente caratteristica di non significare nulla.
Peraltro, se un numero x di europei è convinto – magari fermamente – di una certa cosa, ciò non comporta che la loro convinzione sia vera. Potrebbero sbagliarsi. (Anche se tutti gli europei fossero convinti di una certa cosa – più o meno fermamente -, ciò non ci direbbe nulla sulla verità di ciò che è oggetto di più o meno ferma convinzione).

I sacerdoti della moneta unica prospettano catastrofi per chi la lascia ma la Francia non si è fatta spaventare.

Scommettiamo che la parola “sacerdoti” è stata usata allo scopo di dare l’impressione che chi confida nella moneta unica basi la sua fiducia non su informaizoni e ragionamenti, bensì su una fede irrazionale?
Io scommetto.
Ma è vero? E’ vero che chi confida nella moneta unica basa la sua fiducia non su informazioni e ragionamenti, bensì su una fede irrazionale?

Eppure più la crisi economica miete vittime tra gli Stati del Vecchio Continente e più la speculazione brucia euro di capitalizzazione sui mercati finanziari, più l’addio all’unione monetaria si prospetta come una strada percorribile.

Ma ha senso percorrere una certa strada solo perché è percorribile? Non sarebbe più sensato percorrere una certa strada – anche qualora fosse ardua da percorrere – perché porta lì dove vogliamo andare?
E, a proposito: i signori de Il Giornale hanno delle idee su dove sarebbe bene (o almeno meglio, o almeno meno peggio) andare?

Insomma, non è più una bestemmia. D’altra parte anche la numero uno del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde, ha dato non più di tre mesi di vita all’euro.

Falso. La signora Lagarde non ha sostenuto – come chiunque capisce leggendo l’articolo de Il Giornale – che l’euro è spacciato. Ha sostenuto che, volendo salvarlo, bisogna fare presto: agire entro tre mesi, e comunque prima possibile.
Poiché la scelta stilistica è quella di ricalcare il linguaggio medico, diciamo: tra dire che “per salvare il paziente bisogna intervenire entro tre mesi” e dire che “il paziente ha tre mesi di vita”, c’è una bella differenza.

Secondo un sondaggio condotto dall’Istituto Swg in esclusiva per Agorà, la fiducia degli italiani nell’Unione Europa è letteralmente crollata: nel 2012 si è attestata al 32% registrando una perdita di più di 20 punti percentuali (-22%) rispetto a soltanto due anni fa. Nel 2010 viaggiava, infatti, intorno al 54%. Non è solo l’Europa dei tecnocrati a non piacere più agli italiani. Anche i mal di pancia nei confronti dell’euro hanno raggiunto livelli preoccupanti: la fiducia degli italiani nella moneta unica è calato al 35%.

Ma: in che cosa hanno fiducia, queste persone? Perché, magari, non è che chi non ha fiducia nell’euro automaticamente confidi nella lira. Non è che chi non ha fiducia nell’ “Europa dei tecnocrati” abbia fiducia nell’Italia dei partiti.

Tanto che un numero sempre maggiore di intervistati è favorevole a un’eventuale uscita dell’Italia dall’Unione europea perché dall’ingresso nell’Eurotower il Belpaese ha tratto più svantaggi che vantaggi.

Si potrebbe avere una lista di vantaggi e una lista di svantaggi? Così, tanto per capire di che cosa si parla.

E voi cosa ne pensate? Votate il nostro sondaggio

E voi cosa ne pensate? Vi pare che il lettore sia stato adeguatamente introdotto al sondaggio?

17 Risposte to “Come si fa un sondaggio”

  1. iurimoscardi Says:

    Ho sempre più il sospetto che al Giornale qualsiasi cosa faccia brodo pur di dare contro a qualcuno e pro a qualcun’altro.
    Che senso avrebbe avuto titolare in prima pagina, dopo le elezioni amministrative in Germania di un mesetto fa dove la CDU ha perso voti, FIGURA DI MERKEL? Fa persino spavento quante sottili e subdole operazioni mettano in atto per sostenere non una tesi ma un dogma ritenuto valido a prescindere da tutto.

  2. Greco Sabrina Says:

    Per la precisione, Unione economica e monetaria. Attenzione all’antieuropeismo.

  3. Giulio Mozzi Says:

    Be’, Iuri, non è che a es. “Repubblica” sia diverso. Sono un po’ meno volgari, ma solo per ragioni di marketing.

  4. Barbara Buoso Says:

    Ho studiato poco, purtroppo, la storia; tuttavia il bel trattato di Federico Chabod parla di “indottrinamento della popolazione” può aggiungere qualcosa a questo ‘articolo’.

  5. iurimoscardi Says:

    Sì anche Repubblica è identica, ma dall’altro versante politico.

  6. germana Says:

    esempio di disinformazione che potremmo definire “da manuale” …. peccato che i disinformati siano spesso persone con scarso senso critico e amino gli accenti forti e i contenuti negativi ritenendoli sinceri rivelatori di verità che i “governanti” vogliono tenerci nascoste 😦

  7. virginialess Says:

    L’ “articolo” è superficiale, settario e demagogico. D’altra parte un discorso serio sulla moneta richiede qualche competenza di base.
    Impossibile svolgerlo in questo spazio…
    Sarebbe poi opportuno valutare nello specifico le pecche dei nostri organi d’informazione, che non sono poche. Un qualunquistico far d’ogni erba eccetera è in questo periodo più pericoloso che in altri.

  8. Carlo Capone Says:

    La crisi che ha travolto, si spera fino a un certo punto, l’Europa si è originata in America, a causa della dissennata politica del vivere a prestito di quel paese, che nel decennio bushiano si era ingigantita fino alla concessione di mutui per l’acquisto di una casa anche a chi guadagnava 1000 dollari al mese. Le banche americane cartolarizzarono questi ingenti crediti vantati nei confronti di quei poveri sventati, facendone dei bond veri e propri. I bond furono a loro volta scambiati con altre banche, fino raggiungere anche 4 volte il valore iniziale. Il gioco si reggeva sul concomitante aumento dei prezzi delle case, un fenomeno che costituì il ‘sottostante’ di quegli infernali strumenti finanziari. Per questo motivo le banche tedesche, francesi, inglesi, spagnole, iralndesi, islandesi, portoghesi, se ne rimpinzarono ascrivendoli a bilancio e così vivificando i loro conti. Ma il gioco non poteva durare a lungo, moltissimi dei poveracci che avevano acquistato senza neppure un dollaro in tasca(le banche anche i mobili nuovi gli davano) dopo le prime rate di mutuo smisero di pagare. Scattarono i pignoramenti, i prezzi crollarono e si arrivò al punto che quei bond, garantiti da crediti verso nullatenenti, caddero in picchiata, e le banche che ne erano piene si trovarono in una spaventosa crisi di bilancio. Alcune, come Lehman Brother (una delle più importanti banche d’affari USA, cui l’immarcescibile Moody’s aveva da poco assegnato il massimo rating di affidabilità, la tripla AAA) crollarono come le due torri. Fu l’inizio di una catastrofe, le banche europee, specialmente le irlandesi e le tedesche, erano esposte con Lehman e appunto rimpinzate di quei titoli ‘tossici’. Qui ci fu l’errore capitale dell’Amministrazione Bush: non intervenire nel salvataggio di Lehman. Una bufala di matrice economico- finanziaria- politica (lassaiz faire, lassaiz faire!) che generò un tal panico da forzare i governi ai primi interventi di pronto soccorso nei confronti degli istituti di credito. Solo allora Bush capì che razza di catastrofe aveva favorito – nel frattempo le Borse di tutto il mondo avevano subito crolli devastanti, le banche non concedevano crediti, la domanda di beni crollava, le imprese fallivano – e dispose il cosiddetto QE1, il Quantitative Easing, un intervento della FED di 700 miliardi di dollari a favore di banche e mercati. (L’America tali esborsi può permetterseli perchè poi, come si è visto all’epoca e in volte precedenti, stampa i dollàri e buonanotte). Dunque il non essere intervenuti nel salvataggio della Lehman costò in seguito il quadruplo e soprattutto terrorizzò i mercati, i quali da quell’astensione paventarono che la FED non era disposta a salvare nessuno (come accaduto nel 29) e che quindi le banche sarebbero cadute come birilli. Il primo QE1 servì come toppa, ma ormai le imprese fallivano, i poveracci venivano gettati sul lastrico e le banche bussavano a soldi presso gli Istituti di Credito Centrali. In questo clima ci fu l’elezione di Obama, il quale si trovò nel mezzo di un diluvio e fu costretto ad altri interventi a sostegno. A sei mesi dalla sua elezione ci fu infatti il QE2, che tranquillizzò gli animi e impedì una catastrofe planetaria. Ma è convinzione dei maggiori economisti che se Bush si fosse svegliato dalla sua letargia neoliberista e salvato la Lehman, molti dei guai venturi sarebbero stati evitati. Tutto ciò accadde nel biennio 2007 – 2009.

    Nel 2010 la tempesta si era placata, i paesi europei rifinanziarono le banche (non l’Italia, che era stata l’unica fra i Grandi a non aver istituti di credito intossicati, su questo Tremonti aveva ragione) e soprattutto diedero il via a massicci programmi di sostegno per quelli che nel frattempo avevano perso il lavoro. Su tale versante l’Italia non poteva essere da meno, le aziende dichiaravano lo stato di crisi e scattava la cassa integrazione. Erano soldi sottratti al bilancio nazionale che andavano a pesare sul deficit pubblico, per tutti, ma per quei paesi come il nostro, che avevano già un debito alto, una esposizione di tal genere fu esiziale. Il rapporto debito complessivo /pil in due anni schizzò da 105 a 125 %.
    Siamo ai primi del 2011, l’Italia soffre assenza di sviluppo, l’inflazione rialza la testa e i conti pubblici peggiorano, anche in virtù di una forza di un Governo che ha adottato il motto del suo leader “non metteremo le mani nelle tasche degli italiani”. Eppure, in quella maledetta primavera del 2011, il famoso spread e’ a 165, cioè a un livello ampiamente di guardia. A questo punto esplode il fattaccio greco, a dire il vero originatosi un anno prima.

    Nella primavera del 2010, infatti, qualcuno di Bruxelles si accorge che i greci hanno taroccato i loro conti, con artifizi così puerili che neanche un ragioniere da quattro soldi vi ricorrerebbe. Insomma, pur di continuare a campare di prestiti hanno detto all’UE che il rapporto tra deficit di bilancio e Pil (da non confondere con il deficit complessivo/ pil su esposto) è del 3%, mentre a magagna scoperta ci si accorge che è del 21. In pratica non hanno soldi pe pagare gli stipendi della moltitudine di dipendenti pubblici (roba del tipo 13 insegnanti di educazione fisica, in una scuoletta dell’egeo, per 21 ragazzini in totale ) e, fatto ancora più allarmante, non potranno onorare le ricche cedole dei loro btp, emesi dal Tesoro greco a tassi del 7% pur di finanziare il debito montante. I governi europei si riuniscono in vertice e giurano solennemente che salveranno la Grecia. Come, non viene detto, per intanto si attuano misure tampone e poi si vedrà.

    Torniamo alla primavera del 2011. Qualcuno – chi, mai si saprà – punto da improvvisa frenesia, giudica la situazione greca una bomba a orologeria nel seno dell’euro e vende euro contro dollari, sterline e valute di paesi emergenti. Contemporaneamente i btp greci crollano di prezzo e, cosa che inizia ad allarmare, perdono valore anche i btp italiani, spagnoli, portoghesi e irlandesi. Per quale motivo? perchè i cosiddetti investitori adesso paventano che la crisi greca sarà il preannuncio di esplosione del debito di questi paesi, che nel caso dell’Italia non sono salvabili con aiuti dei parteners, essendo l’Italia too big to fall, perchè occorrerebbero il Pil di Francia e Germania per salvarci in caso di default. Insomma uno scenario da crack dell’euro e di sconvolgimento degli equilibri finanziario – economici del pianeta.

    Il resto lo conosciamo, cadono diversi governi e si avviano politiche di bilancio restrittive. Cosa che porterà a un avvitamento del debito, perchè il calo della domanda provocato da tali politiche porta a diminuzione del gettito fiscale creando nuovo debito, nuovo debito forza a nuove tasse, nuove tasse restringono ancor più la domanda. Una spirale che porta dritti al default.
    Come uscirne? non lo so. Ma se:

    – le banche francesi e soprattutto tedesche, strapiene per oltre 100 mld di euro di btp greci (perchè faceva comodo incassare la cedolina del 7% annuo), si convincono che non possono più trattare sul rientro integrale dei lorio investimenti (in effetti il partito di estrema sinistra greca, che potrebbe vincere le elezioni di domani, non ha detto che non rimborseranno nulla, ma il 50%).
    – anche l’UE vara il suo Quantitative Easing, cioè rispolvera Keynes

    se queste precondizioni si attuano, forse vederemo la luce. Unitamente a quel poveretto senza colpa che è il popolo greco.
    In fondo il tira e molla tra tedeschi e greci (perchè è di questo che si tratta, il resto è arietta all’insalata) somiglia a quel gioco sciagurato del film Gioventù bruciata. Ci si lancia con le auto a tutta velocità verso il precipizio, e vince chi dei contendenti si lancia fuori per ultimo, prima che l’auto finisca nel burrone.

  9. Andrea D'onofrio Says:

    @Carlo Capone

    In 1.266 parole e 7744 caratteri hai parlato di tutto, anche di Gioventù bruciata. Tranne di:

    1. sondaggi
    2. e delle seguenti domande:
    I singoli stati sarebbero stati più in grado di fronteggiare tempestivamente la crisi economica?
    I singoli stati sono e saranno più in grado di fronteggiare la crisi economica?
    Vi sono previsioni su ciò che potrebbe accadere in Grecia col ritorno alla dracma?
    Scommettiamo che la parola “sacerdoti” è stata usata allo scopo di dare l’impressione che chi confida nella moneta unica basi la sua fiducia non su informaizoni e ragionamenti, bensì su una fede irrazionale?
    Ma è vero?
    E’ vero che chi confida nella moneta unica basa la sua fiducia non su informazioni e ragionamenti, bensì su una fede irrazionale?
    Ma ha senso percorrere una certa strada solo perché è percorribile?
    Non sarebbe più sensato percorrere una certa strada – anche qualora fosse ardua da percorrere – perché porta lì dove vogliamo andare?
    E, a proposito: i signori de Il Giornale hanno delle idee su dove sarebbe bene (o almeno meglio, o almeno meno peggio) andare?
    Ma: in che cosa hanno fiducia, queste persone?
    E voi cosa ne pensate?
    Vi pare che il lettore sia stato adeguatamente introdotto al sondaggio?

    La tua risposta è anche interessante, però parla d’altro. Non parla ANCHE d’altro, ma SOLO d’altro. E, secondo me, non è ben fatto.

    Ciao

  10. Carlo Capone Says:

    Gentile Andrea D’onofrio, io non ho parlato di tutto ma semplicemente di quanto accaduto dal 2008 a oggi. Se ho impiegato più tempo di quanto tu giudicassi sia sufficiente, me ne scuso. Attendo resoconto di pari accuratezza in parole milletrè (così ho tirato dentro anche Da Ponte e non si offende nessuno).

    Si scherza ovviamente, il mio scopo era di migliorare la comprensione dei fatti, visto che si contesta, e a ragione, a Il Giornale di non aver fornito gli strumenti adeguati per partecipare al sondaggio.

    Confermo che il paragone con la scena di quel film descrive al meglio l’attuale situazione all’interno dell’euro.
    Saluti

  11. virginialess Says:

    Può essere utile riepilogare la storia della crisi… Di più analizzare en passant sistema monetario dei paesi avanzati e le caratteristiche dell’euro, come anche schiarirsi un po’ le idee sulla prospettiva del ritorno a monete sovrane nazionali.
    Mi sembra faticoso farlo qui. Se ne parla in molti siti, documentiamoci.

  12. Carlo Capone Says:

    Virginia, a volte opero in Borsa.
    In più l’economia politica mi affascina da sempre.
    Con buona pace dell’Ingegneria Chimica, che mi dà da vivere.

  13. Carlo Capone Says:

    Da Repubblica di oggi 27 giugno: Barbara Spinelli, Il Vietnam dell’Europa.

    Io: notare il riferimento a Gioventù bruciata in chiusa di articolo…….

    di BARBARA SPINELLI
    ALLA vigilia del vertice europeo di domani, l’economista greco Yanis Varoufakis scruta l’incaponita ottusità delle politiche con cui i governi dell’Unione pretendono di salvare la moneta unica, e si stupisce di fronte a tanto guazzabuglio dei cuori e delle azioni. Un’attesa quasi messianica di palingenesi si combina all’abulia dei politici, alla pigrizia mentale degli economisti, alla sbalorditiva mancanza di leadership. Ancora una volta siamo alla vigilia di un vertice definito cruciale. Ci sarà un prima e un dopo, decideremo cose grandi o fatalmente naufragheremo. In Italia, chi punta allo sfascio annuncia che Monti avrà fallito, se fallisce il summit: come se il guazzabuglio europeo fosse suo, come se le responsabilità di Berlusconi si dissolvessero in quelle del successore. Alcuni si esercitano a contare i minuti: l’euro non vivrà più di tre mesi, dicono, pensando forse che l’orologio stia fermo. Sono anni che i mesi di vita sono quasi sempre tre. È quello che spinge Varoufakis a fare due paragoni storici che impaurano a pensarci. Il primo rimanda alla crisi del ’29, e alla condotta che il Presidente americano Hoover ebbe a quel tempo. La ricetta era uguale a quella di oggi: ridurre drasticamente la spesa pubblica, tagliare salari e potere d’acquisto, il tutto mentre l’economia Usa implodeva. Seguirono povertà, furore, e in Europa fine della democrazia.

    Non meno inquietante il paragone con la guerra del Vietnam: negli anni ’60-’70, gli uomini del Pentagono

    erano già certi della sconfitta. Continuarono a gettar bombe sul Vietnam, convulsamente, perché non riuscivano a mettersi d’accordo su come smettere un attivismo palesemente sciagurato. Riconoscere l’errore e cambiar rotta avrebbe salvato migliaia di vite americana, centinaia di migliaia di vite vietnamite, e risparmiato parecchi soldi. Disfatte simili a queste lo storico Marc Bloch le chiamò “strane”, nel 1940: le avanguardie politico-militari sono senza visione né guida, mentre nelle retrovie società e classi dirigenti franano. Chi guida oggi l’Europa è animato dalla stessa non-volontà (l’antico peccato di nolitio): la crisi delle banche e dei debiti non è guerra armata, ma certi riflessi sono identici. Il povero cittadino perde la testa, non si raccapezza.

    Sono mesi che si succedono vertici (a due, quattro, diciassette, ventisette) e ognuno è detto risolutivo. Sono mesi che sul palcoscenico vengono e vanno personaggi, declamando frasi inalterabili. Merkel e Schäuble entrano in sala di Consiglio, si siedono, e recitano: “Non si può fare, prima della solidarietà ognuno faccia ordine a casa”. E sempre c’è qualcuno, della periferia-Sud, che invece di negoziare sul serio implora: “Ma fate uno sforzo, qui si sta naufragando!”. Sembra la musica che nei dischi di vinile d’improvviso s’incantava. Si siedono e ripetono se stessi (ecolalia è il termine medico), come i generali quando continuavano a cannoneggiare i vietnamiti nella speranza che la guerra, come i mercati, si sarebbe placata da sola, esaurendosi.

    Qualcosa, è vero, sta muovendosi in Europa. Grazie alle pressioni di socialdemocratici e verdi, il governo tedesco ammette d’un tratto che qualcosa bisogna fare per la crescita (una parola vana come quando i generali in guerra dicono: pace). Nella riunione a 4 che si è svolta a Roma tra Merkel, Hollande, Monti, Rajoy si è deciso di mobilitare 120 miliardi di euro (una bella somma ma sporadica, visto che contemporaneamente non si vuole un aumento del comune bilancio europeo). Si è anche deciso, finalmente, di ignorare le riserve inglesi e svedesi e di approvare una tassa sulle transazioni finanziarie, per dar respiro all’eurozona. Chi da anni lotta per la Tobin tax spera che nasca, per la prima volta, una vera fiscalità europea: il gettito previsto è di 30-50 miliardi all’anno, senza aggravi per i contribuenti.

    Ma la tassa ha difetti non ancora risolti: come pensare che l’Unione possa avviare con propri soldi investimenti congiunti, se il gettito non andrà nella cassa comune? Il 29 marzo, sulla Zeit, il ministro delle finanze austriaco si felicitò in anticipo per la tassa, i cui proventi erano già iscritti nel bilancio del 2014: nel bilancio austriaco, non europeo.

    Passi avanti sono stati fatti, assicurano i governi, ma l’essenziale manca: ancora non si possono emettere eurobond, e Berlino esita sul progetto – concepito in novembre dal Consiglio tedesco degli esperti economici – di una redenzione parziale dei debiti. “Ci vuole un salto federale”, si comincia a sussurrare, ma anche queste parole rischiano di tramutarsi in nomi nudi, apparenti: come crescita, pace. Perfino cultura della stabilità diventa nome nudo, senz’alcun rapporto con l’idea che ci facciamo di una vita stabile. La sostanza che resta è il dogma tedesco della casa in ordine. E resta il nuovo potere di controllo sui bilanci nazionali, conferito alla Commissione di Bruxelles. Ma un potere strano, di tecnici che censurano e castigano. Non un potere che edifica politiche, dispone di proprie risorse, è controbilanciato democraticamente. Non dimentichiamolo: le spese federali in America coprono il 24 per cento circa del prodotto nazionale. Quelle dell’Unione l’1,2. Quanto alla tassa sulle emissioni di biossido di carbonio (carbon tax), nessuno ne parla più.

    Il fatto è che le misure non bastano perché il male non è tecnico: è politico. Ci siamo abituati a criminalizzare i mercati, a dire che l’Europa non deve dipendere dalla loro vista corta. Ma li ascoltiamo, i mercati? Sono imprevedibili, ma se diffidano dei nostri rimedi significa che c’è dell’altro nella loro domanda: “Siete proprio intenzionati a salvare l’Euro? La volete fare o no, l’unione politica che nominate sempre, restando fermi?”. Se i mercati somigliano a una muta aizzata è perché fiutano un’Europa e una Germania che il potere non se lo vogliono prendere, che scelgono l’irrilevanza mondiale. Si calmeranno solo di fronte a un piano con precise scadenze (importa dare la data, anche se non immediata): un piano che preveda un fisco europeo, un bilancio europeo credibile, un controllo del Parlamento europeo, una Banca centrale simile alla Federal reserve, un’unica politica estera. Hanno ragione a insistere. Anche perché stavolta, manca l’America postbellica che spinse alla federazione. Obama chiede misurette all’Europa, non un grande disegno unitario.

    In una conferenza dei verdi tedeschi, domenica a Berlino, Monica Frassoni, Presidente del Verdi europei, ha detto parole giuste: “Quello di cui tutti (mercati compresi) abbiamo bisogno è che la parola più Europa significhi qualcosa”, non sia flatus vocis. Deve esser chiaro in maniera lampante che Grecia, Italia, Portogallo, Spagna non potranno sanare i debiti con terapie che il debito addirittura l’accrescono. Urge un cambio di passo, dunque “una dichiarazione che dica: non si permetterà a nessuno Stato di fallire; la Bce interverrà comprando titoli delle nazioni indebitate se il Fondo salva-Stati non basta; l’Unione si darà un bilancio federale degno di questo nome, capace di avviare una crescita diversa, ecologicamente sostenibile”.

    Il salto federale di cui c’è bisogno, pochi vogliono compierlo. Hollande dice che l’unione politica voluta da Berlino è accettabile solo se subito c’è solidarietà. La Merkel non esclude la solidarietà, ma prima chiede l’unione politica (anche se ieri ogni idea di scambio è svanita: “Finché vivrò non accetterò gli eurobond”). Qualcuno dunque bluffa. È come la scena del film Gioventù bruciata: due ragazzi guidano simultaneamente le loro auto verso un dirupo. Il primo che sterza sarà chiamato coniglio o pollo (per questo si parla di chicken game). Se entrambi insistono nella corsa finiranno nella fossa. È tragico il gioco, perché riproduce il vecchio equilibrio di potenze nazionali che ha condotto il continente alla rovina. L’Unione europea era nata per abolire simili gare di morte.

  14. Andrea D'onofrio Says:

    Carlo Capone: per me puoi anche copincollare la Treccani, però io continuo a non vedere un nesso tra le tue parole e un post dal titolo “Come si fanno i sondaggi” rubricato nella categoria “retoriche”.

    Poi fai un po te.

    Ciao

  15. Massimo Bolognino Says:

    Che i sondaggi (tutti) siano trappole (questo più, quello meno) non è certo una novità. Quello che io trovo interessante, anche in questo caso specifico, è andare a leggere criticamente i risultati.
    Perché se io chiedo ad un pubblico molto particolare (i lettori de Il Giornale) una risposta totalmente pilotata dalle premesse, che avrebbe dovuto portare ad un plebiscito, ed ottengo come risultato il seguente: il 72,14% hanno risposto “giusto”, il 27,86% hanno risposto “sbagliato”, fregandosene della più che esplicita richiesta del sondaggio, mi viene da pensare che ci sono ancora timide speranze.
    Ogni strumento di propaganda, come ci insegnava il più grande propagandista della storia, Edward Louis Bernays, più viene utilizzato, meno è efficace.
    Il vaccino contro i cosiddetti sondaggi comincia, almeno così mi sembra, ad avere i suoi primi effetti.

  16. Giulio Mozzi Says:

    Mi pare piuttosto azzardato sostenere che tutti i sondaggi siano trappole (per chi?).
    Mi parebbe già più sensato sostenere che i cosiddetti sondaggi fatti dai giornali, nei quali le domande sono ideologicamente pilotate e non vi è campionamento, servono a tutto fuorché a prdourre informazione.

  17. Massimo Bolognino Says:

    Non è azzardato, è implicito nello strumento.
    E’ impossibile sondare senza produrre un seppur minimo bias.
    Un sondaggio è una misurazione e, come per ogni misurazione, non è possibile misurare qualcosa senza alterarlo.
    Ovviamente ciò può essere fatto più o meno consapevolmente, più o meno in buona fede.
    Nel caso dei sondaggi a campione, molto dipende, ovviamente, dal campione e dal metodo con cui è scelto; un sondaggio su un giornale così di parte è quanto di più lontano da un metodo serio si possa immaginare.
    Senza arrivare però al limite del sondaggio di cui fai menzione, è ovvio anche ai meno esperti che, ad esempio, se io chiedo ad un campione di dirmi per chi voterebbe alle prossime elezioni, l’ordine in cui leggo (al telefono, nel 99% dei casi) i nomi dei partiti incide fortemente sul risultato, ma in un qualche ordine li devo pur mettere e valutare, cioè ritarare i risultati, tenendo conto di questo bias non è facile, diciamo che è, nella pratica, impossibile.
    Allo stesso modo, basta un aggettivo, una piccola differenza nella frase che costituisce la “domanda”, per variare in modo molto significativo la risposta.
    Ecco perché, per chi risponde il sondaggio è sempre una trappola: in ogni caso, in buona o cattiva fede, si tratta di una semplificazione e di una manipolazione del tuo pensiero.

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